Gli operai dell’ex Ilva sono in sciopero, da
Genova a Taranto. Da ieri i mezzi di informazione danno notizie che riguardano la
nuova mobilitazione a causa della possibile chiusura cui sta portando la
manovra di questo governo per mano del ministro Urso.
Su una completa informazione sull’ex Ilva,
in particolare di Taranto, rimandiamo, tra l’altro, alle prese di posizione dello
Slai cobas sc di Taranto (https://tarantocontro.blogspot.com/2025/11/ex-ilva-il-governo-conferma-il-piano-di.html
- https://cobasperilsindacatodiclasse.blogspot.com/)
Ma il problema della condizione operaia nelle acciaierie ex Ilva è solo uno, anche se strategico perché tra i più importanti per le dimensioni e la produzione dell’acciaio in Italia, di quelli che toccano la questione più generale dell’industria che fa capo all’imperialismo italiano che tocca milioni di operai e
operaie, lavoratrici e lavoratori di questo Paese.Il Sole 24 Ore, giornale di Confindustria
come si sa se ne occupa quotidianamente perché direttamente interessato al “monitoraggio”
della propria potenza industriale all’interno della concorrenza soprattutto
internazionale e in funzione del sostegno del governo al settore con gli aiuti
infiniti fatti di miliardi di “incentivi” di ogni tipo.
Ma oggi se ne occupano anche altri
quotidiani, tra cui il quotidiano il manifesto con un articolo dal
titolo “La crisi del settore industriale in tutti i territori” partendo dal
fatto che “L’ex Ilva non è che uno
specchio della crisi industriale che attraversa la manifattura italiana” (anche
il manifesto cade nella trappola di chiamare “manifattura” – un consolante e “romantico”
“ammorbidente” dello scontro tra operai e padroni - ciò che scientificamente è la
“grande industria”).
“Dal
punto di vista della produzione industriale – scrive il manifesto - ad agosto
stando ai dati Istat l’indice di produttività si è fermato a 91,6, prendendo
come livello di riferimento il 2021 tarato su 100: significa che negli ultimi quattro anni c’è stato un calo dell’8,4%.
Allargando lo spettro temporale, negli
ultimi 25 anni i dati Eurostat certificano che la produzione in Italia è calata
del 23%, il valore più alto nell’Unione europea. Secondo la Cgil si contano
complessivamente 96 aziende in crisi, per un totale di lavoratori coinvolti pari a 121.489, il tutto in un «quadro
parziale riferito alle sole vertenze
nazionali», cui andrebbero sommati i tavoli di crisi regionali. Tra i
settori più coinvolti ci sono l’automotive,
quello dei macchinari e la metallurgia.”
In
quest’ultimo settore produttivo, accanto all’ex Ilva, l’ultima crisi che si è
aperta in ordine di tempo riguarda le acciaierie Valbruna, nel territorio di
Bolzano che vede a “rischio 1.800 posti di lavoro, compreso il collegato
stabilimento di Vicenza, oltre all’indotto”, (sempre oltre l’indotto! Cioè altre
migliaia di operai per lo più precari) e “la chiusura potrebbe prevedere uno
spostamento delle attività all’estero, negli Stati Uniti!”, classica operazione di “delocalizzazione” messa in
campo dai padroni, altro che reshoring…
Per
la crisi della siderurgia in Italia, abbiamo Piombino e Portovesme, in Sardegna…
e infatti alle proteste degli operai dell’ex Ilva, da Genova a Taranto, si
aggiungono quelle degli operai dell’Eurallumina
che sono attualmente in cima ad una torre di 40 metri.
Tutto
questo significa, come ha detto un rappresentante della Confindustria che pezzo
dopo pezzo l’industria se ne va? Ma niente affatto! Anche se è innegabile,
come si vede dai dati, che la tendenza
è quella di una minore capacità industriale nel tempo - ci saranno meno
fabbriche nel paese - quello che succede, ed
è in corso, è una necessaria ristrutturazione
di tutto l’apparato industriale che fino a questo momento conta di circa 1
milione e mezzo di metalmeccanici (coinvolti nella lotta per il rinnovo
contrattuale scaduto da un anno e mezzo!) più altri 4 milioni dell’industria in
generale!
Una ristrutturazione
che avviene “Nel contesto della crisi di sovrapproduzione del sistema
capitalista-imperialista” e dentro la quale “i padroni per mantenere i loro margini
di profitto vogliono prendere altro tempo di vita degli operai per la
produzione e attaccare orario, salario, condizioni di lavoro e di vita”!
Ma
per ogni ora di vita tolta agli operai, aumenta inevitabile l’ora della
ribellione a questo sistema che ci vuole ogni giorno sempre più una macchina
per la produzione di profitto ‘fisicamente spezzato e spiritualmente abbrutito’”.
(https://cobasperilsindacatodiclasse.blogspot.com/2025/11/19-novembre-sulla-trattativa-del.html).

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