Dall'MFPR:"Alla 2 giorni de L'Aquila tenutasi il 7 e 8 maggio abbiamo dato l'adesione come MFPR L'Aquila, privilegiando una presenza sulle tematiche lavoratrici, lotta sui territori delle donne.
Anche dal resoconto della compagna de L'Aquila che ha partecipato direttamente, si conferma che il limite principale di questa 2 gg. è stata la mancanza del CONTRO; a fronte di un disastro sia prima che durante che dopo che ha responsabili, con nomi e cognomi, nel sistema capitalista, affarista che specula e fa profitti sulla vita delle popolazioni, nel governo Berlusconi, nello Stato, nella Protezione civile, l'appello della 2 giorni ha dato all'iniziativa un aspetto "costruttivista", della serie “donne che si rimboccano le maniche”.IL RESOCONTO DELLA COMPAGNA DEL MFPR DE L'AQUILAE' difficile entrare nel merito della 2 giorni all'Aquila, senza entrare nel metodo con il quale è stata impostata e organizzata e senza considerare gli attori di questa impostazione.
E' sulla base di ciò che si definiscono i confini del merito, dei contenuti e della loro espressione e si suggeriscono limiti alle prospettive possibili.
Certamente la 2 giorni è stato un evento positivo per la città de L’Aquila, che si è vista percorrere da tanti corpi di donne e uomini. E’ stata anche l’occasione per far conoscere a tante/i la realtà del post-terremoto, la militarizzazione e la desertificazione del territorio e un pretesto per incontrarsi e ribadire la necessità di una città diversa, una città delle donne, di una casa delle donne.
Ma una lettura critica della 2 giorni, che pur essendo terremotata aquilana ho un po’ subito, devo farla.
L’ho subita nelle visite guidate e su prenotazione, che hanno disperso le donne tra new town e zona rossa, sottraendo tempo ai tavoli ed eliminando il momento di confronto collettivo della plenaria.
Non sarebbe stato meglio irrompere collettivamente nella zona rossa in una manifestazione di donne che fisicamente e in massa si riappropriasse della città?
L’ho subita come un’operazione turistico-commerciale, che con il pretesto di portare le donne all’Aquila ha dato visibilità agli sponsor, alle imprese commerciali locali e non come la coop Lombardia, che deve ancora spiegare l’attività di spionaggio nei confronti dei suoi dipendenti.
L’ho subita come un’ipocrisia radical scic da parte della borghesia, dell’istituzione “Comune dell’Aquila” dei padroni e della cgil/spi, che dietro le donne in nero e in generale dietro le donne, si preparano alle prossime elezioni.
L’ho subita perché, come tante altre donne e lavoratrici aquilane, sono stata chiamata solo a giochi fatti, senza un momento assembleare locale propedeutico alla 2giorni.
Non c’è da stupirsi quindi della scarsa partecipazione locale di donne alla 2 giorni.
Veniamo al merito.
Si era detto che il tema “lavoro” avrebbe avuto priorità in tutti i tavoli, anche se non specificato in nessuno di essi. Ho pertanto seguito, nel pomeriggio di sabato, quello che mi sembrava più attinente: “beni comuni, legalità delle vittime, ricostruire nella legalità”, che doveva affrontare, tra l’altro, i temi della sicurezza e del mercato.
Ma i tavoli sono stati ulteriormente suddivisi in sottotavoli, quindi in 3 ore ho dovuto fare uno zapping tra una stanza e un’altra, per avere una visione più complessiva. Di conseguenza posso per ora fare un report molto frammentario della 2 giorni, in attesa che donne-terre-mutate mettano in rete il report completo e le proposte emerse.
Dalle donne dell’Aquila è stato denunciato come la mancata prevenzione dei disastri prima del terremoto, ma anche l’intervento successivo delle istituzioni, della protezione civile, il potere di ordinanza, la gestione dell’emergenza, la militarizzazione, l’atomizzazione e disgregazione dei nuclei sociali attraverso le deportazioni e le new town, abbiano fatto parte di un unico disegno, teso a frammentare i rapporti sociali ed espropriare i cittadini della capacità decisionale, estromettendoli dalla partecipazione alle decisioni che li riguardano per favorire l’interesse dei grandi profitti.
Da Torino a Trieste, dicono le donne alluvionate di Brescia, territori non ce ne sono più, sono stati consumati e non sanno dove farle le vasche di laminazione perché gli speculatori, collegati alle lobby mafiose nazionali devono continuare a fare i loro businnes. Hanno fatto un questionario firmato e sottoscritto tra i cittadini per raccogliere informazioni e pretendere trasparenza senza risultato Denunciano incompetenza.
Interessanti spunti di analisi sono emersi anche dalle narrazioni delle donne di Vicenza contro la base Dal Molin e dalle donne campane contro le discariche.
Tuttavia il fiume di racconti che ho ascoltato, si impantanava principalmente su 2 o 3 punti senza trovare sbocchi:
- si è parlato di illegalità a fronte della mancata prevenzione e dell’inadeguata risposta delle istituzioni ai disastri, a vantaggio delle mafie e dei grandi profitti, ma non si è messo in discussione il sistema capitalistico, perfettamente legale, che sta alla base della shock economy e delle mafie stesse
- si è parlato di crisi democratica come fattore negativo, ma non sono state messe in discussione le istituzioni, che sul sistema capitalistico, anche quello dei disastri, si fondano e che tale sistema proteggono sulla testa delle popolazioni
- si è parlato di protagonismo dei cittadini attraverso l’inchiesta sottoscritta e la partecipazione, ma non di autorganizzazione dal basso e autonomia
- non ho sentito parlare di lavoro/reddito e questo la dice lunga sulla distanza di questa 2 giorni dai problemi della maggior parte delle donne, anche aquilane, lavoratrici, precarie, disoccupate, studentesse ecc.
Al tavolo sulla violenza “corpi violati corpi desiderati”, sono stata solo la domenica, quando si è riunito per circa un’ora, per leggere una lettera molto intimista e fare un riepilogo di quanto si è detto. Prima della riunione ho incontrato una compagna di Roma e le ho chiesto le sue impressioni.
Mi ha detto che il sabato pomeriggio è stato molto complicato perché il tavolo si è avvitato sull’autocoscienza, che lei ha fatto un intervento sulla questione del reddito di esistenza ma il tema reddito/lavoro è rimasto a un punto morto.
Dall’intervento riepilogativo di una donna è emerso infatti che la riunione del sabato sia stata guidata ed egemonizzata dal filone di Carla Lonzi, dalla teoria dell’autocoscienza e della differenza sessuale, cui sembra abbiano fatto da contraltare solo le Ribellule, le uniche a parlare di LOTTA per conquistare spazi pubblici, di lavoro sul sociale, di consultori liberi e gratuiti, contro la legge Tarzia ecc. e hanno parlato della violenza quotidiana che si consuma a Roma con lo sgombero dei campi rom.
Questo per quanto riguarda i tavoli, o gli avanzi degli stessi, che sono riuscita a seguire.
Sabato sera mio zio, che ha curato l’allestimento di una mostra fotografica “donne in resistenza”, mi ha presentato Giovanna Marturano, 99 anni, ex partigiana di origini sarde, che è intervenuta al tavolo “donne in resistenza contro la militarizzazione dei territori” e ha fatto l’intervento conclusivo della 2 giorni, che però, con un’amplificazione inesistente, non si è sentito.
Fortunatamente l’ho conosciuta personalmente e ho ascoltato in anteprima ciò che probabilmente ha detto alla fine della 2 giorni. Mi ha raccontato la sua storia e quella di sua madre, anche lei combattente, come tutta la sua famiglia. “eravamo una famiglia di galeotti” mi ha detto “mio fratello se non c’era la liberazione avrebbe dovuto scontare 14 anni” “e ora non voglio morire sotto Berlusconi, ce l’abbiamo fatta allora perché non dobbiamo riuscirci ora? Pensavamo di aver sconfitto il fascismo e invece…”mi ha detto con le lacrime agli occhi: “io amo questa città, ma bisogna che ci arrabbiamo di nuovo e più di ieri per ricostruirla!”
Le ho regalato una copia del foglio Mfpr e una maglietta “revoltemo l’aquila” mi ha detto: “si, una vera rivolta ci vuole!”
Domenica l’incontro conclusivo è durato circa 15 minuti, hanno parlato la partigiana e una giovane donna in nero, ma del loro intervento, per l’amplificazione da schifo non si capiva niente. Col banchetto non riuscivo a distribuire materiale e così mi sono messa a volantinare la piattaforma per lo sciopero delle donne, che non era scontato ricevesse un qualche successo, data l’età media delle partecipanti, molto over 50 e la motivazione per cui erano qui (più come turiste che come manifestanti). Nonostante ciò e lo scarso numero di donne presenti al momento finale, la piattaforma ha riscosso un certo successo, con le Ribellule, che mi hanno fatto una specie di intervista registrata su come pensavamo di costruire lo sciopero totale delle donne e dove si poteva reperire materiale on line, abbiamo parlato dell’assemblea donne Fiom e che lo sciopero abbiamo già iniziato a costruirlo, che per giugno proponiamo di assediare i palazzi del potere, anche con un presidio al ministero del lavoro, che però è necessario che anche le donne presenti negli altri territori, soprattutto a Roma, si attivino per questo.
Da Luigia - L'Aquila"