giovedì 4 settembre 2025

La grande manifestazione contro il genocidio palestinese alla Biennale di Venezia: paradigma delle contraddizioni attuali nel movimento di sostegno alla causa palestinese in Italia

In questi giorni a cavallo tra agosto e settembre le iniziative a sostegno del popolo palestinese e contro il genocidio in corso si stanno moltiplicando sia nel nostro paese che all'estero.

La Global Soumoud Flottilla (dopo alcune complicazioni meteo) è riuscita infine a salpare da Barcellona con una decina di imbarcazioni a cui se ne sono aggiunte altrettante dai porti francesi, da Genova, e altre se ne aggiungeranno dalla Grecia e il 4 settembre da Catania e Siracusa, dirigendosi  infine alla volta di Tunisi (che sarà il principale hub di raccolta) prima di riprendere definitivamente il mare verso la Palestina e sfidare le minacce del criminale di guerra Netanyahu che già tuona: "li tratteremo come terroristi".

A Genova proprio a sostegno di questa iniziativa, un corteo di oltre 40mila persone ha sfilato la sera del 30 agosto; conclusosi con l'intervento di un rappresentante del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali, che in risposta al primo ministro sionista ha dichiarato: "se perdiamo i contatti con i nostri anche per 20 minuti, blocchiamo tutto, dal porto non uscirà neanche un chiodo".

Da un punto di vista mediatico ha avuto molto risalto la manifestazione promossa dal neonato collettivo V4P (Venice for Palestine) che inserendosi nel più ampio movimento BDS (boicottaggio e disinvestimento nei confronti dello Stato coloniale sionista) ha indetto una manifestazione a Venezia

sempre il 30 agosto in occasione dell'apertura della Biennale del Cinema di Venezia.

Al collettivo hanno aderito numerosi attori, registi e artisti che hanno sottoscritto un appello a partire dalla stessa conduttrice del festival cinematografico, Emanuela Fanelli. Tra i firmatari vi sono anche Michele Riondino, Lorenzo Zebetti, Tecla Insolia,  Donatella Finocchiaro, Ottavia Piccolo, Loredana Cannata, Gianfranco Rosi, Stefano Sardo ed il noto fumettista Zerocalcare.

Infine gli organizzatori hanno chiesto ufficialmente alla direzione della Biennale di ritirare gli inviti a due attori "israeliani" che sostengono apertamente o indirittemante (non condannando) il genocidio in corso ovvero Gal Gadot e Gerard Butler.

Questa richiesta più che coerente con la logica del BDS ha provocato la "dissociazione" di alcuni firmatari (tra i più noti Carlo Verdone e Ferzan Ozpetek ) su cui torneremo dopo.

Oltre 7.000 persone hanno partecipato a questa grande manifestazione tra cui lavoratori dei sindacati di base e della FIOM/Cgil, alcune sedi dell'Anpi, organizzazioni studentesche, circa 200 associazioni e organizzazioni in tutto.

Le principali parole d'ordine sono state: "Stop al genocidio" e "Palestina libera dal fiume al mare".

Una manifestazione doverosa e necessaria che ha portato la giusta battaglia per la causa palestinese nel mondo dell'arte, un primo passo che ha fatto prendere posizione a decine di artisti in competizione (1.500 hanno sottoscritto l'appello) in quello che è il principale festival cinematografico nel nostro paese ed uno dei principali nel mondo.

Una manifestazione che nonostante questi aspetti positivi, evidenzia ancora una volta alcune contraddizioni e alcune arretratezze, che caratterizzano l'attuale movimento di sostegno alla Palestina in Italia,  che necessitano di essere superati al fine di rendere il sostegno alla causa palestinese coerente ed in linea con l'obiettivo strategico della "Palestina libera dal fiume al mare".

A quasi due anni dall'inizio dell'operazione della Resistenza palestinese "Diluvio di al-Aqsa" a cui è seguita la risposta genocida dello Stato nazi-sionista occupante, mentre sono state superate le resistenze e titubanze iniziali, riconoscendo finalmente che a Gaza è in corso un genocidio, cio' che fa ancora fatica (clamorosamente) ad affermarsi nel movimento pro-palestinese in Italia, in Europa e in Nord America, è proprio il sostegno alla Resistenza palestinese.

Non solo si fa fatica ma anche confusione: spesso si ignora che la Resistenza palestinese è l'insieme di 10 organizzazioni palestinesi[1] (tra le più disparate per orientamento politico, si va dall' "Islam politico" di Hamas, all'Islam sciita del gruppo Jihad Islamica, alla sinistra "marxista" del Fronte di Liberazione Popolare della Palestina, solo per citare le tre principali organizzazioni della Resistenza).

Nonostante tale etereogenità politica e divisioni nonchè dissapori vecchi di decenni, questi sono stati superati e le dieci organizzazioni nel 2018 si sono riunite nel "Comando unificato della Resistenza". E' stato proprio quest'ultimo che ha pianificato e messo in atto l'operazione militare del 7 ottobre 2023[2].

Nel "movimento" si fa fatica a capire che la prima "linea di difesa" all'offensiva genocida dello Stato sionista è proprio la Resistenza armata che ne intralcia i piani a partire dall'occupazione totale di Gaza City e di tutta la striscia (che come documentato quotidianamente dalla stampa, avviene con fatica e perdite tra l'esercito occupante).

Si fa fatica a capire che una "Palestina libera dal fiume al mare" non cadrà certo dal cielo o per gentile concessione delle potenze imperialiste (che sostengono apertamente l'occupante, tra cui il nostro paese ed il "nostro" governo fascista Meloni) ma, come la storia delle lotte di liberazione nazionale insegna, la liberazione puo' avvenire solo quando il popolo colonizzato si solleva in armi e libera la propria terra.

Il movimento dovrebbe quindi sostenere apertamente la Resistenza armata del popolo palestinese, ma il pregiudizio ideologico nei confronti di una Resistenza che non soddisfa gli esatti "crismi" che i "solidali" prefigurano nella propria testa, ma che non esistono nella realtà concreta, rende difficile l'accettazione di tali principi politici di base coerentemente antimperialisti.

Pregiudizi simili hanno portato alla dissociazione dall'appello di V4P da parte di Verdone e Ozpetek come ricordavamo poc'anzi.

Verdone, con una sintesi perfetta tra confusione e paraculaggine afferma: "non sono d’accordo nell’escludere gli artisti. Anche all’inizio della guerra in Ucraina ricordo il boicottaggio verso i tennisti russi. Ma cosa c’entravano loro? Sono sportivi, non militari né politici, giocano a tennis [...] gli attori non possono diventare il tribunale dell’Inquisizione. Un festival è un tavolo di confronto, di tolleranza e di libertà. Questo invece significa censurare".

Per parafrasare Verdone: "ma cosa c'entrano" gli sportivi russi, il cui governo ha invaso l'Ucraina con una guerra d'aggressione, con lo Stato coloniale sionista che sta commettendo un genocidio? Tra guerra d'aggressione e genocidio ci sta una bella differenza qualitativa con tutti i corollari conseguenti che qui non abbiamo il tempo di approfondire oltre.

Sul Fatto Quotidiano di oggi, Scanzi prende le difese di Verdone: "Verdone è inattaccabile quando dice: 'Quei due (Gadot e Butler) non sono gente che tira le bombe, sono attori come me' ”.

Abbiamo scoperto l'acqua calda... Gli attori "sparano le loro cartucce" con il proprio ruolo, con la propria arte, prendendo posizione, in tal senso Verdone ha ragione: la sua ignavia, il non prendere posizione (o il prenderla per poi ritirarla se comporta potenzialmente un costo e non più un beneficio...), l'opportunismo di non rischiare di uscire dai circuiti mainstream lo accomuna ai due attori sionisti.

Al "vecchio" e affermato attore/regista, seppur in fase artisticamente discendente ormai da una ventina d'anni,  risponde (indirettamente) dal corteo la giovanissima attrice Tecla Insolia: "non c'è nessuna discriminazione per l'etnia, ma e' il minimo da chiedere per chi sostiene attivamente e pubblicamente il genocidio".

Inoltre, aggiungiamo noi, "sostenere attivamente un genocidio" non significa "esprimere un'idea" come sostiene Scanzi nel suo trafiletto e come sostengono anche Verdone e Sorrentino, ma essere complici di un crimine contro i popoli e l'umanità.

Non parliamo dell'implicazione diretta di Sorrentino che evidentemente non puo' prendere una posizione coerente essendo il suo film distribuito dalla piattaforma israeliana Mubi, legata alla produttrice di armi Sequoia Capital, come riportato en passant sempre da Scanzi...

Dietro il paravento della "libertà di parola e di espressione" si cela in realtà il più becero opportunismo e individualismo che cozza con la solidarietà di un popolo oppresso che lotta per la propria autodeterminazione nazionale e oggi anche per la propria esistenza.

Ma tornando alla manifestazione, un passo in avanti è stato fatto allontanando e contestando un gruppetto di provocatori, sedicenti pacifisti, che sfilavano accostando la bandiera palestinese a quella israeliana, ovvero quella della nazione oppressa e colonizzata con quella dello Stato colonizzatore, ripetendo come un disco rotto lo slogan del tradimento della causa palestinese e anche "superato dai fatti" dei cosiddetti "due popoli (?) due Stati".

Ad azione più che giusta, corrisponde pero' una rivendicazione politica più che sbagliata da parte degli organizzatori ed in particolare di Tommaso Cacciari (nipote del famoso filosofo ed ex sindaco di Venezia, evidentemente accomunato al nonno anche per quanto concerne le posizioni ambigue sulla questione palestinese).

Cacciari infatti afferma al riguardo: "Non sono state accettate le fasce verdi di Hamas (non sarebbe stato possibile neanche volendo, pena un intervento immediato della digos, dato che per l'Italia e per i paesi occidentali Hamas è considerata "organizzazione terroristica" mentre non lo è per i 2/3 dei paesi del mondo n.d.a) [....] cosi come non è stata accettata la bandiera che si trova dipinta sui caccia che bombardano la Striscia".

In fin dei conti gli organizzatori hanno cacciato i provocatori filo sionisti ma sulla base dello stesso malinteso ideologico: mettere sullo stesso piano l'oppresso e l'oppressore, ovvero chi guida la Resistenza, con tutte le sue contraddizioni, con chi opprime il popolo palestinese!

Chiunque si consideri un sostenitore della causa palestinese, dovrebbe andare innanzitutto "a scuola dalle masse", in questo caso le masse arabe e palestinesi e (forse) capirebbe che queste sostengono la Resistenza armata in Palestina, condizione necessaria per la liberazione della Palestina dal fiume al mare.

La condizione sufficiente è che la Resistenza palestinese prenda la via della guerra popolare di lunga durata facendo propria la lezione del Vietnam ed in buona parte anche dell'Algeria.

Per quanto ci concerne il nostro miglior sostegno alla causa palestinese è lavorare per la caduta del governo fascista e filo-sionista Meloni, che sostiene l'occupazione in Palestina economicamente e militarmente com'è ben denunciato nel rapporto presentato all'ONU da Francesca Albanese.

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[1]        Ovvero ai seguenti gruppi armati che fanno riferimento ai rispettivi partiti politici indicati tra parentesi: Brigate Izz ad-Din al-Qassam (Hamas), Brigate Al-Quds (Jihad islamica palestinese), Brigate Abu Ali Mustafa (Fronte popolare per la liberazione della Palestina), Brigate di Resistenza Nazionale (Fronte democratico per la liberazione della Palestina), Brigate Al-Nasser Salah al-Deen (Comitato di resistenza popolare), Brigate moudjahidines (Movimento moudjahidine palestinese), Brigate dei martiri di Al-Aqsa (ex-Fatah, unità dissidenti), Brigate Jihad Jibril (Fronte Popolare di Liberazione della Palestina – Comando Generale), Brigate Al-Ansar (Mouvement Al-Ansar), Squadre Ayman Jawda, Brigate Abd al Qadr al-Husseini,  Armata Al-Assefa (ex-Fatah).

[2]    Oltre al Comando Unificato della Resistenza, anche il gruppo giovanile armato de "La Fossa dei Leoni", nato pochi anni fa in Cisgiordania, ha partecipato all'operazione della Resistenza del Diluvio di Al-Aqsa.

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