Mentre nel governo vi è contrasto con diverse posizioni su come utilizzare i fondi disponibili che ci sono o che verranno, chi sembra avere le idee chiare sono i padroni.
In un’intervista al Corriere della sera il presidente della Confindustria insiste nel considerare che la prima riforma da fare è quella del lavoro. Ma naturalmente, quando padroni parlano di “riforma del lavoro” intendono il costo del lavoro, intendono, cioè, sfruttare gli operai fino all’osso, pagando meno salari e utilizzare la pressione dei senza lavoro a questo scopo.
Bonomi dice che i 209 miliardi che dovrebbero arrivare per lui vanno bene a condizione che il governo scriva un piano nazionale di riforme. E quando parlano di queste riforme, prima si parla di fisco, che per i padroni significa meno tasse per loro, mentre si continua a scaricare sulle spese di Stato quei servizi sociali che fanno fatica a mantenersi.
Si parla di burocrazia e qui i padroni intendono via libera e mano libera nella gestione dei propri investimenti all’interno dei posti di lavoro.
Ma subito Bonomi arriva al punto che più gli interessa, che è la riforma del lavoro.
Sul tappeto vi sono gli ammortizzatori sociali che da un lato i padroni pretendono per evitare il
conflitto sociale, dall’altro vorrebbero però che questi soldi in gran parte vadano a loro.
E la cosa è così chiara che il giornalista nell’intervista afferma: “ma non si può abbandonare chi resta senza lavoro”. E qui Bonomi non sa rispondere altro che ‘non va bene tenere tutti fermi al lavoro quando c’è da riorientare lavoro nuovo’.
Così come non va bene per Bonomi che ci sia la cassintegrazione per tutti, dividendo fabbriche in crisi reversibile – ma anche qui i lavoratori in cig devono essere pronti ad accettare qualsiasi lavoro – e crisi strutturale irreversibile dove non ci sono ammortizzatori che tengano, i lavoratori devono essere buttati fuori.
Così anche per i fondi verso i disoccupati, i padroni affermano che vogliono lavoratori da formare ma a condizione che siano già selezionati per lavorare in un’azienda privata votata per il profitto.
L’ultimo tema che affronta è quello del sindacato, dove Bonomi usa il massimo di ipocrisia. Parla di “trattativa, confronto” ma ciò che vuole è un sindacato del Sì che li sostenga nei loro piani; come abbiamo scritto in un’altra occasione, vuole la fine del blocco dei licenziamenti e sicuramente, non è molto interessato alla decontribuzione, perché i padroni non vogliono assumere solo perché c’è una decontribuzione, ma assumere chi vogliono loro, quando vogliono loro e quanto vogliono loro.
Bonomi torna a respingere di fatto il rinnovo dei contratti. Anzi sostiene che se si agganciassero le retribuzione all’inflazione – che attualmente è bassa – dovrebbero essere in alcuni casi i lavoratori a restituire parte degli aumenti, e che l’unico rinnovo dei contratti che gli interessa è quello che introduca parametri adeguati al contesto, la produttività in primis.
In ogni caso non è sul contratto nazionale che vogliono mettere soldi, ma casomai a livello aziendale.
Non manca nell’intervista un’ulteriore presa di posizione sulla questione Ilva. Bonomi ribadisce che l’Ilva era un’impresa privata quando i Riva sono stati estromessi, e tale deve rimanere; e l’ingresso dello Stato deve essere temporaneo e comunque la gestione deve essere lasciata ai privati. Se non è così non ci saranno privati che si faranno avanti. Bonomi, cioè, chiarisce ancora una volta che anche nel caso Ilva i padroni vogliono una sola cosa, socializzare le perdite e continuare a privatizzare i profitti. Prendere i soldi dallo Stato ma continuare a gestire la fabbrica direttamente; con buona pace di salute e ambiente e come unica legge lo sfruttamento dei lavoratori.
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