Da la Repubblica
Morì di fatica nei campi pugliesi: ecco il suo calendario che inguaia i caporali
Paola Clemente annotava ogni giornata di lavoro sul suo calendario. Che adesso è finito tra gli atti dell'inchiesta della Procura di Trani e rischia di mettere nei guai colleghe e agenzie interinali
Un diario lungo due anni rischia di cambiare la storia (giudiziaria e non solo) della morte di Paola Clemente, avvenuta il 13 luglio mentre lavorava in una campagna di Andria. La Procura di Trani ha acquisito il calendario e i taccuini che la bracciante conservava e sui quali appuntava tutti i suoi impegni di lavoro. Un resoconto preciso e giornaliero che inguaia, definitivamente, le società per le quali aveva lavorato, i mediatori e anche alcune sue colleghe di lavoro che in questi mesi hanno raccontato il falso, forse perché sotto le minacce dei caporali.
Come dimostra la pagina di calendario che pubblichiamo, Paola lavorava anche 30 giorni in un mese. A giugno dello scorso anno sono segnate 25 giornate, di cui 21 consecutive. E accanto si trova l'indicazione dell'orario e in alcuni casi anche della ditta e del caporale per i quali prestava servizio. Chiaramente la busta paga di quel mese - ma lo stesso accade anche con altri periodi, tutti oggetto dell'indagine - non corrispondono a quanto appuntato. Nonostante siano bollate da un'agenzia interinale, il ché doveva essere nelle intenzioni del legislatore garanzia di trasparenza. Perché i conti non tornano?
"Evidentemente qualcuno ha barato" spiega uno degli investigatori che in questi mesi stanno lavorando su una maxi inchiesta che rischia di fare esplodere il fenomeno del caporalato in Puglia. L'indagine coordinata dal procuratore capo di Trani, Carlo Maria Capristo, con il suo sostituto Alessandro Pesce, non mira infatti soltanto ad accertare come Paola è morta. Ma appunto alle modalità con le quali lavorava. Al momento nel registro degli indagati sono stati iscritti in due: si tratta dei presunti caporali, le persone cioè che la trasportavano da San Giorgio sino ad Andria. Paola veniva pagata due euro per ogni ora di lavoro, nonostante però avesse un regolare contratto.
Era possibile - questo è il sospetto degli inquirenti - perché venivano contabilizzate meno giornate di quelle effettivamente lavorate in modo da dribblare i controlli, come dimostrano i diari. E anche perché in busta spesso erano appuntati degli anticipi che in realtà la lavoratrice non aveva mai ricevuto. A dare poi una svolta all'indagine anche la dichiarazione di alcune sue amiche: hanno deciso di scacciare le paure, resistere alle pressioni e raccontare agli inquirenti come è possibile vivere da schiave, qui in Puglia.
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