sabato 30 gennaio 2021

pc 30 gennaio - Speciale Tunisia - 1 - Rivolte proletarie diffuse e manifestazioni nel cuore di Tunisi: dopo 10 anni i nodi vengono a pettine.

Rivolte spontanee sono scoppiate in concomitanza con il decennale della caduta del regime di Ben Alì, nei capoluoghi delle regioni periferiche del Nord Est e del Centro e in alcuni quartieri proletari di Tunisi (Ettadhamen, Intilaka, Kram, Hammam Lif) e di altre città relativamente sviluppate come Susa e Sfax, nonostante fosse stato proclamato un lockdown provocatorio di soli 4 giorni per impedire le celebrazioni dell’evento.

Un primo risultato politico immediato delle rivolte è stato quindi mostrare la miseria morale del governo che pensava di farla franca con un sotterfugio amministrativo.

I rivoltosi sono giovani, alcuni tra i venti e trent’anni e altri giovanissimi (minorenni a volte dodicenni) pur appartenendo a diverse generazioni vivono tutti le conseguenze dell’esito della Rivolta (Intifada) Popolare del 17 dicembre 2010-14 gennaio 2011.

I più grandi hanno infatti vissuto questo decennio post rivolta con una speranza iniziale di cambiamento che progressivamente nel corso del tempo ha lasciato spazio alla delusione di vivere in un paese con un differente regime formale ma che nella sostanza ha al vertice la stessa cricca sociale che mantiene il paese povero e dipendente dall’estero.

I giovanissimi invece pur non avendo vissuto la Rivolta di dieci anni fa in prima persona, stanno crescendo nelle stesse condizioni avverse dei propri fratelli maggiori che invece quella rivolta l’hanno

fatta, il risultato è che oggi fratelli maggiori e minori si trovano fianco a fianco nella rivolta di questi giorni.

Qualche giorno dopo l’inizio di questa nuova ondata di ribellione, la protesta ha raggiunto anche il centro della capitale grazie al contributo organizzativo di militanti politici di varia estrazione ma riconducibili genericamente a due tronconi eterogenei: il movimento rivoluzionario classista (marxista-leninista e marxista-leninista-maoista) e la sinistra progressista che fa capo ad alcuni partiti del Fronte Popolare.

Queste forze pur diverse tra loro hanno rivendicato con un’unica voce due istanze in particolare:

- innanzitutto una forte denuncia della repressione e contestualmente la solidarietà agli arrestati (oltre 1.200!) in questi giorni di proteste. Ciò è stato importante in quanto i media di regime e i partiti al potere nonché il ministero degli interni e i sindacati di polizia stavano rispolverando già la tattica della divisione in “manifestanti cattivi” o meglio “vandali e ladri delle manifestazioni notturne” e “manifestanti buoni” che “in democrazia manifestano durante il giorno”.

Quando le manifestazioni sono realmente incominciate anche prima del tramonto a Tunisi e in altre città quali Susa, Kairouan, Siliana e Gabès, esprimendo piena solidarietà ai giovani arrestati la notte, questa logica del divide et impera è fallita con la conseguenza che anche alcuni esponenti e promotori delle manifestazioni diurne, sono stati arrestati sia in piazza che prelevati presso il loro domicilio. In tutto ciò il sindacato UGTT ha assunto invece una posizione ambigua che di fatto sposava il gioco governativo, al contrario la propria emanazione studentesca, l’UGET, con un comunicato del 17 gennaio ha espresso pieno appoggio alle rivolte invitando i propri iscritti e gli studenti a partecipare alla prima manifestazione della capitale il giorno seguente promossa proprio dal sindacato studentesco e appoggiata da tutte quelle forze di sinistra e rivoluzionarie.

Secondariamente vi è stata la denuncia dell’attuale governo Mechichi che, ricordiamo, è sostenuto da quasi tutti i partiti parlamentari comprendenti la destra islamista della Fratellanza Musulmana in Tunisia rappresentata da Ennahdha, la destra laicista e liberale post-ancien regime e a completare il quadro dell’unità nazionale vi sono due partiti di centro-sinistra socialdemocratici. Allo stesso tempo non sono mancati slogan contro i due principali partiti all’opposizione entrambi ultrareazionari ma in forme diverse: da un lato il partito islamista Karama e dall’altro il PDL che dichiara apertamente la proprio continuità con l’ex RCD di Ben Alì.

In breve i manifestanti stanno scendendo in piazza per la caduta del sistema, come direbbero i manifestanti algerini, sistema rappresentato da questo parlamento nero e reazionario che ha nominato un governo la cui natura antipopolare e al servizio straniero è emerso ancor più nelle ultime settimane ed in particolare con il modo in cui si sta gestendo la pandemia.

Un sistema che dopo 10 anni dalla Rivolta popolare presenta una continuità con il regime di Ben Alì, per metodi polizieschi e condizioni di vita a cui cotringe il popolo. Ciò basti per sfatare la storiella della transizione democratica tanto cara a “democratici” e intellettuali confusi che non comprendono che le libertà democratiche quali libertà di parola e di associazione sono state il risultato immediato del rapporto di forza prodotto dalla Rivolta stessa e non parte di un processo rivoluzionario organico in divenire; al contrario, cambiati i rapporti di forza sulla bilancia tali libertà conquistate dieci anni fa sono state messe in discussione dall’alto.

Insieme alle vecchie pratiche repressive di Stato, sono tornate le squadracce paramilitari islamiste, già apparse nel 2012-2013, andate ad intimidire in questi giorni il sit-in dei “parenti dei martiri e feriti della Rivoluzione” nel centro della capitale, divenuto una sorta di quartier generale delle manifestazioni della capitale di queste settimane. Alcuni esponenti di Ennahdha hanno incoraggiato pubblicamente le proprie squadracce a intervenire nello scontro in atto tra giovani e polizia a sostegno di quest’ultima.

Per capire il contesto in cui è scoppiato quest’ultimo movimento di protesta, basti pensare che il 2021 si è aperto come gli anni precedenti con un tasso di disoccupazione reale che supera il 40%, con un PIL che è costituito per la metà dal settore informale compreso il contrabbando che rappresenta nelle regioni transfrontaliere praticamente il primo settore economico locale. Il debito estero invece aumenta velocemente ogni anno che passa. In questo contesto i lockdown e le limitazioni ad hoc hanno colpito evidentemente la parte più povera della popolazione, allo stesso tempo il governo non ha fatto seri investimenti per contrastare l’epidemia (un po’ come in tutti i paesi del mondo); questa negligenza, per usare un eufemismo, è stata aggravata dal fatto che i milioni di dinari donati dai cittadini per un fondo anti-covid non sono stati ancora utilizzati per il fine preposto e presumibilmente mai lo saranno.

Con lo Stato sull’orlo della bancarotta, con un “tempismo perfetto” il governo ha ricevuto questa settimana una prima partita di 26 blindati antisommossa per la polizia importati dalla Francia per un costo di quasi 120 mila euro, il movimento di lotta ha fatto notare che l’equivalente sarebbe servito per aprire 191 posti letto di terapia intensiva, quanto mai essenziali in questo frangente in cui alcuni ospedali sono già saturi. Inoltre altri 34 blindati saranno consegnati in seguito con ulteriore pressione sulle casse dello Stato.

Dopo la manifestazione dell’UGET del 18 gennaio, caricata dalla polizia che ha sparato anche lacrimogeni nell’Avenue Bourguiba, si è svolta una manifestazione davanti al tribunale di Tunisi per chiedere il rilascio di alcuni militanti rivoluzionari arrestati sia prima che durante tale mobilitazione, ciò ha raggiunto l’obiettivo ed il giudice ha predisposto la scarcerazione.

Il movimento ha quindi lanciato un’ulteriore manifestazione per il sabato 23 gennaio nella capitale chiedendo ancora una volta anche il rilascio della gran parte degli arrestati negli scontri notturni ai quattro angoli del paese.

Il governo ha seguito ancora una volta la via della contrapposizione provando ad impedirne lo svolgimento transennando tutti gli accessi all’Avenue Bourguiba, schierando decine di poliziotti e mezzi nonché sfoggiando i nuovi e preziosi blindati recentemente acquistati.

La prova muscolare ha fallito miseramente, ancora una volta i manifestanti hanno aggirato le misure cambiando il luogo di partenza del corteo e riuscendo a penetrare nell’Avenue Bourguiba concentrandosi davanti alle transenne che bloccavano la via verso il Ministero degli Interni, luogo simbolo dei regimi vecchi e attuali e sempre oggetto di contestazione da questo tipo di manifestazioni. A questo punto la manifestazione ha dato un forte segnale al potere: i giovani hanno fatto volar via le transenne facendo fuoriuscire dal recinto i poliziotti inferociti che si sono lasciati andare in una breve carica che si è esaurita velocemente davanti alla determinazione dei giovani, ragazze e ragazzi, numerosi.

Le rivolte e le manifestazioni di questi giorni indicano che seppur non vi sia un vero e proprio coordinamento tra rivolte proletarie spontanee ed il movimento politico e degli studenti e dei militanti della capitale, proprio per il fatto che quest’ultimo sia sceso in piazza da una settimana sfidando divieti e resistendo alle cariche e agli arresti mirati a sostegno del primo, dimostra che il nuovo movimento politico antigovernativo ed antisistema sta cercando la via per fondersi con il movimento proletario delle periferie e delle regioni marginali.

D’altro canto è sbagliato pensare che i proletari delle periferie seppur mossi dalla spontaneità siano “apolitici” tout court, è una sorta di pregiudizio politico ricorrente anche durante le rivolte proletarie nelle metropoli imperialiste (rivolte delle banlieues del 2005 e negli anni più recenti o in merito ai riots londinesi dello scorso decennio).

Pensare che il grado di politicizzazione della protesta sia misurabile dall’adesione ad un modello di manifestazione o sciopero classico, dalla presenza di slogan espliciti, significa non comprendere la complessità e la realtà della lotta di classe in corso.

Proprio in questi giorni un servizio sul campo svolto da un canale giornalistico militante ha riportato la voce dei giovani proletari protagonisti delle rivolte di Ettadhamen dimostrando che questi sono pienamente consapevoli che la causa della loro disoccupazione sia il governo ed “il parlamento”; è quindi evidente che la forma di protesta scelta ovvero quella di violare regolarmente il coprifuoco prendendo di mira forze dell’ordine e i grandi supermercati racchiuda in sé la contestazione del governo e del sistema politico da un lato. in quanto la polizia altro non è che la forza armata a difesa dello Stato il quale lungi dall’essere super partes rimane sempre l’organizzazione di una classe per opprimerne un’altra, e dall’altro sia presente una forma di riappropriazione della ricchezza seppur parziale e temporanea: un vero e proprio esproprio proletario (si noti che vengono presi di mira sempre i grandi magazzini e non le piccole botteghe che tra l’altro sarebbero anche più facili da violare).

Inoltre l’attivismo negli ultimi anni di avanguardie rivoluzionarie anche in città e regioni della periferia del paese dimostra che non si possa fare una separazione netta tra i due momenti della protesta di queste settimane.

È certo che sia necessario un grande sforzo da parte delle avanguardie rivoluzionarie che in questi giorni hanno portato la rivolta in Avenue Bourguiba, per fondersi con i proletari della periferia è riuscire in quello in cui si è fallito 10 anni fa: trasformare la Rivolta in Rivoluzione Proletaria che in questa fase significa anche invertire il processo di restaurazione che avanza da quasi un decennio e di cui gli ultimi eventi sono testimoni.

Di ciò è consapevole il polo rivoluzionario in campo in questi giorni e proprio per questa ragione ritiene necessario sgombrare il campo dall’analisi riformista fuorviante e dominante che scambia la Restaurazione con una fantomatica “transizione democratica”, analisi cara sia alla sinistra elettoralista rappresentata dal Fronte Popolare sia ad intellettuali eclettici di “sinistra” che con la pretesa di voler procedere ad una spasmodica “rinnovazione” e “superamento del marxismo” ad infinitum si perdono in analisi scollate dalla realtà che sono strategicamente funzionali a chi opera dall’altra parte della barricata.

Intanto il fatto che le forze rivoluzionarie si siano unite su un’analisi concreta della realtà ha spaventato alcuni servi della classe dominante come il deputato Rached Khiari, capogruppo parlamentare dei fascioislamisti di Karama, e alcuni pennivendoli di regime che hanno denunciato lo spettro del comunismo dietro le proteste.

Riportiamo qui di seguito il comunicato congiunto del polo rivoluzionario in questione, qui tradotto ufficiosamente:

Comunicato stampa congiunto Tunisia, 20 gennaio 2021

I figli del popolo agiscono per la liberazione e la giustizia sociale

In questi giorni, le masse del nostro popolo stanno attraversando un nuovo sviluppo del loro conflitto di classe ininterrotto con il regime la cui crisi in sviluppo che ha raggiunto il suo apice a causa della sua scelta contro gli interessi della maggioranza dei poveri e degli emarginati, che ha preso la forma soprattutto in questa fase in un debito elevato che ha superato tutti i limiti esacerbando il tasso di povertà e riducendo le restanti conquiste sociali delle generazioni precedenti, compreso il collasso del sistema educativo e sanitario, ed il sistema non è riuscito a far passare le sue scelte attraverso la coalizione della classe dominante con la menzogna della transizione democratica.

Queste proteste legittime affrontano una severa repressione della polizia, sostenuta da decisioni giudiziarie ingiuste e rapide che si sono abbattute fino ai minori, cosa che non abbiamo visto nei casi di terrorismo e corruzione.

Questo è il motivo per cui i firmatari di seguito condividono la convinzione del loro popolo che questo è l'unico modo per smantellare la libertà e l'uguaglianza, affermano quanto segue:

- Assoluta partecipazione a manifestazioni e lotte guidate dalle notizie della sua gente.

- Invitare i manifestanti a stare attenti a tutte le operazioni di infiltrazione, contenimento e sconfitta [del movimento di protesta] che la coalizione di governo sta tentando di fare attraverso diffamazione e attacchi.

- Il rilascio di tutti i prigionieri, inclusi i detenuti, come condizione non negoziabile.

- L'allineamento di tutte le forze nazionali e rivoluzionarie con le masse del nostro popolo che sono povere ed emarginate contro la coalizione di classe al potere dei neodestouriani e della fratellanza musulmana.

- Invitare tutta la nostra gente a continuare a protestare con i vari mezzi disponibili fino a quando l'intero sistema non sarà sconfitto.


* Partito degli Elkadehines [Partito dei lavoratori più oppressi n.d.a.]
* Partito dei Patrioti Democratici Unificato (comunemente conosciuto come al Watad n.d.a.)
* Partito Socialista Patriottico (comunemente conosciuto come al Watad rivoluzionario n.d.a.)
* Rete di attivisti in prima linea
* Coordinamento della lotta
* Attivisti indipendenti
* Nuovo Partito Comunista in fondazione:
- Nuovo approccio comunista
- Partito di lotta progressista
- Movimento bandiera dei lavoratori
- Marxisti Rivoluzionari
- Gruppo di lotta rivoluzionario

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