Il
6 luglio il ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano
Poletti sarà ospite della Festa dell'Unità di Cremona; invitato per
partecipare ad un incontro dal titolo “RIFORME. Le proposte del PD”.
Il primo dei decreti legge in cui si sta traducendo il Jobs Act approvato dal Governo (primavera 2014) è stato il DL 34/14 che interviene sulla disciplina di: contratti a termine, apprendistato, durc e contratti di solidarietà. Il decreto che prende il nome dal ministro Poletti (ex-presidente di Legacoop, ovvero del gruppo di cui fa parte la Coop, leader della GDO in Italia) non a caso parte occupandosi dei contratti a tempo determinato e dall’apprendistato (e non per esempio del contratto unico o degli ammortizzatori sociali).
Già nel 2013 Renzi, appena eletto, proponeva come soluzione alla crisi economica e alla disoccupazione, l'avvio di una campagna di semplificazione della normativa per facilitare le assunzioni di lavoratori da parte delle imprese. In realtà l’obiettivo del provvedimento, targato Poletti, non è altro che l’aumento ulteriore della precarietà e l’abbassamento dei salari.
Ma come? Seguendo il testo del decreto e ben consapevoli delle condizioni di lavoro che viviamo cerchiamo di fare chiarezza:
- I contratti a termine, in cui non è necessario giustificare le ragioni tecniche o produttive della temporalità del rapporto di lavoro, potranno durare trentasei mesi (e non più dodici)
- Nell’arco di questi tre anni, i contratti potranno essere rinnovati ben cinque volte (e non più una).
- La percentuale di lavoratori a termine, di norma, non dovrà superare il 20% del totale, ma di fatto questa disposizione è facilmente aggirabile grazie alle ampie eccezioni previste nell’art. 10 del dl 368/01. Per le aziende che superano questa soglia non c’è più l’obbligo di assumere il lavoratore, bensì una semplice sanzione pecuniaria che può andare dal 20 al 50% dello stipendio previsto per il contratto a termine. Ma tale sanzione non andrà al lavoratore, come avveniva in passato, ma allo Stato. Il tentativo è quello di armonizzare il lavoro a tempo determinato con quello delle agenzie interinali.
- Per i contratti di apprendistato vengono eliminati i “vincoli” previsti (art.2, comma 3bis e 3ter, del dlgs 167/11). D’ora in avanti, sarà possibile disporre di “apprendisti usa e getta”, poiché sale da 30 a 50 il numero minimo dei dipendenti che un’azienda deve avere per essere obbligata ad assumere definitivamente il 20% degli apprendisti prima di prenderne di nuovi. Viene contestualmente eliminato anche l’obbligo di mantenere un rapporto di 3 a 2 “rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro”.
- Si prevede una retribuzione misera per gli studenti che svolgono l’apprendistato nell’ambito del proprio percorso formativo (“per la qualifica e per il diploma professionale”) pari al 35% di quella ordinaria.
- Il mondo delle imprese potrà contare su 15 milioni d’euro l’anno, attraverso sgravi contributivi, per applicare i contratti di solidarietà. Contratti a termine e apprendistato vengono così ancora una volta incoraggiati per garantire ai padroni un bel bacino di lavoratori precari, facilmente sostituibili e ben lontani dal “tempo indeterminato”.
Questa precarietà indebolisce tutti, anche i lavoratori “garantiti”, per tre ragioni:
1) poiché l’introduzione di altre forme contrattuali all’interno dello stesso posto di lavoro può spezzare il fronte di lotta e la capacità di determinare gli esiti delle vertenze e della contrattazione.
2) sia perché, e già si vede in moltissimi contesti lavorativi, da parte delle aziende viene utilizzata la retorica della “parità di trattamento”, ma ovviamente sempre al ribasso, a svantaggio dei lavoratori, come già successe con l'innalzamento dell'età pensionabile, così che per “rispondere ad equità” venne equiparata quella femminile a quella maschile, e non viceversa; ora, già si sente proporre un abbassamento degli stipendi dei più anziani perché “non è giusto che prendano più dei giovani appena inseriti”.
3) e perché nella situazione attuale di: licenziamenti collettivi, chiusure, delocalizzazioni e considerando i progetti per semplificare licenziamenti individuali e collettivi (la cosiddetta “flessibilità in uscita”); il problema di reinserirsi a queste nuove condizioni altamente precarie si fa presente anche per moltissimi che, non più giovani, vengono espulsi dal mondo del lavoro e sono costretti a cercare una nuova occupazione.
Conosciamo bene l’obbiettivo delle riforme che vorrebbe imporre il governo, abbiamo imparato sulla nostra pelle cosa sia realmente la flessibilità tanto osannata dal ministro Poletti, che si traduce in precarietà per milioni di giovani e non, abbiamo sperimentato cosa voglia dire arrangiarsi tra un lavoro saltuario e l'altro, passando mesi a cercare un lavoro stabile senza alcun risultato. Abbiamo conosciuto le condizioni lavorative e salariali nelle cooperative tanto care all'ex presidente di Legacoop, dove caporalato e schiavismo non sono riusciti a bloccare ed arginare le lotte dei facchini che pretendevano diritti e dignità! Siamo inorriditi di fronte alla foto, ormai arcinota, del ministro Poletti a cena con Buzzi, capo della mafia capitolina insieme al noto fascista Massimo Carminati.
Indignarsi per tutto ciò è importante, ma non basta più!
Il 6 luglio vogliamo andare in tanti e tante a dire in faccia al ministro Poletti che alle loro bugie e prepotenze non siamo più disposti a credere e cedere!
Le sue bugie le vada a raccontare a qualcun altro!
A Cremona chi precarizza e sfrutta non è il benvenuto!
Per questo invitiamo tutti e tutte ad animare e a partecipare al presidio di contestazione!
Concentramento ore 19:30 Via Del Sale "ingresso Ostello"
Il primo dei decreti legge in cui si sta traducendo il Jobs Act approvato dal Governo (primavera 2014) è stato il DL 34/14 che interviene sulla disciplina di: contratti a termine, apprendistato, durc e contratti di solidarietà. Il decreto che prende il nome dal ministro Poletti (ex-presidente di Legacoop, ovvero del gruppo di cui fa parte la Coop, leader della GDO in Italia) non a caso parte occupandosi dei contratti a tempo determinato e dall’apprendistato (e non per esempio del contratto unico o degli ammortizzatori sociali).
Già nel 2013 Renzi, appena eletto, proponeva come soluzione alla crisi economica e alla disoccupazione, l'avvio di una campagna di semplificazione della normativa per facilitare le assunzioni di lavoratori da parte delle imprese. In realtà l’obiettivo del provvedimento, targato Poletti, non è altro che l’aumento ulteriore della precarietà e l’abbassamento dei salari.
Ma come? Seguendo il testo del decreto e ben consapevoli delle condizioni di lavoro che viviamo cerchiamo di fare chiarezza:
- I contratti a termine, in cui non è necessario giustificare le ragioni tecniche o produttive della temporalità del rapporto di lavoro, potranno durare trentasei mesi (e non più dodici)
- Nell’arco di questi tre anni, i contratti potranno essere rinnovati ben cinque volte (e non più una).
- La percentuale di lavoratori a termine, di norma, non dovrà superare il 20% del totale, ma di fatto questa disposizione è facilmente aggirabile grazie alle ampie eccezioni previste nell’art. 10 del dl 368/01. Per le aziende che superano questa soglia non c’è più l’obbligo di assumere il lavoratore, bensì una semplice sanzione pecuniaria che può andare dal 20 al 50% dello stipendio previsto per il contratto a termine. Ma tale sanzione non andrà al lavoratore, come avveniva in passato, ma allo Stato. Il tentativo è quello di armonizzare il lavoro a tempo determinato con quello delle agenzie interinali.
- Per i contratti di apprendistato vengono eliminati i “vincoli” previsti (art.2, comma 3bis e 3ter, del dlgs 167/11). D’ora in avanti, sarà possibile disporre di “apprendisti usa e getta”, poiché sale da 30 a 50 il numero minimo dei dipendenti che un’azienda deve avere per essere obbligata ad assumere definitivamente il 20% degli apprendisti prima di prenderne di nuovi. Viene contestualmente eliminato anche l’obbligo di mantenere un rapporto di 3 a 2 “rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro”.
- Si prevede una retribuzione misera per gli studenti che svolgono l’apprendistato nell’ambito del proprio percorso formativo (“per la qualifica e per il diploma professionale”) pari al 35% di quella ordinaria.
- Il mondo delle imprese potrà contare su 15 milioni d’euro l’anno, attraverso sgravi contributivi, per applicare i contratti di solidarietà. Contratti a termine e apprendistato vengono così ancora una volta incoraggiati per garantire ai padroni un bel bacino di lavoratori precari, facilmente sostituibili e ben lontani dal “tempo indeterminato”.
Questa precarietà indebolisce tutti, anche i lavoratori “garantiti”, per tre ragioni:
1) poiché l’introduzione di altre forme contrattuali all’interno dello stesso posto di lavoro può spezzare il fronte di lotta e la capacità di determinare gli esiti delle vertenze e della contrattazione.
2) sia perché, e già si vede in moltissimi contesti lavorativi, da parte delle aziende viene utilizzata la retorica della “parità di trattamento”, ma ovviamente sempre al ribasso, a svantaggio dei lavoratori, come già successe con l'innalzamento dell'età pensionabile, così che per “rispondere ad equità” venne equiparata quella femminile a quella maschile, e non viceversa; ora, già si sente proporre un abbassamento degli stipendi dei più anziani perché “non è giusto che prendano più dei giovani appena inseriti”.
3) e perché nella situazione attuale di: licenziamenti collettivi, chiusure, delocalizzazioni e considerando i progetti per semplificare licenziamenti individuali e collettivi (la cosiddetta “flessibilità in uscita”); il problema di reinserirsi a queste nuove condizioni altamente precarie si fa presente anche per moltissimi che, non più giovani, vengono espulsi dal mondo del lavoro e sono costretti a cercare una nuova occupazione.
Conosciamo bene l’obbiettivo delle riforme che vorrebbe imporre il governo, abbiamo imparato sulla nostra pelle cosa sia realmente la flessibilità tanto osannata dal ministro Poletti, che si traduce in precarietà per milioni di giovani e non, abbiamo sperimentato cosa voglia dire arrangiarsi tra un lavoro saltuario e l'altro, passando mesi a cercare un lavoro stabile senza alcun risultato. Abbiamo conosciuto le condizioni lavorative e salariali nelle cooperative tanto care all'ex presidente di Legacoop, dove caporalato e schiavismo non sono riusciti a bloccare ed arginare le lotte dei facchini che pretendevano diritti e dignità! Siamo inorriditi di fronte alla foto, ormai arcinota, del ministro Poletti a cena con Buzzi, capo della mafia capitolina insieme al noto fascista Massimo Carminati.
Indignarsi per tutto ciò è importante, ma non basta più!
Il 6 luglio vogliamo andare in tanti e tante a dire in faccia al ministro Poletti che alle loro bugie e prepotenze non siamo più disposti a credere e cedere!
Le sue bugie le vada a raccontare a qualcun altro!
A Cremona chi precarizza e sfrutta non è il benvenuto!
Per questo invitiamo tutti e tutte ad animare e a partecipare al presidio di contestazione!
Concentramento ore 19:30 Via Del Sale "ingresso Ostello"
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