Ieri la carneficina
nel porto di Beirut, in Libano. Due estese esplosioni hanno
provocato centinaia di morti tra la popolazione (attualmente, mentre
scriviamo, sono 113), centinaia sono i dispersi e sotto le macerie,
oltre 4 mila i feriti e gli ospedali sono al collasso, così che
molti vengono curati per strada. Più di 300mila persone sono rimaste
senza casa, distrutta la quasi totalità delle strutture portuali.
Una potenza esplosiva di tale intensità che ha causato un terremoto
di magnitudo 4.5 che si è sentito fino a Cipro, circa 200 chilometri
di distanza.
Con la distruzione del principale deposito di grano del Libano nel
porto di Beirut (dal porto transita la totalità delle merci, l’80%
del grano russo importato, oltre a numerosi beni di prima di
necessità) si mettono le masse libanesi definitivamente in
ginocchio, masse già duramente colpite dalle politiche di un governo al
servizio dei padroni, dei banchieri, assieme all'embargo imposto
dall'imperialismo USA e al cappio al collo dell'FMI. Tutti nodi che
la crisi sanitaria per la pandemia ha stretto maggiormente,
aggravando la fame e la miseria per le masse. "In settembre, dopo un anno
di grave crisi, il 33% per cento della popolazione era precipitato
sotto la soglia relativa di povertà. In marzo sotto la soglia
relativa di povertà si trovava quasi metà della popolazione, il
45%, di cui il 22% in estrema povertà. Tutti i servizi di base sono
allo sfascio. Le principali vie e le piazze restano al buio per
mancanza di energia elettrica. La parabola della società elettrica
libanese, in rosso cronico, inghiottita dalla corruzione, ha fatto sì
che i blackout martoriassero la capitale" (da il sole 24
ore).
Il ministro della
salute libanese ha chiesto ai cittadini di Beirut di lasciare la
città. "I resti dell'esplosione possono avere effetti mortali a
lungo termine". Il governo, con il pretesto dell'esplosione, ha dichiarato lo stato di emergenza per
due settimane e il Consiglio supremo della Difesa sta premendo per
l’invio dell’esercito nella capitale.
Ma le misure
repressive non riescono a fermare l’odio antimperialista e
antigovernativo delle masse libanesi che hanno risposto subito con
manifestazioni e scontri sono avvenuti oggi contro il convoglio
dell'ex premier Hariri a Beirut.
Funzionale allo
stato d’emergenza è l'informazione tossica da parte del governo per il depistaggio, facendo passare la tesi dell'incidente, delle 270
tonnellate di ammonio stoccate al Porto da almeno 6 anni come
possibile causa dell’esplosione - di cui il governo era, dunque, a
conoscenza - ma ben sapendo che il nitrato di ammonio esplode se
combinato con oli combustibili e, in normali condizioni di
stoccaggio e senza calore molto elevato, è difficile che si accenda.
Questo perché è un ossidante: intensifica la combustione e
consente ad altre sostanze di accendersi più rapidamente, ma non è
di per sé molto combustibile.
La rivolta delle
masse, in particolare ad aprile, aveva dato fuoco alle banche, mettendo
in moto un movimento che ha portato alle dimissioni del primo
ministro Saad Hariri. Anche lunedì, non lontano dal luogo
dell'esplosione, i libanesi stavano manifestando – come fanno ormai
dallo scorso autunno - contro gli esasperanti black out che durano
fino a 20 ore al giorno.
Gli arresti dei
dirigenti del Porto sono fumo negli occhi per le masse: i grandi
silos al porto di Beirut erano sopravvissuti sia alla guerra civile
che ai bombardamenti dello stato terrorista d'Israele e la corruzione
era la regola in quello che era conosciuto localmente come la "Grotta di Ali Baba e dei 40 ladroni" per la grande quantità di
fondi statali che sono stati rubati nel corso dei decenni da
funzionari e politici.
Il porto è anche un approdo fisso delle navi
europee che partecipano alla missione Unifil – a cui partecipa
anche l’Italia - pattugliando le coste libanesi.
Se
la dinamica della carneficina è ancora poco chiara è certo che è
avvenuta in un contesto in cui altri fattori
contribuiscono a destabilizzare maggiormente l’area Medio
Orientale.
C’è il ruolo
dello stato terrorista di Israele: tra qualche giorno dopo
oltre 15 anni, c’è la sentenza sull’attentato che ha ammazzato
l’ex premier Rafiq Hariri e
nei giorni scorsi Israele
ha colpito postazioni di Hezbollah a Damasco e sulle alture del Golan
con
il via libera della Russia che li considera alleati scomodi.
Lo
stesso Israele aveva
partecipato
ai bombardamenti,
assieme agli USA, dei
siti
nucleari iraniani e ha un ruolo attivo nella guerra in Libia.
Inoltre c’è la
minaccia imperialista del fascio-imperialista USA, Trump, contro
l’Iran, contro cui impone l’embargo ma anche una sorta di guerra
a bassa intensità, come è successo con l’uccisione mirata del
generale Soleimani, comandante delle Forze al-Quds (il corpo d’élite
della Guardia Rivoluzionaria Islamica). E l’Iran appoggia
Hezbollah
in
Libano, di
cui il nuovo governo di Hassan Diab è espressione.
Questa è la polveriera creata dalle potenze imperialiste (Usa/UE/Russia) e dei governi reazionari dell’area (Israele, Turchia, in primis), e la strage è maturata in questo contesto.
La strage di Beirut richiama in causa le responsabilità dei governi imperialisti che hanno trasformato il Medio Oriente in una gigantesca polveriera per l’egemonia, per il controllo delle risorse energetiche (petrolio/gas), che per i popoli dell’area significa guerra, miseria e ancora più oppressione.
La crisi in cui si dibattono le potenze imperialiste costituisce una minaccia per la vita dei popoli.
Siria, Libia, Mali, Palestina, Libano, l’elenco dei crimini imperialisti è senza fine.
Ci
stringiamo alle masse libanesi
e ci uniamo al loro odio antigovernativo e antimperialista.
Da
parte nostra intensifichiamo la
denuncia e la lotta contro il nostro imperialismo.