La pandemia fa bene ai grandi
padroni industriali e finanziari. Ha fatto e fa decisamente male a milioni di
operai e lavoratori in tutto il mondo…
“Volano utili e ricavi
del colosso siderurgico franco-indiano Arcelor Mittal nel primo
trimestre del 2021.” Dice Il Fatto Quotidiano del 6 maggio, dimenticando di
aggiungere che “volano” anche disoccupazione, precarietà e peggioramento delle
condizioni di lavoro con la tragedia dei 3 morti quotidiani.
“Le vendite hanno
superato i 16
miliardi di dollari (13,2 miliardi di euro), i profitti toccano i 2,3 miliardi di
dollari (1,9 miliardi di euro). I risultati vengono definiti dell’azienda i
‘più solidi del decennio’ e si confrontano con una perdita di oltre un
miliardo dello stesso periodo del 2020.” Ma i padroni piangono sempre miseria e
battono i pugni sui “tavoli” per far passare licenziamenti, cassa integrazione,
aumento dei ritmi ecc. ecc.
“Il balzo di fatturato e
guadagni riflette il forte incremento dei prezzi dell’acciaio, più che
raddoppiato rispetto ad un anno fa in scia alla ripresa dell’attività
produttiva, soprattutto cinese.” La produzione cinese, innanzi tutto, permette
ancora ai padroni di “trovare mercato” dove vendere le proprie merci.
Ma, continua il
quotidiano: “Sono buoni anche i conti della divisione europea: 9,3 miliardi di
dollari di ricavi e margine operativo per 900 milioni.”
E, “Il ministro dello
Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti ha fatto sapere che anche la
divisione italiana di Arcelor Mittal ha registrato buoni risultati nel primo
trimestre.” Nonostante “l’acciaieria più grande d’Europa … al momento lavora a
ritmi molto ridotti.” Ma l’acciaio si vende eccome, e anche più caro… Basti pensare
al settore dell’inscatolamento degli alimenti che si è visto aumentare i prezzi
da 4 milioni per 5 tonnellate a 5 milioni.
Arcelor Mittal, nella
sua strategia di posizionamento mondiale tesa a trarre quanto più profitti
possibili da ogni stabilimento (possibilmente senza tirare fuori nemmeno un
euro, come ha fatto l’ex campione del fascismo padronale, Marchionne, con l’acquisizione
della Chrysler) ha deciso, soprattutto per sganciarsi dai problemi legali ed
evitare gli investimenti nella bonifica di ‘deconsolidare’ lo stabilimento di Taranto che
“Sarà quindi un’entità industriale a se stante i cui risultati non verranno
inclusi nel bilancio dell’intero gruppo…. a seguito dell’ingresso nel capitale
di Invitalia (in sostanza lo Stato, che ha investito 400 milioni, ora possiede
il 50% e salirà ancora nel capitale nel 2022)”, in “sostanza” Arcelor Mittal
prova pure a scaricare le eventuali perdite sul nuovo “padrone”.
Il nuovo padrone, cioè
lo Stato, che salirà ancora nel capitale dell’ex Ilva fino al 60%, ci ricorda,
per bocca del leghista Giorgetti che “Su Taranto e Piombino … ‘Il governo ha un
progetto che si avvarrà sia delle risorse del Pnrr sia delle capacità
tecnologiche offerte dai cosiddetti campioni nazionali che abbiamo. Sono molto ottimista, al netto della
situazione decisamente complicata, basti pensare all’aspetto giudiziario’. Il
riferimento è all’attesa decisione del Consiglio di Stato che il prossimo 13 maggio si pronuncerà
sullo stop dell’area a caldo dell’acciaieria deciso dal Tar di Lecce.”
È proprio ottimista
Giorgetti e si capisce che il governo non ha nessuna intenzione di abbandonare
la produzione di acciaio: “Noi abbiamo un mondo produttivo legato all’acciaio
privato che funziona benissimo – ha ricordato Giorgetti – che è eccellenza, non
faccio nomi. Abbiamo dei problemi grandi in particolare a Taranto e a Piombino, limitatamente a
Terni”. Secondo Giorgetti, il sistema dell’acciaio ad uso dell’industria
italiana, è “parte di un puzzle che deve essere coerente. Stiamo ascoltando
tutti e in tempi relativamente brevi, saremo in grado di presentare un puzzle coerente. Abbiamo tante
debolezze ma anche capacità, lo Stato deve fare la sua parte”.
E come si vede la sta
facendo! Tanto da nominare uno dei maggiori “boiardi di Stato” alla sua
direzione: “A metà maggio dovrebbe insediarsi il nuovo consiglio di
amministrazione di Acciaierie d’Italia, la nuova denominazione dell’impianto
tarantino, che da quel momento sarà guidato da Franco Bernabè, manager di lungo
corso, in passato a capo di Eni e Telecom. Il Recovery plan
italiano stanzia risorse per la conversione dell’impianto con forme di
alimentazione di forni a minore impatto ambientale attraverso una progressiva
dismissione del carbone. Speranza per i circa 8mila dipendenti dello stabilimento,
in larga parte tutt’ora in cassa integrazione.”
La “speranza” che per
gli operai le cose cambino è tutta nelle mani degli operai stessi e questo
quadro generale dice è possibile.