MILANO-EL CAIRO: LA VERA POSTA IN GIOCO
Nella giornata di ieri, il Giorno, con due paginoni nella cronaca milanese e, nello stesso sulle pagine nazionali, con un intervista a Pier Luigi D’Agata, direttore di
Assafrica (associazione per lo sviluppo delle imprese italiane in
Norafrica-Mediterraneo e Medio Oriente), aderente a Confindustria, ci
spiega bene gli interessi in ballo per le imprese e i politici di casa
nostra, che guardano con apprensione alla situazione egiziana.
A
premessa diciamo quanto risulti strano che a tutt’oggi il vice
sindaco/sceriffo, De Corato, ancora non abbia tuonato contro “l’orda”
islamica che scorazza per le strade attorno a Piazzale Loreto con
cortei non autorizzati e che bloccano il traffico. Cosa mettono in
risalto le pagine milanesi del giornale? Che l’Italia è, a livello
europeo, il primo partner commerciale; che la Lombardia è al primo
posto e che Milano si prende il 48,9%, per un totale di 161 milioni e
220 mila euro di import e 305 milioni di export nei primi mesi del
2010. Che gli immigrati egiziani, immigrazione più che trentennale, a
Milano sono 40.000 (a fronte degli 82.000 residenti in Italia) di cui
ben 6.749, a fronte dei 10.501 nazionali, titolare d’impresa. Che gli
egiziani sono tradizionalmente impiegati in attività commerciali e di
ristorazione. Sembra da quanto descritto dal Giorno che la realtà della
comunità egiziana sia quasi idilliaca. “Dimentica” il cronista di turno
che in questi anni che in questi anni vi sono state varie operazioni di
controllo del territorio che hanno “scoperto” una buona fetta degli
immigrati egiziani costretti alla schiavitù del lavoro nero, da imprese
italiane ed egiziane, per le cosiddette grandi opere dal polo
fieristico di Rho alla “grande opportunità” di Expo 2015, e particolare
non indifferente, molti in questi cantieri vi hanno lasciato la vita. E
ricordando anche che quando gli egiziani hanno reclamato dei diritti,
come una moschea, una casa o vivere senza il coprifuoco (come in via
Padova) per De Corato e i media gli immigrati erano, e sono, tutti
criminali terroristi. Ma il cinismo non ha mai fine e nei paginoni ecco
spuntare il titolo : “undici milioni persi in quattro giorni. Gli
affari vanno a rotoli, Milano trema.” Si parla chiaramente degli
operatori turistici, che si sa hanno a “cuore” il benessere fisico e
mentale dei milanesi che a causa della rivolta popolare non potranno
“rilassarsi” nelle magiche acque del Mar Rosso.
Ma è l’intervista di A.
Farruggia al “signor” D’Agata che chiarisce bene le questioni. Il
giornalista definisce addirittura coraggiosa la posizione del direttore
di Assafrica. Vediamola questa coraggiosa posizione. L’esordio è già
tutto un programma: “E’ una crisi di crescita, perché l’Egitto ha avuto
una modernizzazione veloce, con un tasso di disoccupazione giovanile
molto alto che spinge masse scolarizzate a reclamare opportunità e
diritti. C’è, e nel breve ci sarà ancora, un problema di disordini,
perché il vecchio regime non si rassegna facilmente a perdere il
potere, ma nel medio periodo quello in atto dovrebbe essere un processo
positivo.”. Ecco che il capitale getta la maschera : dice che c’è una
crisi di crescita occultando il fatto che la crescita è stata quella
dei guadagni delle imprese, e questo è stato pagato con la
disoccupazione giovanile; e bontà sua, questi giovani non sono i
barbari descritti dai trogloditi leghisti, ma sono masse istruite, e
chiedono il diritto ad un futuro. Allo stesso tempo il D’Agata nasconde
il fatto che quella che lui chiama modernizzazione, è avvenuta sotto il
regime di Mubarak e oggi sotto la spinta della rivolta popolare è, per
loro, un personaggio scomodo. Ma tutto l’ottimismo e la fiducia di cui
è pieno questo signore lo chiarisce alla domanda specifica: domanda
“Come si può essere fiduciosi nel futuro dell’Egitto con un Paese che
rischia la guerra civile?”; risposta “Perché quello che sta vivendo è
un processo di crescita, difficile e doloroso, ma che è buono per gli
egiziani. E che, modernizzando il Paese, determinerà maggiori
opportunità economiche per tutti, compresa la nostra media e piccola
impresa”. Più che fiducia sembra una speranza, ovvero che via sia una
transizione che non intacchi i loro interessi più che un augurio alle
aspirazioni del popolo egiziano. E quali siano i pericoli reali per le
imprese, italiane in testa, lo chiarisce nella risposta alla successiva
domanda. “Non temete che possa esserlo in futuro (Paese da abbandonare,
ndr)? Che possano arrivare nazionalizzazioni, espropri….”. la risposta
è questa: “In teoria è possibile, ma non credo. Quella è un’area
geografica che soffre dello iato tra modernizzazione dell’economia e
della società e sistemi politici e in parte amministrativi ancora da
Paese in via di sviluppo. Era fatale che l’esplosione ci fosse. L’
importante è che ora la riforma non finisca nelle mani delle
organizzazioni radicali islamiche. In questo senso molto potrebbero
fare gli USA e l’Europa assecondando le forze laiche e non
ideologizzate che sono il motore della protesta e vogliono solo un
Egitto più moderno e sviluppato”. Con un misto di razzismo, velate
minacce ed esortazioni ai governi imperialisti a scendere in campo,
viene svelato l’arcano: la paura di perdere lo strapotere e l’arroganza
della rapina delle risorse primarie e della manodopera schiava e a
basso costo.
Il pericolo vero per l'imperialismo, le borghesie imperialiste e quella italiana in particolare è che nel mezzo di questa rivolta nasca , un partito comunista rivoluzionario guidi la rivolta verso la rivoluzionenazionale e sociale.
circolo proletari comunisti Milano
3 febbraio 2011