L’analisi
di un contratto aziendale, se vuole essere un utile contributo alla
discussione e alla riflessione dei lavoratori, dei delegati e
dell’organizzazione sindacale tutta, presenta sempre elementi di
complessità e richiede un’attenta disamina di tutti i fattori in campo.
Questo è ancora più vero se stiamo parlando del gruppo industriale più
importante, assieme a Finmeccanica, della metalmeccanica italiana
aderente a Confindustria (escluso dunque FCA). Allo stesso tempo se non
si vuole scadere nel sindacalese cerchiobottista di più bassa lega,
questa analisi deve concludersi con un giuduzio complessivo da portare
tra i lavoratori che saranno chiamati nei prossimi giorni a decidere con
un voto se approvare o respingere l’accordo siglato il 24 giugno scorso
da azienda e Fim Fiom Uilm (leggi il testo).
Diciamo
pertanto subito con chiarezza che il nostro giudizio sull’intesa raggiunta è fortemente negativo sia nel merito di quanto prevede, sia per le implicazioni politico-sindacali che essa può avere sul prosieguo della trattativa per il rinnovo del contratto nazionale. Pertanto crediamo che un dibattito franco ed esplicito sul merito di questo accordo non possa che aiutare la nostra organizzazione a meglio orientare la propria linea sindacale nelle battaglie che siamo e saremo chiamati ad intraprendere.
La Fiom riconosce il CCNL separato
Su
tutti i punti fondamentali il nuovo accordo peggiora quello precedente
sottoscritto nel 2009 (prima solo da Fim e Uilm, dopo 9 mesi anche dalla
Fiom) e disdettato dall’azienda unilateralmente il 31 marzo 2015.
Tuttavia l’aspetto di maggior gravità, per la sua portata politica
generale, è l’accettazione ed il riconoscimento applicativo da parte
della Fiom del CCNL separato del 5 dicembre 2012 firmato solo da Fim e
Uilm. Recita il testo “[…]a far data dal 1 aprile 2015 presso le società
sopra indicate [cioè Società Fincantieri spa e controllate del gruppo.
Ndr] viene applicato il CCNL per gli addetti dell’industria
metalmeccanica, di data 5 dicembre 2012 […]”. Dunque con un sol tratto
di penna si mettono in soffitta le ragioni di 8 anni di lotte e,
nonostante le sentenze favorevoli, la Fiom acconsente a che nel
principale gruppo industriale metalmeccanico si applichi quel CCNL
ripudiato fino al minuto prima.
Il salario: si torna al pagamento in natura
Sul
salario i peggioramenti sono palesi e tutti nella direzione che anche
Confindustria chiede. Innanzitutto, nonostante i profitti fatti
dall’azienda, non solo non viene dato un euro in più ma addirittura è
certo che se ne daranno molti meno.
Il principio che passa, come dichiarato dall’amministratore delegato Bono, è che i soldi ai lavoratori si danno solo se l’azienda raggiunge determinati risultati. Altrimenti niente. Ma la cosa più grave è che si accetta che parte del salario sia pagato ai lavoratori “in natura”. Da poco l’archeologia ha scoperto una busta paga risalente alla civiltà mesopotamica di Uruk di 5 mila anni fa in cui si pagava l’operaio in natura, all’epoca precisamente in birra (vedi foto). Oggi con l’introduzione del cosiddetto “welfare aziendale” si torna a 5mila anni fa, poiché parte della retribuzione sarà data in non ancora precisati beni di consumo anziché in denaro.In più ogni lavoratore meno sarà presente al lavoro perché malato, in maternità o in infortunio ecc. e più verrà penalizzato. Non solo, i valori di tutti gli indicatori premianti saranno completamente nelle mani aziendali senza alcuna possibilità vera di controllo da parte dei delegati. Ancora peggio, per una parte del personale impiegatizio si istituisce, al posto del Premio di Risultato collettivo, un Piano Obiettivi Gestionali, cioè un salario interamente individuale; vero e proprio colpo al cuore della valenza collettiva del contratto aziendale. Entrando più nel dettaglio, delle 3 voci che nel precedente contratto componevano il Premio di Risultato ( Premio di Efficienza, Premio di Programma e i 69 euro di premio mensile) solo una rimarrà uguale, il premio di efficienza. Non c’è da stupirsi dal momento che è sempre stato l’unico parametro, nonostante sulla carta avesse una cifra massima di 1500euro, i cui obiettivi non sono stati quasi mai raggiunti, nemmeno quelli minimi. Il Premio di programma diventerà invece “Premio di partecipazione” e ammonterà alla stessa cifra dell’accordo precedente, 1208 euro. Però, mentre prima erano soldi che sicuramente i lavoratori avrebbero ricevuto, d’ora in avanti non sarà più così. Metà della cifra DOVREBBE essere raggiunta se si superano almeno 2 dei 3 indicatori di qualità (remark, penali, difetti da lavorare in garanzia, ecc. ecc.). L’altra metà DOVREBBE essere raggiunta se si rispettano i dati dell’indicatore di commessa (ore da rispettare per l’esecuzione di una commessa). Usiamo il condizionale perché in realtà anche qualora questi requisiti fossero superati, il premio verrà dato comunque solo se l’azienda raggiungerà una soglia minima di redditività ( il cosiddetto “EBIT-DA” in pratica in base al bilancio, ricavi e proventi della società). L’eventuale erogazione poi, avverrà comunque nel giugno dell’anno successivo a quello di riferimento in un unica soluzione quando nell’accordo precedente veniva erogato il mese successivo il raggiungimento di uno dei tre obbiettivi. La parte più clamorosa è l’ultima voce. Non verranno più erogati i 69 euro mensili fissi di premio. Al loro posto verrà istituito il Premio sociale di 827 euro pagato in welfare aziendale, ovvero in buoni spesa. Come detto si torna dunque al pagamento in natura.
Diritto di sciopero
L’accordo
prevede un ulteriore giro di vite in merito alla libertà di scioperare.
Esisteva già dal contratto precedente la “clausola di raffreddamento”
che impediva nella sostanza di proclamare sciopero per questioni
aziendali nei primi 3 giorni lavorativi dal sorgere del contenzioso. In
questa tornata tale iter di raffreddamento è stato aumentato a 9 giorni
lavorativi. Certo non sono presenti sanzioni qualora questi tempi
venissero violati (a differenza di quanto previsto invece in FCA) ma
perché accettare un ulteriore aggravamento di questo iter sindacale? A
maggior ragione in un momento in cui è il diritto di sciopero in quanto
tale ad essere sotto attacco da parte del padronato?
Jobs act e flessibilità
Sul
tema del controllo a distanza e della videosorveglianza nel capitolo
“Patrimonio e Know-how Aziendale” si accetta che “l’azienda opererà nel
pieno rispetto delle normative”. Se a questo si aggiunge l’esplicito
riferimento all’art.4 dello statuto dei lavoratori (che ricordiamo
essere stato da poco modificato), risulta palese la volontà aziendale di
utilizzare la normativa introdotta dal jobs act in materia di controllo
a distanza. Volontà avallata dai sindacati.
Sull’orario di lavoro poi, la direzione aziendale si arroga la discrezionalità di decidere, previo un formale quanto inutile esame congiunto non vincolante con il sindacato, di spostare la mezz’ora di pausa mensa a fine turno ovunque lo riterrà necessario.
Appalti e investimenti: precarietà e rischio di esuberi
Per
quanto poi riguarda gli appalti non vi è alcun vincolo inerente la
clausola sociale, ma solo impegni vaghi sommati a pessimi propositi
volti ad incentivare le aziende appaltatrici a sostituire il subappalto
con l’impiego di lavoratori somministrati tramite appositi accordi con
Agenzie di Lavoro. Insomma non si mette in discussione l’eterna gara
alla precarietà più selvaggia in nome del basso costo della manodopera. A
questo si aggiunge la volontà di re-internalizzare le parti della
catena di valore a maggior valore aggiunto oggi date in appalto. Questa
tendenza, ormai sempre più diffusa nelle multinazionali per aumentare i
profitti, non essendo accompagnata da alcun piano di assunzione diretta
di lavoratori, potrà significare una enorme quantità di esuberi nelle
ditte appaltatrici. Questo spiega anche in parte perché, almeno sulla
carta, venga garantita la saturazione di tutti i cantieri italiani. Se e
dove dovranno esserci dei licenziamenti, i primi a farne le spese
saranno i lavoratori di appalti e subappalti. Questo piano tuttavia pur
garantendo prospettive di crescita fino al 2025 in alcun modo garantisce
il futuro industriale dei cantieri lasciando inalterati tutti i
problemi che sono attualmente presenti, ed anzi aggiungendone dei nuovi.
Quale portata ha la firma di questo contratto?
Da
una disamina anche superficiale come la nostra viene da chiedersi quale
sia la ragione che ha spinto la Fiom a sottoscrivere un accordo di
questo genere. A maggior ragione la domanda sorge se si pensa che fino a
poche ore prima della firma la delegazione dei meccanici Cgil dava per
certa una rottura del tavolo. Solo l’intervento della segreteria
nazionale della Fiom e le sue pressioni hanno determinato un altro
epilogo. I presenti alla trattativa raccontano che al suo arrivo per
sbloccare la situazione, il segretario Landini abbia detto “o abbiamo la
forza di bloccare i cantieri oppure bisogna firmare questo accordo”.
Certamente non v’è dubbio che lo stato dei rapporti di forza sia una
componente centrale nella gestione di una vertenza. Tuttavia sorgono
spontanee almeno due obiezioni in proposito. In primo luogo chi può
sapere con certezza l’esito dello scontro? È vero che la mobilitazione
negli scorsi mesi è avvenuta a macchia di leopardo. Ma è altrettanto
vero che dove le lotte si sono organizzate sul serio l’adesione è sempre
stata più che buona. Quindi certamente il costruire una lotta “dura”
avrebbe comportato, come sempre dei rischi, ma perché non tentare di
nuovo provando magari a mettere in campo forme anche più dure di
conflitto?
Secondariamente.
Ammettiamo per un istante che effettivamente i cantieri siano stremati e
non si riesca a sostenere la lotta. È questa una ragione sufficiente
per sottoscrivere un accordo che rappresenta una vera e propria
capitolazione alle volontà aziendali?
Se la logica diventasse questa, allora dovremmo firmare anche il contratto in FCA. Abbiamo per caso in Fiat i rapporti di forza per mettere a ferro e fuoco gli stabilimenti? Avevamo questi rapporti di forza quando decidemmo giustamente di non firmare a Pomigliano? No. Ma come ci siamo opposti allora, così avremmo dovuto opporci oggi e organizzare la lotta e la resistenza nei cantieri. Pare evidente quindi che le ragioni che hanno spinto a firme questo accordo siano anche e soprattutto altre. Non vi è dubbio infatti che quanto oggi accade nel gruppo industriale più importante della metalmeccanica non può che avere un impatto determinante sulla vertenza del contratto nazionale. È evidente che se si fosse profilata, come molti pensavano, un’intesa separata questa avrebbe aperto al rischio di un analogo ennesimo epilogo anche con Federmeccanica. Piuttosto che correre questo rischio la Fiom nazionale ha preferito dare il segnale di essere disposta a rinunciare a molti dei propri principi pur di arrivare al raggiungimento di una intesa unitaria sul CCNL dando così ai padroni un segnale esplicito di enorme debolezza. Segnale che al contrario si sarebbe dovuto in ogni modo evitare di manifestare. Enrico Marro, sempre molto bene informato, in un editoriale di qualche giorno fa ha preannunciato che Federmeccanica a breve riformulerà la propria proposta sul salario per riaprire la trattativa. Non crediamo che questa riformulazione cambierà di molto la sostanza ma la domanda che poniamo a tutto il gruppo dirigente della Fiom è il seguente: se a Fim e Uilm questa proposta, pur essendo palesemente inaccettabile, andasse bene noi cosa faremo? Saremo disposti come in Fincantieri a rinunciare ai nostri principi pur di firmare? Perciò le ragioni che ci spingono ad invitare tutti i lavoratori di Fincantieri a votare NO all’ipotesi di accordo sono due. Da un lato per respingere un evidente peggioramento delle proprie condizioni materiali. Dall’altro per dire a Fim e Uilm ma soprattutto alla Fiom che non si è disposti ad accettare un contratto nazionale a perdere.
Serafino Biondo, Paolo Brini, Sasha Colautti, Eliana Como, Francesco Doro, Stefano Fontana, Antonio Santorelli.
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