lunedì 4 novembre 2024

pc 4 novembre - L’area del Mediterraneo e dell’Indo-Pacifico nella strategia militare dell’imperialismo italiano e del complesso militare-industriale rappresentato dal governo Meloni-Crosetto

Intervistato dalla rivista della Difesa, RID, il 29/10/2024 l’Amm. Credentino ha chiarito che gli interessi della borghesia imperialista italiana, del suo governo - ora Meloni – e del suo Stato, del suo Presidente di una Repubblica che dell’art. 11 della Costituzione hanno tutti questi (in continuità e sviluppo con i governi precedenti) fatto scempio e carta straccia, che questi interessi spingono a prendere parte alla guerra interimperialista in corso su molte aree del mondo e, per quanto riguarda l’Italia, dal Mediterraneo all’Indo-Pacifico.

Riportiamo alcuni stralci di questa intervista:

- Ammiraglio, partiamo dai fondamentali, come pensate di bilanciare il “doppio impegno” nel Mediterraneo e in Indo-Pacifico?

Partiamo da un presupposto, allora. Il Mediterraneo, come riconosciuto in tutti i documenti strategici della Difesa italiana, è l’area di nostro interesse prioritario e tale resta. Tuttavia, oggi ciò che succede anche in teatri più lontani, come, appunto, l’Indo-Pacifico, si riverbera immediatamente sulla nostra sicurezza e sul nostro benessere. Del resto l’Italia è una media potenza con interessi globali, basata su

un’economia di trasformazione. Per questo, oggi, si potrebbe iniziare tranquillamente a parlare di Mediterraneo globale, proprio a voler sottolineare la stretta interdipendenza tra i 2 scacchieri, determinata dalla necessità – ripeto, per il tipo di Paese che è l'Italia – di dover mantenere “aperti” i mari, garantendo la libertà dei commerci e delle rotte. A ciò aggiungiamo il fatto che il paradigma di riferimento è ormai cambiato e dal continuum pace-crisi-guerra, siamo passati ormai ad un continuum in cui la pace non c’è più, con un “pendolo” che oscilla sempre tra la crisi, più o meno intensa, e la guerra.


……La presenza russa, che, pur non costituendo una minaccia diretta al territorio nazionale, costituisce un oggettivo fattore di preoccupazione e tensione, ci costringe a tenere sempre alta l’attenzione e a mantenere nel Mediterraneo mediamente 6 unità (navi e sommergibili). A ciò aggiungiamo il generale riarmo dei Paesi della sponda sud, alcuni dei quali acquisiscono sistemi d’arma ed equipaggiamenti dalla stessa Russia, e la necessità di proteggere e monitorare le infrastrutture subacquee, cavi e condotte, che, in un mare che per il 75% è profondo meno di 3.000 m, sono raggiungibili potenzialmente da chiunque e, dunque, a rischio atti ostili e sabotaggi. Insomma, il Mediterraneo resta un teatro molto complicato.

in Mar Rosso siamo in guerra. Gli Houthi ci sparano addosso con missili e droni - aerei e di superficie - e noi rispondiamo come abbiamo fatto in questi mesi usando i cannoni e i missili ASTER delle nostre navi, per assolvere alla missione: proteggere il traffico mercantile. Traffico che, proprio a causa dell’attività degli Houthi nel Mar Rosso, si è ridotto di oltre il 40% e questo rappresenta un danno soprattutto per economie fortemente dipendenti dall’esterno come quella italiana. Tra l’altro, se il traffico occidentale si riduce così tanto, quello cinese, le cui navi non vengono attaccate, è cresciuto del 15%, mentre con la minaccia degli Houthi ha rialzato la testa pure la pirateria somala, che fino ad un anno fa era praticamente stata sconfitta.

Anche se gli Houthi sembrano più focalizzati sugli attacchi al territorio israeliano, la minaccia ai cargo mercantili c’è ancora, come dimostra l'ultimo attacco di qualche giorno fa. Inoltre, le loro capacità a livello di intelligence e sorveglianza, e nella “costruzione e valorizzazione” dei profili di attacco, sono migliorate e questo costringe anche noi ad adeguarci e a migliorare. Un conto, infatti, è abbattere dei bersagli in poligono durante l’addestramento, un conto è farlo in uno scenario bellico reale. Per esempio, abbiamo dovuto fare delle modifiche in corsa alla testa in guerra dei proietti da 76 mm e pure ai sensori.

- Veniamo adesso più nel dettaglio dell’Indo-Pacifico, uno scacchiere che ha visto il recente impegno del gruppo portaerei CAVOUR. Quali sono le lezioni e gli ammaestramenti che avete appreso?

 Ciò che accade nell’Indo-Pacifico ha un impatto diretto su di noi. Per questo, come ribadito più volte dall’autorità politica, non ultimo nel recente G7, dobbiamo essere presenti con i nostri gruppi navali e consolidare la partnership con i Paesi della regione, a cominciare dal Giappone. A questo grande Paese asiatico, ci lega non solo la grande cooperazione aeronautica nel GCAP, ma anche la dimensione navale. Per la Marina Nipponica, difatti, con la quale ci siamo addestrati a lungo in questi mesi, rappresentiamo un riferimento per l’impiego dell’F-35B. Del resto, lo hanno acquistato pure loro, per farlo operare dalle 2 portaeromobili IZUMO e KAGA in fase di trasformazione, e per ciò hanno necessità di addestrarsi e familiarizzare con l’impiego delle portaerei e dei gruppi di volo imbarcati, per consolidarne i relativi concetti e la dottrina.

- Insomma, l’Indo- Pacifico sempre più importante…

Lo conferma anche il fatto che insieme a UK e Francia abbiamo avviato un dialogo per coordinare le pianificazioni delle proiezioni dei gruppi portaerei in modo da massimizzare gli effetti della nostra presenza in teatro.

- E poi avremo anche il TRIESTE…

Sì, la nave ci verrà consegnata a breve. Sarà la flagship delle forze anfibie ma sarà in grado di operare con fino a 20 F-35B…….Oggi abbiamo 2 guerre nel giardino di casa e questo ovviamente, dopo gli anni delle missioni di peace keeping e stabilizzazione, ci ha costretti a tornare ad un tipo di training più convenzionale, capace di prepararci a scenari ad alta intensità e multidominio. Un esempio ne sono state le grandi manovre addestrative del maggio scorso con la Marina Francese, quando abbiamo unito la nostra MARE APERTO con la loro POLARIS e per un mese ci siamo confrontati a schema libero con i 2 gruppi portaerei, simulando tutti i possibili scenari di guerra.

2 ulteriori elementi che riguardano l’industria...Il primo è che quando si parla di armi di bordo non ci può più riferire ormai solo al missile per così dire tradizionale, ma anche ad armi laser e ad energia diretta, ad armi di tipo cibernetico, a nuovi sistemi antidrone, a droni-contro-drone, ecc. Insomma, bisogna pensare ad un insieme di capacità e a come svilupparle anche in tempi brevi poiché ce lo impone lo scenario. Il secondo elemento è che l’industria ci deve supportare con un adeguato ritmo di produzione rendendo sostenibile uno sforzo duraturo. Per questo, ho chiesto di avere assieme ad ogni nave una dotazione missilistica e scorte attagliate a scenari sempre più “contestati”: questa è oggi una nostra priorità, mentre in precedenza, come noto, l'armamento rappresentava un’esigenza che veniva sempre dopo. Nel complesso, pertanto, occorre un cambio di mentalità non solo da parte nostra, ma anche da parte dell’industria, come, peraltro, più volte ha ricordato dallo stesso Ministro Crosetto.

- Il problema delle scarse dotazioni missilistiche riguarda un po' tutta l’Europa, che per anni si è crogiolata nei dividendi della pace…

Sì è un problema molto sentito anche in UK e Francia. La guerra nel Mar Rosso lo ha fatto emergere in tutta la sua attualità, così come ha fatto emergere un altro problema, ovvero quello delle ricariche a fronte di un consumo di ordigni non estemporaneo. Gli Inglesi per rifornirsi sono costretti ad andare a Gibilterra, cosa che tiene le navi lontane dal teatro per un mese, mentre noi e i Francesi andiamo a Gibuti. I Francesi per questo stanno sperimentando l’imbarco dei missili direttamente in mare, ma altrettanto faremo noi impiegando le nostre rifornitrici VULCANO con le dovute modifiche. Non è possibile “sganciarsi” dal teatro per andare a rifornirsi, dobbiamo liberarci da certi vincoli!

Nessun commento:

Posta un commento