Da qualche a mese a Gabés un gruppo di
giovani, principalmente studenti della facoltà di ingegneria, ha
organizzato alcune manifestazioni e convegni in città sotto la sigla di
“Stop Pollution” (stop all’inquinamento).
Gabés é infatti nota per la presenza di un grande impianto
del Gruppo Chimico Tunisino, azienda statale, che in città lavora
principalmente i fosfati provenienti dal bacino minerario di Gafsa per
produrre soprattutto fertilizzanti, vernici, acido fosforico, acido
nitrico e altri prodotti chimici; l’impianto fondato nel 1972 ha
inquinato pesantemente l’area circostante, da qui nasce la voglia di
questi giovani futuri ingegneri, ma non solo, di intraprendere questo
tipo di attivismo sociale. Ma prima di entrare nel merito circa queste
forme di attività di attivismo sociale, aggiungiamo qualcosa sulla città di Gabés.
Gabés é una città costiera meridionale
tunisina che sorge sull’omonimo golfo. La città ha una particolarità
unica al mondo: si é sviluppata all’interno di una grande oasi che si
affaccia sul mare, tutte le altre oasi esistenti al mondo sorgono
infatti nel bel mezzo del deserto.
Prima dell’apertura del GCT le principali
attività economiche erano legate al settore primario che sono svolte in
forma tradizionale. In particolare la pesca e l’agricoltura (famosa la
produzione del melograno e dei datteri da palma) le spezie di Gabés sono
tra le più rinomate del paese e infine vi é una discreta attività
artigianale che produce oggetti di vimini e derivati dalla foglia di
palma come copricapi, ventagli e sporte.
A partire dalla fine degli anni ’60-
inizio anni ’70 nascono alcuni impianti industriali nel paese come
conseguenza in parte postuma della linea politica dell’allora primo
ministro con portafoglio ad interim della Sanità Pubblica e degli Affari
Sociali, Ahmed Ben Salah che persegue la strategia della
creazione di poli economici decentrati rispetto al centro economico del
paese che é stato storicamente la fascia litoranea del paese compresa
tra Bizerte e Sfax.
La città quindi si trasforma nel
principale polo industriale dell’area e si ingrandisce notevolmente
raggiungendo gli attuali 120 mila abitanti.
Il GCT a Gabés impiega circa 4.800 lavoratori e attualmente rappresenta una buona fetta del
Pil tunisino, possiede un proprio porto separato dal porto della città
in cui vi é un intenso traffico di navi provenienti da tutto il
Mediterraneo.
Il modo con cui produce l’impianto, circa
quantità e qualità, in un quadro di regime di produzione capitalista che
punta quindi al raggiungimento del massimo profitto da parte del
padrone (stato tunisino) ha fatto si che l’attività della fabbrica abbia
avuto un impatto fortemente negativo sull’ambiente e su alcune attività
economiche pre-esistenti, abbia prodotto cioé delle esternalità
negative come direbbero alcuni economisti.
Cio’ é “normale” in qualsiasi processo di
industrializzazione in regime capitalistico, la quantità é direttamente
legata a quella richiesta dal mercato e non a quella legata ai bisogni
reali, il mercato spesso chiede irrazionalmente una quantità superiore a
quella necessaria quindi il capitalista per raggiungere il proprio
saggio di profitto spinge la produzione in accordo con questo
obiettivo incurante di tutto il resto. Lo stesso vale per la qualità
della produzione, il capitalista non si interessa dell’inquinamento
prodotto dall’impianto che poi si traduce in disastri ambientali e
problemi di salute per gli abitanti dell’area circostante in primis.
Ultimamente il “caso Gabés” é stato paragonato al “caso Taranto” in Italia.
In particolare alcuni settori ambientalisti italiani fanno un parallelismo nella seguente maniera:
– Entrambe le città si trovano sul mare e
prima del periodo industriale il settore della pesca e dell’agricoltura,
entrambi tradizionali, erano molto sviluppati.
– Il mare per entrambe le città ha un
grosso potenziale, da cui consegue il famoso leitmotiv “si potrebbe
vivere di turismo” che si aggiungerebbe alle attività tradizionali
elencate prima.
– In entrambe le città
l’industrializzazione ha provocato disastri ambientali e danni alla
salute dei cittadini (il termine “cittadino” é enfatizzato e vedremo più
avanti perché).
Questi tre punti del ragionamento portano
gli ambientalisti a concludere con una domanda retorica: “E’ più
importante il lavoro o la salute?” a cui rispondono con certezza:
“sicuramente la salute, quindi la fabbrica in quanto nociva deve essere
chiusa”.
Questo ragionamento viene propugnato
spesso da soggetti che abbracciano il paradigma della “post-modernità”,
paradigma figlio della “fine della storia” di Fukuyama, che in ultima
analisi volta le spalle alla realtà concreta inventandosi la non
esistenza delle classi sociali e di conseguenza negando che in un dato
tipo di società (il capitalismo) la fabbrica é teatro quotidiano della
contraddizione capitale-lavoro cioé degli interessi contrapposti dei
lavoratori da un lato e dal capitalista dall’altro; “dimenticano” o
negano apertamente episodi storici che invece stanno li a ricordarci che
con un’organizzazione politico-sociale e di produzione economica
differente in cui i mezzi di produzione sono in mano ai lavoratori e al
popolo in generale, la produzione industriale viene organizzata tenendo
conto della salute e della sicurezza in primis di chi vi lavora e in
secundis della questione ambientale quindi sia dell’ambiente che della
salute dei “cittadini”. In base all’esperienza storica possiamo
affermare che i veri ambientalisti ante-litteram sono nati nel
socialismo “reale” e in particolare nella Cina della Grande Rivoluzione
Culturale Proletaria (di qui ricorre quest’anno il 150° anniversario) dove
gli operai al comando della produzione avevano a cuore la propria
salute, quella della propria famiglia e del resto della popolazione
lavoratrice.
La qualità della produzione era regolata
quindi in modo da non inquinare grazie al fatto che la quantità prodotta
dalla fabbrica non veniva decisa in termini di profitto (non essendo la
borghesia al potere) ma in base alle reali necessità collettive.
All’interno del paradigma post-moderno si
nega quindi l’esistenza delle classi sociali e del conflitto di classe e
si sostituisce il tutto con un interclassista “cittadino” categoria
dalla quale viene buttato fuori l’operaio che, cornuto e bastonato come
si suol dire, non solo fatica almeno 8 ore al giorno al soldo del
padrone rischiando spesso la vita, non solo é il primo che ha le
ricadute negative sulla propria salute ma in più viene etichettato anche
come “assassino” come se fosse il responsabile di tutto cio’ e non il
padrone (della fabbrica), come successo a Taranto in questi anni da
parte dei sedicenti “cittadini liberi e pensanti”.
I nostri post-moderni non si limitano a
negare la realtà diventando partigiani della “fine della storia”, ma si
spingono oltre, pretendono che la storia faccia un salto indietro. Si
enfatizza in maniera oggettivamente reazionaria il concetto di
“tradizione”: la pesca tradizionale, l’agricoltura tradizionale negando
il progresso materiale raggiunto dall’umanità in termini di livelli di
produzione e miglioramenti tecnologici utili potenzialmente al
miglioramento della qualità della vita generale, cio’ che Marx
chiamerebbe “lo sviluppo delle forze produttive”.
Inoltre arbitrariamente si parla di
“vocazione” della città in termini economici, allora sia Taranto che
Gabés sarebbero delle città a vocazione turistica o dedite al settore
primario “tradizionale”, secondo lo stesso ragionamento qualsiasi luogo
del mondo dovrebbe avere la stessa “vocazione” facendo un volo pindarico
temporale come se la Rivoluzione Industriale non avesse mai avuto
luogo. Inoltre nel caso specifico tunisino, l’attuale crisi del settore
turistico provocata per dirla brutale da un ragazzino armato di
kalashnikov dimostra come qualsiasi paese al mondo non possa pensare che
il settore strategico del paese possa essere rappresentato dal turismo
al contrario ogni paese conta realmente in base alla propria capacità
produttiva di beni finiti e non di soli servizi.
Per fortuna a Taranto ci sono altri
soggetti che si battono da anni sul terreno dei diritti in fabbrica per
gli operai e in città per i settori popolari, sia sul fronte più
strettamente sindacale come lo Slai Cobas per il Sindacato di Classe che
politico come proletari comunisti-PCm che ultimamente ha organizzato
“l’accoglienza” al presidente del consiglio Renzi, la parola d’ordine
assunte da queste forze sociali e politiche é: “Nocivo é il capitale non
la fabbrica”.
Questa scontro di posizioni si é
riprodotto in maniera surreale all’Università di Gabés lo scorso Aprile
durante un convegno dal titolo “I due Sud. Le condizioni socio-economiche e la continua lotta tra cultura e letteratura ‘dimenticate’ “.
Surreale perché vi sono stati due interventi fatti da due professori italiani partecipanti al convegno che
hanno incarnato queste due posizioni parlando in particolare di Gabés
anche se ovviamente non sono mancati i riferimenti a Taranto, é
scaturito poi un dibattito con i diretti interessati: gli studenti tunisini.
Abbiamo visto la posizione degli
“ambientalisti” italiani, torniamo a Gabés e al gruppo “No pollution”;
si potrebbe pensare che anche gli “ambientalisti gabesiani abbiano la
stessa posizione e invece no…
I giovani studenti qui sono realmente
“pensanti”, hanno incominciando organizzando delle manifestazioni contro
la direzione del gruppo chimico e non contro gli operai, al contrario
le manifestazioni avevano l’obiettivo di sensibilizzare sia i settori
popolari in generale che gli operai e non avevano la rivendicazione di chiudere la fabbrica.
Gli attivisti del gruppo non negano che
quando lo stesso é nato, alcuni membri avevano proposto la parola
d’ordine “estremista” della chiusura della fabbrica, ma in seguito a
discussioni interne si é deciso che la rivendicazione principale é
quella di una bonifica del golfo e dell’oasi utilizzando come fondi
necessari una parte dei profitti del GCT, inoltre si chiede una
riduzione delle emissioni e il rispetto delle norme ambientali già
esistenti e non applicate che prevedano ad esempio l’utilizzo di
depuratori.
Anche qui si denuncia il fatto che alcuni
settori economici come quello della pesca e dell’agricoltura siano stati
danneggiati dall’attività della fabbrica, ma innanzitutto bisogna
pensare che in un paese come la Tunisia il settore agricolo ha un peso
specifico superiore rispetto che ad un paese come l’Italia; in secondo
luogo, “sorprendentemente” i pescatori di Gabés sono contrari alla
chiusura della fabbrica nonostante danneggi direttamente la loro
attività1.
Condividono le parole d’ordine del
movimento “No Pollution” é dichiarano espressamente che mai vorrebbero
vedere i loro familiari, amici e concittadini disoccupati ma che il
governo deve assumersi le proprie responsabilità e bonificare il golfo
di Gabés.
Quindi a differenza di Taranto qui sono
gli ambientalisti che hanno una linea simile a quella che a Taranto
hanno organizzazioni sindacali e della sinistra di classe. Al contrario
la sinistra ufficiale tunisina e il sindacato, l’UGTT, brancolano nel
buio se non addirittura vivono in connivenza con il GCT.
Il movimento Stop Pollution é nuovo in
città e sicuramente ha ancora della strada da fare e qualcosa da
rettificare, ad esempio dopo essere riuscito a farsi conoscere tramite
un paio di manifestazioni cittadine, ha organizzato un convegno
nell’hotel più in della città in cui alla tavola rotonda é stato inviato
anche un portavoce del GCT a cui sono state poste delle domande per
verificare le “buone intenzioni” del GCT ad adempiere le legittime
richieste della popolazione.
Questo approccio é illusorio e svia dal
raggiungimento dell’obiettivo, solo i rapporti di forza possono
costringere il GCT e quindi il governo ad eseguire la bonifica, non una
semplice opera di convincimento.
Detto questo sicuramente gli ambientalisti
gabessiani sono sicuramente anni luce avanti rispetto ai vaneggiamenti
dei loro omologhi tarantini e il fatto di essere principalmente una
forza fresca e giovane é sicuramente un punto di forza che fa sperare
bene.
1Vedi intervista presente su questo blog: https://wordpress.com/stats/insights/tunisieresistant.wordpress.com
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