E’ il tempo in cui i proletari, le masse, si dovranno rendere conto, per esperienza diretta, della situazione in cui siamo e in cui c’è un cambio di passo.
E’ innanzitutto un cambio di passo della borghesia, dell'imperialismo, che tira le somme della sua crisi sistemica sul piano economico, politico, militare, culturale, ideologico, e si rende conto che o afferma il suo potere totalitario e riesce in questa maniera a fronteggiare una crisi epocale e devastante, o è destinata a “perire”. Chiaramente si trova in vantaggio rispetto alle masse, perché le masse non hanno altro oltre che la loro lotta che essenzialmente oggi è spontanea, o inquinata dal riformismo e opportunismo, perché serve la ricostruzione dei loro strumenti politici per opporsi realmente su scala mondiale all'imperialismo e alla sua marcia.
Anche noi comunisti non siamo forti abbastanza, o meglio, siamo quelli che possiamo essere nella dinamica mondiale. Vi è chiaramente uno sviluppo diseguale del movimento comunista, ci sono Paesi in cui i comunisti sono più forti e altri in cui sono allo stadio iniziale.
Noi dobbiamo essere lucidi rispetto a questo. Ci vorrà tempo perché in qualche modo il proletariato e le
sue forze si rimettano in campo e si ripresentino sulla scena della storia per contendere il potere all'imperialismo e alle sue borghesie.Nel 2000 c'è stata la riunione aperta, purtroppo l'ultima riunione seria di quello che era il nostro raggruppamento internazionale, il Movimento Rivoluzionario Internazionalista; in quella occasione abbiamo varato una risoluzione che va riletta, perché nella sua semplicità e chiara, si chiamava infatti “Per un secolo di guerre popolari”. Quindi la dimensione che nel 2000 il nostro movimento ha assunto, la storia di cui noi siamo stati, siamo e saremo parte, è quella della prospettiva di un secolo di guerre popolare, assolutamente necessarie per modificare lo stato di cose esistente, prevedendo la marcia dell'imperialismo verso l’accentuazione della crisi economica e la guerra.
Certo, una cosa è prevedere secondo gli strumenti che abbiamo, che sono scientifici, sono quelli del marxismo-leninismo-maoismo. Una cosa è vedere come si sviluppano realmente, cioè la fenomenologia delle cose diciamo e che corrispondono alle forme anche nuove con cui l'imperialismo, i suoi Stati, i suoi governi, la sua classe dominante si presentano.
Questo paese vive un “lungo inverno” d 50 anni. 50 anni fa c'è stato l'emergere di un movimento rivoluzionario, un tentativo di “assalto a cielo”, un'esperienza storica che resta l'unica esperienza storica rivoluzionaria degli ultimi decenni.
Certo, non è che in questi 50 anni non è successo niente, non ci sono state lotte, ma l'unico movimento rivoluzionario che può mettere in discussione lo stato di cose esistenti è un movimento tipo quello degli anni ‘70.
Per capirci: PeaceLink rispetto al riarmo europeo ha fatto una mozione, una petizione, “noi non ci saremo”, per dire no alla manifestazione per l'Europa del 15, che ha visto tutta una serie di forze collocate nel mondo del pacifismo, dell'ambientalismo da un lato schierarsi con questa manifestazione, dall'altro viverla male. Tante altre persone hanno firmato quella petizione, persone del mondo del pacifismo, anche sincero, ma non ancora radicale. Perchè radicale significa che quando ci sono le guerre, in tempi di riarmo i pacifisti scendono in campo ma ci mettono il corpo, non internet, fanno gli scioperi della fame, si piazzano davanti alle basi militari, ecc. Non si possono proporre petizioni, il mediattivismo quando buona parte di quelli a cui ti rivolgi sono già dall'altra parte.
Negli anni settanta noi abbiamo avuto espressioni molto più radicali all'interno di un movimento a 360° in cui si andava dai “Pannella” che faceva l'ostruzionismo parlamentare, quello vero, e alle Brigate Rosse. Questo movimento era tutto indispensabile e necessario, non aveva un centro unico, diciamo, vi erano tante anime, ma era comunque ispirato da un contesto internazionale in cui il movimento comunista contava sull'eredità della Unione Sovietica, l'eredità della Cina Rossa.
Quindi queste sono le uniche condizioni che possono permettere lo sviluppo in questo Paese, come nella maggior parte dei Paesi del mondo secondo le loro caratteristiche, un movimento rivoluzionario in grado di opporsi alla guerra imperialista, al moderno fascismo; e se non riesce a fermarla, cosa che è la previsione principale, contribuire alla sua trasformazione in una nuova rivoluzione, in tante rivoluzioni e in numerose guerre di popolo.
Se teniamo la testa alta, le cose le vediamo meglio. Se invece siamo infognati e ci basiamo su quello che appare, non riusciamo ad orientarci.
Noi siamo come pesci nell'acqua, siamo nella postazione giusta per poter fare il nostro lavoro, in cui un 10-20% dipende da noi, l'altro dipende dall'avanguardia, e la gran parte dipende dalle masse.
L'unica questione è non finire nel pantano, Lenin insiste su questo nel “Che fare?”. Ci dicono tutti di andare nel pantano e anche tra noi, spontaneamente, c’è una tendenza a stare nel pantano.
Noi stiamo costruendo le nostre nuove tesi, il nostro programma e nello stesso tempo, con la propaganda e l'agitazione, ci rivolgiamo all'avanguardia, facciamo esperienza del rapporto con le avanguardie e via via rendiamo visibile la fisionomia della battaglia che stiamo facendo.
La propaganda e l'agitazione sono il cuore del rapporto con le masse.
Certo, ogni giorno facciamo delle lotte e in questo periodo stiamo facendo più lotte. Ma all'interno però di una linea che non trascura niente. Non ci sono luoghi in cui noi non possiamo fare la nostra battaglia politica e sociale nelle condizioni date, non è che si fa solo quando ci stanno le manifestazioni.
Noi, con i nostri strumenti, con la nostra diretta presenza, dobbiamo dire la nostra e dirla in tutti i luoghi in maniera sistematicamente, continuamente, perché i concetti che vogliamo affermare sono pochi, concentrati, ma si devono affermare misurandoli con le masse.
Quindi, la nostra agitazione e propaganda non è internet, richiede un lavoro autonomo, un lavoro autonomo soprattutto alle fabbriche, perché lì c'è il cuore dei problemi.
Il capitale, i governi ora vogliono trasformare le fabbriche di auto in fabbriche di produzione di armi. Questo avviene in Germania, dove la Rheinmetall vuole acquistare gli stabilimenti in crisi della Volkswagen e trasformarli in stabilimenti per la produzione delle armi e dice che saranno assunti 8mila operai. La stessa cosa è stata proposta nei giorni scorsi allo stabilimento di Cassino, ed è già piuttosto avanzata nel campo dell'Iveco.
Per dire, da mesi e mesi abbiamo parlato dell'economia di guerra, dell'industria di guerra e così via; ora che comincia veramente a vedersi questa trasformazione, ora che veramente questo si vuole fare, per i ritmi imposti dalla contraddizione dell'imperialismo, ecco il momento è nostro.
Queste cose le dobbiamo andare a denunciare, a verificare con gli operai, nei luoghi in cui riusciamo a esserci, utilizzando le forme più opportune. E anche il tipo di proposte che facciamo devono essere adatte ad affermare la giusta posizione.
Questo deve avere dei passaggi concreti. Stiamo dicendo che rispetto alla situazione c'è bisogno di uno sciopero generale, perché lo sciopero generale mettendo in movimento simultaneamente le masse, permeandolo dei temi che sono sul tappeto nel contrasto tra Stato, padroni e ruolo che svolgono i sindacati, i sindacati, è un terreno migliore per la nostra propaganda e agitazione. Se non c'è uno sciopero generale significativo non c'è una vera discussione sui lavoratori su tutte queste questioni.
Tutti stanno dicendo che c'è un cambio di paradigma della situazione. Sta avvenendo in particolare in Europa, e noi siamo parte di questo ambito internazionale.
Quindi, i lavoratori devono essere investiti di questa questione, ma i lavoratori in movimento devono essere investiti e i lavoratori in movimento sono i lavoratori in sciopero. In questo senso diciamo che lo sciopero non è la parola d'ordine massima, è la parola d'ordine “minima”. E su questo centrale sono le fabbriche, che devono mettersi in movimento, e l'unica forma è lo sciopero, in cui trarre anche elementi di inchiesta; non esiste un'inchiesta che non sia in uno sciopero, che non sia in una dinamica che costringe i lavoratori a interessarsi.
Lo sciopero generale contro il riarmo, contro lo scarico della crisi sui lavoratori e le masse popolari, contro il taglio dichiarato dei servizi sociali in funzione del riarmo, contro l’attacco al salario, al lavoro. Noi dobbiamo portare parole d'ordine chiare: lavoro non guerra, ecc., non fare tanti discorsi, e su questo dobbiamo chiamare a mobilitarci, ma dando l'esempio, mettendoci il corpo - alla maniera del movimento delle donne che ha sempre esistito su questo carattere della questione. Ed è questo il lavoro che stiamo facendo, e lo dobbiamo fare seriamente, dobbiamo conquistare forze, conquistare persone, capacità di mobilitazione.
Ci sono in questo mese scadenze nazionali. Il 28 c'è lo sciopero dei metalmeccanici; chiaramente con la direzione dei sindacati confederali non può andare bene, ma non è che ci sia altro. Il nostro problema non è che possiamo dire ai lavoratori di venire a un altro movimento che non c'è, perché non è questo che ci hanno insegnato Marx, Lenin, Mao. Noi dobbiamo dire la parola giusta al movimento che c'è, che ci può piacere come non ci può piacere, ma è della nostra classe, e questa battaglia l'abbiamo da fare innanzitutto nella nostra classe. In questo senso l’indicazione di sciopero generale.
In Grecia c’è stato recentemente il più grande sciopero in Europa; in esso non c'era al centro tutto il sistema sociale, la guerra, la repressione, i cosiddetti “dieci punti” dei sindacati di base, ma i morti sul lavoro. E sono andati centinaia di migliaia, forse un milione di persone e in quel milione di persone l'area di estrema sinistra era alla testa, perché era il luogo in cui potevano esserlo e hanno animato lo sciopero generale con mille pratiche di vario genere che fanno parte di quella mobilitazione che potremmo chiamare “rivolta sociale”, che intorno alla vicenda su cui è nato pensa poi a tutto il sistema.
Se non ci sono lotte di queste dimensioni, non c’è il terreno in cui portare una coscienza della situazione generale.
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