La crisi della Stellantis si accentua, tra guerra commerciale acutissima, in cui è incluso il peso della questione dazi; crisi di sovrapproduzione e crisi di mercato dovuta all’impoverimento assoluto e relativo di coloro che le macchine dovrebbero comprare, stanno portando in tutto il mondo a chiusure e licenziamenti.
E’ in questo quadro che occorre guardare a quello che effettivamente succede nel gruppo Stellantis in Italia.
Gli elementi messi in luce da tutti e in primo luogo dalla stampa padronale è il crollo produttivo, negli ultimi 6 mesi le auto prodotte sono state solo 124mila, con un calo del 26,9% rispetto al 2024.
Per i padrini e i governi - a parte la speculazione che viene fatta contro il green deal dato che sono gli stessi governi che l’hanno approvato che oggi lo mettono in discussione, erano al servizio dei padroni prima, sono al servizio dei padroni oggi, e tra questi nel nostro paese si distinguono i rappresentanti del governo Meloni/Salvini - la questione di fondo è lo scarico della crisi sugli stabilimenti e quindi sugli operai, a cui corrisponde una politica dei sindacati confederali volta ad essere parte, insieme ai padroni, della guerra dell’auto e volta a cogestire lo scarico della crisi sugli operai.
Prendendo a riferimento il quadro che fa il Sole 24 Ore di martedì 8 luglio in due paginoni, vediamo come si presenta la situazione negli stabilimenti.
A Torino, si dice addio alla Maserati, si producono 15mila unità, oltre il 20% in meno rispetto al ’24. Il
sindacato più filo padronale tra i confederali, la Fim Cisl, che finora ha firmato con un ruolo d’avanguardia nel servilismo verso i padroni tutti gli accordi nazionali e aziendali, insiste sulla richiesta della nuova produzione di 500 ibrida che dovrebbe avere 5mila unità entro la fine del 2025, lontanissime dagli obiettivi annunciati da Stellantis. Il futuro prevede, nel 2027, la 500 elettrica con batterie Stellantis e nel 2030 la nuova generazione della 500. Ma questo è il futuro.Il presente invece è la continuità dei contratti di solidarietà, utilizzati al 40% dai 1000 lavoratori della 500, da cui certo non si uscirà per tutto l’anno prossimo stando così le cose. Anzi.
A Pomigliano, dove l’anno scorso era andata meglio, la ‘Pandina’ cala del 15% e ancora peggio è la situazione degli altri modelli; e la cigo segue il contratto di solidarietà fino al 7 settembre 2025, con quasi sicura proroga a fine anno. L’effetto sull’indotto è come al solito devastante.
Lo stabilimento di Pomigliano, che oggi rappresenta il 64% della produzione nazionale, registra un calo del 24%, e gli operai continuano a lavorare ancora a 2 turni sulla linea ‘Panda’, mentre ad un solo turno sugli altri modelli e la cassintegrazione riguarda 3.900 lavoratori.
A Termoli, come si sa, è tramontato il progetto Cigafactory, senza in realtà alcuna spiegazione reale da parte dei padroni se non quella dello spostamento di questo progetto altrove, fuori dagli stabilimenti in Italia. E’ evidente che questo mette a rischio l’occupazione di 1.950 lavoratori e il crollo dell’indotto.
L’unica risposta aziendale è stata l’assegnazione della produzione del nuovo cambio Edct, di cui si prevede 300mila pezzi nel prossimo anno, con l’impiego stimato di 250/300 lavoratori.
La situazione peggiore è però quella che si riscontra a Melfi. Il calo qui è del 59,4%, e rispetto al 2019 è un calo del 90%. La favola di Melfi come pioniere di transizione energetica verso l’elettrico è venuta in luce. Si sono persi 2.500 posti di lavoro in due anni e tutto quello che i sindacati sanno dire e fare è puntare tutto sul riconoscimento di “area di crisi complessa” che come sempre produce pseudo corsi di riqualificazione che accompagnano i tagli produttivi.
Nell’appalto, indotto non c’è una sola fabbrica che non è in crisi, con licenziamenti e cassintegrazione.
In fabbrica questo si traduce in più sfruttamento, più carichi di lavoro, più intensità di lavoro con meno operai, che non ce la fanno più.
E il Presidente della Confindustria Basilicata non può che constatare “i numeri sono questi, ed è una realtà difficile da digerire… C’è un ridimensionamento strutturale dell’industria dell’auto: non c’è più la vecchia fabbrica”.
I sindacati confederali, con quelli filo padronali in prima fila, accompagnano la crisi firmando tutto.
In un’altra nota il Sole 24 Ore scrive: “Il nuovo amministratore Ceo, Filosa, nei prossimi mesi sarà chiamato a decisioni da ‘ora più buia’”.
Ma già si dice: per la 500 ibrida Mirafiori non può ambire a numeri più alti perchè le modifiche necessarie si sono spostate alla fabbrica costruita a Tychy. Gli stabilimenti di Melfi e Cassino sono di fatto in concorrenza con quelli di Peugeot a Sochaux. I modelli di nuova generazione, come la ‘Fiat grande Panda’ sono ora in Serbia o con assemblaggio in Slovacchia. E chiaramente si aspetta un’ondata cinese con i nuovi stabilimenti in funzione o in costruzione che dovranno essere affrontati in un’altra nota.
In un altro articolo, il notista principale del mondo industriale del Sole 24 Ore, Paolo Bricco, tira le somme: “Gli stabilimenti italiani della Fiat sono diventati gusci vuoti… Servono più di tutti i soldi sulle singole fabbriche, sui nuovi modelli, sugli insteriliti centri di ricerca, sugli ormai sbaraccati ‘poli del designe’… tanti, tantissimi soldi”.
E chi dovrebbe mettere questi soldi se non lo Stato del capitale, al servizio del capitale.
E questa è la sola soluzione per sostenere la crisi Stellantis e la conseguente occupazione.
Insieme ai soldi serve – dice sempre Bricco - “una marcatura stretta, se non asfissiante, sulle scelte prossime venture del management della Stellantis e di quello che resta della famiglia Agnelli che per oltre un secolo ha molto dato e ha ricevuto altrettanto dal paese”.
Naturalmente chi parla è un rappresentante dei padroni e i conti li fa dal punto di vista dei padroni. La verità è che la famiglia Agnelli ormai si è spostata su altri settori, la grande Finanza, la Difesa, ecc., è figuriamoci se è disposta a spostare investimenti sull’auto.
Dopo di che Bricco dice quello che viene denunciato da sempre – ma lo dice ora – circa il ruolo avuto da Marchionne e il suo progetto “fabbrica Italia” e da Carlo Tavares, un piano di desertificazione industriale scaricato sugli operai con più sfruttamento e riduzione dell’occupazione. Tutto questo avrebbe dovuto salvare gli stabilimenti e l’occupazione, invece abbiamo chiusura progressiva e disoccupazione.
Ma, naturalmente, Bricco a denunciare è bravo ma tutto questo gli serve solo per indicare lui quello che si dovrebbe fare “serve adesso una sola cosa. Serve che i sindacalisti, i presidenti di Regione, i membri del governo Meloni e i sindaci delle città dove si trovano gli stabilimenti chiedano fino allo sfinimento, a Jhon Elkann e Antonio Filosa, presidente e amministratore delegato di Stellantis “a che punto sono i soldi?”.
Ma non è quello che hanno fatto finora? E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Ecco, per noi, bisogna fare l’opposto. Scatenare la guerra, non tra operai delle diverse industrie automobilistiche e tra operai dei vari stabilimenti in Italia, ma tra operai da una parte e padroni e governo e loro cantori dall’altra; con la piattaforma operaia, il nuovo sindacato di classe, la lotta di classe.
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