Jobs Act, ora l’azienda può controllare il lavoratore usando smartphone e pc
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Il decreto, che è ora all’esame del Parlamento e a cui il governo
dovrà poi dare il via libera definitivo, modifica l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, quello sui controlli a distanza in ambito lavorativo. Non ci sono grosse novità per quanto riguarda l’installazione di “impianti audiovisivi“, ovvero le telecamere, per i quali servono ancora l’accordo sindacale o l’autorizzazione
da parte del ministero del Lavoro. Discorso diverso per “gli strumenti
che servono al lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”, cioè
pc, tablet e smartphone, e gli “strumenti di registrazione
degli accessi e delle presenze”, cioè i badge. In questo caso il datore
di lavoro potrà controllare i dispositivi senza fare accordi con le
organizzazioni sindacali.Ma in tutto questo che fine fa la privacy? “L’azienda potrebbe venire a conoscenza di dati sensibili del lavoratore – spiega l’avvocato – ma non potrà utilizzare il contenuto della comunicazione personale a fini disciplinari”. Il datore di lavoro potrà quindi, per esempio, accedere alle conversazioni via mail. Magra consolazione il fatto che non possa poi appellarsi a quello che legge per sanzionare il dipendente. A difesa del lavoratore, infatti, c’è il Codice della privacy, che il datore di lavoro è tenuto a seguire, secondo espressa indicazione del decreto. Un’altra garanzia a favore del dipendente è l’informativa che l’azienda dovrà fornire al personale per metterlo al corrente dei controlli, come ricordato nei giorni scorsi anche da Poletti. “Servirà una policy aziendale, un regolamento preventivo – spiega la giuslavorista – dove l’azienda dovrà indicare cosa il lavoratore può fare e non può fare e se e come sarà controllato dall’impresa”.
Ma nonostante queste tutele, secondo la giuslavorista, un punto del decreto mette comunque a rischio la riservatezza del lavoratore: si tratta della parte che riguarda i badge aziendali. La premessa è che bisogna fare una distinzione tra gli strumenti che registrano ingresso e uscita dal lavoro e quelli che segnalano i movimenti all’interno dell’azienda. “Liberalizzare il controllo sui tesserini con cui si entra e si esce è legittimo, perché permette di tenere traccia degli orari di lavoro – spiega Salimbeni – Ma esistono anche impianti attraverso i quali si possono monitorare gli spostamenti del lavoratore all’interno del perimetro aziendale. Questo controllo più invasivo violerebbe il diritto alla riservatezza e alla libertà del lavoratore che discende dai principi costituzionali“. In particolare l’articolo 2 della Carta, che tutela i diritti inviolabili dell’uomo. In questo caso, la docente ipotizza un eccesso di delega, cioè uno sforamento rispetto ai criteri fissati dalla legge approvata a dicembre: potrebbero quindi partire ricorsi per rilevare l’incostituzionalità del provvedimento.
A questi punti critici se ne aggiunge un altro, che riguarda gli assunti con il nuovo contratto a tutele crescenti in vigore dal 7 marzo. “Se il datore di lavoro – spiega Salimbeni – licenzia un dipendente che è entrato per soli due minuti su Facebook, il licenziamento sarà illegittimo, ma il datore può comunque tenere fuori il lavoratore dall’azienda e pagargli solo un’indennità, senza reintegrarlo a lavoro”. Il relativo decreto del Jobs act, infatti, ha previsto che il giudice del lavoro, in caso di licenziamenti
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