martedì 21 settembre 2010

pc quotidiano 21 settembre - speciale Fiat n°10 -1- la fase attuale alla Fiat

Qual'è la fase alla Fiat?. La Fiat realizza un suo nuovo assetto al vertice, all'insegna di dichiarazioni quali.. “Fiat in una nuova era. Oggi è un grandissimo giorno. L'auto ora è libera. Stiamo ricostruendo la capacità del gruppo di generare profitti. Oggi abbiamo due Fiat forti con ambizioni, obiettivi e persone pronte a realizzarli. Ciascuna delle due nuove branche della Fiat: Fiat Industria Spa e Fiat Spa, hanno una dimensione necessaria alla competizione mondiale”....
Il quadro generale su cui questa operazione si inserisce merita di essere analizzato con più precisione di quanto siamo in grado di farlo in questa occasione. Le linee di tendenza di fondo sono quelle che il Sole 24ore definisce: “l'inarrestabile corso dell'auto mondiale verso Asia e Sud America”. Questo fa sì che in Europa si consolidi un processo di calo che potrebbe dare vita a un parziale processo di deindustrializzazione.... “Kalmbach dice che in Europa si concentreranno sempre più le funzioni sofisticate, il disegno dell'auto, l'invenzione tecnologica, la valorizzazione del marchio e perfino il come assemblare i pezzi comprati in tutto il mondo – ovvero, per dirla in breve, da produttori ad assemblatori”...Sole 24ore.
Per ciò che ci riguarda trattare qui, siamo quindi di fronte a uno scenario in cui il piano di Fabbrica Italia appare per quello che è: innanzitutto un processo selvaggio di riduzione del costo del lavoro che mette in concorrenza gli operai italiani con gli operai degli altri stabilimenti e ancor più gli stabilimenti tra di loro.
Le famose 270mila auto rischiano di essere in questo quadro il volume complessivo della produzione Fiat, altro che il futuro di Pomigliano; e se Pomigliano reggesse effettivamente al piano Marchionne, sarebbero gli altri stabilimenti a lasciarci le penne.
Quindi, in sostanza, il presente è fatto di massimo sfruttamento, fascismo padronale, chiusure e ridimensionamenti, in una prospettiva generale in cui il futuro è fatto di ancor più ampio ridimensionamento.In questo quadro si può ben capire che accettare il piano non è affatto una salvaguardia di un futuro di lavoro. I sindacati che hanno sposato il piano Marchionne registrano in questo cambio di campo l'integrazione non solo nella gestione di fabbrica ma nel comando di fabbrica.
A Pomigliano la battaglia può riprendere solo dal boicottaggio attivo dell'attuazione del piano Marchionne, in un quadro che permette oggi a Marchionne di dire: “il problema di Pomigliano, come abbiamo annunciato, è stato risolto”. Ora praticamente si tratta di estendere il modello Pomigliano a tutti gli altri stabilimenti, strappare il massimo dall'intesa sulle deroghe al contratto nazionale su tutti in terreni: turni, ore e giorni di attività, orario individuale, straordinario, pause, mensa, malattie (primi tre giorni senza salario), limitazione del diritto di sciopero con sanzioni ai sindacati che scioperano in termini di deleghe e permessi.
E' evidente che questo ritmo di marcia del fascismo padronale non può essere contrastato più di tanto con i ricorsi legali, pur essendo necessari, né tantomeno trasformando questa battaglia in una battaglia democratica.
Se è pur vero che il fascismo padronale pone una questione democratica che va ben al di là dei cancelli della Fiat e dei cancelli delle fabbriche in generale, esso può essere contrastato innanzitutto e soprattutto là dove ha il suo cuore.
E' qui che il salto di qualità rappresentato dal piano Fiat si deve inevitabilmente misurare col salto di qualità dell'azione operaia.
Su questo il dibattito nelle fila operaie è quasi inesistente.
Le posizioni del sindacalismo di base, presente in maniera significativa solo a Pomigliano, si muovono lungo una linea di più radicalità rispetto alla Fiom ma dentro le stesse coordinate: ricorsi migliori, più “aggressivi”, rivendicazioni più radicali, appello a una mobilitazione generale che resta fondamentalmente sul terreno della democrazia.
Con questo tipo di orientamento la questione non è risolta neanche da una linea di unità e di fronte unito di tutte le forze che si oppongono all'accordo – sia pure auspicabile e necessario nel contesto generale. Al fascismo padronale che passa dall'applicazione del piano Marchionne e dalla repressione dell'opposizione è necessario rispondere con attacco al alla produzione fascistizzata, al comando di fabbrica che lo impone e alla repressione.
Sono alcune vecchie armi della lotta di classe che vanno applicate nel contesto nuovo.
Non è una radicalizzazione di ciò che si sta facendo che noi proponiamo, questa se c'è è un buon brodo di coltura, ma un nuovo inizio.
Se guardiamo le cose da questa ottica, va compreso da noi tutti che quello da mettere in moto è un processo di aggregazione operaia capace di attivare questo nuovo inizio, di farlo entrare nello scontro di classe, di scompaginare le forze in campo, non come fattore di ulteriore disgregazione o frammentazione, ma appunto di riorganizzazione al livello necessario oggi.
E' questo è per ora innanzitutto un problema di unità di analisi,di linea e conseguentemente di piano operante nella realtà degli stabilimenti Fiat
La dimensione di massa entro cui può andare avanti questa ricomposizione-riorganizzazione operaia, nell'analisi concreta della situazione concreta, porta ad alcune indicazioni che hanno anche un valore esemplificativo per rendere chiaro il ragionamento.

A Termini Imerese bisogna opporsi con tutti i mezzi alla chiusura, contrastando con la mobilitazione, fino all'occupazione della fabbrica, la via della rassegnazione e del dibattito truccato delle “soluzioni alternative”.
Alla Fiat Sata bisogna finalmente riportare i tre licenziati in fabbrica, ma anche cercare di dare continuità alle lotte su tutti i punti del piano Fiat lì applicato, perchè questo serve anche a dimostrare che la repressione non ha fermato le lotte dei lavoratori, lotta che ha già ottenuto dei risultati ma assolutamente temporanei vista la decisa volontà di Marchionne di imporre in ogni stabilimento il massimo risultato sui punti del suo piano.
A Pomigliano l'iniziativa operaia non deve aspettare come si sviluppa il piano, non deve quindi assicurare una sostanziale tregua in attesa di... gli operai del NO devono ora rioccupare la scena con tutte le iniziative possibili.
A Mirafiori e negli altri stabilimenti le lotte in corso, dentro la resistenza che esse esprimono, devono sviluppare una sorta di “guerra di classe preventiva” alla generalizzazione dell'applicazione del piano Marchionne.

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