giovedì 23 gennaio 2025

pc 23 gennaio - Trump, ovvero l'imperialismo americano alla "guerra dei dazi"

 

Dazi contro tutti e dazi pesanti… alzare barriere contro le merci provenienti dagli altri paesi, alzando i costi, è così che Trump, in maniera diretta e sfacciata, senza peli sulla lingua e nessun rispetto per nessuno ha minacciato i paesi di tutto il mondo. In realtà, la minaccia era già arrivata prima di insediarsi, ma adesso insiste e sta passando ai fatti: una vera e propria dichiarazione di guerra “commerciale” soprattutto contro gli altri paesi imperialisti.

Trump, in questi primi tre giorni del suo secondo mandato, in particolare sulla questione dei dazi, ha costretto tutti i dirigenti dei paesi imperialisti a prendere posizione, e l’argomento è tanto importante che ne sono piene le pagine dei quotidiani a livello internazionale e le trasmissioni televisive che chiamano fior di “esperti” a cercare di capire cosa potrà succedere.

Trump sta calibrando questa nuova sanzione generale paese per paese o per gruppi di paesi, con molti dei quali sono già in vigore accordi come il Free Trade Agreement (FTA-Accordo di libero commercio) con l’Unione europea, Gran Bretagna e Giappone, con una clausola particolare per tenere bassi i dazi, o

come quello con il Messico e il Canada (USMCA-Us-Mexico-Canada Agreement) per i quali attualmente le tariffe sono minime, paesi con i quali gli Usa hanno scambi enormi: “Gli Stati Uniti importano per il 38% fs Paesi FTA, il 13,&% dalla Cina e il restante 48% da altre aree…” (La Repubblica), ma Trump se ne frega degli accordi passati e adesso vuole alzare dal 1° febbraio i dazi del 25% per il Messico e il Canada e forse per i paesi imperialisti dell’Unione europea, fino ad arrivare al nemico numero uno, la Cina, per la quale i dazi dovrebbero arrivare al 60% o addirittura al 100% per alcune merci.

L’arrabbiatura di Trump a proposito di Europa, viene dal fatto che questa avrebbe approfittato in questi anni per vendere, esportare negli Stati Uniti senza acquistare la stessa quantità di merce, e lo dice con queste parole: “L’Unione europea è molto, molto cattiva con noi. Quindi – ha detto – saranno loro a dover pagare tariffe. È l’unico modo… per ottenere equità”. E “giustizia” è proprio una delle parole che ha usato nel suo discorso di insediamento, come la parola “libertà” che per lui significa essere “liberi” di fare quel che vuole ma soprattutto di vendere una quantità spropositata di petrolio e gas soprattutto ai paesi imperialisti europei!

È chiaro che di fronte a tutto questo non poteva mancare la risposta dei vari paesi che stanno comprendendo meglio ciò che è il nuovo Trump, dal Messico al Canada, dalla Cina all’Unione Europa… e le dichiarazioni sono più o meno dello stesso tenore. “Bisogna smettere di giocare in difesa e passare all’attacco” dice la presidente della Bce, Lagarde, “in modo irrituale” (Il sole 24 Ore), per non dire della coppia franco-tedesca Macron-Scholz per i quali “Trump è una sfida, ma noi non saremo da meno” e si apprestano a difendere gli interessi di una Europa forte e sovrana. Per arrivare alla Cina che è “fermamente determinata a difendere i suoi interessi nazionali”.

Certo c’è chi in tutto questo cerca di attenuare i toni dicendo che questo tipo di risposta deve arrivare solo in caso di estrema necessità (rispondendo alle minacce con minacce uguali e contrarie), perché è sempre meglio invece fare accordi.

Tra i pericoli dell’aumento dei dazi, c’è sicuramente la diminuzione del commercio mondiale che a cascata significa diminuzione della produzione mondiale e aggravamento della crisi.

Questa “guerra dei dazi”, non è comunque una invenzione di Trump, è di fatto nata con il capitalismo stesso. Marx nel Capitale ricorda un episodio importante, perché emblematico del modo in cui i capitalisti si fanno la guerra, e cioè quello dello scontro tra conservatori e liberali nella seconda metà dell’Ottocento in Inghilterra, tra gli industriali guidati da Cobden and Bright e i padroni latifondisti, i padroni delle terre che producevano grano. Gli industriali per abbassare il salario degli operai avevano bisogno che il grano costasse meno, e quindi spingevano per l’abolizione dei dazi all’importazione di grano a basso costo, mentre i latifondisti non ne volevano sapere di rinunciare al monopolio del mercato interno che permetteva loro di mantenere i prezzi alti. Questa “guerra” durò un bel po’ e alla fine portando con sé la politica che è l’espressione concentrata dell’economia, per dirla con Lenin, fu vinta dai capitalisti industriali che svilupparono ulteriormente sulla pelle del proletariato di fabbrica, la potenza industriale dell’Inghilterra.

E questo tipo di scontri ci saranno fino a quando non sarà spazzato via il sistema capitalista-imperialista. Lo scontro odierno, che a fronte di altri problemi gravissimi come il possibile scoppio di una guerra nucleare, sembra di minore importanza, e invece affiora sempre lo si voglia o no, lo si voglia vedere o no, ha l’economia come base materiale della società borghese.

Non si sa come potrà andare a finire questa volta, rispetto alla questione particolare dei dazi, cioè, appunto, alla guerra commerciale (nel passato e nel presente di questi scontri ce ne sono stati e ce ne sono di continuo: scontri arrivati fino alle guerre guerreggiate come la Prima e la Seconda guerra mondiale – e solo dopo la borghesia imperialista mondiale ha creato gli organismi internazionali per dirimere le questioni come l’Organizzazione Mondiale del Commercio ecc.

Istituzioni che Trump vuole distruggere per non avere vincoli di alcun genere.

Ma non sono tutte rose e fiori, non sarà affatto “l’età dell’oro” come dice Trump, perché la crisi economica da sovrapproduzione e da impossibile valorizzazione dei capitali accumulati (ricordiamo che ci sono “in giro” migliaia di miliardi in cerca di collocazione di un “investimento” che dia qualche profitto), è molto profonda e le stesse iniziative di Trump ne sono un esempio.

Ma le stesse aziende degli imperialisti americani, Musk, Bezos, subiranno i contraccolpi veramente pesanti di queste politiche economiche: centinaia di migliaia di operai lavorano per Musk in Cina, merci che poi vengono esportate negli USA, così come la Stellantis che produce in Messico ed esporta negli Usa ecc. ecc.

Per “ovviare” a questi inconvenienti l’idea di Trump sarebbe quella di costringere tutti i produttori americani ad impiantare nuove fabbriche e produrre in proprio quello che viene importato! Se questa idea c’è, e non è per niente originale, perché è passata alla storia con il nome di protezionismo si tratta di una colossale illusione, lo era già nell’Inghilterra del XIX secolo figuriamoci nell’era dell’imperialismo (“globalizzazione” come dicono i giornalisti e gli economisti), le cui caratteristiche fondamentali dai tempi dell’analisi di Lenin si sono acuite migliaia di volte; esiste un intreccio tale nel processo di produzione e scambio che è diventato di fatto inestricabile.

Ma ammettiamo per un momento che Trump riesca davvero nel suo intento, e cioè quello di aumentare i tassi dei dazi delle merci che vengono esportate negli Stati uniti… ebbene i riflessi immediati sarebbero non solo quello dell’abbassamento del livello del commercio mondiale, ma soprattutto l’aumento dei prezzi che colpirebbe pesantemente la classe operaia e le masse popolari sia americane che di tutto il mondo, che acquistano merci a buon mercato soprattutto dalla fabbrica del mondo, dalla Cina. È per questo che la classe operaia è tenuta a prendere posizione in questo scontro e attrezzarsi per rispondere ad un peggioramento ancora più profondo delle proprie condizioni di vita e di lavoro.

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