martedì 24 ottobre 2023

pc 24 ottobre - Documento del Coordinamento nazionale dello Slai cobas per il sindacato di classe - Dal seminario di fine agosto - per il dibattito

Compagni e compagne, organizzazioni sindacali classiste e combattive possono, se vogliono, intervenire e commentare questo documento - pubblicheremo ed eventualmente risponderemo -  invio a slaicobasta@gmail.com - wa 3519575628

Il contesto della situazione internazionale

Tutti i giornali hanno parlato della ipotesi di una nuova devastante crisi dalle dimensioni finanziarie come quella del 2008, provocata dalla bolla cinese. Su questo dobbiamo prendere le misure. Chiaramente la Cina non è in nessuna maniera un paese socialista, neanche ex socialista. E' il secondo grande paese capitalista del mondo nello stadio dell'imperialismo come fase suprema del capitalismo. Quindi, innanzitutto i lavoratori non possono dare alcun credito a chi sostiene che la Cina sia un paese socialista non capitalista e neanche che sia la Cina del dopo il rovesciamento del socialismo. È un paese che si è interamente trasformato, in cui la centralizzazione economica e statale è stata usata per sviluppare in forme selvagge il capitalismo. Il capitalismo selvaggio, descritto da Marx, esiste di più in Cina che negli Stati Uniti d'America e nei paesi europei. Così come i grandi processi connessi alle trasformazioni repentine dei paesi capitalisti, con gigantesche immigrazioni interne. Peraltro la Cina non è più il paese più popoloso del mondo, è stato superato come abitanti dall'India, dove il capitalismo di Stato, la centralizzazione è stata usata per sviluppare in maniera accentuata tutte le forme più spudorate di capitalismo selvaggio, e dove le fabbriche sono quelle a più intenso sfruttamento nel mondo. 

In Cina vi è la più alta concentrazione di ricchezza finanziaria di miliardari, una rapida formazione di miliardari nella storia del capitalismo. Perfino in America per creare i Rockefeller ci sono voluti diverse decine di anni. In Cina i Rockefeller sono stati creati dal capitalismo di Stato, guidati dall'ex borghesia rossa, ex comunista. In trent'anni è stata creata la più grande frazione dei capitalisti del mondo e finanziari. 

Però chiaramente la Cina non sono gli Stati Uniti. Il capitale finanziario della Cina in nessuna maniera può essere paragonato all'influenza e al dominio degli Stati Uniti e, insieme agli Stati Uniti, delle altre potenze imperialiste. Quindi una bolla del tipo "Lehman Brothers" è improbabile, e va tenuto conto che rispetto ai tempi della Lehman Brothers è cambiato l'assetto.

In tempi di marcia a tappe forzate verso la guerra imperialista mondiale è evidente che fa parte anche della propaganda di guerra delle potenze imperialiste, che si contendono una nuova ripartizione del mondo, amplificare la crisi degli altri per attaccarli. E sicuramente, l'imperialismo americano amplifica le dimensioni della crisi possibile per effetto della bolla cinese, proprio per mettere in crisi la Cina, con un piano simile a quello che si è realizzato e piuttosto concretizzato nei confronti della Russia. Un piano che guarda alla guerra con la Cina, anche qui per interposta, forse per procura, la crisi di Taiwan. 

La crisi viene scaricata all'interno del mondo imperialista, soprattutto verso l'Europa che è sostanzialmente l'anello debole del sistema imperialista mondiale. Mentre la sua potenza economica relativa e del suo paese di riferimento principale, la Germania, farebbe vedere invece l'esistenza di una area abbastanza concorrenziale sul piano mondiale, perché l'imperialismo americano è potenza più forte del mondo, ma in calo. L'imperialismo russo è chiaramente in una fase di crisi economica interna, con una fase di accerchiamento, tradottasi poi nella guerra in Ucraina. 

La Cina sta mettendo le mani in mille modi su tutto il sistema mondiale, ma dominarlo, economicamente, politicamente, istituzionalmente è un'altra cosa, e non c'è al mondo nessun governo filocinese insediato dalla Cina, neanche nel più sperduto e secondario paese del terzo mondo. La Cina aspira, ma una cosa è aspirare e una cosa è realizzare. Mentre i 2/3 del mondo hanno governi in cui gli americani, le potenze imperialiste hanno peso, e si tratta non solo di borghesia ma di governi insediati che non durerebbero tantissimo senza l'appoggio politico, economico e militare dell'imperialismo americano, attraverso la sua potenza militare, ma non solo, attraverso le sfide del Fondo monetario internazionale e di tutte le istituzioni internazionali. 

L'intreccio tra recessione e inflazione produce una nuova fase. A livello mondiale si può prevedere che gli effetti sul mercato mondiale saranno profondi, perché la Cina, che ha potuto realizzare in tempi concentrati e in forme selvagge la trasformazione capitalista interna, ha prodotto un consistente capitale eccedente, che è una delle caratteristiche dell'imperialismo. Chiaramente questo fa sì che il mondo finanziario sia intrecciato con quello che sta avvenendo in Cina.

La fusione tra recessione e inflazione produce comunque un effetto aggravato e devastante nei paesi europei e lungi da unirli, li frammenta ancora di più, cosa che impedisce, anche strategicamente dal punto di vista della borghesia, l'esistenza di quelli che vengono chiamati gli “Stati Uniti d'Europa”. 

La Comunità europea non sono gli Stati Uniti d'Europa, ma è la cristallizzazione del legame dei paesi imperialisti europei gestiti da governi imperialisti, che si fanno la guerra fra di loro, si uniscono, ma si combattono. Per cui non esiste un blocco imperialista europeo, esiste l’interesse generale dell'Europa nella contesa inter-imperialista ed esiste un’alleanza in Europa per cercare di fronteggiare insieme i problemi, ma questa forma centralizzata è venata da una guerra di posizione che dipende dalla forza relativa dei vari paesi imperialisti europei. 

Nei paesi europei si incontrano inflazione e recessione e quindi gli effetti di questa crisi sono profondi, stabili e determinati. Le forme con cui si presentano, disoccupazione, precarizzazione, carovita, tagli dei salari, è inevitabile che si vadano ad accentuare, e l'indirizzo dei governi per rispondere alla crisi è lo scaricamento sui proletari e le masse popolari degli effetti economici della crisi.

I salari non sono tagliati perché c'è la guerra, i salari erano tagliati prima per l'intreccio inflazione e recessione. Dipendono in maniera  relativa dalla guerra, se non per gli effetti della crisi energetica in Europa della guerra in Ucraina. Non c'è un rapporto meccanico tra la guerra e i costi della guerra, le spese militari e i salari, l'occupazione. 

Non è che lo sviluppo militare non è sviluppo, è chiaramente uno sviluppo all'interno del sistema capitalista. Ci sono fabbriche che producono armi, e che incorporano le trasformazioni dell'economia di guerra. La fase di guerra porta ad un lavoro in più in settori legati alla produzione per la guerra, gli operai della Fincantieri, della Leonardo, ecc. lavorano di più, hanno maggiori garanzie di posti di lavoro, un po meno dei salari. Lo sviluppo dell'industria bellica e dell'economia di guerra è una delle vie di uscite dalla crisi economica. La stessa ripresa dell'acciaio è legata allo sviluppo dell'industria bellica, come alcuni settori edili, ecc. Benchè questo avviene in aperta, contesa e guerra commerciale. 

Nel sistema imperialista i soldi vengono buttati nella guerra, nelle industrie bellica, nella trasformazione di interi settori dell'economia in produzione di anni distruttive di massa, sempre di più con la punta del nucleare, che è inevitabilmente destinato a essere usato. 

Una fetta consistente dei lavoratori lavorerà per la guerra e l'economia di guerra è fattore di lavoro e di aumento dei salari. Padroni e governi vogliono legare stabilmente i lavoratori all'economia di guerra. 

Quale lotta dei lavoratori in una fase di crisi e guerra

Solo il sindacalismo, tradunionista, confederale o di base che sia, può pensare che la lotta dei lavoratori, in una fase di crisi e guerra possa essere assolta solo difendendo lavoro e salari a prescindere dallo

sviluppo generale dell'economia e del ruolo di ciascun paese nell'economia. Quindi, "abbassare le armi, alzare i salari", che peraltro è una parola d'ordine abbastanza condivisibile dalla Caritas, dai pacifisti, dalla sinistra socialdemocratica e riformista non è un parola d'ordine classista, e  e meno che mai comunista.; è popolare e facile, però è inconsistente sul piano scientifico, l'abbassamento dei salari non dipende principalmente dalla guerra. I salari vengono abbassati attraverso il rapporto salari, prezzi e profitti. E' aumentando l'esercito di riserva che aumenta la pressione sui salari, è eliminando e riducendo il potere contrattuale dei lavoratori, legalmente e illegalmente, integrando nel sistema Stato imperialista i sindacati, i loro vertici. Tutto questo insieme produce il ristagno dei salari, e quindi proprio per tutto questo insieme non c'è altra risposta sul piano proprio dell'autodifesa che la lotta per aumenti salariali, che non sono tanto "aumenti", ma sono difesa dei salari esistenti. Perché? 

L'intensificazione dello sfruttamento, la produttività, l'utilizzo dell'automazione, dell'intelligenza artificiale, delle forme più pesanti di organizzazione del lavoro, produce un rapporto totalmente squilibrato tra quello che effettivamente produce l'operaio e il salario che riceve rispetto alle ore di lavoro indispensabili per produrlo; quindi, si squilibra il rapporto tra plusvalore e salario degli operai. Chiaramente poi il plusvalore i padroni lo devono realizzare, lo devono tradurre in moneta e questo attraversa la catena di circolazione.

Quindi, si è ridotto il salario soprattutto per effetto dello sfruttamento dei lavoratori. E parte dello sfruttamento dei lavoratori sono tutti quei processi di delocalizzazione, di spostamento laddove il costo del lavoro è minore, mentre aumenta la produttività del lavoro. 

A questo si aggiunge la tassa energetica che nel sistema capitalistico viene scaricata sulle masse popolari e che questo ha un effetto devastante innanzitutto per le fasce fuori dal ciclo produttivo, i precari, i disoccupati, le masse povere, per cui da un lato si rende indispensabile il salario garantito, il reddito di cittadinanza, rivendicazioni necessarie per tutelare il diritto di vivere dei precari e dei disoccupati. 

Ma chiaramente se non parte la lotta per il salario, cioè se la classe operaia in primo luogo non mette in discussione i salari, queste rivendicazioni producono poco o niente e possono peraltro essere ottenute solo nella forma della rivolta popolare, dato che la normale dialettica sindacale e la normale protesta sindacale non è in grado di ottenere. Senza che i precari, i disoccupati blocchino tutta la la catena extra fabbrica evidentemente è del tutto difficile strappare dei risultati. Ma questa è una realtà polverizzata e divisa, sicchè gli scioperi non possono riuscire. E quindi è solo la rivolta, la trasformazione di questa lotta in una conflittualità politica e sociale, permette ai settori più sfruttati, di far parte dell'esercito proletario offensivo contro il capitalismo. 

I sindacati buoni e che servono e servirebbero sono quelli che organizzano le rivolte e, chiaramente, se si pensa a questo ci rendiamo conto che il sindacalismo confederale non è quello che serve, ma anche  il sindacalismo di base è solo parzialmente la forma organizzata di cui hanno bisogno le masse povere e sfruttate.

Bisogna lottare per migliorare la condizione dei settori poveri, perchè altrimenti viene usata per peggiorare la condizione operaia, per aumentare la pressione "ai cancelli" e quindi per moderare la lotta salariale nelle fabbriche e indebolire la classe operaia. Così come a fronte di una legge sul salario minimo, gli industriali cercheranno di dire: se il salario minimo è quello, io a te ti sto dando di più, e quindi sarà usato dai capitalisti industriali per mantenere basso il salario degli operai. 

La classe operaia deve appoggiare e fare la lotta per il salario minimo garantito e per il reddito di cittadinanza; mentre, come sappiamo, proprio nel fronte degli operai esiste una diffusa tendenza contro il reddito di cittadinanza - che è una posizione di stampo corporativo controproducente all'interesse di classe, proprio ciò che vuole il capitalismo per fare delle masse povere e disoccupate e precarie un'arma per contenere i salari e per far passare gli operai col padrone invece che acutizzare la lotta di classe. 

Noi diciamo che il fronte unico di classe è quello che riesce a unire la lotta per il salario nelle fabbriche e la lotta per il salario garantito per i disoccupati, precari. Gli operai, invece di preoccuparsi e criticare ilReddito di cittadinanza devono pensare a fare la loro parte a fronte di un taglio salario complessivo che subiscono da anni e che i contratti in nessuna maniera sono serviti a difendere; così come i lavoratori dovrebbero rivendicare la nuova scala mobile. 

Il salario garantito più scientificamente è un'arma che aiuta gli operai ridurre la pressione dei disoccupati che si ritorce sull'abbassamento del loro salario, sul peggioramento delle loro condizioni di lavoro. Operai coscienti sarebbero i primi a sostenere la necessità del salario garantito come arma contro l'attacco del capitale. Sul piano politico poi la mancanza di un salario minimo indebolendo il proletariato, si traduce in indebolimento della lotta di classe. E, storicamente, il passaggio al fascismo di settori di disoccupati. Poi in una fase di guerra si alimenta il nazionalismo, il razzismo, che favorisce la militarizzazione dei disoccupati, il cui reddito garantito l'avranno se indossano una divisa e se vengono a far parte della marcia bellica del proprio imperialismo.

Quindi fare questa lotta significa lavorare per l'unità di classe, ma l'unità di classe si può realizzare solo su rivendicazioni classiste e combattive e per affermarla sui posti di lavoro richiede una lotta acuta dentro le fabbriche tra sindacalismo neocorporativo e succube all'interesse dei padroni e sindacalismo di classe. 

Ogni idea che la riuscita degli "scioperi generali" possa favorire spontaneamente il fronte unico di classe è una pura illusione che pretenderebbe senza una guerra nelle file proletarie, sulle rivendicazioni classiste di unire, quando invece è solo la divisione, cioè la lotta interna tra sindacalismo di classe e combattivo e sindacalismo collaborazionista che può rafforzare le componenti classiste, la presenza in fabbrica del sindacalismo operaio. 

Come scrive Lenin nel "Che fare?" la lotta centrale dei lavoratori, innanzitutto nelle fabbriche, è la lotta contro il sindacalismo operaio borghese. Quindi noi non siamo sostenitori dell'"unità". Siamo sostenitori dell'organizzazione della lotta di classe e della costruzione del sindacalismo di classe e per l'innovazione dei contenuti rivendicativo e delle forme di lotta nella crisi. 

Questa guerra sotterranea che si sviluppa nelle fabbriche, che è sempre presente, anche se raramente appare all'orizzonte, è parte integrante del nostro lavoro. Lo Slai Cobas sc porta con chiarezza che o gli scioperi si trasformano in tumulti in scontri interni ed esterni alle fabbriche oppure non hanno neanche lontanamente la possibilità di lievitare la forza numerica proletaria e affrontare da rapporti di forza più favorevole e in un clima più favorevole la fase attuale. E' la politica che deve guidare nella lotta sindacale. Chi dice che non è la politica in realtà guida attraverso la politica della borghesia, della piccola borghesia, della socialdemocrazia, o dell'estremismo infantile piccolo borghese. La lotta sindacale serve al cambiamento dei rapporti di forza, e come lievito di un cambiamento generale dei rapporti di forza che ponga la questione del potere.

Il sindacalismo di classe deve essere diretto politicamente dai comunisti

La nostra concezione del sindacato è quella della corrente sindacale di classe, sostanzialmente diretta dai comunisti. Qualsiasi ostacolo nel rapporto di direzione tra posizioni comuniste e sindacato serve gli interessi del padrone e della borghesia, indebolisce i lavoratori e li vende, sempre più subordinati, alla dialettica della politica borghese in tutte le sue forme, sia nelle forme naturalmente egemoni della politica collaborazionista sia nelle forme dell'estremismo sindacale, di una posizione anarco-sindacalista. 

La storia ci ha sempre dimostrato che la socialdemocrazia aiuta il fascismo come partito politico e i sindacati di orientamento socialdemocratico e collaborazionista fiancheggiano il fascismo. Come nessuno può dimenticare che una parte della sinistra comunista e sindacalista che appariva più radicale passò al fascismo. 

Tutto questo ci fa capire da un lato quanto sia necessaria la posizione dello Slai Cobas sc e di tutti coloro che si muovono sul terreno del sindacalismo classista e combattivo, dall'altro che questa posizione non vince con l'unità ma vince con la lotta aperta, vince in una guerra in cui puntiamo alla crescita del sindacalismo classista e combattivo, diretto politicamente. 

Se un sindacato non è diretto dalla politica comunista è diretto dalla politica socialdemocratica, e nella fase di moderno fascismo favorisce la trasformazione reazionaria dello Stato in Stato neocorporativo in cui il sindacato è dentro il potere statale fascista. La campagna esplicita della Cisl per la partecipazione ai Consigli delle amministrazione è oggettivamente una campagna fascista che vuole favorire lo Stato corporativo fascista. Ma il fascismo non si affronta col confronto delle idee, ma con la guerra, con la lotta, con l'esclusione, la scissione, la divisione, ripetiamo, tra interessi operai e interessi dei sostenitori del partito operaio borghese. Non fare questo, nel rapporto tra politica e economia produce una confusione che danneggia obbiettivamente la battaglia per la costruzione del partito comunista e del sindacato di classe. 

Quando si dice "diretto politicamente", chiaramente la direzione politica non è facile in fase di assenza del partito comunista. Senza partito comunista non c'è vittoria, non c'è conquista nelle fasi della crisi, e il sindacato serve la classe se è diretto sostanzialmente dai comunisti. 

La prima battaglia tra i lavoratori è sempre quella contro la neutralità del sindacato, la apoliticità del sindacato, un "sindacato senza bandiere". 

Quindi non le lotte in sé o le lotte spontanee così come sono, sono l'obiettivo del sindacato classista e combattivo, ma l'indirizzo, la direzione, la selezione degli obiettivi e delle forme di lotta in funzione della guerra sociale e politica.

Noi dobbiamo trasformare i lavoratori che organizziamo in parte dell'esercito proletario in lotta contro il governo e il moderno fascismo. Nel fare questo, chiaramente abbiamo bisogno di tattica, di qualità, di compagni che lo sappiano fare, che imparano a farlo facendo, che usino lo strumento della convinzione, ma senza alcuna esitazione sul tipo di sindacalismo che vogliamo rappresentare. 

Certo questo tipo di sindacalismo diventa forte se si riesce a realizzare la forza relativa in alcune realtà. Quindi il nostro lavoro non è tanto per allargarci ma per compattarci e unire la sinistra di classe; creiamo le condizioni per avere il numero degli uomini che ci permettono di allargare la nostra forza nella classe. 

Le grandi fabbriche roccaforte del sindacalismo di classe

Noi ci vogliamo insediare innanzitutto nelle fabbriche, nelle grandi fabbriche che sono la roccaforte potenziale del sindacalismo di classe e combattivo, perché sono le grandi fabbriche che possono cambiare la realtà di questo paese, possono trasformare la lotta di classe in lotta rivoluzionaria del potere, con tutto quello che ne consegue, i Soviet e così via. Non si può fare il soviet in una piccola fabbrica, perché sono strumenti che poi devono comandare la produzione, i gangli centrali della produzione. 

Si può pensare quando questo sia difficile e quanto questo attraversi un periodo molto lungo perché si realizzi. Il nostro tempo di lavoro è il tempo della rivolta proletaria, il tempo dell'esplosione spontanea dei lavoratori e della loro organizzazione come esercito, combattente, sindacale e politico. In tutto questo i tempi non sono pianificabili dall'alto. Non possiamo permetterci di dire falsità ai lavoratori, perché in questo caso significherebbe suicidarsi. 

Il coordinamento nazionale dello Slai Cobas sc ha un solo compito e un solo obiettivo, scatenare la guerra di classe, di grande rilievo politico, contro il governo,  contro il governo dei padroni, nel contesto di una crisi economica e della guerra imperialista.

Quindi il nostro piano di lavoro è la costruzione di una base nelle grandi fabbriche. Le grandi fabbriche oggi non sono numerose, non siamo negli anni '70. Le grandi fabbriche sono poche. Bisogna lavorare, con tempi e modi, in condizioni adatte a questi anni.

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