Lenny Bottai, classe 1977, detto “Mangusta”, livornese DOC, pugile, ultras, militante comunista.

stralci da una intervista

Quale delle tre vite è quella che ti rappresenta di più?
Direi entrambi. A prescindere che nel pugilato vedo l’anima del socialismo, sono due persone di fronte che hanno scelto una sfida leale ed ad armi pari, e che devono sfidare prima sé stessi che il prossimo. Devono sacrificare tempo, corpo e anima per ottenere qualcosa che poi, può anche non arrivare. Devono affrontare le proprie paure e superare i propri limiti, dimostrare di avere un piano in testa.  Ma questa è una mia visione. Ad ogni modo amo sempre dire che l’atleta va sul ring ma si porta con sé anche l’uomo. Il professionismo poi richiede che vi siano entrambi, altrimenti qualcosa salta. Bisogna essere bravi per non sovrapporre i piani ma senza dimenticare che ci sono tutti e due.

Hai intrapreso la carriera nella Boxe ad alti livelli. Il pugilato quanto ha inciso nella tua
crescita umana, prima che sportiva?
Il pugilato è un grande paradigma della vita, ti metti a nudo di fronte agli altri e se non capisci che devi prescindere da chi ti osserva diventi vittima di te stesso. Sul ring non si scappa, viene sempre fuori chi sei. Un vigliacco non diventerà mai un leone, viceversa idem. Un avaro non sarà mai generoso ed al contrario un generoso sarà sempre apprezzato per ciò che è anche nella sconfitta. Si cresce umanamente perché si è costantemente in crisi, e le crisi servono anche ad una crescita che è necessaria per superarle, oppure se non ci riesci hai la possibilità di imparare comunque. Poi ovviamente tutto questo è strettamente collegato alla persona e dalla coscienza che ha. Se ne ha. Però se non sai capirlo il ring prima o poi ti impartisce la lezione e ti rimette con i piedi per terra.

Sei un punto di riferimento per tanti giovani. Hai una lunga esperienza nella gestione di Palestre Popolari. Come funziona una Palestra Popolare? È uno strumento che aiuta a contrastare il disagio giovanile?
Beh, diciamo che con “sport popolare“ si intendono tante cose, in un certo periodo abbiamo anche creato un organismo nazionale per tentare di un uniformare chi aveva più o meno la stessa visione, poi c’è da dire che non coinvolgendo ambienti ortodossi tutto si è sfilacciato, ma il progetto era ottimo. Rimane il fatto incontrovertibile che con questa accezione si concepisce uno sport che in completa antitesi a quello promosso dai grandi mezzi di informazione come mercato. E ciò non significa che deve essere fatto in situazioni o con mezzi alternativi, ma semmai che la contraddizione va creata al suo interno, ricordando che un altro sport è possibile o magari addirittura vincente. È un po’ come quando si avevano i rappresentanti dei paesi socialisti alle Olimpiadi. Erano nello stesso circolo, nelle stesse competizioni di quelli imperialistico, magari pagati cento volte di più e con presupposti economici e politici assolutamente diversi, ma dimostravano che nello sport vince anche altro. Ed è  un momento rivoluzionario se vogliamo.

Dalle palestre agli stadi. Una vita da Ultras. Cosa pensi del calcio odierno? E del tifo organizzato? Ha ancora un senso?
Eh… tanti anni fa a Terni andavamo con i nostri compagni locali per denunciare che la fine era vicina. Nemico non era solo all’esterno ma anche e soprattutto all’interno. Purtroppo è stato un grande movimento che è imploso per i tanti limiti che lo hanno reso vulnerabile. Oggi vedo dei giovani che vorrebbero vivere quella stessa esperienza magica di auto-organizzazione ma sono fuori tempo massimo. negli anni 70 stare in curva era una cosa, negli anni 80 e 90, poi nel 2000 già iniziava ad essere necessario un piano di coscienza e capacità analitica che il movimento purtroppo non aveva. E questo ha pagato..