Gli operai dell’ex Ilva/Acciaierie/Appalto/Indotto e le masse
popolari della città sono da giorni sotto ricatto da parte del
governo: o si accetta la nave rigassificatrice e i fumosi e a
lungo termine piani di forni elettrici e decarbonizzazione, oppure si
chiude.
Il Min. Urso, rafforzato dall’appello della Meloni, vuole la firma
dell’Accordo di programma entro il 15 luglio; e in queste ore si
vede l’iperattivismo di Emiliano, della Regione Puglia, dei padroni
e di parte del sindacato perché questo accordo ci sia, perché da
esso, si dice, dipende l’effettivo futuro della fabbrica che
dovrebbe funzionare nel tempo con tre forni elettrici e in questo
quadro dovrebbe raggiungere i 6 milioni di tonnellate annue di
produzione.
Tutto questo viene considerato una pre condizione, a cui dovranno
seguire immediatamente altre in realtà: l’approvazione della nuova
AIA, a cui va aggiunta l’Aia per il rigassificatore e il
sostanziale blocco delle inchieste giudiziarie in corso sia a Milano,
sulla base delle istanze ambientaliste riconosciute dalla Corte di
Giustizia europea, sia a Taranto, in particolare quelle che hanno
portato al blocco dell’Afo1 dopo l’incendio.
Quindi, è una catena di ricatti che si vuole imporre, a partire
dalla firma di questo Accordo di programma.
E tutto questo viene fatto mentre il governo stesso mette in
discussione che ci sia già un acquirente – come sembrava fino a
pochi mesi fa con l’assegnazione della gara alla Baku Steel –
dato che si è riaperta la discussione e la trattativa sia con gli
indiani della Jindal, sia con il fondo americano Bedroch.
Quindi si tratta in realtà di un SI a scatola chiusa che si
chiede, di un lasciar fare al governo, da cui sarebbero tagliati
fuori, se non a livello di comunicazioni post, i sindacati
confederali, gli Enti locali e tutto ciò che vi è intorno, compreso
una parte rilevante degli ambientalisti.
E’ inutile dire che viene dato per scontato una cassa integrazione
lunga e permanente, flessibile secondo gli interessi dei padroni e le
leggi di mercato, che inizialmente – come scrive il Sole 24 Ore –
prevede una messa a regime nel 2039, mentre su pressione degli Enti
locali in particolare questa tempistica sarebbe racchiusa nell’arco
di 7 anni, anche se il Mimit stesso vede difficile scendere sotto gli
8.
Tutto questo piano, anche se andasse a regime, prevede comunque degli
esuberi certi degli operai dell’Acciaierie con l’inevitabile
caduta a cascata sugli operai dell’appalto.
Si tratta di una trattativa sotto ricatto e a perdere. E non è
accettabile che i sindacati siano alla ricerca, quasi disperata,
perché venga almeno definita prima la cassintegrazione, per cui
viene richiesta una riduzione dei numeri.
La verità, come scrive lo stesso giornalista di riferimento, Paolo
Bricco, in Sole 24 Ore del 9 luglio, è che l’ex Ilva è nel caos.
La prospettiva è un nuovo bando di gara che di fatto azzera il
percorso finora svolto, e una integrazione dell’attuale Decreto
legge che dia ulteriori soldi ad Acciaierie per tirare avanti.
Bricco dice: “Senza la nave rigassificatrice semplicemente l’ex
Ilva non esiste più. Non esiste più dal punto di vista industriale.
L’ex Ilva ha un senso strategico se può produrre un particolare
tipo di acciaio, l’acciaio acquistato dai produttori di auto, da
chi realizza navi, da chi opera nelle infrastrutture - per citare due
nomi di clienti storici, Fincantieri ed Fca/Stellantis. Il contesto
geo politico segnato dalle nuove guerre sta spingendo l’Europa,
Germania in testa, alla conversione dell’industria automobilistica
alla produzione di mezzi corazzati per la difesa. Per fare
automobili, carri armati, navi da guerra, navi civili, turbine
industriali e componenti di grandi dimensioni per le infrastrutture
serve da sempre l’acciaio di Taranto”.
Tutto l’articolo prosegue su questa linea che riafferma di fatto la
centralità, l’importanza strategica dello stabilimento e
l’inserisce nell’unica economia possibile, che è oggi
l’economia di guerra o di grandi opere inutili, vedi il Ponte sullo
stretto.
Chiaramente questo fa sì che i padroni, tutti, e i governi al loro
servizio vogliono che l’Ilva svolga questa funzione. Solo che
questa funzione deve essere svolta secondo le leggi del profitto del
capitale nella fase acuta attuale di guerra tra banditi, in cui
agisce l’irruzione della politica dei dazi di Trump.
Noi guardiamo tutto questo dall’altra faccia del “pianeta delle
scimmie”; dal punto di vista degli interessi della classe
operaia e della sua funzione storica di guida delle masse popolari
per opporre a questo piano l’alternativa nella fase storica che
attraversiamo.
Proprio perché gli operai sono il fattore determinante, nel contesto
attuale la questione principale e urgente è la difesa rigida del
lavoro, delle condizioni di lavoro, della salute e della sicurezza.
Quindi gli operai non hanno altra alternativa alla “piattaforma
operaia” che dal particolare al generale assicuri la difesa dei
loro interessi di classe e degli interessi generali delle masse.
E’ su questa base che occorre dire NO all’estensione attuale
della cassintegrazione, No ad ogni accordo di programma che peggiori
la condizione attuale anche sul terreno della salute e
dell’inquinamento – di qui il NO al rigassificatore.
Chiaramente su questo senza l’unità e la lotta dei lavoratori le
cose non possono cambiare. Unità per la riduzione dei numeri dei
cassintegrati; la difesa del salario con l’integrazione – che per
noi deve essere del 100%, o comunque una integrazione che riguardi
tutti gli operai sia diretti dello stabilimento che dell’appalto;
il rifiuto degli esuberi, che comprende il mantenimento dentro la
platea dei lavoratori in Cigs dal 2018; la tutela le condizioni di
salute e sicurezza; l’utilizzo pieno dei lavoratori nei piani di
trasformazione/ambientalizzazione della fabbrica; SI ad un eventuale
finestra di prepensionamento, anche risarcitoria per la situazione
prodottasi in tutti questi anni all’Ilva; Si al contratto unico,
metalmeccanico, nell’appalto; stop ai contratti a termine.
E’ chiaro che questo richiede un braccio di ferro con padroni,
governo e i loro complici di varia natura, possibile con la linea
e l’organizzazione sindacale di classe e l’utilizzo di tutte
le forme di lotta necessarie.
Su questo fronte i lavoratori non possono contare sull’Usb che è
stato finora obiettivamente il sindacato più filo Urso e filo
Emiliano all’interno della fabbrica.