Grazie all'intervento di avvocati, attivisti e operatori sociali che si è evitato un rimpatrio collettivo, probabilmente già programmato dalle autorità italiane in accordo con l'ambasciata della Nigeria e con Frontex. L'operazione denunciata a Repubblica dall'Associazione A Buon Diritto e dalla cooperativa sociale Be Free
ROMA - "Papa Francesco ha detto che respingere i migranti è un atto di guerra, per parafrasarlo direi allora che queste donne sono prigioniere di guerra". Commenta così Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, la vicenda di 68 giovanissine nigeriane, sbarcate a Lampedusa e trasferite in pochi giorni, due settimane fa, al Centro di Identificazione e Espulsione di Ponte Galeria, nella periferia di Roma. Si tratta di ragazze sole, appena maggiorenni e provate da viaggi estenuanti, il cui destino rischiava di cambiare improvvisamente direzione, riportandole nel paese da cui erano fuggite.
Avvocati e attivisti in soccorso. E' grazie all'intervento di avvocati, attivisti e operatori sociali che si è evitato un rimpatrio collettivo, probabilmente già programmato dalle autorità italiane in accordo con l'ambasciata della Nigeria. Un volo coordinato dall'agenzia Frontex, che le avrebbe riconsegnate nelle mani di aguzzini o portate comunque in situazioni di grande rischio. L'operazione è stata denunciata a Repubblica dall'Associazione A Buon Diritto e dalla cooperativa sociale Be Free, che a Ponte Galeria
svolgono attività di consulenza e informazione.
Un segnale preoccupante. "Cose del genere - spiegano da Be Free - non si vedevano dal 2009-2010, all'epoca dei famosi respingimenti in mare per cui l'Italia è stata poi condannata dalla Corte Europea per i Diritti dell'Uomo". Anche allora, sottolineano però, "a Ponte Galeria non arrivavano più di venti donne alla volta". Un segnale preoccupante che, secondo Gabriella Guido della campagna LasciateCIEntrare, reduce da una visita lampo nel centro, "conferma come i Cie siano luoghi di negazione continua del diritto".
Tre mesi di inferno. Le donne hanno raccontato di essere partite tre mesi fa dalla Nigeria e di aver viaggiato fino alla Libia, dove molte avrebbero subito violenze, sarebbero state rapite, incarcerate e costrette a lavori forzati. Una di loro, a quanto riportato dall'operatrice di Be Free Francesca De Masi, dice di essere stata accompagnata da una signora dalla Nigeria a Tripoli, per poi essere consegnata a un uomo che l'ha stuprata, segregata in casa e costretta a prostituirsi. Uno sfruttamento senza sosta, terminato solo con la partenza via mare. "Tutte - spiega però De Masi - dicono di non aver pagato niente per il viaggio fino alla Libia né per imbarcarsi verso l'Italia, segnale chiaro che c'è un'organizzazione criminale che tiene le fila di tutto e che aspetta le donne per sfruttarle in Italia o in altri paesi europei". Gran parte delle giovani sono arrivate a Lampedusa il 17 luglio e portate subito nel Centro di primo soccorso e accoglienza, mentre una decina è sbarcata sull'isola il 22 luglio. E' a quel punto che sono state trasferite in aereo a Roma e chiuse nel Cie.
Persone senza tutela. "Ho capito subito - spiega l'avvocato Jacopo Di Giovanni, che rappresenta 15 delle 68 donne - che un addetto del consolato della Nigeria aveva incontrato le ragazze poche ore dopo l'arrivo al Centro, dando il via libera al rimpatrio". L'operazione è stata sventata all'ultimo minuto, spiegando alle giovani che avrebbero potuto chiedere asilo, un'opzione poi scelta da tutte. "Formalizzare la richiesta d'asilo è stato però molto lungo - spiega Di Giovanni - e ad oggi solo un terzo delle mie clienti ha ottenuto i primi documenti". A preoccupare l'avvocato è anche un decreto di espulsione "emesso ma mai consegnato alle interessate, tanto che non so dove depositare il ricorso contro il provvedimento".
Un rischio automatico. Un segnale ulteriore della mancanza d'attenzione verso donne destinate, nella gran parte dei casi, a rovinarsi la giovinezza sui marciapiedi d'Europa. "Per le ragazze nigeriane il rischio di sfruttamento è quasi automatico, e se rimpatriate possono essere facilmente rintracciate dai trafficanti e subire nuove violenze, possibile dunque - si chiede Francesca De Masi - che le istituzioni non abbiano pensato di proteggerle?".
Tanti "copioni" simili. Trafficanti o scafisti? L'esperienza delle donne destinate al mercato del sesso segue copioni tragicamente simili: ricattate fisicamente e psicologicamente dai trafficanti, di cui spesso non conoscono la verà identità, vengono fatte viaggiare gratis dall'Africa all'Europa e, una volta arrivate, gli si dice che hanno un debito di diverse decine di migliaia di euro. Per rimborsarlo, dovranno prostituirsi per anni.
"Il paradosso delle Procure sicliane". "La legge anti-tratta italiana prevede una protezione delle vittime, tramite il disposto dell'articolo 18 - spiega Francesca De Masi - ma oggi assistiamo a un paradosso: le procure siciliane assegnano la protezione a chi denuncia gli scafisti, mentre le vittime della tratta, come queste donne, rischiano di tornare nelle mani dei trafficanti". Uno stravolgimento della norma, che finirebbe per assimiliare "la tratta, che è un reato contro la persona, da accostare alla riduzione in schiavitù, al traffico di persone, reato contro lo stato, finalizzato non a sfruttare ma a traghettare i migranti da una sponda all'altra".
Il campanello d'allarme nei dati. Anche i dati fanno suonare un campanello d'allarme: nel 2015 si è infatti triplicato, secondo l'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, il numero di nigeriane arrivate via mare rispetto allo stesso periodo del 2014..
Profughi nei Cie. Le prime donne saranno ascoltate dalla Commissione per l'Asilo dopo Ferragosto, ma per la coordinatrice di LasciateCIEntrare Gabriella Guido, "la situazione di paura in cui vivono, dentro una struttura completamente inadeguata e senza un sostegno legale e sociale, rischia di rendere inefficace anche la richiesta d'asilo". Riaprendo definitivamente l'ipotesi del rimpatrio e la riconsegna delle ragazze nelle mani di sfruttatori senza scrupoli. Una preoccupazione condivisa dal senatore Manconi, che ha parlato a Repubblica di "una tragedia irreparabile, in cui queste donne sono due volte vittime: dei trafficanti e del sistema detentivo dei Cie, mentre avrebbero bisogno di un trattamento completamente diverso".
Ai Cie associata l'idea di pericolosità sociale."l'intenzione ormai chiara del governo di usare i Cie per i profughi, ampliando in qualche modo l'idea di una pericolosità sociale di queste persone". E mettendo in un angolo la speranza che i Centri di Identificazione e Espulsione, "luoghi di detenzione, fuori dalla legge e dal tempo, fossero definitivamente chiusi". Una strada già intrapresa dalla prefettura di Trapani, che intende trasformare il Cie della provincia, uno dei cinque in Italia, in "hotspot" per migranti appena sbarcati, raddoppiandone la capienza.
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