OPERAI, OPERAIE, Il quadro è fin troppo chiaro. Stellantis sta mandando a casa un numero impressionante di lavoratori in tutti gli stabilimenti, con un quadro che si aggiorna giorno dopo giorno ed è sempre in peggio. Parla di “uscite volontarie” ma sono esuberi strutturali veri e propri: 1560 a Torino, 850 a Cassino, 500 a Melfi, 424 a Pomigliano, 121 a Termoli, 100 a Pratola Serra, 30 a Cento, 23 ad Atessa, 12 a Verrone, 173 a Modena. Un totale di circa 4mila lavoratori, oltre l’8%. E non è che l’inizio, dato che la crisi di mercato e di modelli a livello mondiale non fa che approfondirsi e Stellantis cerca di risolverla spostando le produzioni laddove, si dichiara, “il clima è più favorevole”, dal Brasile al nord Africa all’Est Europa. E anche negli stabilimenti europei e americani la situazione non è senza conseguenze.
Tavares continua a presentarci un futuro radioso e ad annunciare modelli su modelli, volto a giustificare il presente e volto a chiedere al governo un completo allineamento alle sue richieste. Gli incontri stabilimento per stabilimento sono finora sono serviti solo a Stellantis e a quella parte dei sindacati disponibile ad accettare tutto.
Il governo finora, al di là delle sparate, non ultima quella di Salvini, canta la canzone del “milione di auto,” e l’ingresso di nuovi produttori, ma nella sostanza non da alcuna garanzia per il futuro e contribuisce a questa falsa dialettica: Stellantis che annuncia esuberi, il governo che annuncia incentivi. Ma dal punto di vista degli operai non si vede nulla. Le condizioni di chi lavora continuano ad essere all’insegna di spremere per incrementare i profitti; aumento della produzione con meno operai. In alcuni stabilimenti – denunciano gli operai – si lavora come animali, senza neanche la possibilità di bere acqua, con ritmi in cui la salute e sicurezza sono ogni giorno a rischio; aumentano gli Rcl, che poi vengono messi di fatto in lista di attesa con i cosiddetti “esodi incentivanti”. Circa queste uscite “volontarie” sappiamo tutti che volontarie non sono. Nell’accordo firmato da Fim, Uilm, ecc. si sostiene che “vale il criterio di non opposizione”; ma quotidianamente premono su quelli che vogliono far uscire in maniera che se ne facciano una ragione. “L’azienda ci individua come licenziabili e poi dobbiamo noi proporci per il licenziamento incentivato”. Finora è la strategia del padrone e la falsa contesa con il governo che ha pagato.
La risposta non può che essere la lotta. E’ necessario certamente opporsi stabilimento per stabilimento, ma siamo dentro un quadro generale di piani di padroni e governo e di rapporti di forza ad essi favorevoli. E, quindi, non si può vincere stabilimento per stabilimento, e bisogna senz’altro evitare che la situazione degeneri in concorrenza tra i vari stabilimenti, che porta solo alla divisione tra gli operai.
Le organizzazioni sindacali, la Fiom in particolare, insistono sul problema del disimpegno in una prospettiva di dismissione, e sull’appello al governo, alla Meloni che convochi Tavares a Palazzo Chigi.
Tavares in una intervista parla dell’Italia come uno dei pilastri della crescita nel mondo insieme a Francia e Stati Uniti, e dice di aver investito 5miliardi nel nostro paese di cui 2 a Torino, ma la logica è che per mantenere questi impegni governo, sindacati e operai si devono allineare all’interesse dell’azienda che è volta solo al profitto. Stellantis ha chiuso il 2023 con 11 miliardi di profitto, ha dato ad Elkann 4,8 milioni nel 2023 e a Tavares un compenso record di 36,49 milioni di euro. Mentre gli operai hanno visto ridotti dalla cassintegrazione i loro salari.
Dobbiamo provare a rovesciare lo stato delle cose. Partire dagli interessi operai, concentrarli in
una piattaforma operaia approvata e garantita dal potere dell’assemblea, aprire una fase di scontro prolungato.La vicenda Stellantis è legata alla situazione mondiale caratterizzata dalla crisi economica scaricata su operai, lavoratori e popoli oppressi nel mondo; crisi che alimenta il pericolo di una nuova guerra, crisi che si trasforma in spaventosa crescita delle spese militari e in una generale “economia di guerra”. L’economia di guerra lega le fabbriche dei diversi settori in ogni paese e in tutto il mondo. Sono legate ad esempio la crisi dell’auto con la crisi siderurgica, le vicende dell’ex Ilva con quella degli stabilimenti di Melfi; il sostegno dei governi e lo schieramento di essi con le potenze imperialiste che si contendono l’economia mondiale, il costo dell’energia e delle materie prime, la produzione dei componenti, agli effetti di tutto questo nella produzione reale. Quindi tutta la situazione dell’auto non può essere affrontata e risolta solo nel quadro di quello che succede nel settore auto.
Gli operai devono comprendere la partita in gioco. Gli operai sono una classe internazionale, e gli operai dell’auto in particolare sono presenti in tutte le parti del mondo. La loro lotta ha un peso internazionale non solo nella tutela del lavoro, delle condizioni di lavoro e dei salari, ma nell’opposizione ai piani dei padroni, dei loro Stati e loro governi nei confronti della guerra, “economia di guerra” e delle conseguenze generali sui lavoratori e le masse popolari.
L’autonomia operaia, l’organizzazione di classe sindacale e politica, la lotta di classe sono le scelte che dobbiamo fare. Ricostruire dal basso il sindacato di classe, ma anche e soprattutto ricostruire il partito politico della classe operaia e inserire la lotta rivendicativa nella prospettiva della lotta per il potere operaio.
SLAI COBAS per il sindacato di classe
slaicobasta@gmail.com WA 3519575628
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