Le manifestazioni che ci sono state in questi ultimi mesi, settimane che hanno visto la partecipazione di settori di lavoratori, recenti e importanti quelle del 1° Maggio non sono state grosse. In Italia manifestazioni significative ci sono state a Milano, a Roma, a Napoli, a Torino. Certo non quelle dei sindacati confederali che non sono certo la soluzione, anzi sono parte del problema, a causa del loro ruolo negativo in questi anni nel riorganizzare e sviluppare la lotta generale dei lavoratori e dare una base di unità nazionale e internazionale e portare i lavoratori a guardare non soltanto alla loro condizione quotidiana ma alla condizione generale; parliamo delle manifestazioni che altri settori dei lavoratori e del sindacalismo di base di classe, altre forze politiche che si rifanno agli interessi reali dei lavoratori sia sul piano immediato che storico, hanno cercato di dare vita.
Queste manifestazioni e sono state significative, ma non sono in grado di invertire realmente la tendenza che i lavoratori, il movimento proletario in generale, attraversa.
Il segnale positivo è venuto dalle parole d'ordine, dagli striscioni, dalla forte solidarietà con la Palestina. Ma è ancora troppo poco rispetto alla situazione nazionale e internazionale, rispetto ai governi che fronteggiamo in tutti i paesi del mondo, e alle particolarità che ha questo governo Meloni. Troppo poco rispetto al grado necessario di unità, di interesse, di partecipazione, di desiderio di cambiare le cose da parte dei lavoratori. Ma noi non possiamo fare i giudici in astratto, ma essere in
prima fila per cambiare questo stato di cose, pur in una situazione difficile, in cui nessuna delle condizioni pare favorevole da un punto di vista concreto delle possibilità.Tutti siamo capaci di raccontare come vanno male le cose, in che condizioni è il movimento operaio, che succede sui posti di lavoro, nei quartieri, nella vita quotidiana di proletari e masse popolari, tutti, almeno i compagni e compagne, sanno in che mondo stiamo vivendo.
Innanzitutto la tendenza alla guerra, il genocidio in corso in Palestina, e tutto quello che ne consegue non solo sul piano degli effetti sulle condizioni di vita delle masse popolari ma anche sul piano ideologico culturale che è un lato niente affatto da trascurare. Perché non basta che si sta male, che non ne possiamo più, che vorremmo lottare, ma se ciò non avviene ci sono dati anche ideologici, culturali, politici, organizzativi che sono lontani da essere affrontati.
Le condizioni oggettive ci sono tutte perchè lavoratori si ribellino, si uniscano e contestino lo stato delle cose, difendano le loro condizioni di vita e di lavoro, conquistino risultati concreti in materie di lavoro, salario, salute e sicurezza, che mettano in discussione il potere dei padroni, delle classi dominanti e la natura dei governi che, uno dietro l'altro, si affacciano nello scenario politico di questo paese in una versione sempre peggiorata, degradata. Sembrerebbe che dal lato dei governi al peggio non c'è mai fine. Il governo Meloni non è l'ultimo dei governi che i padroni e il loro sistema capitalista/imperialista ci prepara.
Ma ora non vediamo ancora come uscire da questa situazione. Come succederà che i lavoratori invece si organizzano, si ribellano, scioperano, contestano i governi, non si fanno impaurire dalla repressione, dalle minacce di perdita del lavoro, ecc.? Come succederà che a un certo punto questa situazione cambia? Noi siamo comunisti. Dobbiamo dire forte e chiaro quello che serve e dobbiamo fare. Dobbiamo scendere dal cielo della possibilità oggettiva storica di cambiare le cose alla terra di un effettivo cambiamento.
Intorno alla Palestina non c'è soltanto l'indignazione, la rabbia rispetto a quello che sta avvenendo, al massacro coperto da tutte le Istituzioni nazionali e internazionali, a parte ipocrisie di vario genere, per cui un popolo rischia di essere realmente cancellato dalla storia, c'è un movimento di solidarietà che si va sempre più estendendo, un movimento che deve riuscire a trasmettere, a contagiare, oltre che la gravità, l'urgenza di quello che sta avvenendo, paradigma di tutte le oppressioni, la realtà di un popolo che esiste, resiste e potrebbe alzare il livello della ribellione. Basti pensare a come parlano i sionisti di tipo nazista che governano attualmente Israele, quando uccidono un bambino, dicono: quel bambino è un futuro guerrigliero, se non lo uccidiamo poi ricomincerà a lanciare le pietre e a fare un nuovo 7 ottobre.
E’ impressionante quello che succede nelle università americane dove il movimento che si è sviluppato ha un solo paragone storico: il movimento studentesco nelle università americane ai tempi del Vietnam. Le differenze tra il Vietnam di allora e la Palestina di oggi sono tante, così pure il clima mondiale di quegli anni; però questa grande mobilitazione somiglia a quella agli inizi del Vietnam. Le ribellioni dell'Università dell'epoca furono un segnale che contagiò le università in tutti i paesi europei e successivamente il movimento studentesco fece da detonatore e contagiò il movimento operaio in tanti paesi, e in particolare in Italia. Abbiamo avuto il maggio francese, l’”Autunno caldo” in Italia e tante altre pagine di un movimento rivoluzionario che, obiettivamente, dalla fine degli anni 70 ad oggi non si è più ripetuto.
Quindi in questo senso la Palestina è molto di più. La solidarietà internazionale è la cosa principale, la solidarietà umana oltre che politica e sociale, ma è il senso storico di questa situazione che ci deve interessare. Si è posta la possibilità di guardare alle cose con uno spirito differente e, di conseguenza, con un'azione differente. Non è un caso che proprio sulla Palestina tutti i governi imperialisti/capitalisti di ogni genere e tipo sono dalla parte dello Stato di Israele, e i popoli, laddove riescono ad esprimersi, sono dall'altra parte e in tanti paesi fanno della questione della Palestina la questione principale. E questo anche nel nostro paese. Nel nostro piccolo qualcosa sta succedendo. Pensiamo alle contestazioni nelle università. Contestano i legami con lo Stato sionista d'Israele, contestano i legami tra università e Leonardo industria bellica, contestano che le università debbano lavorare per la guerra e in collaborazione “scientifica” con coloro che utilizzano in maniera spudorata la scienza al servizio delle guerre, dei genocidi di ogni genere.
Queste contestazioni sono davvero importanti, vuol dire la speranza dei senza speranza, per tradurre le cose che diciamo in azione nel nostro paese, nella nostra città, nel nostro posto di lavoro. Perché si tratta di rovesciare questo mondo. Non c'è niente da fare, tutte le vie intermedie non ci stanno portando a niente. Non è che non ci stiamo provando, non è che siamo “estremisti” per principio, ma non ci stanno portando ad alcun cambiamento. Non ci stanno portando a difendere i salari che invece peggiorano, a difendere il lavoro che invece peggiora, a difendere perfino le banalità di un contratto a tempo indeterminato che sembra la “luna” per milioni di lavoratori e lavoratrici, a difendere la vita sul posto di lavoro...
Noi dobbiamo riuscire a trovare il bandolo della matassa, dobbiamo intraprendere un sentiero tortuoso, un cammino non tracciato, oppure non riusciremmo a cambiare le cose.
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