Riceviamo e volentieri pubblichiamo in anteprima per l’Italia il recente scritto di Marwan Abdel Aal – dirigente del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (4 ottobre 2025)

La Resistenza palestinese, attraverso l’operazione del 7 Ottobre, è riuscita a rimodellare gli equilibri di potere e a creare un reale impatto strategico dopo due anni? E dove si colloca l’entità sionista all’interno del sistema coloniale globale: è uno Stato “normale” o semplicemente uno strumento funzionale? Ed esiste ancora l’idea o la narrazione su cui è stata fondata?
Sono rimasto colpito da ciò che Ran Adelist ha scritto su Maariv: “Hamas ha vinto come idea su Israele… Non si raggiungerà alcun accordo, e lo spargimento di sangue continuerà, ma Hamas come idea ha ottenuto una vittoria schiacciante. Ci ha trascinato in una guerra insensata durata due anni, ha distrutto completamente la nostra immagine, ha distrutto la nostra posizione nel mondo e ci ha lacerato con divisioni che non possono essere colmate“.
Israele: partner dell’imperialismo globale
Il 7 Ottobre non si è limitato a cambiare solo il campo di battaglia; ha ribaltato l’idea stessa di Israele. Lo Stato che una volta si riteneva invincibile è ora nel mirino della Storia. Di conseguenza, il conflitto non può essere visto solo attraverso la lente della terra o della politica, ma nella sua natura essenziale: Israele non è solo un agente prezzolato, ma un partner dell’imperialismo globale, l’avanguardia dell’egemonia occidentale nel cuore del Medio Oriente. La sua nascita non è stata casuale, ma è stato un costrutto coloniale: ha portato gli ebrei dalla diaspora, ha trasformato l’antisemitismo storico in un’ideologia di Stato e lo ha ammantato sotto le spoglie di una falsa “liberazione nazionale”. In tal modo, l’Occupazione è stata legittimata sotto le bandiere del “diritto storico” e della “sicurezza nazionale”.

Israele sfrutta il sostegno occidentale non solo come protezione politica e militare, ma come piattaforma avanzata per controllare le linee energetiche e i corridoi strategici, e come “laboratorio” per le ultime armi e tecnologie esportate in tutto il mondo. Tutto questo è avvolto nella retorica della “sicurezza” e della “democrazia”, mentre la realtà mostra la verità: Israele è una base avanzata dell’imperialismo statunitense, che riproduce il colonialismo del XXI secolo attraverso lo sterminio, la pulizia etnica e la frammentazione dei movimenti di liberazione.
Lo smascheramento dell’idea di “Israele”
Israele non si presenta più semplicemente come un “piccolo” Stato commercializzato come naturale
all’interno di confini riconosciuti; ora punta a un “Grande Israele” o a un “superStato regionale” che imponga la sua volontà su tutto il Medio Oriente. La normalizzazione non è più solo relazioni formali; Israele è diventato una potenza sovraregionale, che si pone come punto di riferimento al di là delle nazioni e dei popoli. É caduta l’illusione che sia l’unico nemico dei palestinesi, rivelandola come parte di un progetto coloniale più ampio.Nel frattempo, la narrazione che legittimava Israele nella coscienza occidentale si è disintegrata. Questa legittimità, costruita sul vittimismo morale e sull’immagine della “parte lesa”, era l’arma più potente del Sionismo. Ma le scene della distruzione di Gaza, l’incapacità di Israele di ottenere una vittoria militare, le divisioni interne e il tentativo di distrarre con l’idea di un “superStato” hanno distrutto questa narrazione. Oggi, non è più facile convincere l’opinione pubblica o le élite occidentali che Israele è lo Stato “eccezionale” che ha subito un torto con un eterno diritto all’autodifesa.
La fine dell’immagine “del Vecchio Ebreo”
Fin dall’inizio, l’idea sionista ha sfruttato la narrativa della persecuzione degli ebrei europei, trasformandola in una risorsa morale e politica che ha giustificato la colonizzazione della Palestina. Da qui è nata l’immagine del “Vecchio Ebreo”: una vittima della storia che risorge dalle ceneri dell’Olocausto europeo, alla ricerca di una patria sicura. Questa immagine è servita all’Occidente due volte: ha concesso al sionismo la legittimità etica per istituire Israele e ha permesso all’Europa di alleviare la sua colpa storica “esportando il problema” in Medio Oriente.
Ma il genocidio a Gaza dopo il 7 ottobre ha smascherato questa narrazione. Israele non è più uno Stato “rifugio”; è diventato uno Stato incendiario, che esercita la violenza nelle sue forme più estreme, sotto gli occhi del mondo, con un discorso politico-religioso che confonde il sacro con l’assassinio. L’immagine del “Vecchio Ebreo” è caduta, sostituita da un’identità di “Nuovo Ebreo” intrisa di sangue, razzismo e supremazia etnica.
Questo Nuovo Ebreo non è più una fede in cerca di protezione; è un’identità coloniale che giustifica lo spostamento e l’omicidio in nome dei testi sacri. Il progetto Sionista non è più presentato come un movimento ebraico di liberazione nazionale, ma come un braccio imperiale occidentale che si impone attraverso la brutale forza militare e una narrazione mitico-teologica sulla “Terra Promessa”. Il crollo di questa narrazione in mezzo a uno scontro tra il liberalismo capitalista e l’ideologia religiosa, o tra lo Stato ebraico e la democrazia occidentale, si riflette direttamente sull’immagine dell’Occidente stesso.
Israele come “Stato laboratorio”
Nella storia coloniale moderna, alcune entità funzionali, descritte come “Stati laboratorio”, sono state istituite per testare i modelli di controllo prima di un’implementazione più ampia. Il Sudafrica durante l’Apartheid è l’esempio più importante: un’entità razzista al servizio degli interessi occidentali e presentata come “civiltà” in una regione “arretrata”. Ciò nonostante alla fine la Resistenza accumulata e i cambiamenti nell’opinione pubblica globale hanno posto fine alla sua legittimità.
Israele rappresenta un caso avanzato di questo modello: non è stato costruito solo come rifugio per gli ebrei, ma come terreno di prova per nuove strategie coloniali, integrando la tecnologia militare, il controllo demografico e la gestione della popolazione attraverso lo sterminio. Come Walla ha recentemente detto: “Questa è una guerra per il gusto della guerra… L’obiettivo è trasformare 2,2 milioni di abitanti di Gaza in polvere umana nella speranza che se ne vadano“.
Ma come con la caduta dell’Apartheid in Sudafrica e il crollo dell’Occupazione francese in Algeria, Israele si trova di fronte a una crisi simile: il crollo dell’idea fondante che gli ha dato legittimità. Oggi imita le entità razziali-coloniali estinte, cercando di fortificarsi attraverso gli insediamenti, frammentando la Cisgiordania in bantustan e distruggendo i campi profughi. Consuma le aree soggette alle mappe di Oslo.
La Resistenza come Alternativa Storica
Se il “Vecchio Ebreo” come idea fondante della legittimità di Israele è caduto, il brutale “Nuovo Ebreo” può fornire legittimità di sopravvivenza?
La probabile risposta è che il 7 Ottobre ha segnato l’inizio della fine per un progetto coloniale completo.

Israele ha perso la capacità di persistere come idea, non solo come forza materiale. L’immagine della vittima non la protegge più dalla denuncia davanti al mondo. Al contrario, la Resistenza non è semplicemente una reazione all’Occupazione; è una scelta storica che plasma gli eventi e ridisegna il destino dei popoli. È un progetto del movimento di liberazione nazionale Arabo, che traduce la giustizia e la libertà in azioni tangibili, affermando la volontà del popolo attraverso lo spazio e il tempo, confermando che la libertà non è né attesa né concessa, ma forgiata attraverso la volontà, l’azione e la sfida.
Il crollo dell’idea fondante non lascia un vuoto ma apre un nuovo orizzonte: il diritto di esistere è invincibile. Nessun esercito è invincibile; solo un popolo lo è.
Questo è il motivo per cui l’occupazione insiste sullo sterminio, nella cancellazione e distruzione della vita, collegando qualsiasi richiesta di cessate il fuoco alla spoliazione della Resistenza della sua forza principale: il suo popolo, e poi le sue armi. Questo non è un requisito tattico, ma un tentativo di rivendicare una narrazione che l’entità ha già perso. Eppure l’isolamento dell’entità si approfondirà, trasformandola sempre più in uno Stato paria.
Published in “Taqaddum” magazine, Kuwait
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