pc 18 febbraio - Pastori NO all'accordo... Ma è sempre necessaria analisi di classe - un intervento
Pastori, è l’ora della scelta fra lotta e accordo fasullo!
Ai
pastori sardi il pacco è quasi servito. L’accordo fasullo raggiunto
finora al tavolo industriali-pastori sul prezzo del latte è una truffa
ai danni dei pastori ordita da governo nazionale e rappresentanti di
industriali e allevatori.
L’accordo prevede 72
centesimi, Iva compresa, al litro come acconto per il conferimento del
prodotto e un saldo ancorato a una griglia che, considerando interventi
di Regione e Stato, dovrebbe far sollevare il prezzo vicino a quello
richiesto dai pastori, un euro.
Questo accordo-truffa
non è ciò che chiedono i pastori (1 € al litro più Iva, subito!) e, per
chi ha memoria (e siamo sicuri che i pastori ce l’hanno), ricorda una
situazione già vista. Nell’autunno 2010 i pastori sardi erano scesi in
strada esattamente per le stesse ragioni di questi giorni: ridotti alla
fame dal prezzo di 60 centesimi al litro, chiedevano l’aumento a 1,00
euro al litro. Dopo giorni di manifestazioni, proteste, sversamenti di
latte per strada e scontri con poliziotti e carabinieri che sparavano
lacrimogeni ad altezza d’uomo (allora non erano vicine le elezioni
regionali!), fu raggiunto il seguente accordo: per il prezzo del latte
una soglia minima di 0,75 €/litro che poteva salire fino a 0,85 € se il
latte veniva commercializzato in forma associata (ma non erano le
aziende di trasformazione ad aprire il portafogli, doveva essere la
Regione a corrispondere alle industrie incentivi per almeno 10 milioni
di euro!); aiuti diretti pari a 3.000 euro per azienda, mentre gli
allevatori chiedevano il massimo concesso dall’Ue, cioè 15.000 euro. Le
illusioni sulla possibile fine degli effetti della crisi furono presto
smentite. L’accordo fu subito rimangiato da un disegno di legge
regionale sull’Agricoltura, che ne sviliva i contenuti e assegnava al
comparto ovino meno soldi di quelli prima promessi. Nei fatti i pastori
si accorsero che i capitalisti industriali e i loro rappresentanti
politici e sindacali li avevano raggirati. Non a caso questa volta hanno
ricusato il Movimento pastori sardi quale loro rappresentante (come lo
era stato nel 2010).
Dopo nove anni i
pastori sono stati costretti a nuove azioni eclatanti per farsi vedere e
ascoltare, per attirare l’attenzione mediatica sui loro redditi da
fame. In nove anni non è cambiato niente nella formazione del prezzo del
latte ovino alla stalla. I pastori sardi sono scesi in strada contro
gli industriali, che costituiscono, nella cosiddetta filiera del latte,
il loro nemico più vicino. Ma il prezzo del latte ovino alla stalla lo
formano il capitale industriale, cioè i trasformatori del latte in
formaggi, e il capitale commerciale, in sostanza la grande distribuzione
organizzata (gdo), che vende i formaggi da esso derivati (Pecorino
romano Dop, Pecorino sardo Dop e altri), in Italia e all’estero, nelle
sedi di acquisto di massa, i grandi centri commerciali.
Sulla base della quota
di profitto che trattiene per sé, il capitale commerciale, forte del suo
peso sul mercato, impone o concorda, in base ai rapporti di forza, il
prezzo di acquisto del prodotto finito (i formaggi) al capitale
industriale. Il capitale industriale, dal prezzo di vendita alla gdo che
spunta, detrae la quota di profitto per sé, il resto (pochi centesimi)
lo lascia ai pastori, imponendo di fatto un prezzo da fame. Questo è il
prezzo attualmente pagato per il latte ovino alla stalla in Sardegna e
Sicilia, 60 o poco più miserabili centesimi al litro. La comprensione di
come si forma il prezzo è utile per capire che anche questa volta le
promesse si riveleranno illusioni.
Il prezzo pagato ai
pastori è quindi lo stesso da anni. A seconda della congiuntura
economica tale prezzo è oscillato, ma di poco.
Nella fase espansiva
del ciclo economico il mercato tira, i consumi crescono, i prezzi al
consumo si mantengono stabili a un livello medio-alto o salgono, anche
ai pastori toccano alcune briciole, cioè qualche centesimo in più.
Invece nella fase
recessiva del ciclo economico, di fronte alla grande quantità di merce
prodotta per massimizzare il profitto, il mercato è saturo, i consumi
non si espandono: la grande distribuzione spinge in basso i prezzi al
consumo per stimolare gli acquisti e taglia i prezzi pagati ai
trasformatori industriali che a loro volta scaricano la diminuzione del
prezzo sui pastori, erodendo i pochi centesimi in più prima concessi. Ma
è tutto inutile. Sul mercato si forma un eccesso di prodotto rispetto
alla domanda. I distributori commerciali accusano gli industriali di
aver prodotto solo o soprattutto Pecorino Dop. Gli industriali accusano i
distributori commerciali di non aver saputo affrontare i mercati. I
sindacalisti agricoli ripetono agli uni e agli altri le stesse accuse.
Alla fine distributori commerciali e industriali se la cavano, perché
riescono sempre ad appropriarsi di una buona quota di profitto, i
sindacalisti non perdono il loro lauto stipendio. Invece i pastori
vengono ridotti alla fame.
Nel capitalismo poco
sviluppato che ha dominato in Sardegna e Sicilia fino a non molti
decenni fa i pastori costituivano una classe quasi benestante, di
piccoli padroncini proprietari di un gregge, una stalla, una masseria,
un pascolo. Una classe superiore a quella dei contadini poveri e senza
terra o con poca terra, ancora più elevata rispetto a quella dei
braccianti, i manovali della terra a giornata. Essi trasformavano
direttamente il latte oppure lo piazzavano presso trasformatori
artigianali che riconoscevano loro un prezzo adeguato.
L’irruzione sul mercato
prima degli industriali trasformatori professionali e poi dei grandi
distributori commerciali ha introdotto nuovi rapporti di produzione e
cambiato i rapporti di forza fra le classi. E ciò non solo in Sardegna,
ma anche altrove in Italia, come ha dimostrato la solidarietà dei
pastori dalla Sicilia alle Marche.
I pastori stessi non
sono tutti uguali, fra essi ci sono quelli ricchi, che assumono
salariati e offrono molto latte e riescono a strappare condizioni
migliori, e quelli poveri. Sono questi ultimi, le centinaia e migliaia
di piccoli pastori (che non assumono forza lavoro salariata, ma lavorano
direttamente in azienda con la propria famiglia), che si sono imposti
alla ribalta nazionale buttando il latte piuttosto che svenderlo. A
questi pastori non può non andare l’appoggio degli operai coscienti.
L.R.
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