- Sergio Cararo
Le potenze europee, Italia, Francia e Gran
Bretagna in testa, stanno scaldando i motori per un intervento militare
in Libia. Secondo il quotidiano britannico The Guardian , l’Unione
europea ha messo a punto un piano che prevede una serie di attacchi
militari contro le imbarcazioni in partenza dalla Libia per ostacolare
l’arrivo dei migranti verso l’Europa attraverso il mar Mediterraneo. Il
quotidiano britannico aggiunge che l’Ue intende ottenere su questo
scenario il mandato dell’Onu per legittimare l’intervento armato nelle
acque libiche.
Il comitato militare dell’Ue ha infatti licenziato il cosiddetto Cmc, sigla che sta a indicare “Concetto
per la gestione di crisi”, e che sarà la struttura “ad hoc” che per coordinare l’azione militare in Libia una volta ottenuto il via libera dell’Onu. Il quotidiano La Stampa è riuscito a leggere la bozza della risoluzione che verrà discussa lunedi prossimo al vertice dei ministri degli esteri dell'Unione Europea. Secondo quanto se ne deduce, l’obiettivo è chiaro: “Cattura e/o distruzione delle strutture che consento il contrabbando, nelle acque libiche, all’ancora, attraccate o a terra”. L'obiettivo dichiarato è quello di “interrompere il modello di business dei trafficanti, con sforzi sistematici per identificare, catturare, sequestrare, e distruggere le barche e le strutture usate dai contrabbandieri di essere umani”. Secondo il documento la missione militare europea avrà “un mandato esecutivo” e “potrebbe essere militare e congiunta (navale e aerea)”.
Il documento affronta anche un problema rilevante, ossia l' assenza di un accordo su questo da parte dei libici, sia nella versione del governo di Tobruk che del governo di Tripoli. In questo caso la sorveglianze e l’azione delle acque non internazionali può avvenire solo con una risoluzione Onu «Capitolo VII», cosa che si va discutendo in queste ore. Secondo gli esperti militari europei l’operazione “dipenderà dalle attività di Intelligence, la cui condivisione sarà fondamentale”. Si porrà “l’alto rischio di danni collaterali” (vittime fra i migranti) e l’esigenza di un quadro per stabilire cosa fare di eventuali criminali arrestati. Le risorse saranno messe a disposizione dagli Stati europei, con Francia, Regno Unito e Italia pronti a inviare navi, aerei e soldati. Il documento include la possibilità che i militari europei possano agire anche a terra, “anche se sarebbe ideale che vi fosse il consenso locale”. Gli obiettivi dichiarati sono: barche, depositi di carburante, strutture di attracco. Più realisticamente sarà invece il posizionamento di navi militari davanti alle coste libiche come “deterrenza” e il controllo, anche terrestre, della fascia costiera.
Questo scenario di intervento militare non trova però d'accordo nessuno dei due “governi” libici. A dire “no” alla possibilità di un intervento militare cè quello di Tobruk, legato mani e piedi all'Egitto e all'Arabia Saudita. L’ambasciatore all'Onu del governo libico di Tobruk ha chiesto alle Nazioni Unite di non intervenire, ma di aiutare il suo esercito. “Non siamo stati nemmeno consultati”, ha detto l’ambasciatore al Palazzo di Vetro, Ibrahim Dabbashi, aggiungendo che l’idea di schierare più imbarcazioni al largo delle coste libiche per salvare i migranti è “totalmente stupida” perché incoraggerebbe ancora più migranti ad arrivare in Libia, rendendo più difficile il controllo da parte delle autorità locali. Netto no anche alla distruzione dei barconi, perché – ha affermato – sarebbe difficile distinguerli da altre imbarcazioni.
Il bombardamento dei barconi e delle coste libiche non convince neanche l'altro governo libico, quello di Tripoli. Il generale Ayoub Amr Ghasem, ufficiale della guardia costiera libica di Tripoli, controllata dal governo islamista, ha dichiarato a Il Fatto Quotidiano, che colpire le imbarcazioni potrebbe rivelarsi una strategia inutile. “I trafficanti non hanno delle vere e proprie flotte o equipaggiamenti speciali da distruggere. L’operazione non avrebbe successo perché i nostri nemici non hanno una vera e propria struttura”, ha spiegato Ghasem, sottolineando come non sia possibile individuare dei punti fissi di partenza: “Si raggruppano sulla costa per mettere in acqua le barche cariche di migranti e poi scompaiono in pochissimo tempo. Questo avviene ogni volta in punti diversi e le navi difficilmente tornano vuote nello stessa località”.
Un intervento militare in Libia ormai è alle porte e sarà in larga parte ostile ai soggetti in campo sul territorio libico. In molti volteranno la faccia per "non vedere, non sapere e non vedere" quello che accadrà sull'altra sponda del Mediterraneo predisponendosi a convivere serenamente con l'orrore. L'emergenza sugli sbarchi dei migranti si presta ad ammantare questa nuova guerra asimmetrica della copertura "umanitaria". Si avverte sin da ora la difficoltà con cui dovranno fare i conti i movimenti contro la guerra più coerenti, che proprio sull'aggressione alla Libia nel 2011 verificarono come il consenso all'interventismo militare europeo avesse aperto brecce politiche e morali anche tra i pacifisti. Ciò non significa che non occorra fare opera di chiarezza, controinformazione e iniziativa contro l'avventurismo militarista dell'Unione Europea contro la sponda sud del Mediterraneo. Un primo appuntamento potrebbe già essere quello del 2 giugno sul quale sta circolando un appello che invita sin da ora a entrare in campo contro le “guerre umanitarie”, anche quando le pianificano a Bruxelles e non solo a Washington.
Il comitato militare dell’Ue ha infatti licenziato il cosiddetto Cmc, sigla che sta a indicare “Concetto
per la gestione di crisi”, e che sarà la struttura “ad hoc” che per coordinare l’azione militare in Libia una volta ottenuto il via libera dell’Onu. Il quotidiano La Stampa è riuscito a leggere la bozza della risoluzione che verrà discussa lunedi prossimo al vertice dei ministri degli esteri dell'Unione Europea. Secondo quanto se ne deduce, l’obiettivo è chiaro: “Cattura e/o distruzione delle strutture che consento il contrabbando, nelle acque libiche, all’ancora, attraccate o a terra”. L'obiettivo dichiarato è quello di “interrompere il modello di business dei trafficanti, con sforzi sistematici per identificare, catturare, sequestrare, e distruggere le barche e le strutture usate dai contrabbandieri di essere umani”. Secondo il documento la missione militare europea avrà “un mandato esecutivo” e “potrebbe essere militare e congiunta (navale e aerea)”.
Il documento affronta anche un problema rilevante, ossia l' assenza di un accordo su questo da parte dei libici, sia nella versione del governo di Tobruk che del governo di Tripoli. In questo caso la sorveglianze e l’azione delle acque non internazionali può avvenire solo con una risoluzione Onu «Capitolo VII», cosa che si va discutendo in queste ore. Secondo gli esperti militari europei l’operazione “dipenderà dalle attività di Intelligence, la cui condivisione sarà fondamentale”. Si porrà “l’alto rischio di danni collaterali” (vittime fra i migranti) e l’esigenza di un quadro per stabilire cosa fare di eventuali criminali arrestati. Le risorse saranno messe a disposizione dagli Stati europei, con Francia, Regno Unito e Italia pronti a inviare navi, aerei e soldati. Il documento include la possibilità che i militari europei possano agire anche a terra, “anche se sarebbe ideale che vi fosse il consenso locale”. Gli obiettivi dichiarati sono: barche, depositi di carburante, strutture di attracco. Più realisticamente sarà invece il posizionamento di navi militari davanti alle coste libiche come “deterrenza” e il controllo, anche terrestre, della fascia costiera.
Questo scenario di intervento militare non trova però d'accordo nessuno dei due “governi” libici. A dire “no” alla possibilità di un intervento militare cè quello di Tobruk, legato mani e piedi all'Egitto e all'Arabia Saudita. L’ambasciatore all'Onu del governo libico di Tobruk ha chiesto alle Nazioni Unite di non intervenire, ma di aiutare il suo esercito. “Non siamo stati nemmeno consultati”, ha detto l’ambasciatore al Palazzo di Vetro, Ibrahim Dabbashi, aggiungendo che l’idea di schierare più imbarcazioni al largo delle coste libiche per salvare i migranti è “totalmente stupida” perché incoraggerebbe ancora più migranti ad arrivare in Libia, rendendo più difficile il controllo da parte delle autorità locali. Netto no anche alla distruzione dei barconi, perché – ha affermato – sarebbe difficile distinguerli da altre imbarcazioni.
Il bombardamento dei barconi e delle coste libiche non convince neanche l'altro governo libico, quello di Tripoli. Il generale Ayoub Amr Ghasem, ufficiale della guardia costiera libica di Tripoli, controllata dal governo islamista, ha dichiarato a Il Fatto Quotidiano, che colpire le imbarcazioni potrebbe rivelarsi una strategia inutile. “I trafficanti non hanno delle vere e proprie flotte o equipaggiamenti speciali da distruggere. L’operazione non avrebbe successo perché i nostri nemici non hanno una vera e propria struttura”, ha spiegato Ghasem, sottolineando come non sia possibile individuare dei punti fissi di partenza: “Si raggruppano sulla costa per mettere in acqua le barche cariche di migranti e poi scompaiono in pochissimo tempo. Questo avviene ogni volta in punti diversi e le navi difficilmente tornano vuote nello stessa località”.
Un intervento militare in Libia ormai è alle porte e sarà in larga parte ostile ai soggetti in campo sul territorio libico. In molti volteranno la faccia per "non vedere, non sapere e non vedere" quello che accadrà sull'altra sponda del Mediterraneo predisponendosi a convivere serenamente con l'orrore. L'emergenza sugli sbarchi dei migranti si presta ad ammantare questa nuova guerra asimmetrica della copertura "umanitaria". Si avverte sin da ora la difficoltà con cui dovranno fare i conti i movimenti contro la guerra più coerenti, che proprio sull'aggressione alla Libia nel 2011 verificarono come il consenso all'interventismo militare europeo avesse aperto brecce politiche e morali anche tra i pacifisti. Ciò non significa che non occorra fare opera di chiarezza, controinformazione e iniziativa contro l'avventurismo militarista dell'Unione Europea contro la sponda sud del Mediterraneo. Un primo appuntamento potrebbe già essere quello del 2 giugno sul quale sta circolando un appello che invita sin da ora a entrare in campo contro le “guerre umanitarie”, anche quando le pianificano a Bruxelles e non solo a Washington.
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