“Associazione a delinquere”, richieste milionarie di risarcimento per “danno d’immagine”, di chi? Di questo stato? Decreti legge per impedire di fatto ogni manifestazione di dissenso… decreti che vogliono cancellare diritti costituzionali …. peggiorando il codice fascista Rocco!
La marcia moderno fascista prosegue a passi veloci
L’articolo che riproponiamo tratto dal Manifesto di oggi
denuncia la “logica” di questo governo liberticida contro il quale bisogna organizzare la "nuova resistenza".
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Lo stato odierno, in Italia, della libertà di dissenso
Opinioni Tra le accuse della Procura di Torino a persone del centro sociale Askatasuna del movimento No Tav c’è un non senso: l’associazione a delinquere «finalizzata» a commettere la resistenza. Richiesti quasi 7 milioni di euro di risarcimento. È contro queste forme di protesta che il governo Meloni con il ddl Sicurezza si è accanito, associando le lotte sociali al terrorismo
Il centro sociale Askatasuna a Torino
Ha senso supporre che un gruppo persone decida di dar vita a
un’associazione a delinquere finalizzata a compiere atti di resistenza a
pubblici ufficiali? È l’accusa singolare, ovviamente in aggiunta alle
imputazioni di violenza e resistenza, della Procura di Torino rivolta ad alcune
persone del centro sociale Askatasuna impegnate da anni nel movimento No Tav.
Sarebbe accaduto, secondo la pubblica accusa, che queste persone, «in Torino e altrove dal 2009» in poi, si sarebbero associate «allo scopo» non già di esprimere le loro proteste, bensì di opporre resistenza ai pubblici ufficiali che quelle espressioni di dissenso avessero ostacolato. Di qui l’ulteriore imputazione, contro la logica e il buon senso, di associazione a delinquere.
A QUESTE ACCUSE l’Avvocatura dello Stato, costituitasi in giudizio per conto della Presidenza del
Consiglio dei ministri, del Ministero dell’interno e del Ministero della difesa, ha aggiunto una spaventosa richiesta di risarcimento dei danni, quantificati in molti milioni di euro: 3.595.047 euro a titolo di danno patrimoniale in favore del Ministero dell’interno per il «costo dell’attività investigativa svolta ai fini dell’individuazione dei responsabili degli illeciti, nonché con riferimento alla spesa sostenuta a titolo di straordinari, indennità accessorie ed indennità di ordine pubblico corrisposte al personale impiegato»; altri 3.208.230 euro a titolo di danno non patrimoniale, in favore del Ministero dell’interno, del Ministero della difesa e della Presidenza del consiglio per il danno alla loro «immagine» e precisamente al loro «prestigio» e alla loro «credibilità».È lecito domandarsi, di fronte a questa furia persecutoria,
quale altro senso, se non la volontà di infierire sugli imputati, abbia
l’aggiunta, alle accuse di violenza e resistenza a pubblici ufficiali, di
queste incredibili richieste. L’associazione a delinquere «finalizzata» a
commettere la resistenza è semplicemente un non senso. Il danno patrimoniale
consistente nel costo delle indagini è un’assoluta novità, dato che dovrebbe
ravvisarsi in qualunque reato. Quanto al danno d’immagine alla Pubblica amministrazione
lamentato dall’Avvocatura, non si capisce in che cosa consista. Semmai un danno
penoso d’immagine proviene proprio da questa assurda richiesta risarcitoria.
PURTROPPO QUESTA vicenda ci dice che la libertà
di riunione in Italia non ha mai conosciuto, in ottanta anni dalla Liberazione,
un momento altrettanto buio. È precisamente contro le manifestazioni pubbliche
del dissenso che questo governo si è maggiormente accanito con il disegno di
legge S.1236, già approvato dalla Camera e in discussione al Senato: dal blocco
stradale punito, se commesso da più persone, con la reclusione da sei mesi a
due anni, all’aggravante dei reati di violenza e resistenza se commessi «al
fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica» come il Tav o il ponte
sullo Stretto; dalle norme sulle rivolte negli istituti penitenziari che
qualificano come «atti di resistenza anche le condotte di resistenza passiva»
fino all’aumento delle pene per i reati di resistenza o lesioni in danno di
agenti di polizia nell’esercizio delle loro funzioni.
È triste che taluni magistrati partecipino, con successo, a
questa gara con il governo nell’aggressione alle libertà fondamentali. I
magistrati, quando procedono per violenza o resistenza nel corso di pubbliche
manifestazioni, non dovrebbero mai dimenticare che questi reati sono stati
commessi simultaneamente all’esercizio dei diritti di libertà garantiti dalla
Costituzione.
Queste manifestazioni di piazza, infatti, consistono
nell’esercizio non solo della libertà di riunione ma anche della libertà di
manifestazione del pensiero. Giacché la riunione e la pubblica manifestazione
sono il solo medium di cui dispongono i comuni cittadini – che non pubblicano
libri, non vanno in televisione e non scrivono sui giornali – per esprimere il
loro pensiero e il loro dissenso.
STA INVECE ACCADENDO un fenomeno di gravissima
irresponsabilità civile e politica. Giornalisti e perfino esponenti delle
istituzioni hanno associato queste manifestazioni di protesta all’eversione e
al terrorismo. Hanno confuso le lotte sociali con la lotta armata, l’impegno
collettivo e le battaglie civili in difesa dei più deboli con la sovversione,
la cittadinanza attiva con la violenza arbitraria. Stanno costruendo nemici,
identificandoli con i dissenzienti. Come avviene in tutti i regimi autoritari.
È un capovolgimento della realtà. Contro il quale non
dobbiamo stancarci di ripetere che le formazioni sociali e le manifestazioni
del dissenso devono sempre essere considerate un valore, soprattutto da parte
di chi, magistrato o poliziotto, è chiamato ad applicare il diritto e a
difendere i diritti dei cittadini costituzionalmente stabiliti.
Per questo la contestazione dei reati di violenza e
resistenza commessi in occasione di manifestazioni di piazza dovrebbe sempre
essere accompagnata da una specifica circostanza attenuante – l’aver agito,
dice il codice penale, per un motivo «di particolare valore morale» quale è
appunto la manifestazione del dissenso – e dalla valutazione della sua
prevalenza sulle circostanze aggravanti. Almeno se ancora si ritiene che i
principi costituzionali abbiano maggior valore del codice fascista Rocco.
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