La parte finale de Le lotte di classe in Francia dal '48 al '50 vede la
bancarotta della sinistra borghese e della
piccola borghesia, soprattutto di quella "socialista" che parla in nome
degli operai ma per farli conciliare con il sistema dei padroni, che
"fantastica di eliminare la lotta rivoluzionaria delle classi e le sue
necessità mediante piccoli artifici o grandi sentimentalismi", la stessa
piccola borghesia che semina illusioni sulla via elettorale e
parlamentare e dimostra tutta la sua nullità politica quando il nemico
di classe, la borghesia spaventata dalle lotte di piazza del
proletariato, mette in campo la sua reazione più dura, lasciando il
comando dello Stato ad un ceto politico impresentabile ma utile ai suoi
interessi come lo sono sempre stati i fascisti, un personale politico
che in quel periodo aveva il volto di Luigi Bonaparte e della sua
cricca.
"Con la legge elettorale e con la legge sulla stampa, il
partito rivoluzionario e democratico scompare dalla scena ufficiale.
Prima di andarsene a casa poco dopo la chiusura della sessione, le
due
frazioni della Montagna, i democratici socialisti ed i socialisti
democratici, emisero due manifesti, due testimoni paupertatis, nei quali
dimostravano che, se non avevano mai trovato dalla loro parte la forza e
il successo, s'erano tuttavia trovati sempre dalla parte dell'eterno
diritto e di tutte le altre eterne verità".
Senza questa esperienza e
senza la sconfitta di questa lotta, la classe operaia non avrebbe
potuto comprendere la natura dello Stato, delle istituzioni borghesi,
del parlamento e organizzare la propria forza indipendente da tutte le
altre classi, il suo Partito.
"Il proletariato non si lasciò
provocare a nessuna sommossa, perché aveva l'intenzione di fare una
rivoluzione". La classe operaia organizzata era alla testa di un fronte
unito contro padroni e governo, la lotta immediata era per impedire lo
stato d'assedio che avrebbe aperto la strada
al colpo di stato e al regime. In questo contesto assume un valenza
rivoluzionaria anche la lotta per il suffragio universale:
"Con
l'attacco al suffragio universale, essa (la borghesia) dà alla nuova
rivoluzione un pretesto generale e la rivoluzione ha bisogno di questo
pretesto. Ogni pretesto particolare separerebbe le frazioni della Lega
rivoluzionaria e farebbe emergere le loro differenze. Il pretesto
generale, invece, stordisce le classi semirivoluzionarie, permette loro
d'illudersi circa il carattere determinato della rivoluzione futura e
circa le conseguenze della loro azione. Ogni rivoluzione ha bisogno di
una questione dei banchetti. Il suffragio universale è la questione dei
banchetti della nuova rivoluzione."
Ma la borghesia non è disposta ad
accettare neppure le sue stesse regole come le elezioni e, se il
risultato è favorevole agli operai, è pronta pure a rovesciarlo anche
per via extraparlamentare.
"La borghesia, respingendo il suffragio
universale, del quale si era fino allora drappeggiata, dal quale aveva
ricavato la propria onnipotenza, confessa apertamente: "La nostra
dittatura è fino ad oggi esistita in forza della volontà popolare; ora
essa deve venire consolidata contro la volontà popolare". E in modo
conseguente, essa cerca i propri sostegni non più in Francia, ma fuori,
all'estero, nell'invasione."
Questa esperienza storica è quanto mai
attuale e ricca di insegnamenti per la lotta proletaria ai regimi
reazionari, fascio-populisti com'è la natura di quelli di oggi, perciò è
decisiva la crescita dell'autonomia proletaria,
dell'organizzazione/rappresentazione delle istanza di classe per non
portare l'acqua al mulino della piccola borghesia.
La repubblica
borghese è una forma politica della dittatura dei padroni su tutte le
altre classi che tratta come avversari, un potere che porta le altre
classi- i contadini, i piccolo borghesi e i ceti medi- a posizionarsi, a
schierarsi con il proletariato che allo scontro di classe ha sempre
dimostrato il suo carattere irriducibile quando prende la lotta nelle
proprie mani e la porta avanti fino in fondo, cioè fino al rovesciamento
del potere dei padroni per il potere operaio.
Il suo "partito" dell'epoca era
socialista sì, ma borghese, "specie bastarda di socialismo che attira a
sè una parte degli operai e dei piccolo-borghesi" come lo chiama Marx, e
piccolo-borghese dottrinario, che "al posto della produzione sociale
comune mette l'attività cerebrale del singolo pedante", che sogna la via
pacifica al socialismo, che aveva come programma la "Rivolta contro la
dittatura borghese; necessità di una trasformazione della società,
mantenimento delle istituzioni repubblicane democratiche così come degli
organi motori di questa trasformazione, concentrazione intorno al
proletariato come alla forza rivoluzionaria decisiva: questi sono i
tratti caratteristici comuni del cosiddetto partito della
socialdemocrazia, del partito della repubblica rossa. Questo partito
dell'anarchia, come lo battezzarono gli avversari, era una coalizione di
interessi diversi non meno del partito dell'ordine. Dalla più piccola
riforma del vecchio disordine sociale fino al sovvertimento del vecchio
ordine sociale, dal liberalismo borghese fino al terrorismo
rivoluzionario: tali sono gli estremi, che formano il punto di partenza e
il punto di arrivo del partito dell'"anarchia".
Così diventa sempre
più necessario battere i piccoli borghesi che "diventano eclettici,
ossia seguaci dei sistemi socialisti esistenti, del socialismo
dottrinario, che fu l'espressione teorica del proletariato solamente
fino a che questo non si era ancora sviluppato fino a creare un
movimento storico libero e indipendente". Cioè del socialismo utopistico, quello prima di Marx.
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