Quarantuno anni sono sempre troppi, per avere una sentenza
su una strage che ha fatto 8 morti e 102 feriti. Se poi questa arriva a
sancire quel che già si sapeva, a carico di due persone già indagate,
processate e incredibilmene assolte, è necessario concluderne che lo
Stato – in prima persona e ai massimi livelli – ha fatto di tutto per
far arrivare questa sentenza fuori tempo massimo, nella speranza che
tutti gli imputati passassero a miglior vita.
Invece ne erano rimasti due. Maurizio Tramonte, all'epoca della
strage di Brescia appena 21enne, ma già fascista militante e informatore
dei servizi segreti, e Carlo Maria Maggi, 81 enne medico veneto, a suo
tempo “ispettore politico” di Ordine Nuovo.
Scomparso invece il “pentito”, quel Mario Digilio che confezionò
personalmente quasi tutte le bombe delle stragi di stato degli anni '70,
da Piazza Fontana in poi, fascista e agente dei servizi segreti
italiani e statunitensi (dipendeva dal comando Nato-Ftase di Verona),
che vuotò il sacco solo quando scoprì d'essere ormai in punto di morte.
Morto anche Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo e poi segretario
del Movimento Sociale Italiano, appena prima che Gianfranco Fini
promuovesse la “svolta di Fiuggi”. Ma aveva fatto in tempo ad essere
assolto, come Franco Freda e Giovanni Ventura, poi scomparso in
Argentina. Morto il generale dei carabinieri Francesco Delfino, poi
dirigente del Sismi, naturalmente assolto per aver lungamente depistato
le indagini sulla strage (dov'era in servizio nel 1974). è invece ancora
vivo anche Delfo Zorzi, autore materiale della strage di Piazza
Fontana, ma assolto per quella come per Brescia, fatto rifugiare in
Giappone, dove ha fatto successo come imprenditore, col nome di Hagen
Roi, senza che ne sia mai stata chiesta l'estradizione.
Si potrebbe andare avanti a lungo, ma ci basta rinviare alla
sterminata documentazione esistente in materia, quasi interamente
ascrivibile alle controinchieste del movimento rivoluzionario di quegli
anni, riprese e trasformate in indagini dal giudice Guido Salvini.
Dopo tanto tempo, non ci sono parole che non siano state dette.
Questo Stato, quello di allora in perfetta continuità con quello di
oggi, ha ordinato stragi, le ha fatte eseguire a gruppetti di fascisti
quasi sempre arruolati come “informatori”, infiltrati o semplici agenti
dei servizi di intelligence. Questo Stato ha poi protetto - a
volte goffamente, come avviene a chi si sente troppo potente per curarsi
di non lasciare troppe tracce nei reati che commette – gli autori delle
stragi depistando le non molte indagini che puntavano a scoprire gli
assassini. Questo Stato ha protetto i depistatori, consentendo loro
notevoli carriere, secondo il classico schema dell'esecutore che ha
molto da dire sul proprio mandante.
Quarantuno anni sono sempre troppi, per avere una sentenza
su una strage che ha fatto 8 morti e 102 feriti. Se poi questa arriva a
sancire quel che già si sapeva, a carico di due persone già indagate,
processate e incredibilmene assolte, è necessario concluderne che lo
Stato – in prima persona e ai massimi livelli – ha fatto di tutto per
far arrivare questa sentenza fuori tempo massimo, nella speranza che
tutti gli imputati passassero a miglior vita.
Invece ne erano rimasti due. Maurizio Tramonte, all'epoca della strage di Brescia appena 21enne, ma già fascista militante e informatore dei servizi segreti, e Carlo Maria Maggi, 81 enne medico veneto, a suo tempo “ispettore politico” di Ordine Nuovo.
Scomparso invece il “pentito”, quel Mario Digilio che confezionò personalmente quasi tutte le bombe delle stragi di stato degli anni '70, da Piazza Fontana in poi, fascista e agente dei servizi segreti italiani e statunitensi (dipendeva dal comando Nato-Ftase di Verona), che vuotò il sacco solo quando scoprì d'essere ormai in punto di morte.
Morto anche Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo e poi segretario del Movimento Sociale Italiano, appena prima che Gianfranco Fini promuovesse la “svolta di Fiuggi”. Ma aveva fatto in tempo ad essere assolto, come Franco Freda e Giovanni Ventura, poi scomparso in Argentina. Morto il generale dei carabinieri Francesco Delfino, poi dirigente del Sismi, naturalmente assolto per aver lungamente depistato le indagini sulla strage (dov'era in servizio nel 1974). è invece ancora vivo anche Delfo Zorzi, autore materiale della strage di Piazza Fontana, ma assolto per quella come per Brescia, fatto rifugiare in Giappone, dove ha fatto successo come imprenditore, col nome di Hagen Roi, senza che ne sia mai stata chiesta l'estradizione.
Si potrebbe andare avanti a lungo, ma ci basta rinviare alla sterminata documentazione esistente in materia, quasi interamente ascrivibile alle controinchieste del movimento rivoluzionario di quegli anni, riprese e trasformate in indagini dal giudice Guido Salvini.
Dopo tanto tempo, non ci sono parole che non siano state dette.
Questo Stato, quello di allora in perfetta continuità con quello di oggi, ha ordinato stragi, le ha fatte eseguire a gruppetti di fascisti quasi sempre arruolati come “informatori”, infiltrati o semplici agenti dei servizi di intelligence. Questo Stato ha poi protetto - a volte goffamente, come avviene a chi si sente troppo potente per curarsi di non lasciare troppe tracce nei reati che commette – gli autori delle stragi depistando le non molte indagini che puntavano a scoprire gli assassini. Questo Stato ha protetto i depistatori, consentendo loro notevoli carriere, secondo il classico schema dell'esecutore che ha molto da dire sul proprio mandante.
Invece ne erano rimasti due. Maurizio Tramonte, all'epoca della strage di Brescia appena 21enne, ma già fascista militante e informatore dei servizi segreti, e Carlo Maria Maggi, 81 enne medico veneto, a suo tempo “ispettore politico” di Ordine Nuovo.
Scomparso invece il “pentito”, quel Mario Digilio che confezionò personalmente quasi tutte le bombe delle stragi di stato degli anni '70, da Piazza Fontana in poi, fascista e agente dei servizi segreti italiani e statunitensi (dipendeva dal comando Nato-Ftase di Verona), che vuotò il sacco solo quando scoprì d'essere ormai in punto di morte.
Morto anche Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo e poi segretario del Movimento Sociale Italiano, appena prima che Gianfranco Fini promuovesse la “svolta di Fiuggi”. Ma aveva fatto in tempo ad essere assolto, come Franco Freda e Giovanni Ventura, poi scomparso in Argentina. Morto il generale dei carabinieri Francesco Delfino, poi dirigente del Sismi, naturalmente assolto per aver lungamente depistato le indagini sulla strage (dov'era in servizio nel 1974). è invece ancora vivo anche Delfo Zorzi, autore materiale della strage di Piazza Fontana, ma assolto per quella come per Brescia, fatto rifugiare in Giappone, dove ha fatto successo come imprenditore, col nome di Hagen Roi, senza che ne sia mai stata chiesta l'estradizione.
Si potrebbe andare avanti a lungo, ma ci basta rinviare alla sterminata documentazione esistente in materia, quasi interamente ascrivibile alle controinchieste del movimento rivoluzionario di quegli anni, riprese e trasformate in indagini dal giudice Guido Salvini.
Dopo tanto tempo, non ci sono parole che non siano state dette.
Questo Stato, quello di allora in perfetta continuità con quello di oggi, ha ordinato stragi, le ha fatte eseguire a gruppetti di fascisti quasi sempre arruolati come “informatori”, infiltrati o semplici agenti dei servizi di intelligence. Questo Stato ha poi protetto - a volte goffamente, come avviene a chi si sente troppo potente per curarsi di non lasciare troppe tracce nei reati che commette – gli autori delle stragi depistando le non molte indagini che puntavano a scoprire gli assassini. Questo Stato ha protetto i depistatori, consentendo loro notevoli carriere, secondo il classico schema dell'esecutore che ha molto da dire sul proprio mandante.
- Sergio Cararo
- contropiano
La sentenza sulla strage di
piazza della Loggia a Brescia, riapre un capitolo della storia recente
del nostro paese che,
almeno sul piano della verità storica e politica, merita di essere riportato alla luce in moltissimi dei suoi aspetti attinenti alla storia negata, a quegli anni che devono essere in ogni modo o rimossi o maledetti.
almeno sul piano della verità storica e politica, merita di essere riportato alla luce in moltissimi dei suoi aspetti attinenti alla storia negata, a quegli anni che devono essere in ogni modo o rimossi o maledetti.
Il 17 dicembre 1981 un commando delle
Brigate Rosse sequestrava clamorosamente un generale statunitense della
base militare Ftase di Verona. Venne liberato il 28 gennaio 1982 da un
gruppo operativo dei Nocs (corpi speciali della Polizia). Per
raggiungere questo obiettivo non furono risparmiate torture ai militanti
delle Br – sia uomini che donne - arrestati prima e dopo il sequestro.
Il caso esplose nei mesi successivi e portò all'arresto di un
giornalista de L'Espresso, Buffa, che aveva reso pubblici i casi di
tortura.
Un anno e mezzo prima, c'era stata la
strage con la bomba nella stazione di Bologna nell'agosto del 1980. Non
fu l'ultima, perchè tre anni dopo – dicembre 1984 – ci fu quella del
treno 904. Insomma la stragione delle stragi di stato ancora non aveva
esaurito le sue code velenose e sanguinose.
Nessuno, all'epoca come oggi, si è mai
posto la domanda del perchè l'obiettivo di quell'azione fosse un
generale statunitense della base Ftase di Verona. Si trattava di una
operazione complessa e rischiosa sia per le caratteristiche del
bersaglio sia per il contesto politico dell'epoca. Insomma tirarsi
addosso non solo la reazione degli apparati repressivi italiani ma anche
quelli statunitensi – nel quadro della seconda guerra fredda -
significava alzare il tiro ben al di là di quanto fosse avvenuto fino ad
allora nel paese. Un comandante della base militare Ftase di Verona,
non poteva non sapere che cosa avessero combinato i suoi uomini nei
dieci/dodici anni precedenti.
Verona è il comando delle forze terrestri
Usa e Nato. In quella fase storica, Verona era il perno del comando
degli operativi militari statunitensi e Nato nella frontiera del
Nordest, quella di confine con la cortina di ferro dei paesi del Patto
di Varsavia, anche se il “nemico” alle frontiere era la Repubblica
Federale Jugoslava che con quel patto aveva rotto già dalla fine degli
anni Quaranta.
Ma Verona era e resta molte cose. Era e
resta il “cuore nero” di questo paese. Non solo perchè era la capitale
della Repubblica fascista di Salò ma perchè anche nei decenni successivi
è dalle strutture operative in questa città – e nel Triveneto in
particolare – che la collaborazione tra fascisti, servizi segreti
italiani e statunitensi, carabinieri e forze armate statunitensi
produrrà la stagione delle stragi.
Ce lo confermano l'inchiesta del giudice
Salvini sulla strage di Piazza Fontana ed ora anche la sentenza sulla
strage di Brescia.
Le indagini hanno portato direttamente
alla pista degli “amerikani” nel nostro paese come nucleo ideatore della
stagione delle stragi e questi agenti statunitensi, almeno quelli
emersi dalle indagini, erano tutti in servizio alla base militare Ftase
di Verona. Il quadro che ne emerge chiama direttamente in causa nella
strategia delle stragi i servizi segreti militari USA (non la Cia),
soprattutto quelli di stanza nella base del comando FTASE di Verona, i
quali attraverso i loro agenti italiani (Digilio, Minetto, Soffiatti)
agivano in modo coordinato con le cellule neofasciste di Ordine Nuovo e
con gli apparati dello stato italiano nella “guerra sul fronte interno”
contro i comunisti, i sindacati e i settori della DC recalcitranti a
trasformare la “guerra fredda in guerra civile”. L’americano supervisore
della rete degli uomini neri ha un nome e un cognome: Joseph Luongo ed è
l’agente che cooptò nella guerra di bassa intensità anche alcuni
criminali nazisti come Karl Hass (con cui Luongo si fa fotografare
insieme in un matrimonio). Gli “uomini neri” cioè gli autori delle
stragi non erano più di venticinque/trenta persone organizzate su cinque
cellule collocate una a Milano e quattro nel Nordest. Ma il perno del
sistema operativo era proprio a Verona, lì dove tutto è cominciato ed è
difficile dire che sia tutto finito. La morte biologica o l'età avanzata
di molti protagonisti non consente oggi di mettere tutte le caselle al
suo posto e ricavarne una verità anche giudiziaria che renda giustizia
su quanto accaduto nel nostro paese negli anni Settanta, ma che almeno
si abbia il coraggio di affrontare la verità storica e politica, senza
pagine rimosse o “maledette” che impediscano alle nuove generazioni di
comprendere pienamente cosa e perchè è accaduto. In Italia si è
combattuta per anni una guerra di bassa intensità che ha fatto molte
vittime, ha dispensato secoli di galera per alcuni (i militanti dei
gruppi rivoluzionari della sinistra) ma coperture e carriere per altri
(i fascisti e gli uomini degli apparati). Un doppio standard che
andrebbe ammesso e demolito, almeno dal punto di vista della
ricostruzione storica.
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