Abbiamo visto che
l’operaio entrando in fabbrica e mettendosi al lavoro viene sfruttato, cioè
vien fatto lavorare oltre il tempo
necessario a reintegrare i propri mezzi di sussistenza necessari alla sua riproduzione.
Ma quanto viene
sfruttato? E come si calcola questo grado di sfruttamento?
Marx fa l’analisi di un
dato capitale (le cifre servono solo ad illustrare l’esempio).
“Il capitale C si
scinde in due parti: una somma di denaro c
spesa per mezzi di produzione, e
un’altra somma di denaro v spesa per
forza-lavoro; c
rappresenta la parte di valore trasformata in capitale costante, v quella trasformata in capitale variabile. Dunque all’inizio si ha C = c + v, per
esempio il capitale anticipato di 500 sterline è eguale a 410 sterline (c)
+ 90 sterline (v). Alla fine del processo di produzione risulta merce il cui valore è
eguale a (c + v) + p, dove (p) è il plusvalore, p. es. (410 sterline (c) + 90 sterline
(v)) + 90 sterline (p).”
II capitale iniziale C è
cresciuto, si è gonfiato, si è trasformato in C’, da cinquecento sterline ne
sono venute cinquecentonovanta. La differenza fra i due è eguale a p, un plusvalore di 90.
Questo primo risultato
Marx lo esprime così: “Il plusvalore generato nel processo di
produzione dal capitale anticipato C … si presenta in un primo momento come eccedenza
del valore del prodotto sulla somma dei valori degli elementi della sua
produzione.”
Però “Di fatto, già
sappiamo che il plusvalore è
semplicemente conseguenza del cambiamento
di valore che avviene in v, nella
parte di capitale convertita in forza-lavoro, che quindi si ha: v + p = v +
Δv (v più incremento di v).”
E qui Marx segnala una
difficoltà che nasce nella comprensione immediata del processo perché “il reale
cambiamento di valore e il rapporto secondo il quale il valore
cambia vengono oscurati per il fatto
che, in conseguenza della crescita della
sua componente variabile, cresce
anche il capitale complessivo anticipato. Era di 500 e diventa di 590.
Dunque la pura e semplice analisi del processo esige che si astragga completamente da quella parte del valore del prodotto
nella quale non fa che riapparire valore costante del capitale, cioè esige
che si ponga il capitale costante C come eguale a zero…”
Operazione che fanno
tutti i capitalisti quando vogliono calcolare il loro “guadagno”; per dirla in
maniera molto semplice, tolgono le “spese” da tutto quello che hanno incassato.
Se dunque azzeriamo il
capitale costante “il capitale anticipato si ridurrà da c + v a v, mentre il
valore del prodotto (c + v) + p si ridurrà al prodotto del valore (v + p). Dato
il prodotto del valore eguale a 180 sterline, in cui è rappresentato il lavoro
che scorre per tutta la durata del processo di produzione, dobbiamo detrarre il
valore del capitale variabile, che è eguale a novanta sterline, per ottenere il
plusvalore, 90 sterline. La cifra di 90 sterline, cioè p, esprime qui la grandezza
assoluta del plusvalore prodotto. Ma la sua grandezza proporzionale, cioè la proporzione in cui si è
valorizzato il capitale variabile, è evidentemente determinato dal rapporto del plusvalore col capitale
variabile, ossia è espresso dalla formula p/v. Dunque, nell’esempio fatto
sopra sarebbe: 90/90 = 100 %. Chiamo saggio
del plusvalore questa valorizzazione relativa del capitale variabile, cioè
la grandezza relativa del plusvalore.”
E fin qui abbiamo visto
il processo dalla parte del plusvalore, mentre visto dalla parte del
pluslavoro
la situazione sta in questi termini.
L’operaio “produce in
una situazione che poggia sulla
divisione sociale del lavoro, non produce direttamente i propri mezzi di sussistenza, ma li produce nella
forma di una merce particolare, del refe p. es., produce cioè un valore eguale al valore dei suoi mezzi
di sussistenza, ossia eguale al denaro col quale li compera.”
“Se il valore dei mezzi di sussistenza
quotidiani dell’operaio rappresenta in media 6 ore lavorative oggettivate,
l’operaio deve lavorare in media 6 ore al giorno per poterlo produrre. Se egli non lavorasse per il capitalista,
ma per se stesso, indipendente, l’operaio dovrebbe sempre, eguali rimanendo le
altre circostanze, lavorare in media ancora per la stessa parte aliquota della
giornata, per produrre il valore della propria forza-lavoro, e con ciò ottenere
i mezzi di sussistenza necessari per il proprio mantenimento cioè per la
propria continua riproduzione. … Chiamo dunque tempo di lavoro necessario la parte della giornata lavorativa nella
quale si svolge questa riproduzione; chiamo lavoro necessario il lavoro speso durante di essa. Necessario per
l’operaio, perché indipendente dalla forma sociale del suo lavoro. Necessario per il capitale e per il mondo
del capitale, perché la loro base è l’esistenza costante dell’operaio.”
Ma l’operaio, abbiamo
detto, continua a lavorare “oltre i limiti del lavoro necessario” e questo “gli
costa certo lavoro, dispendio di forza-lavoro, ma per lui non crea nessun valore. Esso crea plusvalore, che sorride al capitalista
con tutto il fascino d’una creazione dal nulla. Chiamo tempo di lavoro soverchio questa parte della giornata lavorativa, e
pluslavoro (surplus labour) il
lavoro speso in esso. Per conoscere il pluslavoro,
è altrettanto decisivo intenderlo come puro e semplice coagulo di tempo di lavoro soverchio, come pluslavoro semplicemente oggettivato,
quanto è decisivo, per conoscere il valore
in generale, intenderlo come puro e semplice coagulo di tempo di lavoro, come semplice lavoro aggettivato. Solo la forma
in cui viene spremuto al produttore immediato, al lavoratore, questo
pluslavoro, distingue le formazioni economiche della società; p. es., la
società della schiavitù da quella del lavoro salariato.”
A questo punto in che
rapporto stanno plusvalore e pluslavoro?
“Poiché il valore del
capitale variabile è eguale al valore della forza-lavoro da esso acquistata,
poiché il valore di questa forza-lavoro determina la parte necessaria della
giornata lavorativa e il plusvalore è determinato a sua volta dalla parte
eccedente della giornata lavorativa, ne segue che il plusvalore sta al capitale variabile nello stesso rapporto che il
pluslavoro sta al lavoro necessario; cioè il saggio del plusvalore è: p : v
= pluslavoro : lavoro necessario.
“I due rapporti
esprimono la stessa relazione in forma differente, l’uno nella forma del lavoro oggettivato, l’altro nella forma del lavoro in movimento. Quindi, il saggio del plusvalore è l’espressione
esatta del grado di sfruttamento della
forza-lavoro da parte del capitale,
cioè dell’operaio da parte del capitalista.”
E qual è invece il modo
usuale di calcolo che il capitalista adopera per trovare il suo “profitto”?
“Secondo la nostra
ipotesi”, continua Marx, “il valore del
prodotto era eguale a (410 sterline (c) + 90 sterline (v)) + 90 sterline (p), mentre il capitale anticipato
era eguale a 500. Poiché il plusvalore è eguale a novanta e il capitale
anticipato a 500, secondo il modo usuale
di calcolare si avrebbe il saggio del plusvalore (che si suol confondere con il
saggio del profitto) eguale al 18 %, percentuale così bassa che
commuoverebbe certo il signor Carey e altri armonisti.” Di fatto, però, come
abbiamo visto sopra “il saggio del
plusvalore non è eguale a p/C [e cioè al plusvalore su tutto il capitale anticipato]… ma a p/v [e cioè al plusvalore solo
sulla parte spesa per gli operai, per la forza-lavoro], dunque non a 90/500 ma
a 90/90 cioè al 100%, a più del quintuplo del grado apparente di sfruttamento. Ora, benché noi non conosciamo nel caso
dato la grandezza assoluta della giornata lavorativa, e neppure la
periodicità del processo lavorativo (giorno, settimana ecc.) né, infine,
neppure il numero degli operai messi in moto contemporaneamente dal capitale
variabile di 90 sterline, tuttavia il saggio del plusvalore p/v, per la sua
convertibilità in pluslavoro/lavoro necessario, ci mostra con esattezza il
rapporto reciproco delle due parti costitutive della giornata lavorativa: è il
100 %. Dunque l’operaio ha lavorato metà
della giornata per sé e metà per il capitalista.”
Riassumendo “il metodo
per calcolare il saggio del plusvalore è in breve il seguente: prendiamo l’intero valore del prodotto e poniamo
eguale a zero il valore del capitale
costante, il quale non fa altro che ripresentarsi nel valore del prodotto.
La residua somma di valore è l’unico
prodotto in valore realmente generato nel processo di formazione della merce.
Se il plusvalore è dato, lo sottraiamo da questo prodotto di valore per trovare
il capitale variabile. Viceversa, quando è dato il capitale variabile e noi
cerchiamo il plusvalore. Quando sian dati l’uno e l’altro, c’è da compiere
soltanto l’operazione conclusiva, cioè da calcolare il rapporto fra il plusvalore
e il capitale variabile, p/v.”
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