La manifestazione di Roma del 5 Ottobre ha visto la partecipazione di oltre 7000 compagne e compagni, di lavoratori, di tanti giovani e ha complessivamente interessato 10.000 persone che in molte forme hanno cercato di partecipare a questa manifestazione che il governo ha vietato.
Nella stessa giornata vi sono state manifestazioni di tutto il mondo: a Londra, a New York, a Toronto, Parigi, a Barcellona, a Madrid, a Berlino, ad Amsterdam, a Bruxelles e tante altre che, al di là del loro andamento, sono state molto partecipate e in certe occasioni vi sono stati scontri e tensioni, ma tutte queste manifestazioni erano autorizzate, il governo Meloni invece l'ha vietata. Questa è il primo punto da cui partire.
E perché il governo Meloni ha vietato questa manifestazione? L’ha vietata perché deve dimostrare ai sionisti israeliani, all'imperialismo americano, all'opinione pubblica italiana che si tratta di un governo che ciò che decide fa e che non accetta né dissensi né proteste che non siano quelle volute dal governo nelle forme volute dal governo. Il governo Meloni fa questo perché è fascio-imperialista e filo-sionista.
Le denunce contro il governo Meloni in questa manifestazione ci sono state, ed è stato giustamente gridato lo slogan “Meloni assassina”. Però non sempre viene assunto come chiarezza che questo governo è come tutti i governi imperialisti nel mondo in questa fase ma ha sue caratteristiche specifiche
Gli uomini del governo, i diversi organi di stampa, dicono che “manifestare è giusto, ma non con la violenza”. Ma il punto è che non si poteva manifestare e che l'unica forma con cui si poteva manifestare è violare il divieto e quindi rispondere alla violenza del governo che vieta la manifestazione con un violenza uguale e contraria che chiama al rispetto della libertà di manifestare, alla libertà di solidarizzare col popolo palestinese contro il genocidio.
E’ stato detto che non si poteva manifestare il 5 Ottobre perché era troppo vicino alla scadenza del 7 Ottobre e, di conseguenza, questo sarebbe stato un inneggiamento ad Hamas.
I giornali, soprattutto quelli di area governativa, si sono sbizzarriti in attacchi stupidi, criminali, diffamatori nei confronti dei manifestanti, definiti “figli di Hamas”, “inneggiatori del terrorismo” e così via, quando i manifestanti hanno voluto prendere ed assumere questa data di riferimento per salutare la Resistenza del popolo palestinese in tutte le sue forme, nelle sue organizzazioni, e quello che caratterizza il 7 Ottobre è il diritto alla resistenza. Questo diritto alla resistenza è dovuto a tutti i popoli e, primo fra tutti, al popolo palestinese da 75 anni oppresso, represso, massacrato, rinchiuso in un ghetto da parte del regime sionista di Israele che lì agisce anche come gendarme dell'imperialismo e delle potenze imperialiste in tutta l'area, rivolto a tutte le masse arabe, ai popoli arabi e alle nazioni arabe.
Quindi salutare il 7 Ottobre è salutare la Resistenza e dimostrare l'incondizionato sostegno ad essa. Sono i popoli che decidono in che forme si conduce la Resistenza e le organizzazioni che appoggiano e quelle che non appoggiano. Non è diritto di nessuno, prima di tutto dell'imperialismo, del sionismo, del governo Meloni, della stampa prezzolata, di decidere per il popolo palestinese ciò che è Resistenza e ciò che non lo è.
Poi, mai come questa volta, l'utilizzo della parola “terrorismo” è così infame, perché non si era mai visto, almeno negli ultimi decenni, un terrorismo così dispiegato contro il popolo palestinese: un anno di bombe, di massacri che hanno prodotto 43.000 morti di cui 15.000 bambini, altrettante donne, che hanno prodotto centinaia di migliaia di feriti, di sfollati, hanno bombardato ospedali, scuole ed ogni struttura civile del popolo con lo scopo di esercitare il terrore più dispiegato. Con quale faccia, quindi, si dice di questa manifestazione che “inneggia al terrorismo” quando questa manifestazione ha detto chiaro che l'unico vero terrorismo sono le bombe imperialiste e che contro di esse era giusto e legittimo manifestare?
Hanno partecipato a questa manifestazione da ogni città compagni, realtà di lavoratori, di organizzazioni sindacali di base, di associazioni che hanno animato in tutto il paese un grande movimento di solidarietà alla Palestina in tutti questi anni e in cima ad essi una massa veramente sterminata di giovani, innanzitutto i Giovani Palestinesi che giustamente hanno assunto la paternità insieme a UDAP di tutta la manifestazione, è la gioventù palestinese che ha chiamato a raccolta tutti coloro che volevano, in questa data, scendere in piazza nonostante i divieti. E la gioventù ha risposto, le masse di studenti e di giovani erano nettamente la maggioranza in questa manifestazione ed erano la parte più determinata, come si è dimostrato alla fine di essere, quando sono stati proprio i giovani che hanno lanciato la parola d'ordine del corteo e l'hanno avviato. La stampa si è divertita a cercare di capire chi sono, a usare luoghi comuni come “non li abbiamo visti arrivare” e abbiamo ascoltato dichiarazioni, articoli che tentano a dipingerli in una certa maniera. Quello che è certo che la gioventù proletaria, innanzitutto studentesca, a Roma ha dato una grande dimostrazione non solo di partecipazione insieme a tutti gli altri a questa grande manifestazione, ma anche di determinazione per difendere i diritti del popolo palestinese e per respingere i divieti. C'è un solo modo per respingere i divieti ingiusti: è violarli. La parte finale della manifestazione non è affatto separata, come tutta la stampa borghese ha cercato di dimostrare dall'inizio, le 10.000 persone che hanno manifestato alla fine hanno appoggiato l'azione per fare il corteo e hanno contribuito a respingere, con i giovani in prima fila, l'aggressione violenta della polizia.
I numeri che dice la polizia sono a loro uso e consumo: decine di poliziotti sono stati feriti mentre i manifestanti feriti sarebbero tre o quattro. Non è stato esattamente così, però è vero che i giovani hanno attaccato e quell'attacco è una punta significativa di questa manifestazione.
“Chiunque cerca di distinguere buoni e cattivi - dicono giustamente i Giovani Palestinesi e l’UDAP – di fronte a questo scenario, tra chi si è trovato chiuso in gabbia, c'è chi ha reagito di conseguenza, dice il falso. Rifiutiamo categoricamente la lettura di chiunque imputa la violenza a infiltrati, la violenza è quella che rinchiude più di 10.000 persone in uno spazio confinato, che applica arresti preventivi e che usa lacrimogeni e idranti sulla folla. Rigettiamo categoricamente di dividere il movimento di solidarietà, così come il movimento palestinese, tra buoni e cattivi”.
Questo che hanno detto gli organizzatori della manifestazione, taglia ogni speculazione della stampa delle TV a cui non è sembrato vero di potersi concentrare a descrivere gli scontri, di ignorare l'intera manifestazione e le sue ragioni, espressa da decine e decine di interventi di operai, lavoratori, associazioni, realtà di lotta provenienti da tutta Italia e, come è stato giustamente segnalato, da alcune città lontane, come Palermo e Taranto. Da Taranto sono venuti i lavoratori e lavoratrici che hanno deciso di esserci proprio perché la manifestazione era vietata, proprio perché non si poteva accettare questo divieto di manifestare - certo i lavoratori e le lavoratrici sono ancora pochi in queste manifestazioni, ma sono lavoratori e lavoratrici d'avanguardia, organizzati, hanno fatto interamente la loro parte in questa manifestazione, come testimoniato anche dalla forte presenza di un contingente sindacale classista e combattivo che è rappresentato dal Si Cobas.
Non solo bisogna evitare questa distinzione tra buoni e cattivi ma bisogna dire che i buoni sono i cattivi, cioè i buoni sono coloro che, più coerentemente di ogni altro, contestano il divieto di manifestare attraverso la forma di un corteo.
Noi siamo incondizionatamente dalla parte dei giovani che si sono ribellati, che si sono scontrati con la polizia e hanno cercato di avviare il corteo, ma il corteo è rivendicato da tutti, sia chiaro.
E poi non erano tutti giovani. Proletari comunisti e Slai Cobas per il sindacato di classe c’erano; quelli che sono riusciti ad arrivare perché siamo stati fatti segno, in particolare i compagni di Bergamo, di un'azione volta a impedire che partecipassero attraverso la vicenda dei fogli di via, dei pullman e treni bloccati, e si tratta di compagni operai, sempre in prima fila nel sostegno alla lotta del popolo palestinese, sempre d’avanguardia all'interno delle loro fabbriche, sia in questo sostegno sia nella normale lotta quotidiana.
Noi non siamo giovani, ma a questa fase c'eravamo, eccome. Ed è giusto non solo dire che non accettiamo la divisione tra buoni e cattivi, ma che sosteniamo incondizionatamente, ci consideriamo parte del movimento, con i giovani che hanno violato il divieto e che si sono scontrati con la polizia.
A dir la verità con una particolarità. Noi lo diciamo innanzitutto ai lavoratori e alle lavoratrici, perché è quello il nostro compito come proletari comunisti, Slai Cobas per il sindacato di classe, Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, saremo pochi ma operiamo nelle realtà di lavoratori delle fabbriche, dei posti di lavoro, delle donne lavoratrici che lottano. E tra di essi stiamo portando subito il messaggio della manifestazione, valorizzandola. Sui muri di Taranto ci sono già dei cartelli che dicono la manifestazione è riuscita e ha rotto i divieti, la campagna continua e continua in tutta questa settimana, anche per altre ragioni che spieghiamo dopo.
L'altra questione fondamentale è la pluralità di voci che hanno parlato a questa manifestazione e questa è la cosa giusta e necessaria. Siamo d'accordo con i compagni palestinesi dell’UDAP che nel loro comunicato valorizzano il dato dell'unità, il dato del fronte. Noi siamo assolutamente favorevoli al fronte comune a sostegno della Resistenza palestinese che non significa affatto avere tutte le stesse idee; noi siamo perché all'interno del fronte idee differenti si manifestino perché non hanno a che fare con spiriti di gruppi, ma con l’idea di trovare la forma, i modi per combattere il sionismo, l'imperialismo, per mettere fine al genocidio del popolo palestinese, per combattere all'interno di questo paese i governi e tutti coloro che sostengono il genocidio palestinese, l'industria bellica e perfino quelle università che hanno accettato in maniera indegna di farsi ospiti degli israeliani e della Leonardo e che giustamente gli studenti stanno contestando.
Nello stesso tempo vogliamo dire che una cosa è affermare che il 7 Ottobre è stata una Resistenza, altra cosa è dire che è la Rivoluzione. Certo, ovunque le masse si ribellano, per di più in armi, sostenuti dal loro popolo, di un movimento di carattere rivoluzionario è giusto parlare. Ma “la rivoluzione non è un pranzo di gala”, non è la pura ribellione delle masse nelle forme che storicamente le masse assumono per condurla.
Noi siamo - e il nostro striscione lo diceva chiaro a questa manifestazione – “con la resistenza palestinese/guerra di popolo fino alla vittoria”. Guerra di popolo, perché il punto chiave della vittoria dei popoli è sempre stata la guerra di popolo. Laddove i popoli hanno vinto è perché hanno impugnato le armi della guerra di popolo, dell'armamento delle masse, guidata da un partito delle masse, il Partito Comunista in generale. Questo è vero dalla Cina di Mao al Vietnam, a tutto il gigantesco movimento di liberazione che vi è stato negli anni migliori nello scenario mondiale della lotta tra imperialismo e popoli oppressi.
Noi riteniamo che solo la guerra di popolo è in grado di combattere anche oggi eserciti sofisticati, armati come non mai, che utilizzano tutto l'insieme dell'armamentario tecnologico, frutto degli sviluppi scientifici della produzione per la guerra imperialista; ma proprio per questo solo il popolo può combattere nelle forme migliori questo tipo di guerra. Combattere non significa vincere, non significa che la vittoria è dietro l'angolo. Combattere con la guerra di popolo significa inserirsi nella necessità storica di mettere fine all'imperialismo e la guerra di popolo, innanzitutto nei paesi oppressi dell'imperialismo, e oggi in Palestina, è la via.
Non tutti coloro che hanno partecipato alla manifestazione pensano la stessa cosa, sia nelle file dei compagni che vi partecipano e delle organizzazioni, sia nelle file del movimento palestinese. Tutto questo non è un fattore di divisione, è un fattore di discussione, di lotta, perché anche nelle file del movimento palestinese la lotta c'è.
Su questo, la dissociazione di una parte della comunità palestinese dalla manifestazione del 5 non va assolta, è stato un servizio reso al governo, un'accettazione dei diktat del governo. Per queste associazioni ha contato di più il divieto del governo che non le ragioni del loro popolo. Quindi non sono tutti uguali, e né che ci sarà una nuova manifestazione il 12 - è bene che ci siano e dovunque ci sono manifestazioni le appoggiamo e dove siamo presenti ci siamo - ma non è la stessa cosa. Bisognava esserci il 5 proprio per la partita che essa rappresentava. E questo va detto nelle manifestazioni per la Palestina. Sarebbe un atto di ipocrisia oltre che di ruffianesimo, che deve essere estraneo ai proletari, ai comunisti, alle forze progressiste e tutti coloro che sono realmente dalla parte del movimento palestinese, non dirlo.
Come è una forma di ruffianesimo di gruppi che utilizzano i microfoni della manifestazione per inneggiare, solo per uscire sui giornali, come è il caso del Carc. Noi non siamo affatto d'accordo con questo stile, oltre che per le posizioni che vengono espresse. E questo va detto, perché il fronte deve unirsi, ma si unisce se all'interno riesce ad avere una linea comune in grado di dare forza al movimento e non di frammentarlo e minarlo al suo interno.
L'altra grande questione che ha riguardato la manifestazione, richiamata dal divieto della polizia della manifestazione stessa, è stata quella dei decreti sicurezza.
Questo governo, perché è fascio-imperialista, sta producendo un armamentario repressivo senza precedenti per la storia del nostro paese. Anche i precedenti governi hanno messo su provvedimenti di repressione, e tutti quanti li ricordiamo, come ricordiamo gli anni 70 che, a fronte di un movimento rivoluzionario reale, degli operai e degli studenti e delle manifestazioni che vedevano la netta egemonia dell'ala rivoluzionaria del movimento comunista nel nostro paese, in tutte le sue diverse forme, e si cercò di spegnerlo, di reprimerlo. Una grande campagna fu fatta contro il fermo di polizia - i decreti sicurezza dell'epoca.
Oggi però le condizioni sono differenti e soprattutto va considerato che questo governo non ha nessuna intenzione di fare marcia indietro. In questo senso siamo molto meno ottimisti dei compagni del Si Cobas della Tir che hanno messo su un comitato unitario contro i decreti sicurezza e su questa base fanno una giusta iniziativa dei lavoratori, lo sciopero del 18 e propongono la nuova manifestazione.
Siamo sempre dalla parte di chi sciopera, però è fondamentale oggi capire che noi riusciamo a ottenere dei risultati concreti sia con l'azione diretta come quella messa in mostra nella manifestazione di Roma, sia assumendo come impegno delle forze proletarie del nostro paese, delle forze comuniste rivoluzionarie, di rovesciare il governo Meloni. Non solo perché il mezzo migliore per sostenere il popolo palestinese, ma anche perché è un obiettivo principale in questa fase: per far cadere i decreti sicurezza bisogna far cadere il governo fascio-imperialista. Su questo non c'è stata chiarezza nella manifestazione. E su questo i prossimi giorni e settimane questa chiarezza deve avanzare sulla base dei fatti.
Sicuramente è molto importante che i giovani palestinesi siano parte integrante di questo movimento che contesta i decreti sicurezza, anche perché nella sostanza ne sono e ne saranno vittime. Ma questo non è tutto. Il problema è come rovesciamo il governo dei decreti di sicurezza, della complicità con l'imperialismo, con quali forze sociali e politiche? E su questo la battaglia è purtroppo ancora lunga e richiede che si spostino forze nelle file delle fabbriche, dei posti di lavoro, delle realtà popolari e che si incida anche nelle contraddizioni in seno alla borghesia.
Un governo di stampo fascio-imperialista utilizza ogni occasione per rafforzare l'apparato di repressione della polizia, per colpire tutte le opposizioni, sia quelle sociali che quelle politiche, in particolare per colpire le avanguardie utilizzando un armamentario di stampo fascista e reazionario.
Ma noi dobbiamo conquistare il “nostro popolo” che è fatto di operai e di lavoratori che, sia pure come avanguardie, c'erano anche a Roma e ci potranno essere e ci sono stati in tante manifestazioni per la Palestina; ma non ci sono come soggettività organizzata attraverso le sue forme non solo sindacali ma di organismi necessari su posti di lavoro e nelle fabbriche. Così come dobbiamo conquistare e vincere la battaglia nelle menti delle masse popolari inebetite dalla televisione e dalle campagne reazionarie, che cercano di affermare il pensiero unico del sionismo e dell'imperialismo e cercano di criminalizzare e diffamare tutto ciò che si muove contro il sionismo genocida e imperialismo.
La manifestazione è stata un segnale positivo in questo senso. Un segnale non è già il risultato finale. Ma nessuno dei compagni pensa che sia un risultato finale. È invece una un'occasione, un'opportunità, un input per sviluppare con più forza il movimento di solidarietà alla Palestina e la lotta contro il governo, a partire dai fattori politici di questo governo che sono la complicità col genocidio che sono i decreti sicurezza, che sono la partecipazione di questo governo alla guerra imperialista, ma che è fatta anche di numerosi provvedimenti sociali, il carovita, l'aumento delle tariffe energetiche, l'aumento delle spese militari, il taglio delle spese sociali che fanno parte dello stesso disegno.
Si tratta di far leva su tutto questo per poter dare una vera risposta e continuità alla manifestazione del 5 ottobre.
Abbiamo detto sin dall'inizio che è importante che tutte le forze con la loro fisionomia facciano il loro, non si limitino a partecipare agli eventi comuni, ma che costruiscono la loro attività per dare un contributo all'interno di questo movimento comune.
E questo è il senso della settimana internazionale di azione di solidarietà alla resistenza palestinese e non solo, e di sostegno alle guerre popolari nel mondo, in primis l'India, che comincia il 7 ottobre, indetta da organizzazioni politiche comuniste, marxiste leniniste maoiste, che hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta e cercano nei loro paesi di animarla e dare un contributo al movimento generale, non certo per sostituirsi ai grandi passi che ci sono stati anche nella giornata del 5, ma per caratterizzare il loro impegno specifico nel mettere in campo sia le rivendicazioni sostenute dal popolo palestinese, sia la più generale affermazione della via della Rivoluzione come necessità storica oggi per mettere fine non solo a genocidio palestinese, ma per mettere fine alle guerre, per mettere fine all'orrore senza fine chiamato imperialismo.
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