mercoledì 22 gennaio 2020
pc 22 gennaio - Le masse in Libano ancora in piazza: “la settimana della rabbia” contro crisi economica e corruzione
21 Gennaio 2020
valigiablu.it
Più di 500 persone ferite tra manifestanti e forze dell’ordine. A Beirut, in Libano, le proteste sono diventate violente.
Il culmine sabato e domenica scorsi, 9 ore di scontri al termine di quella che gli organizzatori delle proteste hanno definito una “settimana di rabbia”. Sabato i manifestanti avevano deciso di raggiungere il Parlamento partendo da diversi quartieri della capitale. Prima del loro arrivo, una parte del corteo ha colpito con segnali stradali e rami staccati dagli alberi la polizia in tenuta anti-sommossa.
Gli scontri si sono intensificati nella notte di sabato: i manifestanti hanno lanciato pietre e fatto ricorso a petardi, le forze dell’ordine hanno lanciato gas lacrimogeni, hanno usato il cannone ad acqua per disperdere la folla, e hanno sparato proiettili di gomma.
Un manifestante ha perso l’occhio destro dopo essere stato colpito da un proiettile di gomma, hanno detto i medici. Gruppi per i diritti umani hanno accusato la polizia di usare una forza sproporzionata
per reprimere le manifestazioni: «In soli due giorni abbiamo riscontrato numero e gravità di feriti superiori a tre mesi di proteste», ha dichiarato Aya Majzoub, ricercatrice libanese di Human Rights Watch.
«Abbiamo visto la polizia antisommossa sparare grandi quantità di gas lacrimogeni anche contro i manifestanti che si stavano già disperdendo... Stavano sparando direttamente contro le persone e ci sono filmati chiari che mostrano persone colpite alla testa e ferite gravemente. Siamo molto fortunati che nessuno abbia perso la vita», ha aggiunto Majzoub.
Anche le Nazioni Unite hanno condannato l'uso della forza: «La violenza da parte dei manifestanti e il vandalismo sono ovviamente inaccettabili», ha dichiarato il portavoce delle Nazioni Unite Stephane Dujarric. «Ma la stragrande maggioranza dei manifestanti era pacifica e ha bisogno di protezione», ha aggiunto.
La polizia ha pubblicato le foto degli ufficiali in cura per le ferite provocate da alcuni piloni che i manifestanti stavano lanciando contro il personale di sicurezza. “È totalmente inaccettabile che le proteste si trasformino in un palese attacco alle forze di sicurezza e alle proprietà pubbliche e private”, ha twittato il ministro degli Interni, Raya El Hassan.
I manifestanti hanno rotto le finestre di decine di banche e coperto le loro pareti con slogan anti-governativi.
Domenica, 34 persone arrestate la sera precedente sono state rilasciate. Non è ancora chiaro quante persone sono rimaste in carcere.
Le proteste, iniziate lo scorso ottobre contro la tassa su WhatsApp – un tentativo per raccogliere nuovi fondi e fronteggiare una grave crisi fiscale che aveva spinto tante persone a manifestare nelle strade di Beirut e Tripoli mettendo in crisi il governo di unità nazionale del primo ministro Saad Hariri – si sono rapidamente evolute in un ampio movimento che chiedeva le dimissioni del Presidente e una revisione del sistema politico. Scuole, università e uffici sono rimasti chiusi per settimane mentre centinaia di migliaia di persone in tutto il paese continuavano a scendere in piazza per manifestare contro le condizioni economiche disastrose, l’austerità e la corruzione.
A differenza del passato le proteste hanno coinvolto tutti, dai sunniti agli sciiti: “Nei quartieri sunniti, i manifestanti hanno stracciato i poster di Hariri, il più potente sunnita del paese. Nelle zone a maggioranza sciita del sud del Libano ci sono stati cori contro Nabih Berri, il Presidente del Parlamento, la cui popolarità è solitamente altissima. Nelle zone controllate da Hezbollah sono stati attaccati gli uffici dei parlamentari di Hezbollah”, riportava il New York Times. «Per la prima volta in assoluto il paese è davvero unito», aveva detto alla BBC un manifestante. «Le persone si stanno rendendo conto che un cristiano che vive in estrema povertà non è diverso da un sunnita o sciita che si trova nelle stesse difficili condizioni».
La prima ondata di manifestazioni sembrava essere più vicina a una festa di strada, con decine di migliaia di persone riunite per cantare, ballare e intonare slogan antigovernativi.
A fine ottobre migliaia di persone avevano manifestato pacificamente, formando una catena umana lunga 170 km da Tripoli a Tiro, passando per la capitale Beirut, da nord a sud del Libano per chiedere il rovesciamento delle élite politiche che hanno governato il paese dalla fine della guerra civile (1975-1990) e dare un segnale di unità nazionale.
All’indomani della catena umana, erano arrivate le dimissioni del primo ministro Hariri che fino ad allora aveva resistito al suo posto, ritirando la legge e promettendo importanti riforme economiche che non avevano placato le proteste. Hariri aveva promesso di ridurre la retribuzione dei politici, investire in centrali elettriche e approntare misure per ridurre il debito pubblico. Ma secondo molti manifestanti era troppo tardi: «È tutto così vago. Perché non l'hanno fatto 30 anni fa?», avevano dichiarato alcuni alla BBC.
I libanesi – riportava all’inizio delle proteste sempre il New York Times – hanno molti motivi per protestare: “L’economia è stagnante e costringe molti giovani a emigrare in cerca di lavoro, le discariche e le spiagge sono stracolme di spazzatura e il governo è da tempo incapace di approvare riforme. Ma il mese di settembre ha portato più delusioni del solito: ci sono stati problemi di valuta, una crisi del grano e del gas e il governo si è dimostrato così impreparato da aver dovuto chiedere aiuto ai paesi vicini per spegnere una serie di grossi incendi boschivi”. Il debito pubblico è salito al 150% del PIL, le riserve delle banche centrali sono precipitate del 30% nell'ultimo anno, la moneta si è svalutata rispetto al dollaro in pochi mesi.
E le cose non sono cambiate in questi mesi. «I miei guadagni sono diminuiti senza che io abbia fatto nulla», ha raccontato al Guardian Monia, un’architetta, colpita al naso dalla polizia nelle manifestazioni dello scorso fine settimana. «Il crollo del valore della moneta ha ridotto di un terzo il mio stipendio mentre il prezzo delle merci importate è cresciuto. È insostenibile».
La svalutazione ha portato le banche a imporre controlli sui capitali sia in valuta americana che locale, impedendo alle persone di ritirare più di 300 dollari a settimana e spostando la rabbia delle persone sul sistema bancario. «Voglio essere lì a rompere le porte, a rompere i vetri, a bruciare le banche», ha detto Roula, un altro manifestante sempre al Guardian. «Per quanto sia una persona educata e civile, voglio essere lì a urlare contro i ministri che cenano in ristoranti eleganti con i nostri soldi».
Ieri, alla presenza del presidente del Libano, Michel Aoun, si sono incontrati i ministri dell’Interno e della Difesa e i capi delle forze armate e delle agenzie di sicurezza per trovare delle misure per “scoraggiare” ulteriori violenze e proteggere i manifestanti pacifici. Secondo loro, “infiltrati” hanno attaccato le forze di sicurezza e vandalizzato le banche e le proprietà private. Alcuni cittadini, di risposta, hanno affermato di aver preso parte alle proteste e sui social hanno iniziato ad usare l’hashtag in arabo “Io sono l’infiltrato”, rivelando i propri dettagli personali.
«Le proteste – prosegue Roula – non sono più pacifiche, come prima, perché non vogliono ascoltarci. Stanno cercando di rifare il governo con le stesse persone, come se nulla fosse successo». I manifestanti hanno chiesto la nomina di un gabinetto di esperti senza affiliazione che riformi il sistema politico attuale che, secondo i manifestanti, rafforza la corruzione e arricchisce un piccolo gruppo di élite settarie.
Nel frattempo, Hariri ha invitato i politici a formare rapidamente un nuovo governo e affrontare la crisi finanziaria del Libano. «C’è una tabella di marcia per calmare la rabbia popolare. Basta perdere tempo, bisogna formare un governo e dare il via a nuove soluzioni politiche ed economiche. Mantenere l'esercito, le forze di sicurezza e i manifestanti in uno stato di conflitto significa girare intorno alla questione senza risolverla».
Nessun commento:
Posta un commento