giovedì 21 aprile 2016
pc 21 aprile - EGITTO: La polizia uccide per un tè, rivolta al Cairo
«La polizia di Al Sisi è criminale, il Ministero dell’Interno è criminale». Ancora violenza poliziesca da parte del golpista appoggiato dai governi imperialisti, con in prima fila il governo Renzi
20 apr 2016
Un venditore di strada colpito al cuore da una pallottola, la folla si lancia contro i poliziotti. Un altro caso di ribellione, dopo gli slogan “Pane e libertà” cantati venerdì vicino Tahrir. Domani il segretario di Stato Kerry va da al-Sisi
di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Roma, 20 aprile 2016, Nena News – Ucciso per un bicchiere di tè, è subito rivolta: l’uccisione a
sangue freddo di un venditore di strada e il ferimento di due passanti da parte di un poliziotto egiziano hanno portato in strada centinaia di persone. Immagini che riportano alle origini delle primavere arabe in Nord Africa e ai suicidi in piazza di giovani venditori oppressi da povertà e repressione.
Ieri Il Cairo è stato teatro di un omicidio che svela di nuovo la perdita di quel rigido controllo che il regime di al-Sisi ha stretto sulla popolazione. Dopo la manifestazione di massa di venerdì, i sit-in delle famiglie dei giornalisti in prigione, articoli che sulla stampa progovernativa e non svelano le contraddizioni interne del governo egiziano, gli scontri di ieri potrebbero fare da miccia di accensione di nuove rivolte.
Tutto è cominciato da un litigio sul prezzo di un bicchiere di tè: tre poliziotti hanno aggredito verbalmente il venditore, riporta il generale Amer, capo della polizia del distretto di New Cairo, e uno dei tre ha aperto il fuoco. Il venditore di strada è morto sul colpo, centrato al cuore da una pallottola.
L’agente Zeinham Abdel Razek è stato arrestato, ma ormai la rabbia era esplosa: una folla di circa 200 persone si è lanciata sull’auto della polizia, l’ha ribaltata e distrutta, ha picchiato un poliziotto per poi bloccare la strada al grido di «La polizia è criminale, il Ministero dell’Interno è criminale». Secondo un testimone presente sul luogo degli scontri, in un’intervista alla Reuters, le forze di sicurezza hanno circondato la zona e arrestato cinque persone, mentre familiari della vittima colpivano i poliziotti con delle pietre.
Quelle pietre simboleggiano il crescendo di rabbia che investe la popolazione egiziana a cinque anni dalla rivoluzione che aveva fatto immaginare un futuro di democrazia e partecipazione politica. L’escalation di tensioni va in parallelo con le brutalità della polizia, che forte dell’impunità di cui gode stringe la morsa sui cittadini: a febbraio un poliziotto aveva ucciso un tassista, a novembre Ismailiya e Luxor erano state infiammate dalle proteste per la morte in una sola settimana di tre detenuti. Fino allo sdegno locale e internazionale per la barbara uccisione di Giulio Regeni.
Alla violenza dei servizi di sicurezza si aggiungono fame e disoccupazione, una crisi economica che al-Sisi cerca di risolvere con prestiti internazionali e accordi commerciali con i paesi europei. Ma non sono passati inosservati, venerdì intorno ad una Piazza Tahrir blindata e inaccessibile, gli slogan cantati dai manifestanti: «Pane e libertà», le stesse parole che risuonavano nel gennaio del 2011 e che fecero collassare il regime trentennale di Mubarak. «Quanto successo oggi è l’inizio di un movimento popolare contro le decisioni di al-Sisi – ha detto ad al-Monitor l’attivista Ahmed Abdullah – Abbiamo cominciato a rompere le barriere della paura e della disperazione».
Una spinta, quella della rivoluzione del 2011, che forse al-Sisi sperava di aver soffocato prima mostrandosi come il liberatore dal pericolo islamista e poi usando il pugno di ferro. Ma le rivoluzioni sono processi lunghi, complessi, e quella egiziana non è mai giunta alla sua fine: i tentativi di annichilimento delle aspirazioni libertarie e democratiche non riescono nel loro intento. E il 25 aprile, anniversario della liberazione del Sinai, il popolo egiziano promette di tornare di nuovo in strada.
Per ora al-Sisi ha dalla sua il sostegno della comunità internazionale che a condanne di facciata abbina fruttuoso rapporti economici. Il fine settimana ne è stato un esempio chiaro: prima il presidente francese Hollande è tornato a casa con 30 accordi commerciali e 18 memorandum d’intesa in tasca; poi il vice cancelliere tedesco Gabriel ha aperto la strada a collaborazioni militari lungo il confine tra Egitto e Libia.
Oggi tocca a John Kerry, segretario di Stato Usa, impegnato in questi giorni in un tour nelle corti degli alleati mediorientali. Al Cairo incontrerà il presidente e il ministro degli Esteri Shoukry con cui discuterà di questioni di sicurezza regionale, la minaccia del terrorismo di matrice islamista che tiene a galla il golpe egiziano.
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