giovedì 23 gennaio 2025

pc 23 gennaio - Formazione operaia - Continuiamo sullo Stato - con Marx ed Engels

Continueremo da questo giovedì e nelle prossime settimane a parlare della natura dello Stato borghese, di questo Stato espressione oggi dell'ordinamento della società capitalista, riprendendo parti di scritti di Marx ed Engels. 

Questa formazione/chiarezza sullo Stato oggi è importante per sgomberare il campo, tra i proletari e compagni e compagne dei movimenti di lotta, da false idee, propagandate dal riformismo, opportunismo anche quello più radicale, circa il fatto che questo stesso Stato può cambiare, si può migliorare, senza necessità di abbatterlo con la rivoluzione proletaria e socialista. Liberarsi di queste illusioni deve portare le avanguardie di lotta, i lavoratori e lavoratrici più coscienti, a comprendere la necessità di fare il primo passo essenziale per la rivoluzione, la costruzione del Partito comunista, senza il quale non è possibile nessuna rivoluzione vincente; quindi la necessità di dare il proprio contributo di testa, di cuore, di azione a questo compito entusiasmante.

opuscolo da richiedere 
Ricordiamo che nelle giornate del giovedì, i testi della FO su "Stato e rivoluzione" di Lenin escono su Spotify 

https://open.spotify.com/episode/2HwPRjCni4n3lG388DVfEi



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 (Karl Marx, Glosse marginali di critica all'articolo: Il re di Prussia e la riforma sociale, Firmato : Un Prussiano, 1844)

Lo Stato come presunto arbitro imparziale tra interessi universali e interessi particolari (^)

Lo Stato non troverà mai nello "Stato e nell'ordinamento della società" il fondamento dei mali sociali... Là dove sono partiti politici, ciascuno trova il fondamento di ciascun male nel fatto che al timone dello Stato si trova non già esso ma il suo partito avversario. Perfino i politici radicali e rivoluzionari cercano il fondamento del male non già nell'essenza dello Stato ma in una determinata forma di

Stato, al cui posto essi vogliono mettere un'altra forma di Stato.
Lo Stato e l'ordinamento della società, dal punto di vista politico, non sono due cose differenti. Lo Stato è l'ordinamento della società. In quanto lo Stato ammette l'esistenza di inconvenienti sociali, li ricerca o in leggi di natura, cui nessuna forza umana può comandare, o nella vita privata, che è indipendente da esso, o nella inefficienza dell'amministrazione che da esso dipende. Così l'Inghilterra trova che la miseria ha il suo fondamento nella legge di natura, secondo la quale la popolazione supera necessariamente i mezzi di sussistenza. Da un'altra parte, il pauperismo viene spiegato come derivante dalla cattiva volontà dei poveri, così come secondo il re di Prussia dal sentimento non cristiano dei ricchi, e secondo la Convenzione dalla disposizione sospetta, controrivoluzionaria, dei proprietari...
Infine, tutti gli Stati ricercano la causa in deficienze accidentali intenzionali dell'amministrazione, e perciò in misure amministrative i rimedi dei loro mali...
Lo Stato non può eliminare la contraddizione tra lo scopo determinato e la buona volontà dell'amministrazione da un lato e i suoi mezzi come pure le sue possibilità dall'altro, senza eliminare se stesso, poiché esso poggia su tale contraddizione. Esso poggia sulla contraddizione tra vita privata e pubblica, sulla contraddizione tra gli interessi generali e gli interessi particolari. L'amministrazione deve perciò limitarsi ad una attività formale e negativa, poiché proprio là dove ha inizio la vita civile e il suo lavoro, là termina il suo potere. Anzi, di fronte alle conseguenze che scaturiscono dalla natura asociale di questa vita civile, di questa proprietà privata, di questo commercio, di questa industria, di questa reciproca rapina delle differenti sfere civili, di fronte a queste conseguenze, l'impotenza è la legge di natura dell'amministrazione...
Se lo Stato moderno volesse eliminare l'impotenza della sua amministrazione, sarebbe costretto a eliminare l'odierna vita privata. Se esso volesse eliminare la vita privata, dovrebbe eliminare se stesso, poiché esso esiste soltanto nell'antitesi con quella. Ma nessun essere vivente crede che i difetti della sua esistenza abbiano le loro radici nel principio della sua vita, nell'essenza della sua vita, bensì in circostanze al di fuori della sua vita... Perciò lo Stato non può credere all'impotenza interiore della sua amministrazione, cioè di se stesso. Esso può scorgere soltanto difetti formali, casuali, della medesima e tentare di porvi riparo. Se tali modificazioni sono infruttuose allora l'infermità sociale è una imperfezione naturale, indipendente dall'uomo, una legge di Dio, ovvero la volontà dei privati è troppo corrotta per corrispondere ai buoni scopi dell'amministrazione...
Quanto più potente è lo Stato, quanto più politico quindi è un paese, tanto meno esso è disposto a ricercare nel principio dello Stato, dunque nell'odierno ordinamento della società, della quale lo Stato è l'espressione attiva, autocosciente e ufficiale, il fondamento delle infermità sociali, e ad intenderne il principio generale. L'intelletto politico è politico appunto in quanto pensa entro i limiti della politica. Quanto più esso è acuto, quanto più è vivo, tanto meno è capace di comprendere le infermità sociali. Il periodo classico dell'intelletto politico è la Rivoluzione francese. Ben lungi dallo scorgere nel principio dello Stato la fonte delle deficienze sociali, gli eroi della Rivoluzione francese scorsero piuttosto nelle deficienze sociali la fonte delle cattive condizioni politiche. Così Robespierre vede nella grande miseria e nella grande ricchezza un ostacolo alla pura democrazia. Egli desidera perciò stabilire una generale frugalità spartana. Il principio della politica è la volontà. Quanto più unilaterale, cioè quanto più compiuto è l'intelletto politico, tanto più esso crede all'onnipotenza della volontà, e tanto più è cieco dinnanzi ai limiti naturali e spirituali della volontà, tanto più dunque è incapace di scoprire la fonte delle infermità sociali...

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