E' esemplare l'analisi, di cui riportiamo stralci, fatta dal Direttore di Analisi Difesa agli inizi di maggio, per mostrare come le azioni (e le spese) militari nelle aree strategiche dello Stato imperialista italiano non hanno visto flessioni neanche in questo periodo di emergenza pandemica.
Anzi, i comandi militari alzano immediatamente alte grida alle minime timide richieste, interne anche al governo, di una riduzione momentanea, perchè questo, viene sottolineato, intaccherebbe il ruolo imperialista dell'Italia sulla scena internazionale, dato che "la lotta sui mercati sarà più selvaggia e senza esclusione di colpi. Meglio quindi non ridurre le capacità di difenderci e di tutelare interessi nazionali, quote di mercato e aree di influenza".
Nessuno, quindi, deve permettersi in nome della pandemia, di "ridurre le capacità di difenderci e di tutelare interessi nazionali, quote di mercato e aree di influenza". Anzi - dice questo Direttore - se si vuole contrastare la crisi economica l'incremento della produzione militare è "la tendenza inevitabile, in barba ai pasdaran della “riconversione dell’industria bellica” che animano il pacifismo da oratorio e da casa del popolo".
E ieri Sole 24 Ore dava notizia che alla Fincantieri è "appena arrivato il maxi contratto della Marina Usa per le nuove fregate lanciamissili..."; e si compiaceva che il fronte militare "apre importanti prospettive sull'export, con alleanze con la francese Naval Group e la tedesca ThyssenKrupp" che starebbe valutando la valorizzazione delle sue attività della difesa e in particolare con la Fincantieri il "potenziamento della collaborazione già esistente sui sommergibili. Dove il gruppo di Bono si muove anche con un occhio al mercato domestico... senza dimenticare il lavoro in corso nei cantieri liguri nel piano di potenziamento della flotta della Marina Militare e nella costruzione delle nuove unità militari ordinate dal Qatar...". In soldoni la Fincantieri ha annunciato ricavi per 1,3 miliardi "nonostante la riduzione del fatturato innescata dallo stop temporaneo dei cantieri del gruppo".
F-35, Leonardo e Fincantieri. Chi attacca la difesa?
L’analisi di Gianandrea Gaiani direttore di Analisi Difesa (le sottolineature in neretto sono nostre)
Nella messe di analisi sulle conseguenze del coronavirus spiccano le valutazioni di analisti e osservatori circa gli effetti della pandemia sui conflitti e in molti valutano che il timore del contagio abbia interrotto le guerre in corso mentre l’autorevole Foreign Affairs si chiede se il virus promuoverà la pace nel mondo.
Più che immaginare una pace diffusa, l’ipotesi avanzata è che la condizione di debolezza economica e
sociale delle potenze scaturita dall’epidemia possa rendere la classe politica, soprattutto in Occidente, meno incline a privilegiare gli interessi oltre confine è più disposta a risolvere le controversie con negoziati invece che utilizzando politiche muscolari.
L’idea che il virus abbia fermato i conflitti resta però una vana speranza, come si evince prendendo in esame anche solo le guerre più sanguinose e note.
In Siria lo stop ai combattenti nella provincia nord occidentale di Idlib è in vigore dal 5 marzo in base alla tregua sancita dagli accordi tra russi e turchi, non a causa del virus. Anzi, gli Emirati Arabi Uniti sono pronti a pagare 3 miliardi di dollari a Damasco per indurre Assad a riprendere l’offensiva a Idlib contro le milizie jihadiste sostenute dalla Turchia. Assad non intende entrare in collisione con la Russia, suo grande protettore, ma in queste valutazioni politiche e strategiche il Covid-19 non c’entra nulla.
In Libia il conflitto a noi più vicino imperversa con una violenza senza precedenti. Il governo di Tripoli, spalleggiato da turchi e milizie siriane arruolate da Ankara, è al contrattacco su tutti i fronti: ha riconquistato l’ovest della Tripolitania e punta ora a riprendersi i territori a sud di Tripoli.
Insomma, il virus non porta pace, né ci sono indizi che possa ridurre la conflittualità globale. Anzi, considerando che il crollo delle economie mondiali che si prefigura vedrà aumentare la povertà è facile ipotizzare una escalation della lotta per le risorse.
Le stime del Fondo monetario internazionale prevedono quest’anno in Europa riduzioni del Pil tra il -7,5% e il -12% e la società di consulenza Avascent, specializzata nel settore Aerospazio e Difesa, ha stimato tagli complessivi ai budget della Difesa europei compresi tra i 21 e i 56 miliardi di euro.
Di fatto si tratterrebbe di tagli tra 2 e 5 volte maggiori di quelli che si registrarono agli stanziamenti militari europei in seguito alla crisi finanziaria del 2008 e non è difficile immaginare che le decurtazioni maggiori si registreranno nei paesi più colpiti dall’epidemia, Italia in testa.
Tagliare le spese militari, specie quelle legate all’acquisto di nuovi mezzi, equipaggiamenti e armamenti o di manutenzioni delle dotazioni già in servizio potrebbe rivelarsi un boomerang soprattutto per quegli Stati che hanno un’importante industria del settore Aerospazio e Difesa, come è il caso dell’Italia e delle maggiori potenze economiche.
Tagliare le commesse delle forze armate significa quindi compromettere migliaia di posti di lavoro che richiederebbero interventi pubblici quali cassa integrazione o indennità di disoccupazione con costi certo superiori ai fondi recuperati tagliando risorse alle forze armate.
Speculazioni ideologiche puntano a far leva sull’impatto del virus per conseguire l’obiettivo di sempre: demolire l’industria della Difesa e le capacità militari nazionali.
Un taglio al programma F-35 ridurrebbe compensazioni industriali statunitensi e il carico di lavoro per lo stabilimento FACO di Cameri e le aziende italiane coinvolte e inoltre comporterebbe ulteriori difficoltà nel dialogo con gli Stati Uniti di cui oggi, anche a causa della deriva filo-cinese del governo italiano, non si sente certo il bisogno.
Del resto appare ben chiaro che la crisi determinata dal Covid-19 sta devastando tutto il settore turistico e dei trasporti, incluse crociere e compagnie aeree, e avrà ripercussioni fortissime e prolungate anche sull’industria aeronautica e cantieristica.
Facile quindi prevedere che nei prossimi anni non assisteremo a un boom di ordini di navi da crociera o traghetti né aerei di linea, ragion per cui il mantenimento dei posti di lavoro in aziende di grandi dimensioni quali Fincantieri e Leonardo, con tutto il vasto indotto di piccole e medie imprese (fornitori e subfornitori), dipenderà in larga misura dalle commesse militari acquisite dalle forze armate nazionali e da clienti stranieri, inclusi di navi da guerra, elicotteri, aerei da combattimento, addestramento e trasporto.
Una tendenza inevitabile, in barba ai pasdaran della “riconversione dell’industria bellica” che animano il pacifismo da oratorio e da casa del popolo.
Per questa ragione il recente ordine tedesco per 93 nuovi cacciabombardieri Typhoon costituirà una importante boccata d’ossigeno per tutte le aziende coinvolte nel consorzio Eurofighter, in Italia soprattutto Leonardo ed Elettronica ma anche molte PMI.
Per la stessa ragione sarebbe il caso che il governo si desse una mossa autorizzando la cessione all’Egitto di due fregate FREMM già in servizio nella nostra Marina. Un contratto che Il Cairo sollecita da tempo, che aprirebbe la strada a ulteriori commesse navali e militari egiziane e che attribuirebbe a Fincantieri anche i lavori per realizzare ulteriori nuove unità di rimpiazzo per la Marina Militare dopo il via libera alla realizzazione di due nuovi sottomarini.
In un mondo in crisi economica forse il coronavirus determinerà un rallentamento del processo di globalizzazione, come ritengono alcuni economisti, ma certo la lotta sui mercati sarà più selvaggia e senza esclusione di colpi. Meglio quindi non ridurre le capacità di difenderci e di tutelare interessi nazionali, quote di mercato e aree di influenza.
La tendenza italiana a prendere (o perdere) tempo, ingigantitasi con l’attuale governo, rischia di compromettere molte opportunità sui mercati e nella grande partita sulle aree di influenza. L’esempio più eclatante a questo proposito riguarda la Libia, dove Roma ha perso in pochi mesi quasi tutto il suo peso per noncuranza, distrazione o incapacità.
L’altro grave impatto che il coronavirus potrebbe avere sul mondo della Difesa riguarda, in termini operativi, le ipotesi di ridurre o addirittura azzerare la presenza dei contingenti militari italiani presenti all’estero nei teatri di crisi.
Una scelta che rischierebbe di tradursi in un clamoroso autogol. Un conto è la valutazione dei teatri operativi in cui restare presenti o meno in base a ragioni di interesse nazionale e un altro è utilizzare l’epidemia per giustificare una smobilitazione generale.
Come abbiamo visto, il virus di certo non azzererà guerre e tensioni internazionali ma, superata l’emergenza sanitaria, ritroveremo probabilmente ingigantiti i problemi che abbiamo lasciato prima che la nostra politica e i nostri media decidessero di occuparsi solo di Covid-19.
Nessun commento:
Posta un commento