Nel settembre 2015 un gruppo di compagni/e fece irruzione negli uffici della Turkish Airlines dell’aeroporto di Torino-Caselle.
Oggi, proprio mentre in Turchia dilagano purghe e arresti di massa, lo Stato italiano chiede il conto per quell’azione a una decina di compagni/e, con l’accusa di “resistenza, violenza privata, violazione di domicilio”, e con l’imposizione di misure restrittive quali l’obbligo di presentarsi a firmare in commissariato tutti i giorni, due volte al giorno. Ma gli indagati, questa volta, hanno risposto con un rifiuto. Se dunque con questa operazione poliziesca si pensava di mettere un freno alla solidarietà, hanno invece soltanto fornito l’occasione per rilanciarla più forte che mai. Non sarà certo qualche misura di polizia a impedirlo.
Oggi, proprio mentre in Turchia dilagano purghe e arresti di massa, lo Stato italiano chiede il conto per quell’azione a una decina di compagni/e, con l’accusa di “resistenza, violenza privata, violazione di domicilio”, e con l’imposizione di misure restrittive quali l’obbligo di presentarsi a firmare in commissariato tutti i giorni, due volte al giorno. Ma gli indagati, questa volta, hanno risposto con un rifiuto. Se dunque con questa operazione poliziesca si pensava di mettere un freno alla solidarietà, hanno invece soltanto fornito l’occasione per rilanciarla più forte che mai. Non sarà certo qualche misura di polizia a impedirlo.
Intervista
sulla battaglia contro le misure giudiziarie imposte dalla Procura di
Torino, con uno degli indagati per l'irruzione alla Turkish Airlines
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