Il mondo accademico scende in campo contro i disegni di legge che intendono trasformare in norma vincolante la definizione operativa di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA). In poche ore, un appello ha raccolto 2.031 firme di docenti e ricercatori, chiedendo il ritiro dei ddl rispettivamente a prima firma Graziano Delrio e Maurizio Gasparri e la revoca dell’adozione della definizione IHRA decisa dall’Italia nel 2020. Secondo i firmatari, «la definizione di antisemitismo dell’IHRA» rischia di equiparare la critica allo Stato di Israele e al sionismo al reato di antisemitismo, pertanto, «rappresenta un pericolo enorme per la nostra libertà accademica e di insegnamento».
Tra i firmatari figurano studiosi noti come Angelo d’Orsi e Donatella Della Porta, insieme a numerose associazioni accademiche e scientifiche. Il ddl presentato dai senatori del Partito Democratico, con primo firmatario Graziano Delrio, e in abbinamento con un testo analogo di Maurizio Gasparri di Forza Italia, che ha immediatamente dato la sua disponibilità a un testo bipartisan, punta a introdurre nel nostro ordinamento una definizione legalmente vincolante di antisemitismo. Il cuore della norma è l’adozione della definizione operativa dell’IHRA, condivisa anche in altri Paesi europei e da istituzioni internazionali, che include come esempi di antisemitismo anche alcune forme di critica radicale verso lo Stato di Israele o verso il sionismo, la sua ideologia fondativa. La definizione IHRA descrive l’antisemitismo come «una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Le manifestazioni verbali e fisiche di antisemitismo sono dirette verso persone ebree o non ebree e/o la loro proprietà, verso le istituzioni delle comunità ebraiche e i luoghi di culto». Questo approccio rischia di sovrapporre concetti non giuridici al diritto penale e di estendere il campo di applicazione della legge fino a includere espressioni e analisi legittime delle politiche di uno Stato sovrano.





















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Quanto
leggiamo non è niente di nuovo rispetto a ciò che vediamo oggi. Ethel
Mannin mettendo al centro la famiglia Mansour, con rapporti familiari
riconducibili all’Inghilterra, ci descrive in modo drammatico l’esodo
imposto al popolo palestinese, con le truppe occupanti che si fanno
sentire “spingendo” un’ incessante ondata di persone che ha perso per
strada la solidarietà, elemento importante che caratterizza la società
palestinese, la tradizionale ospitalità.