15 maggio 1948, la
Nakba
|
Lo Stato di Israele nasceva sul sangue versato dal popolo palestinese: distrutti 541 villaggi, 11 cittadine, 20 quartieri arabi in città
a popolazione mista, 750.000 palestinesi, l’80 % dei residenti della
Palestina storica, espulsi o costretti ad abbandonare le proprie
case.
In questi sessantasei anni per questo popolo la Nakba
non ha mai avuto fine. I profughi di allora, divenuti quasi
5 milioni, continuano a vedersi negato il diritto al ritorno nelle
proprie terre (previsto dalla risoluzione 194 delle NU) e sono costretti
a vivere in condizioni miserabili nei campi profughi sparsi in tutto
il Medio Oriente, impossibilitati a rifugiarsi presso i parenti
in Cisgiordania o a Gaza anche quando sono obbligati a fuggire da
teatri di guerra. E’ il caso del campo profughi di Yarmuk in Siria, martirizzato nell’ indifferenza della comunità
internazionale, da cui sono sfollati circa 150.000 abitanti forzati
a tentare la sorte sui barconi nel Mediterraneo.
Per i palestinesi rimasti in Palestina la feroce occupazione portata avanti
dallo Stato sionista si sta caratterizzando sempre più come
un vero e proprio genocidio. Mai, infatti, si sono fermate le stragi
per mano dell’esercito israeliano. Solo dal 2009 ad oggi le operazioni
militari, succedutesi in nome della “sicurezza di Israele”, hanno
fatto contare nella striscia di Gaza, trasformata in una immenso
lager a cielo aperto, quasi 4 mila vittime, migliaia di case distrutte
e centinaia di migliaia gli sfollati. Una mattanza di civili, donne
e bambini, volutamente procurata dall’esercito israeliano con l’uso
indiscriminato di bombardamenti ed armi micidiali, denunciata persino
da organizzazioni israeliane come Breaking
the Silence, che proprio in questi giorni
ha presentato il rapporto “Così abbiamo combattuto a Gaza”, realizzato
attraverso più di sessanta interviste ad altrettanti militari israeliani.
Altre centinaia sono i palestinesi uccisi dagli attacchi mirati, dalla mancanza
di cure sanitarie e dalla sempre più grave carenza di cibo.
Una pulizia etnica che si va via via rafforzando
con i nuovi insediamenti ebraici nelle terre palestinesi, in particolare
in Cisgiordania, che stanno di fatto relegando i palestinesi in
piccoli fazzoletti di terra divisi dai villaggi dei coloni e dal
Muro, rendendo sempre più impossibile la vita in aree soffocate
dalla presenza asfissiante delle truppe di occupazione. La stessa
Gerusalemme Est, viene brutalmente giudaizzata con la cacciata dei
palestinesi e la costruzione di colonie.
Ogni giorno il popolo palestinese è vessato da rastrellamenti e arresti arbitrari,
deportazioni, dalla distruzione dei mezzi di sostentamento; depredati
delle loro case, dei loro beni, della loro acqua, delle loro speranze.
Nelle prigioni israeliane sono rinchiusi circa seimila prigionieri politici
palestinesi. Di essi almeno 163 sono minorenni, inclusi 13 al di
sotto di sedici anni. Almeno 17 sono membri del Consiglio Legislativo
(il Parlamento) Palestinese. Tra questi: Marwan
Barghuthi, prestigioso esponente del Fatah,
leader della prima e della seconda Intifada, e Ahmad
Sa’adat, segretario generale del Fronte Popolare per la Liberazione
della Palestina.
L’arresto amministrativo di sei mesi rinnovabili, senza processo e senza imputazioni,
è uno strumento repressivo che secondo il diritto internazionale
vigente, può essere giustificato solo eccezionalmente e per motivi
straordinari. Israele, “unica democrazia” del Medio Oriente secondo
la stampa mainstream, invece vi ricorre quotidianamente.
Circa 500 sono oggi i prigionieri politici sottoposti ad arresto
amministrativo. Con questo strumento è stata arrestata il 2 aprile
2015 Khalida Jarrar, deputata del FPLP
e membro della Commissione parlamentare per i prigionieri politici.
Il suo arresto da parte del reparto militare israeliano, avvenuto a Ramallah, in Cisgiordania, zona sotto totale amministrazione
dell’ANP, è stato possibile, come denunciano alcune organizzazioni
palestinesi, solo nell’ambito degli accordi di cooperazione sulla
“sicurezza” fra Israele e l’ANP. Una collaborazione che si ritorce
solo contro i palestinesi e che il FPLP e Khalida
Jarrar rifiutano.
Dal 4 maggio la compagna Khalida è in stato di detenzione
in quanto sottoposta a processo. Le sono stati contestati dodici
capi d’imputazione tutti politici tra cui l’appartenenza al FPLP,
l’aver esposto pubblicamente le proprie idee e l’aver difeso i prigionieri
palestinesi che vivono in condizioni disumane, subendo torture che
tante volte hanno causato danni fisici irreparabili o la morte.
Tutto questo è evidentemente possibile grazie al palese appoggio degli USA
ed alla complicità di Europa ed ONU e grazie al silenzio dei media
internazionali. In nome del diritto ad esistere di Israele l’intero
Occidente tace sull’oppressione e la mattanza di un popolo, quello
palestinese, e sullo sfruttamento ignobile delle altre minoranze.
Nessuna voce, infatti, si è levata contro il “Piano Prawer”
con cui si è attuata l’espulsione forzata di circa 70.000
beduini, cittadini di Israele, dal Negev con la distruzione
35 villaggi e la confisca di 210 mila ettari di terra. Nessuna critica
in questi giorni è stata fatta al governo israeliano per la sua
dura repressione delle proteste dei cosiddetti ‘falasha’, gli ebrei etiopi, portati in Israele per popolare
alcune aree strappate ai palestinesi e poi discriminati e
relegati ai margini della società, vittime, come gli altri immigrati
africani, di pogrom razzisti.
In questo appoggio incondizionato alla politica coloniale di Israele si distingue
il governo italiano che non a caso condanna chiunque osi criticare
la politica israeliana, in perfetta coerenza con le aspirazioni
e gli interessi dello stato sionista e degli interessi dell’imperialismo
italiano.
Non possiamo, infatti, dimenticare che proprio il governo e l’industria italiana
sono tra i primi fornitori, in area UE, di armi a Israele.
Con gli accordi commerciali e militari sempre più numerosi tra l’Italia e lo Stato sionista, significativi diventano, infatti, gli interessi delle imprese italiane anche quelle del Mezzogiorno.
Il 30 marzo è stata inaugurata la linea aerea bisettimanale Napoli – Tel Aviv,
da parte della compagnia israeliana “Sun
d’or”, società controllata dalla compagnia di bandiera “El-Al”.
L’apertura di questo nuovo collegamento è stata spacciata per “un’occasione”
per l’Italia e per il turismo della città di Napoli, mentre legittima
e rafforza uno stato responsabile della politica razzista e coloniale
sulla Palestina.
Molti di questi affari, infatti, riguardano, direttamente o indirettamente,
la presenza di aziende israeliane nei Territori Palestinesi Occupati
che sfruttano, come nel resto di Israele, per pochi spiccioli la
forza-lavoro palestinese
Non possiamo più assistere in silenzio al genocidio di un popolo, né alle
complicità dell’Occidente.
·
Uniamoci alla campagna internazionale per il BDS – Boicottaggio,
Disinvestimenti e Sanzioni – per il boicottaggio della economia
coloniale di Israele. Cominciando con il boicottaggio del volo bisettimanale
Tel Aviv – Napoli della compagnia Sun
d’or controllata dalla compagnia di bandiera israeliana El-Al.
·
Chiediamo al governo italiano l’immediata cessazione
di ogni collaborazione militare ed economica con lo stato di Israele.
·
Chiediamo il rispetto del diritto al ritorno per tutti
i profughi palestinesi
·
Chiediamo la scarcerazione immediata di Marwan Barghuthi, Ahmad Sa’adat, Khalida Jarrar e di tutti i prigionieri
politici palestinesi, in qualunque carcere siano detenuti.
·
Chiediamo l’abolizione del trattato di cooperazione con
l’ANP per la sicurezza di Israele.
COMITATO A SOSTEGNO DELLA RESISTENZA PALESTINESE-NAPOLI
|
Nessun commento:
Posta un commento