e con il presidente della Regione di Fratelli d'Italia ne vedremo altri
Civitanova Marche. Ambulante ucciso a bastonate per un diverbio in strada
Viviana Daloiso sabato 30 luglio 2022
Alika, di origini nigeriane, aveva 39 anni e un figlio piccolo.
In città era conosciuto da tutti
È in corso una manifestazione della comunità nigeriana di Civitanova, proprio nel punto di corso Umberto dove ieri Alika è stato ucciso. Un centinaio di persone hanno affollato la strada, esibendo una foto della vittima e anche uno degli scatti dell’aggressione da parte di Ferlazzo. Una delegazione, tra cui la moglie della vittima Charity Oriachi e l’avvocato Francesco Mantella, legale prima di Alika e ora della sua famiglia, è stata ricevuta in comune dal sindaco Fabrizio Ciarapica. Si respira tanta rabbia tra i manifestanti per la mancanza di reazione da parte dei cittadini presenti al momento dell’omicidio: nessuno infatti è intervenuto per trattenere Ferlazzo, mentre molti si sono limitati a a riprendere la scena con i telefonini.
C’erano tante persone, a passeggio, ieri pomeriggio presto, nel centralissimo corso Umberto I di Civitanova Marche. In un attimo la follia che nessuno avrebbe mai immaginato: un ambulante di origine nigeriane, Alika Ogorchuwku, sussurra qualche parola a una coppia di passanti, l’uomo – italiano – reagisce male. A questo punto scoppia una lite e quest’ultimo inizia a picchiare violentemente Alika, nonostante le urla e l’intervento di alcuni dei testimoni. Usa una stampella – apparteneva al giovane nigeriano, che in quella zona della città era una presenza abituale – come se fosse un’arma. E non si ferma, nemmeno quando la sua preda è a terra: gli salta sopra, lo colpisce alla tesa, gliela schiaccia contro l’asfalto.
Qualcuno ripete: «Così lo uccidi». È una scena terribile: Alika resta immobile sul marciapiede e vengono immediatamente allertate le forze dell’ordine. Che quando arrivano, assieme ai soccorsi, non possono fare più niente: l’ambulante è morto.L’aggressore viene fermato poco dopo: racconta che Alika avrebbe fatto degli apprezzamenti sulla sua fidanzata, che ha perso il controllo. La violenza in risposta di una parola, una reazione che sembra diventata sempre più frequente in questa estate di aggressioni e risse in tante città italiane. Ma che qui, nel cuore delle Marche, pesa molto di più dopo i tanti episodi di razzismo contati nel corso degli ultimi anni, con l’attentato nella vicina Macerata del 2018 a firma di Luca Traini che è ancora una ferita aperta. Proprio un paio di mesi fa, sulle pagine di Avvenire, eravamo tornati a parlare di quei fatti: la Caritas aveva riferito di «un apparente momento di stasi, come il fuoco che cova sotto la cenere». Dove la cenere era la parvenza di solidarietà, arrivata con la guerra e la mobilitazione solidale per il popolo ucraino, il fuoco era invece l’intolleranza e spesso l’odio verso gli africani «di cui facciamo difficoltà anche solo a parlare. Essere buoni con gli ucraini è facile, essere attenti alle persone di colore molto più difficile» spiegava proprio il direttore della Caritas di Macerata, Lorenzo Cerquetella. Un’impressione confermata dalle associazioni che sul territorio si occupano di accoglienza e integrazione dei migranti, sempre meno coinvolte nei bandi, sempre più trascurate dalle istituzioni.
La comunità è sotto choc, i testimoni continuano a ripetere che Alika era benvoluto, che tutti lo conoscevano e che non aveva creato mai problemi: «Avevo seguito io alcune sue vicende, in ultimo quella dell’incidente stradale in cui era stato coinvolto e per cui andava in giro con quella stampella» spiega l’avvocato Francesco Mantella. Alika aveva 39 anni, era sposato con un figlio piccolo, viveva a San Severino ma si spostava spesso su Civitanova «perché diceva che in città c’erano le condizioni migliori di mercato, che lavorava bene lì. Era una persona educata, mansueta, non aveva precedenti di alcun tipo. E non aveva nemmeno problemi economici. Non riesco a capacitarmi di quanto è accaduto». La moglie si è precipitata in ospedale, disperata, accompagnata da alcuni conoscenti.
Don Vinicio Albanesi: "Razzismo e rabbia che si sfogano sui più fragili... i neri vengono accettati soltanto se fanno i lavori più umili. Succede anche ai preti africani: c'è chi non vuole seguire la messa officiata da loro. Ci vuole cultura e fratellanza, a cominciare dallo Ius Scholae"
"Razzismo e disprezzo per la vita, figli di un senso di onnipotenza malato, di una rabbia che si sfoga sui più fragili, sui disabili, contro chi ha la pelle scura, contro le donne". E' piena di amarezza la voce di don Vinicio Albanesi, fondatore della Comunità di Capodarco, il grande polo di welfare che dagli anni Settanta accoglie, in questa frazione marchigiana, eserciti di esclusi ed emarginati Tossicodipendenti e malati mentali, minori non accompagnati e vittime di tratta, rifugiati e immigrati.