Istituita nel 1956, l'area militare situata nel
Sarrabus, in Sardegna, è una piccola industria che dà lavoro a soldati,
civili, tecnici. Ha ospitato sperimentazioni belliche e addestrato
soldati di tante nazionalità. Migliaia di esplosioni di missili terra
aria e anticarro - pure i famigerati Milan francesi che rilasciavano
torio radioattivo - hanno provocato conseguenze letali su uomini,
animali e territorio. Domenico Fiordalisi, capo della procura di
Lanusei, ha indagato sulla vicenda. Venti persone (tra cui 7 generali)
sono finite sotto inchiesta per aver nascosto il disastro ambientale:
l'udienza è fissata per il prossimo 17 luglio
Era una famiglia numerosa e compatta. Due anziani genitori e
dieci figli che si dividevano i lavori per mandare avanti questo
piccolo podere: gli alberi da frutta, l'orto, i campi da arare, gli
animali da cortile, le pecore e le mucche da accudire, un po' allo stato
brado un po' riparate dentro la stalla bianca, poco discosta dalla
casa. Più in là, a qualche centinaio di metri sulla collina, le cupole
di due strani edifici, anch'essi bianchi. Il Poligono militare di Salto
di Quirra incombe e circonda questo e altre decine di piccoli poderi,
case sparse, ovili.
La gente di queste terre conserva il pudore
antico di chi non ama esibire il dolore. E ti racconta storie
drammatiche chiedendo l'anonimato. C'erano dieci figli, qui, ma due se
li è portati via il tumore e altri due combattono contro la stessa
malattia. E la mamma, donna forte senza più lacrime, seduta al tavolo
della scarna cucina, dice che lei stessa è stata colpita dal male, anche
se sembra non curarsene, anche se non sa come andrà a finire. C'è il
pudore atavico, ma c'è anche la paura d'essere accusati di
esibizionismo, di danneggiare la povera economia locale di questa zona
della Sardegna povera tra le povere, il Sarrabus.
È già
accaduto, e l'ostracismo sociale si fa più feroce quando c'è di mezzo il
lavoro e la già misera occupazione rischia di estinguersi. Perché il
poligono è una piccola industria che dà da mangiare a qualche centinaio
di persone. Militari, ma anche civili, operai e tecnici altamente
specializzati della Vitrosicet, l'azienda legata all'Aeronautica, che
controlla i sistemi elettronici degli armamenti impiegati nel poligono e
ne cura la manutenzione. Naturale, quindi, che per anni i pochi
avventurosi che osavano protestare contro questa e altre basi militari
che fanno della Sardegna la regione a più alto tasso di occupazione
militare del territorio, abbiano dovuto combattere su due fronti: i
militari e i loro alleati, cioè buona parte della popolazione di
Villaputzu, di Muravera, di San Vito, Di Perdasdefogu. Paesi dove per
anni si sono tenuti convegni presieduti dai sindaci per confutare gli
ambientalisti anti base, per dire che nessun danno alla salute poteva
venire dai missili e dalle bombe, i cui fragori e le cui nuvole di
polvere invadevano case a campagne.
C'è voluta tutta la
testardaggine e forse la temerarietà di Domenico Fiordalisi, capo della
procura di Lanusei venuto dalla Calabria, dove si è occupato a lungo di
antimafia, per bucare il muro d'omertà che ha sempre avvolto il poligono
con la sua propaggine a mare di Capo San Lorenzo, costa est dell'isola.
Centotrenta chilometri quadrati di terra selvaggia e mare bellissimo,
interdetto, però, alla navigazione e alla pesca, e sfregiato nei suoi
fondali da ogni sorta di rifiuto militare: obici, bombe inesplose, pezzi
di missile, come hanno documentato i sommozzatori inviati da Fiordalisi
per inserire anche questo tassello nella mole di dati, reperti, analisi
e testimonianze che costituiscono il nerbo di un'inchiesta ambientale
che per la prima volta in Italia ha intaccato la sacralità di
un'istituzione militare .
Non era mai accaduto che sette
generali dell'Aeronautica militare, sei dei quali ex comandanti del
Poligono, ma anche due colonnelli, un maggiore, un tenente, oltre a
tecnici e ricercatori di società private e dell'Istituto di Scienze
ambientali Sarfatti dell'università di Siena, medici e persino un
sindaco, quello di Perdasdefogu, per un totale di venti persone,
venissero messi sotto accusa per reati che vanno dalla "omissione dolosa
aggravata di cautele contro infortuni e disastri" al falso ideologico
per avere cercato di nascondere la reale portata del disastro ambientale
causato dalle attività del Poligono.
L'udienza definitiva del
giudice dell'udienza preliminare che dovrà decidere se avviare a
processo gli accusati, dopo una serie di rinvii è fissata per il 17
luglio, giorno in cui si pensa sarà pronta la perizia disposta dal Gup
per verificare se le attività dentro il Poligono, con la conseguente
diffusione di elementi letali per la salute dell'uomo, abbiano o no
avuto ripercussioni sul territorio circostante, come afferma la
pubblica accusa.
Sta lì da 57 anni il Poligono interforze del
Salto di Quirra, essendo stato istituito nel 1956 con il compito preciso
di sperimentare nuovi sistemi d'arma. Ma non è un Poligono per le sole
forze armate italiane. Qui vengono ad addestrarsi israeliani, turchi,
tedeschi, inglesi, paesi della Nato ma anche paesi dell'est e, in
passato, persino i libici di Gheddafi. La notte del 27 giugno 1980, in
cui l'aereo Itavia diretto a Ustica fu colpito e abbattuto da un missile
rimasto misterioso, nel Poligono, secondo alcuni testimoni, erano
presenti specialisti libici, che la mattina dopo furono rispediti in
tutta fretta a casa.
Gestito dal centro sperimentale volo del
comando logistico dell'Aeronautica militare, il Poligono è diviso in due
aree. Quella a mare, di 2mila ettari per 50 chilometri di costa, verso
cui, attraverso le rampe, avvengono i lanci di missili terra aria che
viaggiano verso bersagli simulati e che riducono i fondali a un'immensa
pattumiera. L'area a terra, di 12 mila ettari, è invece utilizzata per
l'addestramento al tiro dagli elicotteri e con mezzi corazzati e di
artiglieria. Qui fino al 2003 vennero lanciati 1187 dei famigerati
missili anticarro Milan, di fabbricazione francese, ritirati poi proprio
perché considerati pericolosi a causa del rilascio di torio radioattivo
contenuto nei loro sistemi di guida. È in quest'area, in zona Torri,
esposta a tutti i venti perché a 600 metri sul livello del mare, che
avveniva, dal 1984 al 2008, quella sorta di tiro al bersaglio contro
munizioni e sistemi d'arma ormai obsoleti, che il Procuratore Fiordalisi
cita nell'atto d'accusa contro i generali. "Enormi quantità di
munizioni e bombe fuori uso che provenivano dagli arsenali di
tutt'Italia e varie teste di missili Nike, che avevano valvole
radioattive, con cariche di biglie al tugsteno, altamente cancerogene se
vaporizzate nell'aria e respirate... e missili anticarro come il Tow
che contiene amianto".
Forti esplosioni che, secondo i periti
della Procura, producevano nuvole di nanoparticelle che poi ingerite per
via diretta o attraverso il cibo e l'acqua avrebbero provocato un
centinaio di morti tra i 167 ammalati di tumori, accertati tra pastori e
altri abitanti e dipendenti civili e militari del poligono. Esplosioni
provocate anche da altri tipi di esperimenti. Come i bombardamenti
contro simulazioni di gasdotti e condotte petrolifere, per testarne la
resistenza in caso di attentati.
Oltre ai morti, sostiene
Fiordalisi nella sua indagine, vanno contate le deformità di animali e
persone. Agnelli nati con un solo occhio e con mostruose alterazioni,
secondo le segnalazioni di due veterinari della zona, dalle rivelazioni
dei quali è nata l'inchiesta. Ma anche numerosi casi di bimbi malformati
e menomati. Nel paese di Escalaplano nei giorni scorsi è morta, all'età
di 25 anni, Maria Grazia, una ragazza nata nel 1988 con gravi
menomazioni. In quell'anno, nel paesino che conta poco più di duemila
abitanti, furono ben 14 i bambini nati con malformazioni o tumori
mortali. Il caso di Maria Grazia, della cui mamma Fiordalisi è riuscito,
dopo molte e delicate insistenze, ad avere la testimonianza, è
raccontato nell'inchiesta ed è uno dei pilastri d'accusa.
La
risposta degli scettici è però sempre la stessa: niente di quel che dice
Fiordalisi può essere dimostrato. Intanto, dice l'Avvocato dello Stato
Francesco Caput, in difesa dei generali e degli ufficiali, "una
commissione d'inchiesta parlamentare ha escluso la presenza nel Poligono
di uranio impoverito e quindi è escluso qualsiasi collegamento con la
salute della gente del posto". E così si avanza la richiesta di
un'indagine epidemiologica per dimostrare che l'incidenza dei morti di
tumore, sul totale della popolazione del Sarrabus, è irrilevante se non
inferiore a quella di altre zone dell'isola. Una richiesta che fa andare
su tutte le furie Mariella Cao, combattiva e storica leader
antimilitarista di "Gettiamo le basi": "Questi vogliono spalmare i
poveri morti su tutta la popolazione. Ma i morti accertati, un
centinaio, sono tutti concentrati tra i pastori della zona e nella
frazione di Quirra. Guarda caso nelle zone più esposte alle esplosioni".
Il
giudice Nicola Clivio che presiede il procedimento preliminare per
decidere se mandare a processo i 20 accusati, ha ammesso ben 62 parti
civili. Un numero straordinario di parti offese: oltre ai parenti delle
vittime, i pastori sfrattati dal Poligono, associazioni ambientaliste,
la Provincia di Cagliari, i Comuni di Villaputzu, Ulassai, Tertenia e
Villagrande e persino una decina di abitanti che pur non lamentando
danni diretti, rivendicano però il danno da esposizione. Manca invece il
governo e, soprattutto la Regione Sarda.
In silenzio, attenta a
ogni fase del dibattimento, c'è una donna che non ha quasi mai perso
un'udienza nel tribunale di Lanusei. È la madre di Valery Melis, il
militare di Cagliari morto a 26 anni per un linfoma di Hodgkin dopo una
missione in Kossovo e vari addestramenti nel poligono di Capo Teulada. È
stata la prima a denunciare il legame tra le esplosioni e le morti per
tumore di militari e civili. In primo grado, in sede civile il governo è
stato condannato a risarcire la famiglia di Valery. Poi, dice lei con
un sorriso mesto, "c'è stato il ricorso del governo e ancora aspettiamo
giustizia".