sabato 18 febbraio 2012

pc 18 febbraio - A Ravenna libertà per i NOTAV arrestati e solidarietà alle masse greche in rivolta

Nonostante i divieti della Questura di Ravenna, ieri la solidarietà al movimento NOTAV è stata portata davanti alla CMC.

A Ravenna le forze della repressione si sono stretti attorno alla sede legale della CMC e, con una serie di divieti agli organizzatori e a una diffida di manifestare davanti la sede nei confronti del coordinatore dello Slai cobas per il sindacato di classe, militante di proletari comunisti, e con la militarizzazione della sede della coop, hanno cercato d'impedire un presidio in solidarietà con il movimento NOTAV e per la liberazione degli attivisti arrestati che sarebbe dovuto finire proprio davanti alla CMC.

Il presidio è stato autorizzato davanti alla Prefettura in piazza del popolo e quì, sui cumuli di neve rimasti, sono stati appoggiati degli striscioni e, con il megafono e con il volantinaggio, ci sono stati interventi a sostegno del movimento che si batte contro la TAV e per la libertà dei compagni arrestati e per la partecipazione alla manifestazione del 25.

Presenti in piazza Equal Rights di Forlì, Spazio libertario "Sole e Baleno" di Cesena e giovani dell'area anarchica di Ravenna e proletari comunisti che, oltre alla solidarietà al movimento NOTAV, ha portato uno striscione a sostegno delle masse greche in rivolta.

Ma il presidio, nonostante i divieti, con piccoli numeri, ha voluto raggiungere lo stesso la CMC militarizzata. Ed è stato fatto "all'americana", cioè alcuni con bandiere NOTAV in bicicletta e altri con qualche cartello a piedi, sono passati facendo avanti/indietro davanti a polizia, digos, carabinieri e municipale, a difesa del profitto della coop ravennate.

Ritorneremo presto davanti la CMC, ora il 25 tutti in Val Susa!

pc 18 febbraio - lo stupro di L'aquila...militari come bestie

la formazione ideologica e culturale nelle caserme dell'esercito imperialista è impregnata di maschilismo fascista, ed è qui che bisogna cercare la matrice dell'ennesimo stupro di gruppo di militari




La ragazza stuprata: "Mi volevano uccidere"

ROMA - "Ho capito che potevo morire. Quelli mi volevano uccidere". Ha detto così la ragazza di 21 anni che è stata brutalmente aggredita 1 vicino la discoteca 'Guernica' di Pizzoli, in provincia dell'Aquila, la notte tra sabato e domenica scorsi 2. Originaria di Tivoli, la ragazza si è confidata con i suoi familiari. In queste ore sta cercando di ricostruire quanto accaduto. L'avvocato Enrico Maria Gallinaro la assiste e cerca di proteggerla da questa "orribile vicenda che l'ha fatta diventare un oggetto", ha detto il penalista.
L'avvocato ha aggiunto: "la natura e la gravità delle lesioni riportate dalla giovane rendono il quadro indiziario estremamente grave. La mia assistita è stata abbandonata semi nuda e gravemente ferita, alle tre del mattino, in un parcheggio, nella neve e nel ghiaccio. E' stato un miracolo che si sia riuscita a salvare".tre persone nello stupro. Dei quattro, tre, due campani e un aquilano, sono militari del 33esimo reggimento artiglieria Acqui, mentre la quarta è una giovane, forse fidanzata dell'aquilano. Nel provvedimento si evidenzia che gli investigatori hanno terminato di rilevare le tracce, di sangue e biologiche, per ricostruire il fatto e stabilire se sia avvenuto o meno nell'auto. I quattro sono stati infatti fermati dal gestore del locale e dai buttafuri che avevano trovato la ragazza seminuda e infreddolita.
Nella mattinata di oggi i carabinieri hanno continuato un nuovo giro di interrogatori, sentendo per la seconda volta, dopo domenica, i militari che avrebbero una posizione meno grave:il campano e l'aquilano di stanza al 33/mo reggimento artiglieria Acqui. I due sostanzialmente hanno ribadito di non avere avuto a che fare con l'aggressione.Non si sa se sarà interrogato anche il terzo militare indagato, della provincia di Avellino.
E' su quest'ultimo che si riversano i sospetti più gravi. L'uomo era stato bloccato con la camicia e una mano sporca di sangue dal gestore del locale e dai buttafuori subito dopo il ritrovamento fuori dalla discoteca della giovane svenuta in mezzo alla neve e insanguinata. Dai primi risultati degli esami del Ris di Roma è emerso che il sangue è della giovane studentessa, come le tracce biologiche trovate su camicia, mano e braccialetto da polso del 21enne militare, iscritto sul registro degli indagati da ieri.

pc 18 febbraio - a Taranto resta alta l'eco della manifestazione-assedio al tribunale


E' stata quella di ieri al Tribunale di Taranto, una manifestazione inedita e autorganizzata. L'appuntamento era serio per il lavoro di alcuni ambientalisti e magistrati, a cui si è aggiunta l'eco della sentenza eternit di Torino.
Gli studenti hanno scioperato in massa e giunti in migliaia al Tribunale e li sono restati circondandolo e bloccando la strada intorno con una una presenza via via più estesa di cittadini: lo slai cobas per il sindacato di classe sin dalle prime ore del mattino aveva portato lì con grandi cartelli le indicazioni giuste.
Naturalmente questo a Taranto non avviene a caso, lo slai cobas per il sindacato di classe in questa città non è solo una forma autorganizzata attiva e combattiva, di lavoratori, precari e disoccupati a cui recentemente si è aggiunto il nucleo operaio ILVA con nuovi giovani operai che hanno preso nelle loro mani la ricostruzione del sindacato di classe nella più grande fabbrica del paese ma esso è diretto dalla linea e la prassi di 'proletari comunisti ' che constantemente opera per la crescita politica e sociale dei proletari organizzati per farne una avanguardia generale della protesta popolare a 360 gradi e questo che ha fatto sì che lo slai cobas per il sindacato di classe fosse l'unica organizzazione sindacale presente e di riferimento della grande protesta di massa. A Taranto è nata e prosegue la sua attività sistematica la rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro che ha fatto sempre delle udienze in tribunale su i temi delle morti sul lavoro in fabbrica e fuori della fabbrica una occasione di mobilitazione: A tutto questo si è aggiunta la ribellione di massa , sopratutto giovanile che ha fatto di questa udienza una forte manifestazione.
Ora ci sono condizioni migliori per avanzare su questa strada e la linea di classe è in grado di unire operai ilva e popolazione e progressivamente fare degli operai organizzati sindacalmente e politicamente la guida dell'intero movimento.
Sin dalla prossima udienza del 30 marzo, passi in avanti ci saranno su questa strada.

circolo proletari comunisti taranto

pc 18 Febbraio - Assemblea PalermoNOTAV verso la manifestazione del 25 febbraio




Due appuntamenti a Palermo per preparare la partecipazione palermitana  alla manifestazione nazionale per la liberazione degli arrestatati NOTAV.

Mercoledi' 22 ore 17 presso sede Slai Cobas per il sindacato di classe Via G.del Duca 4
Giovedi' 23 Febbraio dalle ore 17:00 presso Centro Sociale ExKarcere
proiezione video NOTAV
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ASSEMBLEA PALERMO NOTAV VERSO LA MANIFESTAZIONE DEL 25 FEBBRAIO IN VAL DI SUSA
UNA DELEGAZIONE DI COMPAGNI/E PALERMITANI/E PARTECIPERA' ALLA MANIFESTAZIONE PER LA LIBERAZIONE DI TUTTI E TUTTE iI NOTAV RAGGIUNTI DAL TEOREMA CASELLI
All'alba del 26 gennaio, circa 40 persone in tutta Italia sono state raggiunte da misure repressive e sono attualmente in carcere o agli arresti domiciliari. Queste misure preventive, orchestrate dal procuratore Caselli, vorrebbero intimidire il movimento NO TAV, che da 22 anni lotta contro la costruzione di un progetto costoso, inutile e dannoso. Il movimento No Tav è diventato un punto di riferimento per tutte le lotte sociali, capace di costruire, partendo dall'opposizione ad una grande opera inutile, una vasta e variegata comunità in lotta.
E' con questa consapevolezza che il 25 Febbraio scenderemo in piazza, con chi lotta per costruire una società e un mondo dove libertà, uguaglianza, solidarietà non siano solo parole ma pratica quotidiana.

Dietro quelle barricate, in quei boschi,
davanti a quelle recinzioni c'eravamo tutt*!
La valle non si arresta! Liber* tutt*!

pc 17-febbraio - grandioso assedio giovanile e popolare al tribunale di taranto per un processo all'iva di padron riva



AMBIENTE Ilva, processo alla diossina
Il tribunale preso d'assalto. Centinaia di persone hanno assistito all'incidente probatorio con al centro la maxi perizia che ha accertato la correlazione tra l'inquinamento record e lo stabilimento e i pericoli per la salute. I legali dell'azienda: "Indagine inattendibile".

di MARIO DILIBERTO: Palazzo di giustizia assediato nel giorno del processo all'Ilva.
Centinaia di persone, rispondendo all'appello delle associazioni ambientaliste, si sono presentate dinanzi al Tribunale di via Marche di Taranto per essere presenti durante l'incidente probatorio con al centro la maxi perizia sull'inquinamento targato Ilva. In camera di consiglio i quattro periti del pool incaricato dal gip Patrizia Todisco hanno relazionato sul loro lavoro durato più di un anno. Il gigantesco rapporto mette sotto accusa la grande fabbrica dell'acciaio per le emissioni incontrollate di fumi e polveri che piovono sulla città. Molti dei manifestanti, che hanno esposto alcuni striscioni, hanno indossato fasce bianche al braccio.
In programma la discussione proprio sulle inquietanti conclusioni alle quali sono giunti i quattro esperti, che hanno puntato il dito contro le ciminiere Ilva per la contaminazione di terreni e animali di Taranto. Come si ricorderà nel 2008 migliaia di capi allevati nelle masserie vicine al capoluogo ionico, vennero abbattute perché nelle loro carni venne riscontrata la presenza di diossine. L'inchiesta vede indagati i vertici dello stabilimento siderurgico Ilva accusati di disastro ambientale, avvelenamento colposo di sostanze alimentari e getto pericoloso di cose,
inquinamento atmosferico e altri reati. Titolari dell'inchiesta sono il pm Mariano Buccoliero e il procuratore capo Franco Sebastio. Le indagini sono partite circa tre anni fa, in seguito al ritrovamento di pericolose tracce di sostanze inquinanti nei formaggiprovenienti dagli allevamenti di pecore che pascolavano vicino alla zona
industriale.
Nel corso del confronto in camera di consiglio, i legali dell'Ilva hanno puntato a sostenere l'inattendibilità della perizia. Al termine della discussione, l'avvocato Francesco Perli ha dichiarato: "Nel loro lavoro i periti hanno fatto riferimento ai parametri di una direttiva europea che entrerà in vigore entro il 2018. A noi preme dimostrare che l'Ilva opera nel rispetto delle normative vigenti".

Rosella Balestra, del Comitato Donne per Taranto, ha spiegato che la presenza dei cittadini ha l'intento "di far capire che comunque Taranto c'è, che la città è sveglia e non è disposta a subire supinamente quello che abbiamo subito per anni. Ci saremo a tutte le udienze sempre in maggior numero - ha promesso - con una presenza silenziosa e dignitosa. Vogliamo manifestare poi fiducia nella giustizia e solidarietà agli allevatori che si sono costituiti parte civile e alle vittime da inquinamento da diossina". La maxiperizia richiesta dal gip Patrizia Todisco individua, oltre alla diossina, anche un mix di emissioni inquinanti. "Le conclusioni della perizia sono molto gravi", ha detto la donna.
Il tutto mentre si è in attesa dell'indagine epidemiologica, affidata a tre specialisti, che dovrà accertare l'esistenza del nesso causale tra quell'inquinamento e le patologie riscontrate sul territorio. Verrà depositata entro l'1 marzo e sarà discusso in camera di consiglio nell'udienza del 30 marzo. Nel procedimento risultano indagati Riva, suo figlio Nicola, Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento siderurgico, e Angelo Cavallo, responsabile dell'area agglomerato. A loro carico sono ipotizzate le accuse disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico.(17 febbraio 2012)

L'INCHIESTA Taranto, i periti del tribunale "Inquinamento, è colpa dell'Ilva".
Per la prima volta, nero su bianco, la correlazione tra i veleni record della città e l'insediamento siderurgico. Nell'inchiesta sono indagati i vertici del colosso, accusati tra l'altro di disastro colposo e avvelenamento.
L'azienda: "Emissioni nei limiti". di GIOVANNI DI MEO e GIULIANO FOSCHINI

TARANTO - Oltre 500 pagine per mettere nero su bianco che dall'Ilva di Taranto vengono emesse in atmosfera sostanze come diossine e Pcb, pericolose per i lavoratori e la popolazione. E' la prima verità sull'inquinamento a Taranto, dove è stata depositata la relazione dei periti chimici che costituisce la prima parte della maxi perizia sull'Ilva, disposta nell'ambito di un incidente probatorio, che dovrà accertare se le emissioni di fumi e polveri dallo stabilimento siderurgico siano nocive alla salute umana nell'inchiesta al maxi colosso. I documenti sono ora al vaglio del gip Patrizia Todisco, che nominato gli esperti e disposto l'accertamento peritale durato oltre un anno. Ad essere indagati sono Emilio Riva,
presidente dell'Ilva spa sino al 19 maggio 2010, Nicola Riva presidente dell'Ilva dal 20 maggio 2010, Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento Ilva, Ivan Di Maggio, dirigente capo area del reparto cokerie, Angelo Cavallo, capo area del reparto Agglomerato. Le accuse sono disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose, inquinamento atmosferico.
La perizia dove stabilire se le emissionidi fumi e polveri dallo stabilimento siderurgico siano nocive alla salute sia degli operai che lavorano nel siderurgico sia dei cittadini di Taranto e dei comuni limitrofi, e se all'interno della fabbrica siano rispettate le misure di sicurezza per evitare la dispersione di diossina, Pcb e benzoapirene. Nelle risposte dei periti le prime verità. Nel documento si legge nero su bianco per la prima volta le risposte a queste domande.

Per quanto riguarda il primo quesito concernente "se dallo stabilimento si diffondano gas, vapori, sostanze aeriformi e sostanze solide (polveri ecc.), contenenti sostanze pericolose per la salute dei lavoratori operanti all'interno
degli impianti e per la popolazione del vicino centro abitato di Taranto e,
eventualmente, di altri viciniori, con particolare, ma non esclusivo, riguardo a Benzo(a)pirene, Ipa di varia natura e composizione nonché diossine, Pcb, polveri di minerali ed altro la risposta è affermativa", scrive nelle conclusione della propria perizia il pool di periti chimici chiamato ad analizzare l'aria di Taranto, ed i veleni che respirano i tarantini.
Per quanto riguarda il secondo quesito concernente "se i livelli di diossina e Pcb rinvenuti negli animali abbattuti, appartenenti alle persone offese indicate nell'ordinanza ammissiva dell'incidente probatorio del 27.10.2010, e se i livelli di diossina e Pcb accertati nei terreni circostanti l'area industriale di Taranto, siano riconducibili alle emissioni di fumi e polveri dello stabilimento Ilva la risposta è affermativa" rimarcano gli uomini del pool. E ancora, rispondendo agli altri "quesiti" del gip: per quanto riguarda il terzo quesito concernente "se all'interno dello stabilimento Ilva di Taranto siano osservate tutte le misure idonee ad evitare la dispersione incontrollata di fumi e polveri nocive alla salute dei lavoratori e di terzi la risposta è negativa".
Ma non solo. I periti spiegano cosa andrebbe fatto, da subito, per l'aria di Taranto: "Per quanto riguarda il fenomeno dello slopping si ritiene necessario, al fine di ridurne l'entità, che si proceda rapidamente da parte di Ilva nell'implementazione del sistema esperto di regolazione del processo di soffiaggio dell'ossigeno e dell'altezza della lancia nel convertitore, così da svincolare, per quanto possibile, il controllo dell'operazione dall'intervento dell'operatore. Solo attraverso la registrazione di tutti gli eventi occorsi si potrà verificare l'efficacia delle procedure adottate per pervenire, se non all'eliminazione, almeno alla riduzione del fenomeno". "Altro adeguamento necessario" è la chiosa degli esperti "è rappresentato dall'adozione dei sistemi di monitoraggio in continuo dei parametri inquinanti alle emissioni derivanti da impianti in cui sono trattati termicamente rifiuti, in cui i medesimi dovevano essere installati a partire dal 17 agosto 1999".
"Non posso esprimere giudizi troppo articolati, la perizia è di molte pagine e ho potuto leggere solo le sintesi finali dei sei quesiti - commenta l'ingegner Aldolfo Buffo, rappresentante della Direzione per la qualità, l'ambiente e la sicurezza dell'Ilva - ma mi pare di poter dire che vi sia una constatazione inequivocabile sul fatto che i livelli emissivi dell'Ilva sono tutti nei limiti di legge, incluse le diossine. Oggi si è consumato solo il primo atto, la perizia del gip, ci saranno altri passaggi, tra cui le risposte dei nostri consulenti. Non vi sono evidenze certe, ma solo ipotesi che saranno oggetto di ulteriori approfondimenti. Aspettiamo la fine del confronto per esprimere giudizi definitivi".
Sulla questione è in corso infatti anche una perizia medico-legale da parte di tre consulenti.

comunicato Slai cobas per il sindacati di classe

Assediato il tribunale a Taranto
Una marea di migliaia di persone, con una massiccia partecipazione studentesca ha assediato oggi per diverse ore il tribunale di Taranto; tutta la zona è stata praticamente bloccata, polizia in assetto antisommossa per impedire che si entrasse in massa in Tribunale, come sarebbe stato anche giusto.
Cosa ha provocato tutto questo? Un processo per inquinamento e devastazione ambientale nei confronti di Riva ed alti dirigenti dello stabilimento; c'era l'incidente probatorio ordinato dalla giudice Partizia Todisco per convalidare una perizia che è molto pesante sulle responsabilità dell'Ilva in materia di ambiente, un passo processuale importante per affrontare questo processo con dati di fatto che inchiodino le responsabilità.
Per questo erano in tanti stamattina, studenti, associazioni ambientaliste, operai e sopratutto ex-operai ilva, cittadini, ecc. Presente in maniera combattiva e visibile tra le organizzazioni sindacali solo lo slai cobas per il sindacato di classe, che da sempre unisce nella sua lotta la difesa di classe degli operai in fabbrica della loro salute e sicurezza dentro e fuori il lavoro, con la lotta contro la devastazione ambientale che colpisce innanzitutto i quartieri proletari contigui la grande fabbrica. I suoi cartelli ILVA come ETERNIT, padron Riva come i padroni svizzeri recentemente pesantemente condannati al processo di Torino, per chè sapevano i danni che provocavano e perchè hanno trascurato le misure di sicurezza.. esattamente come i padroni Italsider prima, Ilva di padron Riva oggi.
Il sindacalismo confederale, i sindacati confederali metalmeccanici non c'erano, tranne qualche iscritto o singolo esponente a titolo personale... anche se poi pretendono come la fiom di costituirsi parte civile, massima ipocrisia: è la loro linea aziendalista e filopadronale che come non tutela gli interessi operai in fabbrica,non tutela le masse nei confronti della devastazione ambientale proprio, unendosi a difesa degli interessi di padron Riva che agita il ricatto occupazionale.
Quella di oggi è stata una manifestazione di forte protesta che mostra una rinnovata combattività cittadina e che trova nel sindacalismo di classe la sponda e lo strumento per unire operai e masse in un fronte anti Riva e anticapitalista.

Slai cobas per il sindacato di classe Taranto
cobasta@libero.it
347-5301704
17 febbraio 2012

pc 17 febbraio - per Favour e Loveth... in piazza con le donne nigeriane a Palermo


Per Favour e Loveth... in piazza con le donne nigeriane

Un migliaio al corteo/fiaccolata di oggi pomeriggio per Favour e Loveth, le donne nigeriane barbaramente uccise a Palermo. Il 20 dicembre scorso era scomparsa la giovane Favour il cui cadavere è stato ritrovato il 22 dicembre nelle campagne del paese Misilmeri, mentre il 5 gennaio in Via F. Jiuvara è stato ritrovato il corpo nudo senza vita di Loveth, giovane di 22 anni.
Tante le donne della comunità nigeriana che sono scese in piazza combattive e determinate che, nonostante la pioggia, con tanti cartelli in mano con la foto delle due giovani vittime, hanno gridato per tutto il tempo "we need Justice" - vogliamo giustizia", "dignità", "Stop Killing - basta uccidere".
Abbiamo parlato con alcune di loro che ci hanno raccontato della rabbia, del dolore per l'uccisione delle due sorelle nigeriane, che ci hanno detto di come è difficile vivere in un paese come il nostro dove o sei sfruttata da morire in lavori iperprecari e sotto pagati "dopo un mese in un ristorante a fare la serva mi hanno buttato fuori senza neanche pagarmi" o sei costretta spesso a prostituirti, "ma non si può accettare tutto questo, vogliamo giustizia, enough is enough! (basta è basta!)".
Giunti nella strada dove è stato abbandonata Loveth, tanti mazzi di margherite gialle tra le fiaccole accese, le donne nigeriane hanno intonato dei canti in
memoria delle due giovani donne uccise.
Abbiamo messo su una parete di fronte un cartello "contro sessismo, maschilismo, razzismo la ribellione delle donne è doppiamente giusta"

Sotto stralci del volantino diffuso:

La dimensione della violenza e delle uccisioni di donne mostra in maniera evidente che non si tratta affatto di singoli episodi ma di una condizione generale delle donne. La società imperialista è arrivata ad un grado di putrefazione, in cui l’oppressione verso la donna, che sempre è la cartina di tornasole del grado di inciviltà del sistema sociale, assume la forma della violenza, della brutalità, e di questo si è trattato nel caso della tragica morte di delle giovani donne nigeriane
Favour e Loveth, vittime di una violenza brutale.
E' questo sistema sociale la causa principale delle violenze e uccisioni delle donne, questa realtà non ha soluzione se non in una rottura rivoluzionaria di un sistema ormai pieno di metastasi, attraverso una lotta per far sentire ad ogni donna la forza collettiva delle donne “per ogni donna stuprata e offesa siamo tutte parte lesa!!!", una lotta complessiva contro governo, padroni, Stato e tutte le propaggini culturali, ideologiche, sessiste, maschiliste, razziste...
Da qui all'8 marzo e oltre... denunciare con forza, ribellarci e unirci nella lotta organizzata per rovesciare questo sistema di oppressione!

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario - Palermo

pc 17 febbraio - Governo Monti e azione di proletari comunisti.. il nemico principale è il riformismo politico sindacale.

Il governo Monti marcia determinato verso la riforma del lavoro secondo i dettami dei padroni europei e italiani, marcia sicuro perchè può contare sull'appoggio totalitario del Parlamento, le voci di opposizione o sono da estrema destra la Lega o da gruppi e parlamentari che anche se contrastano su aspetti dei provvedimenti, sono ben decisi a mantenere il loro legame con il PD, che è di fatto il principale partito di sostegno a Monti.
Il governo marcia sicuro perchè conta sull'appoggio dei sindacati confederali tutti su tutto, aperto di CISL_UIL, segreto della CGIL della Camusso- il segreto di pulcinella.
Quindi avremo il contratto unico precario, la libertà di licenziamento, il taglio dei
redditi per cassintegrati e precari, chiamato 'salario minimo garantito', la massima flessibilità in fabbrica nelle condizioni di lavoro, negli accordi in deroga ecc.
Non esiste sui posti di lavoro una forte opposizione a questo, nonostante ci sia l'opposizione di tutti gli operai e lavoratori a queste misure. Perchè non basta non essere d'accordo e lamentarsi, occorre una forza organizzata, che organizzi realmente operai e lavoratori e sia capace di rezalizzare iniziative di lotta di contrasto e opposizione. Il sindacalismo di base e di classe che è chiaramente all'opposizione, non ha attualmente una grande forza di contrasto, come lo stesso lodevole sciopero del 27 febbraio ha messo in luce. Esso ha perso un pezzo il 15 ottobre- il cobas confederazione, guidato dal suo ceto politico, Bernocchi in testa, nelle pastoie della sinistra parlamentare e della piccola borghesia pacifista. Esso è diviso per il burocratismo e la concorrenza tra gruppi e dirigenti, esso non riesce ad attestarsi su una linea di classe e di massa, che incida nelle fabbriche
principali del paese. Questa situazione non è superabile a breve anche se una lotta esplicita e unità conseguente va fatta.
Ma il problema principale che c'è è la FIOM, che tutt'ora incanala le spinte di classe nelle fabbriche, ma la sua linea e gruppo dirigente, nessuno escluso, sono legati alla CGIL e quindi fanno da anello di collegamento tra operai e gruppo dirigente CGIL e di conseguenza in un circolo vizionso tra operai il governo e padroni. Questo da vita a un falso movimento del tutto incapace di fermare la marcia
di padroni e governo. E' parte di questo falso movimento lo sciopero e la manifestazione nazionale del 9 marzo a Roma. Chi appoggia questo sciopero e questa manifestazione, come la ex-sinistra parlamentare e gruppi attualmente ex-parlamentari sedicenti 'comunisti' e gruppi operaisti, sono mosche cocchiere del riformismo politico e sindacale, nonostante le loro parole e i loro scritti e roboanti proclami.
Rompere con il riformismo politico e sindacale, dirigenti e apparati fiom compresi, sviluppare ribellione e organizzazione nelle fabbriche, unire questo alle lotte e forme organizzate precarie e disoccupate, che si muovono fuori e contro padroni, governo, sindacati confederali è assolutamente necessario per accumulare forze ed esperienze necessarie nella crisi per ricostruire il sindacato classista, dare base
alla indispensabile e inevitabile costruzione del partito rivoluzionario del proletariato .
Questo va fatto nella chiarezza e quindi non è proprio il tempo di unità e/o fronte uniti che non siano unità su una linea e una pratica classista e rivoluzionaria, rivoluzionaria agente, nelle prospettive, nelle forme di lotta, e/o unità nella lotta delle lotte, fuori e contro il sindacalismo confederale, la falsa sinistra, i gruppi opportunisti.

proletari comunisti-PCm Italia
febbraio 2012

giovedì 16 febbraio 2012

pc 16 febbraio - L'aquila ..ennesima vicenda di militari stupratori

Studentessa violentata nell'Aquilano
Tre sono militari del 33esimo reggimento artiglieria Acqui, mentre la quarta è una giovane, forse fidanzata di uno di loro

L'AQUILA - Svolta nell'inchiesta sul presunto stupro ai danni di una giovane studentessa 1 laziale all'uscita della discoteca Guernica a Pizzoli nella notte tra sabato e domenica scorsa. I quattro giovani sospettati a vario titolo del grave fatto sono stati iscritti sul registro degli indagati dal pm David Mancini. Dei quattro, tre, due campani e un aquilano, sono militari del 33esimo reggimento artiglieria Acqui, mentre la quarta è una giovane, forse fidanzata dell'aquilano.

La vittima dello stupro è una ventenne studentessa della facoltà di Ingegneria dell'Aquila, originaria di Tivoli (Roma). I quattro sospettati erano stati bloccati da due buttafuori e dal gestore della discoteca mentre si stavano allontanando dal locale a bordo di una macchina subito dopo il ritrovamento della studentessa, avvenuto intorno alle 3.30 di domenica mattina. Gli atti delle indagini sono ancora secretati, non sono esclusi altri sviluppi, soprattutto con l'arrivo dei primi risultati degli esami tecnico scientifici del Ris di Roma.

La posizione più delicata è quella del militare originario dell'avellinese. Quest'ultimo ha prima negato e poi ammesso il rapporto sessuale, ma sostenendo che la studentessa era consenziente. L'uomo era stato bloccato con le camicia e una mano sporca di sangue dal gestore del locale e dai buttafuori subito dopo il ritrovamento fuori dalla discoteca della giovane svenuta in mezzo alla neve e insanguinata. Il militare era in macchina con i due commilitoni e con la giovane donna.

Le analisi fatte al momento del ricovero all'ospedale dell'Aquila alla studentessa hanno rivelato un tasso alcolemico rilevante. Secondo alcune ipotesi sulla ricostruzione, la 20enne studentessa laziale potrebbe essere stata costretta a bere. Non ha assunto invece sostanze stupefacenti.

C'è infine una quinta persona la cui posizione è al vaglio degli inquirenti: si tratta dell'amica del cuore della giovane studentessa che sarebbe andata via dalla discoteca circa un'ora prima del presunto stupro. La ragazza è stata ascoltata ieri come persona informata sui fatti dagli inquirenti in Procura.

(16 febbraio 2012)

pc 16 febbraio - l'ennesimo omicidio per mano di un vigile urbano a milano, ultimo di una catena di assassinii degli sbirri

un lurido cane il vigile urbano di milano .
i suoi tre colleghi ugualmente porci complici


Quando il comandante della polizia locale Tullio Mastrangelo arriva in via Crescenzago, accompagnato da due ufficiali, l’omicidio di Marcelo Valentino Gomez Cortes tecnicamente non è ancora compiuto. L’uomo è steso in terra a fianco all’auto dei vigili da cui Amigoni è sceso e ha sparato. Almeno tre soccorritori, arrivati con un’ambulanza e un’auto medica, stanno tentando disperatamente un massaggio cardiaco. L’operazione andrà avanti ancora per molti minuti (40 in tutto) prima che ci si arrenda a constatare il decesso. In questo contesto, il comando dei vigili raccoglie la versione di Amigoni, che sarà poi rilanciata da tutti i media. «Ho sparato dopo avere visto una pistola in mano all secondo uomo, poi fuggito, voltato di tre quarti».

Nella confusione succede che nella versione del comando la «pistola in mano al sudamericano» riferita da Amigoni diventi «un’arma puntata contro l’agente». Nessuno dei testimoni ha però visto una pistola oltre a quella impugnata dal vigile che ha sparato. In questura si sono presentati in tanti. E a legare le loro versioni c’è un punto importante che si sta rafforzando: «I due uomini in fuga, inseguiti dai vigili, non erano armati».

Sulla scena, oltre al comandante e al suo staff, mezz’ora dopo lo sparo ci sono tanti vigili. Anzitutto, i tre colleghi che erano in auto con Amigoni e che hanno partecipato all’azione. E ce ne sono altri arrivati poi: una vigilessa (la prima a intervenire sul posto), due dirigenti del comando di Zona 3, ufficiali del Radiomobile, il responsabile della Zona 1 e cinque uomini dei cosiddetti 'Giaguari', vigili anche loro, schierati in prima linea nella sicurezza. È confrontandosi con questi ultimi che Amigoni comincia a dar forma a quella che sarà poi la sua versione: «L’uomo disarmato si è trovato per sbaglio sulla linea di tiro».

Anche questo racconto entrerà nelle comunicazioni del comando dei vigili. Quello che manca è invece il racconto dei tre colleghi che hanno partecipato all’azione con Amigoni. Eppure sono lì. Poche ore dopo riferiranno alla squadra mobile di non avere visto alcuna arma nelle mani dei due fuggiaschi. E ricostruiranno uno scenario a dir poco surreale. «Abbiamo parlato con Amigoni — dice Mastrangelo — agli altri tre, che nulla c'entravano con quanto accaduto, abbiamo detto di mettersi subito a disposizione della magistratura».

I tre colleghi di Amigoni di cose da raccontare ne avrebbero avute. E già nell’immediatezza dell’omicidio le riferiscono ad altri colleghi e a persone di cui si fidano. Hanno visto il cileno barcollare e incespicare sulla neve, senza capire che fosse stato colpito dallo sparo. «Ha cominciato a barcollare, ma non sembrava ferito». «Pensavamo fosse inciampato nella neve». Di più: lo raggiungono e lo braccano, per arrestarlo. Lo ammanettano, addirittura, e con le mani legate dietro alla schiena lo portano all’auto. «Fino a quel momento era vivo, cosciente». A quel punto l’uomo si accascia e solo allora gli vengono tolte le manette. Sono gli stessi vigili a sollevargli la maglia: vedono il buco del proiettile al petto (quello di uscita, secondo i primi rilievi della balistica) e cercano di tamponare la ferita con le mani, con le dita, in attesa dei soccorsi.

A mezzanotte, dopo essere stato sentito dalla polizia, Amigoni si farà riaccompagnare alla sua auto dai colleghi del Nucleo operativo. Durante il tragitto non parlerà dell’omicidio. Racconterà del fatto che «la vita del pendolare è dura» e di essere preoccupato perché «mia moglie a quest’ora mi starà senz’altro aspettando sveglia».

pc 16 gennaio - sentenza eternit, per alcuni giustizia, per altri ingiustizia

IL rabbia delle 700 famiglie che non hanno ottenuto l'indennizzo immediato: "Un'ingiustizia"di SARAH MARTINENGHI

Ai manager Eternit 16 anni di reclusione
per i parenti delle vittime 95 milioni Erano in aula, hanno atteso per tre ore la lettura della sentenza, ma alla fine dal tribunale sono usciti "a mani vuote" e senza un perché. A tre giorni dagli applausi per la storica condanna dei manager dell'Eternit a 16 anni di carcere, quasi la metà dei familiari delle vittime dell'amianto ora prova rabbia e amarezza, interpella gli avvocati, si riunisce per capire cosa fare: sono i "fantasmi" della sentenza, centinaia di persone il cui nome e cognome non compare nell'elenco di chi ha diritto al risarcimento, e che ora sospetta una disparità di trattamento. Gente che ha perso il fratello, un figlio o un marito per colpa dell'amianto esattamente come nella famiglia del vicino di casa, ma che è stata "inspiegabilmente" esclusa o dimenticata. Non si tratta delle vittime di Bagnoli o Rubiera, per le quali la prescrizione è stata indicata. Sono scomparsi familiari ed ex operai di Casale Monferrato e Cavagnolo. Il numero eccezionale delle parti civili del resto porta la conseguenza, secondo gli avvocati, di qualche svista ed errore.

"Finora abbiamo contato almeno 700 persone sparite senza ragione - ha spiegato Nicola Pondrano della Camera del Lavoro di Casale - ci sono parti mancanti di famiglie, vedove con un figlio risarcito e l'altro no: la gente è imbufalita, è un bombardamento di telefonate". È il caso ad esempio dell'insegnante Antonietta B.: a differenza di suo figlio minorenne (uno dei probabili dimenticati), solo lei avrà diritto a una provvisionale per il
marito morto nel 2001. Una situazione paradossale, visto che il polverino utilizzato dal suocero per lastricare il cortile di casa alla fine degli anni '60 aveva poi sterminato l'intera famiglia, causando il mesotelioma anche alle due sorelle. Eppure la nipote, minorenne come suo figlio, potrà avere il risarcimento. "È un'ingiustizia - commenta - lui ha diritto ad avere dei soldi come sua cugina che ha perso la madre nello stesso modo e per la stessa malattia".

"Che ci siano errori è certo e chiederemo la correzione - dice l'avvocato di parte civile Sergio Bonetto - Assisto 500 famiglie di Casale e Cavagnolo: ci sono nomi storpiati e disparità. Il 20 per cento di loro è "sparito" dall'elenco, e solo il 18 per cento circa riceverà la provvisionale. Tutti gli altri non hanno l'indennizzo immediatamente esecutivo. Capire le ragioni al momento è un mistero, bisogna attendere le motivazioni". Tra gli errori palesi, del resto, c'è persino il nome di uno dei due condannati: il barone belga si chiama infatti Louis De Cartier e non Jean Louis, che è invece suo figlio. "Ci sono stranezze come il fatto di citare a volte sì altre no come responsabili civili oltre all'imputato anche le aziende - ha invece spiegato l'avvocato Laura D'Amico - Ma, oltre all'errore, può essere che non sia stata raggiunta una prova certa o che siano state respinte domande con esposizioni molto risalenti nel tempo, o che siano state raggiunte transazioni".

Le parti civili ammesse al processo erano oltre 6000. Di queste, secondo la sentenza, 1897 potranno ottenere il risarcimento con un processo civile, circa 850 hanno ottenuto provvisionali tra i 30 e i 35mila euro. Per gli altri, secondo il giudice, la domanda è al momento respinta.

Intanto ieri il pm Raffaele Guariniello e il procuratore capo Giancarlo Caselli sono comparsi davanti alla commissione parlamentare d'inchiesta sugli infortuni per discutere della necessità di creare una procura nazionale per la sicurezza sul lavoro e di un intervento per modificare la norma che prevede la rotazione dei pm e lo smantellamento del pool che ha lavorato sui casi Thyssen ed Eternit.

pc 16 febbraio - l'imperialismo italiano arma il regime sionista israeliano

trenta caccia italiani per Israele

ROMA - Per la prima volta in 70 anni Israele comprerà un aereo militare non americano, e sarà un caccia italiano. Il ministero della Difesa israeliano ha confermato oggi che l'M-346 prodotto dalla Alenia Aermacchi è stato preferito all'aereo sud-coreano T-50, un velivolo co-prodotto con l'americana Lockeed Martin. Trenta M346 sostituiranno i vecchi Skyhawks americani, i velivoli su cui da quasi 40 anni fanno addestramento i piloti di quella che viene considerata la prima aviazione militare del Medio Oriente. Il valore del contratto si aggira su 1 miliardo di dollari.

La Difesa italiana lavorerà a compensazioni per l'industria israeliana, il che significa che riequilibrerà con acquisti fatti in Israele il valore della commessa: è prevedibile che ci siano collaborazioni nel settore dei droni e con altre forniture militari. Il direttore generale del ministero della Difesa israeliano Udi Shani ha detto che le clausole di compensazione permetteranno a Israele di acquisire l'aereo "anche in condizioni di bilancio molto difficili".

La Corea del Sud pur di vendere il suo velivolo aveva fatto una contro-offerta per acquisti da 1,6 miliardi di dollari, includendo la possibile acquisizione del sistema anti-missile "Iron dome". Ma in una lettera al governo coreano Shani ha scritto che "dopo una seria analisi delle due proposte e al termine di un lungo e complesso processo di revisione, è stato deciso che la proposta italiana è la scelta più efficiente per il ministero della Difesa israeliano".

L'accordo non è ancora definitivo, ma il comunicato ufficiale di Israele ha l'effetto di mettere un termine alle incredibili pressioni che l'industria e il governo della Corea del Sud da mesi avevano scatenato in Israele: "Il rappresentante della loro azienda in Israele aveva iniziato davvero a condurre una guerra senza esclusione di colpi, ormai imbarazzante per molti nel nostro paese", dice una fonte israeliana.

L'Italia venderà quindi 30 velivoli al governo di Israele, e garantirà assistenza per tutta la vita operativa del velivolo: i primi aerei potrebbero essere consegnati nel 2014. Una fonte israeliana sostiene che "l'aereo italiano è migliore dal punto di vista della qualità, della sicurezza, dell'abilità nei compiti di addestramento: pochi mesi fa un giornale israeliano aveva scritto che la scelta era fra comprare una Ferrari oppure una Hyundai".
(16 febbraio 2012)

pc 16 febbraio - precari a Roma contestano la Camusso

"Ci Siamo" - Ma da che parte? - Precari Vs Camusso a Roma - Pigneto
Submitted by anonimo on Thu, 16/02/2012 - 13:41 art.18camussocgilitalianotiziepignetoprecariatoSINDACATIlavoro / nonlavoroRoma
Accolti prima da un blindato ed un defender dei carabinieri, con tanto di uomini schierati su via Fanfulla, e da un poi improbabile "filtro" all'ingresso del circolo Arci Forte Fanfulla, un gruppo di studenti e precari del Pigneto è riuscito infine a contestare Susanna Camusso, che partecipava ad un dibattito pubblico sulla precarietà.

Esposto uno striscione e dei cartelli con un fake della campagna della CGIL "ci siamo", al quale era aggiunta la provocatoria domanda "da che parte", è stata letta (peraltro ottenendo interesse e consenso di molti presenti) la seguente lettera.

“Ci siamo” Ma da che parte? alcune domande al Segretario Generale della CGIL Susanna Camusso.

Siamo giovani, precari, studenti, fuorisede che vivono e animano il Pigneto. Quotidianamente ci troviamo ad affrontare i problemi che la precarietà ci impone, di cui tutti si riempiono la bocca, ma che evidentemente non tutti conoscono.

Siamo lavoratori di qualche locale della zona, costretti a pagare 400 euro per una stanza, e magari anche in nero!

Studiamo, facciamo corsi di formazione, frequentiamo l’università, facciamo gli stage, lavoriamo in nero stretti tra tempi di vita che nemmeno si possono immaginare.

Siamo, però, anche quelli che tentano collettivamente di ribellarsi, attraverso la cooperazione e l’autogestione, occupando abitazioni e liberando spazi abbandonati, costruendo sportelli di autotutela gratuiti, organizzando seminari autogestiti, per riappropriarci di ciò che ci vogliono togliere: il tempo e il futuro.

Per questi motivi riteniamo che il dibattito “#liberiamoci dalla precarietà – la CGIL incontra i giovani” potrebbe essere interessante, anzi dovrebbe esserlo data la gravità della situazione sociale dei giovani in questo Paese.

Tuttavia pensiamo che se veramente si vuole avere un confronto con chi è precario lo si possa fare solo partendo dal confronto con i contenuti e le pratiche che in questi mesi e in questi anni sono state gridate nelle strade, nelle scuole e nelle facoltà del nostro Paese.

Non si può lasciare spazio a chi vuole utilizzare la crisi economica come scusa per un ulteriore diminuzione dei diritti, quando al contrario ora come non mai si impone di cogliere l'’occasione per nuove conquiste e per una necessaria redistribuzione della ricchezza.

Partendo da queste considerazioni, vorremo porre alcune domande:

1. Perché sedersi ad un tavolo di trattativa dove l’unico punto chiaro di dibattito è l’eliminazione dell’art. 18 anziché invece aprire un dibattito sull’allargamento dell’articolo 18 per chi entra nel mercato del lavoro?

2. Con quale legittimità i sindacati confederali, i cui iscritti sono principalmente pensionati e lavoratori dipendenti delle grandi aziende, ritengono di poter siglare accordi in nome dei precari, dei lavoratori autonomi, delle partite IVA, senza un confronto reale con il Paese e con i movimenti? Un accordo, magari concordato preventivamente in qualche misterioso incontro privato con un governo tecnico privo di qualsivoglia legittimità.

3. Come può pensare la CGIL di confrontarsi con i giovani ed i precari senza mettere al centro delle proprie rivendicazioni e della propria proposta politica la questione del nuovo welfare, a partire dalle pratiche dal basso sperimentate in questi anni e dalla rivendicazione del reddito garantito svincolato dalle condizioni di lavoro, superando ogni retorica di “conflitto fra generazioni” nella prospettiva invece di rivendicazioni universali ed unificanti?

Ci piacerebbe se a queste domande si rispondesse, da domani, nei fatti perché la vita da precari in Italia è oramai insostenibile!

Student* e precar* del Pigneto

pc 16 febbraio - Eternit, le vittime di Bagnoli protestano

Eternit, le vittime di Bagnoli


"I nostri morti non sono di serie B" La prescrizione lascia il dramma di Bagnoli fuori dalla storica sentenza della magistratura torinese sulle morti bianche nelle filiali italiani dell'Eternit. E per i lavoratori dello stabilimento napoletano, dove gli operai colpiti da patologie sono almeno 573 e oltre 400 hanno perso la vita, si tratta dell'ultima beffa dopo tante sofferenze. I giudici hanno iconosciuto i reati di disastro e omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro e condannato a sedici anni di reclusione ciascuno i due imputati, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, 65 anni, e il barone belga Louis De Cartier De Marchienne, 91 anni. Ma il collegio ha dichiarato prescritti i reati contestati per il periodo successivo al 13 agosto 1999, come nel caso di Bagnoli e Rubiera-Reggio Emilia.

Adesso resta solo la strada dell'azione civile per ottenere il risarcimento del danno
Gli avvocati Roberto Rosario, Vincenzo Gargiulo, Gennaro Marrazzo e Alessandro Talarico, che hanno rappresentato la parte civile degli operai napoletani, commentano: "Restiamo in attesa di leggere le motivazioni che dovranno chiarire il motivo per cui si è verificata una disparità di trattamento tra gli operai di Napoli e Rubiera da un lato e Casale e Cavagnolo dall'altro. Reputiamo, d'istinto, possa aver inciso la data di accertamento della patologia come discriminante. Ma in ogni caso - concludono i legali - valuteremo mezzi di impugnazione, ciò anche in considerazione di decessi avvenuti dopo il 1999".

Al processo sono stati ascoltati testimoni che hanno descritto la strage silenziosa dei lavoratori di Bagnoli. "Sapevamo che c'erano malattie - ha raccontato uno di questi - mio padre, anche lui lavoratore all'Eternit, morì di abestosi nel 1965. Il capo del personale disse a me e mia madre che era dispiaciuto ma che mi avrebbero assunto se non avessimo "fatto confusione".
Entrai nel 1969". Altri testimoni hanno parlato di malattie contratte anche da persone che non lavoravano nello stabilimento ma abitavano nella zona.
Vittime di un dramma cancellato dalla prescrizione.

pc 16 febbraio - la giornata di lotta sotto la regione, ieri a napoli

SGOMBRATO PRESIDIO SANTA LUCIA REGIONE CAMPANIA

ore 21.00. Alle ore 21 circa, mentre era in corso la parte terminale dello spettacolo musicale nello spazio del Presidio a ridosso la sede della Regione Campania, approfittando che il numero dei compagni e degli attivisti presenti era diminuito, la polizia ha liberato, con una carica, l’occupazione della sede stradale di Via S. Lucia. Intanto continua il fermo del compagno del compagno della zona vesuviana preso dalla polizia durante il parapiglia avvenuto nel pomeriggio. I compagni rimasti al Presidio CONFERMANO l’appuntamento per domani 16 febbraio, alle ore 9.30, di nuovo sotto la sede della Regione ed annunciano una MANIFESTAZIONE, per SABATO 18, alle ore 9.3o con concentramento nello spazio antistante la Metropolitana di Montesanto (Piazzetta Olivella).
Invitiamo tutti ad assicurare una presenza fin dall’inizio del Presidio di domani mattina.

Corteo non autorizzato alla Regione



Circa 600 manifestanti tra disoccupati del progetto Bros, dei centri sociali e dei collettivi studenteschi, e lavoratori di alcune società partecipate della Regione si sono concentrati nei dintorni degli uffici della giunta regionale in via Santa Lucia.



Ieri il questore di Napoli Luigi Merolla aveva vietato il presidio annunciato dai manifestanti, disponendone lo spostamento in piazza del Plebiscito. Agenti del reparto mobile fronteggiano i manifestanti, divisi in due gruppi, tra via Santa Lucia e Via Nazario Sauro.



In piazza anche lo scrittore Erri De Luca. "La questura non può vietare le manifestazioni - ha detto ai giornalisti - protestare contro il potere è un diritto dei cittadini". Un'altra manifestazione è in corso al cantiere della Metropolitana in piazza Municipio, dove alcuni disoccupati saliti su una gru.



I manifestanti, circa 800, hanno montato un gazebo dove poco fa si è svolta una conferenza stampa. Al microfono, uno degli organizzatori ha annunciato che il presidio davanti alla Regione diverrà "permanente". Anche lo scrittore Erri De Luca ha espresso il proprio sostegno ai manifestanti.

Le forze dell'ordine hanno invitato i manifestanti a rimuovere il gazebo e ad allontanarsi. Ieri il questore di Napoli aveva vietato il presidio davanti alla Regione e ne aveva disposto lo spostamento in piazza Plebiscito

pc 16 febbraio - NO ALLA SCUOLA - AZIENDA "Lombarda" di Formigoni e dell'Aprea, NO ALLA CHIAMATA DIRETTA

La Giunta Regionale della Lombardia ha approvato la Proposta di Legge “Misure per la crescita, lo sviluppo e l'occupazione” presentata da Formigoni per modificare l'attuale legge regionale n.19/6. Tale proposta di legge fra le altre cose prevede espressamente che “a partire dall’anno scolastico 2012/2013, le istituzioni scolastiche statali possono organizzare concorsi differenziati a seconda del ciclo di studi, al fine di reclutare personale docente necessario a svolgere le attività didattiche annuali.” e che sia “ammesso a partecipare alla selezione il personale docente del comparto scuola che conosca e condivida il progetto e il patto per lo sviluppo professionale, che costituiscono parte integrante del bando di concorso di ciascun istituto scolastico”.
Come lavoratori della scuola che da anni insegnano nelle SCUOLE pubbliche e STATALI troviamo assolutamente inaccettabile tale proposta di legge della Giunta Formigoni e l'avvallo dato a questo progetto dal ministro Profumo che si è detto disponibile a "sperimentare nuovi modelli di reclutamento".
Tali “Misure per la crescita, lo sviluppo e l'occupazione” non sono in realtà altro che un modo assolutamente incostituzionale per introdurre la chiamata diretta nelle scuole lombarde ed esautorare il sistema di reclutamento nazionale basato sulle graduatorie provinciali attraverso cui da anni lavorano migliaia di lavoratori precari. Il nuovo sistema di reclutamento proposto da Formigoni oltre a ledere i diritti di migliaia di insegnanti precari che da anni assicurano il buon funzionamento delle scuole di tutta Italia, porterebbe ad un'assurda regionalizzazione del servizio pubblico statale in cui i Dirigenti scolastici dei singoli istituti avrebbero diritto di “vita e di morte” sui nuovi docenti che vedrebbero così peggiorare ulteriormente la loro situazione lavorativa, già precaria, e si correrebbe il serio rischio di vedere aumentare i fenomeni di clientelismo e nepotismo così come già è accaduto con la regionalizzazione del sistema sanitario.
Per questi motivi esprimiamo il nostro deciso NO a qualsiasi progetto di REGIONALIZZAZIONE e AZIENDALIZZAZIONE del sistema d'istruzione della Lombardia e in qualsiasi parte d'Italia e un fermo NO ad un sistema di reclutamento dei docenti basato sulla chiamata diretta (o concorsi locali) da parte dei singoli istituti.
Il sistema di reclutamento deve rimanere nazionale basato sulla graduatorie ad esaurimento e la scuola pubblica e statale!



Coordinamento Lavoratori della scuola "3 ottobre" - Milano
Coordinamento Precari scuola Terni
Coordinamento Precari scuola Avellino
Coordinamento Precari scuola Ravenna
Coordinamento Precari scuola Roma







http://coordinamentoscuola3ottobre.blogspot.com/

pc 15 febbraio - CIE di Bari - intollerabile lager criminale - reportage di repubblica

La rabbia dietro le sbarre

"Fuggiti dalle dittature, ma qui è un lager”Viaggio nel centro devastato da rivolte e proteste. Per la prima volta, dopo lo stop alle visite imposto da Maroni e la campagna della stampa "LasciateCIEntrare", un giornalista varca la soglia della struttura di identificazione ed esplulsione di Bari
Lo sguardo rivolto all'insù. Verso il cielo. Per vedere gli aerei passare sopra la testa e aggrapparsi a quel sogno di libertà. Quando non ci sono nuvole si intravedono le scie e le luci, nelle giornate più tranquille si riesce anche a sentire il rombo dei boeing. L'aeroporto "Karol Wojtyla" di Bari è a pochissimi chilometri. Ogni tanto passa anche qualche elicottero in perlustrazione. Fuori fa molto freddo. Sono le undici di mattina e ci sono appena quattro gradi, ma non importa. Il cielo è azzurro e bisogna stare all'aperto. "Fuori, outside, dehors" ripetono in più lingue. Solo così nel Cie si riesce ancora a sperare. Quel piccolo cortile all'aperto dietro le sbarre è l'unico posto in cui ci si può sentire liberi. I migranti qui dentro sono rinchiusi. Gli operatori che forniscono loro assistenza preferiscono chiamarli ospiti del centro, ma sanno che in realtà si tratta di detenuti. Dietro la parola Cie, acronimo di centro di identificazione ed espulsione, si nasconde un vero e proprio carcere. Riservato a chi non ha il permesso di soggiorno.

L'INGRESSO
Per arrivare all'interno della struttura, a cavallo tra i quartieri San Paolo e Palese, accanto alla cittadella della guardia di finanza, bisogna attraversare una prima recinzione in muratura, una seconda vetrata anti-sfondamento alta
oltre sette metri e una terza cancellata in ferro. Solo dopo i tre anelli si può entrare nell'edificio. Circondato da camion dell'esercito, automobili della polizia e presidi dei carabinieri. È la prima volta, dopo lo stop alle visite imposto ad aprile scorso l'ex ministro all'Interno Roberto Maroni e seguito dalla campagna "LasciateCIEntrare" portata avanti da Fnsi e Ordine dei giornalisti, che qualcuno riesce ad entrare nel Cie di viale Europa a Bari.


I MIGRANTI
I migranti detenuti sono 108 su 196 posti. La maggior parte è magrebina: 70 tunisini e 11 marocchini. Ma ci sono anche tre albanesi, un egiziano e un bengalese. Qualche georgiano e persino un paio di rumeni. Chi è rinchiuso nel Cie non è detto abbia commesso reati. C'è chi arriva dal carcere, dove peraltro ha già scontato la sua pena, e deve essere espulso e chi invece è stato sorpreso per strada senza documenti e portato nel centro per essere poi rimpatriato. L'unica colpa, in questo caso, è quella di essere irregolare. Di non avere un permesso di soggiorno. "Fanno di tutto pur di uscire da queste mura" raccontano gli operatori dell'Oer, l'ente che ha in gestione il centro. "C'è chi dice di aver ingoiato le pile del telecomando per essere portato in ospedale" spiega il direttore del Cie Umberto Carofiglio. E in effetti è già capitato che qualcuno abbia approfittato del trasporto in ospedale sull'ambulanza per aprire il portellone e fuggire tra le campagne. "La libertà non ha prezzo - continua Carofiglio - ci provano in tutti i modi a fuggire".

LE PROCEDURE
All'ingresso tutti i migranti vengono schedati e visitati. Viene loro fornito un vademecum di regole da rispettare tradotto in tutte le lingue e un kit di scarpe, biancheria, spazzolino e sapone. Lasciano le valigie in una cassetta di sicurezza e sono sistemati in una stanza. All'interno di un modulo da 28 posti, rigorosamente chiuso a chiave. A lavoro, nella struttura, ci sono interpreti, mediatori culturali, assistenti sociali, medici e psicologi. Sono loro che aiutano i detenuti a sopportare il trattenimento dietro le sbarre. Il tempo di permanenza all'interno del Cie, secondo la nuova normativa, può arrivare anche a diciotto mesi. Un anno e mezzo chiusi in pochi metri quadri. In attesa di una risposta per poter rimanere in Italia.

LA STRUTTURA
Dopo aver visitato l'infermeria, la sala udienze con gli avvocati e il giudice di pace, la sala da barba dove gli operatori provvedono a radere barbe e a tagliare i capelli ai migranti a cui è vietata la detenzione di lame e forbici, la cucina e gli uffici, si entra in un lungo corridoio dal pavimento verde dove ci sono i moduli. Sette da ventotto posti. Tre sono chiusi perché distrutti dalle ultime rivolte. "Impossibile accedervi e visitarli" spiegano dalla Prefettura. Solo quattro dovrebbero essere aperti e disponibili. Si tratta di grosse celle. C'è un finestrino da cui si affacciano gli sguardi tristi e silenziosi, quegli occhi però parlano, chiedono aiuto. Una grossa chiave apre il portone in ferro: dentro ci sono le stanze con i letti. L'umidità è forte, si vede e si sente. Fa freddo anche con il cappotto imbottito. I muri sono scrostati, rotti e sporchi; i comodini sono fatti in muratura per evitare che possano essere usati come armi improprie. In un angolino gli islamici hanno messo un asciugamano sul pavimento per inginocchiarsi a pregare. I segni delle rivolte sono nei vetri rotti, nei soffitti anneriti dal fuoco, nelle porte scardinate. Molte stanze infatti hanno 'portè fatte con buste in plastica nera. I bagni rotti e in pessime condizioni igieniche. "L'acqua è fredda - racconta uno di loro - dobbiamo farci la doccia con l'acqua ghiacciata". Un altro scuote la testa. "Qui dentro stiamo benissimo - sorride - perché non venite a provare voi italiani?". Un altro ancora incalza. "E ora chi lavora nei campi se noi siamo qui? Chi raccoglie le olive e taglia l'uva? Questi sono lavori che voi italiani non volete fare, ci pagate 5 euro al giorno poi però, visto che non abbiamo il permesso, ci chiudete in questo posto". Il Cie di Bari è uno dei 13 esistenti in tutta Italia ed è anche tra i più capienti. I posti però sono diminuiti dopo le violente rivolte dei detenuti che hanno devastato e bruciato interamente tre moduli. "Ma a fine febbraio cominceranno i lavori - tranquillizzano i funzionari della Prefettura di Bari - sono già stati appaltati e riguarderanno l'intera struttura". Per vivere c'è un'altra grande stanza collettiva con sette tavoli per mangiare e giocare, un tunisino si è inventato una dama artigianale fatta con i tappi delle bottiglie. La vita si svolge tutta in pochi metri quadri. Poi c'è il cortile esterno recintato da una cancellata bianca. L'unico spiraglio di libertà.

LE MALATTIE
Non dormono, hanno crisi isteriche e compiono atti di autolesionismo. I migranti rinchiusi nel Cie prima o poi si ammalano. Ma di patologie psicologiche. Sviluppano, spiegano i medici in servizio nella struttura, malattie psicosomatiche che non si possono guarire con i farmaci classici. "Simulano crisi epilettiche, richiamano l'attenzione altrui con patologie che non esistono, vogliono sempre andare in ospedale". Qualche volta hanno ingoiato lamette o pile. L'assistenza medica è garantita, ventiquattro ore su ventiquattro, ma i problemi dei detenuti sono soprattutto psicologici.

L'ASSISTENZA PSICOLOGIA
"Provengono da percorsi difficili - spiega la psicologa del centro Nicoletta Nacci - non accettano il trattenimento. L'autolesionismo è una modalità molto frequente per attirare l'attenzione: si tratta di un atto di protesta, una richiesta di aiuto". I colloqui dei migranti con la psicologa sono frequenti. Spesso sono gli stessi detenuti a richiederli. "Chi viene preso per strada e portato nel Cie è più facile da gestire psicologicamente, accetta delle regole ma soffre di più anche se con dignità; chi arriva dal carcere invece ha già sperimentato modalità dure di protesta. I migranti - prosegue la psicologa Nacci - sono terrorizzati dall'idea di tornare nel loro paese, ed è terribile anche per me perché vedo tanti ragazzi che sarebbero capaci di riprogettarsi. Molti vengono da situazioni di sfruttamento anche lavorativo. Non hanno permesso di soggiorno, non possono avere lavoro e così alcuni si buttano nella droga. Spacciano perché, mi dicono durante i colloqui, c'è sempre domanda di pusher. È un settore quello della droga che non va mai in crisi e dove c'è sempre purtroppo un posto di lavoro".

(14 febbraio 2012)

pc 15 febbraio - per lo sciopero generale del 28 febbraio in India - una iniziativa internazionalista

Il Comitato internazionale a sostegno della guerra popolare in India fa appello ad una massiccia informazione in tutte le fabbriche e gli uffici in tutti i paesi.
È necessario che i sindacati classisti di diversi paesi approvino dichiarazioni, petizioni. È necessario che negli stessi paesi, nei paesi imperialisti come l'Italia, Francia, Canada, Galizia, Austria, Germania dove ci sono organizzazioni classiste dei lavoratori ci siano, mozioni riunioni, meeting per l'internazionalismo proletario e l'unità nella lotta dei lavoratori nei paesi imperialisti e dei lavoratori indiani
Si prega di inviare tutte le notizie e i testi a csgpindia@gmail.com perché possano essere inviati ai compagni indiani!
csgpindia@gmail
15 febbraio 2012

alcune informazioni

1
28 febbraio: sciopero di massa in India

Gli operai nelle città indiane hanno una storia incredibilmente militante, e il momento attuale non è affatto diverso. Ora i leader sindacali dell'India stanno pianificando un massiccio sciopero il 28 febbraio. Lo sciopero vede uniti faranno i sindacati rivoluzionari, sindacati riformisti, e i sindacati i cui membri sono musulmani. Lo sciopero offrirà ulteriori opportunità per la collaborazione tra le forze rivoluzionarie nelle città e le masse dalitoppresse dal sistema di caste e le popolazioni tribali. Lo sciopero vuole essere efficace nel denunciare le fondamenta marce della "splendente democrazia" dell'India al mondo.

Nota apparsa su The Hindu.

I Sindacati mobilitati per lo sciopero in tutta l'India da Sunny Sebastian

5 febbraio 2012

Il leader del Partito Comunista dell'India e segretario generale del “All India Trade Union Congress” (AITUC-Congresso generale dei sindacati dell'India) Gurudas Dasgupta ha definito lo sciopero unitario indetto dai sindacati per il 28 febbraio come la più grande dimostrazione di unità della classe operaia e dei poveri.
Tutti i sindacati principali, tra cui il INTUC (Indian National Trade Union Congress), affiliata al [Partito del] Congresso, e il Bharatiya Mazdoor Sangh del Bharatiya Janata Party, oltre ai sindacati di sinistra – il CITU (Centro per i sindacati indiani) e All India Trade Union Congress (AITUC) - parteciperanno allo sciopero.
"Non sono solo questi sindacati. Il sindacato Shiv Sena in Maharashtra e il sindacato affiliato alla Lega Musulmana anche in Kerala hanno esteso il loro sostegno all'appello allo sciopero. Accanto alle organizzazioni a livello nazionale, centinaia di sindacati non affiliati e sindacati locali si stanno preparando allo sciopero, che potrebbe essere definito il più grande negli ultimi tempi ", ha detto Dasgupta.
La "miseria crescente" della gente comune, i salari bassi, i giorni lavorativi di 10 ore in condizioni miserabili di lavoro, tagli di posti di lavoro, la disoccupazione enorme e crescente numero di contratti di lavoro precari sono stati dati come il motivo per chiamare allo sciopero. "Questo è un segnale di avvertimento per il governo dell'United Progressive Alliance, le cui politiche di neo-capitalismo hanno portato a questa situazione nel Paese ", ha detto Dasgupta.

2
Gli operai della fabbrica Regency Ceramics in India hanno fatto irruzione nella casa del loro padrone e lo hanno picchiato senza senso con tubi di piombo dopo che una disputa salariale si era messa male. Gli operai erano sufficientemente infuriati da uccidere il presidente della Regency KC Chandrashekhar dopo che giovedì il loro leader sindacale, M. Murali Mohan, era stato ucciso dalla polizia antisommossa armata di bastoni. La violenza sul lavoro si è verificata a Yanam, una piccola città dello Stato dell’Andra Pradesh sulla Costa orientale dell'India. La polizia era stata chiamata in fabbrica da parte della direzione per sedare una controversia di lavoro. Gli operai avevano chiesto una paga più alta e la riassunzione di operai licenziato in precedenza dal mese di ottobre. Murali era stato licenziato poche ore dopo che la polizia aveva lasciato la fabbrica. La mattina dopo, alle 06:00 di venerdì, Murali si era recato alla fabbrica insieme ad alcuni operai cercando di ostacolare il turno del mattino, come riportano i media locali. I lunghi manganelli, noti come lathis in India, sono stati usati dalla polizia che ha carica gli operai ferendone almeno 20, tra cui Murali, il quale è morto sulla strada verso l’ospedale, secondo il Times of India. Centinaia di operai si sono radunati davanti alla stazione di polizia chiedendo che gli agenti venissero accusati di omicidio. Il coprifuoco e altri ordini civili sono stati imposti a Yanam a causa della rivolta che alla fine ha portato all’uccisione del presidente della Regency. La polizia ha riferito che i rivoltosi hanno anche incendiato diversi veicoli fuori alla stazione di polizia. Otto operai della Regency Ceramics di polizia sono rimasti feriti a causa degli spari che ne sono seguiti; le condizioni di due di loro sono critiche. Più di 100 manifestanti sono stati arrestati. Gli operai industriali dell’India sono i meno pagati tra i quattro grandi mercati emergenti. Il reddito pro capite in India è sotto i 4.000 dollari l'anno, facendone così il paese più povero dei BRICS, nonostante la sua economia relativamente in forte espansione. Alla Regency Ceramics, gli operai hanno scioperato dal 1° gennaio per la controversia dei salari. La direzione come viene riferito aveva deciso di emettere un ordine restrittivo su cinque operai e si è data da fare per ottenere un ordine da un tribunale che diceva che gli operai in sciopero dovevano stare ad una distanza di almeno 220 metri, oltre la dimensione di due campi da calcio, dalla fabbrica. Una volta diffusasi la notizia della morte di Murali, gli operai avrebbero distrutto 50 auto aziendali, autobus e camion dandogli fuoco. Hanno saccheggiato la fabbrica. Residenti locali si sono uniti con i circa 600 operai, mentre erano in cammino verso la casa di Chandrashekhar.

3
Mozione circolata in alcune fabbriche italiane e in alcune assemblee proletarie in occasione della campagna internazionale del 2-9 aprile

India, il paese dove "gli operai bruciano i padroni"

Noi lavoratori, operai, lavoratori temporanei, disoccupati, salutiamo la lotta delle masse indiane contro il regime reazionario indiano supportato dall'imperialismo.

In India le masse stanno lottando contro i padroni che licenziano e sfruttano, contro il carovita, la corruzione e il terrorismo di Stato, con enormi scioperi e manifestazioni, fabbriche occupate, gli attacchi contro i padroni.
In India il governo ha deciso di vendere le risorse naturali ed umane alle multinazionali imperialiste occidentali, i nuovi monopoli dei padroni delle più grandi fabbriche di automobili e acciaio, come la Tata, Essar, Jindal, Mittal, ecc, che derivano dallo sfruttamento incontrollato dei lavoratori, spesso donne e bambini, gli utili che consentono loro di diventare azionisti dei grandi monopoli internazionali in quei settori, spesso in alleanza con i padroni italiani.

Contro tutto questo le masse indiane si sollevano e sviluppano una guerra popolare diretta dal partito della classe operaia in India, il Partito Comunista d'India (Maoista).

Il governo indiano e l'imperialismo hanno scatenato la repressione contro le masse, sotto il nome di "Operation Green Hunt", con massacri, esecuzioni sommarie, raid contro interi villaggi e tutta la popolazione tribale, cercando di eliminare quella che chiamano "la più grave minaccia interna e un pericolo per il sistema internazionale ", la guerra popolare, che ha come obiettivo quello di stabilire un nuovo potere basato sull'unità dei lavoratori e dei contadini, rovesciando imperialisti, la borghesia e le classi feudali.

La lotta per i diritti dei lavoratori e del popolo, la lotta per l'occupazione, salari, condizioni di vita, la lotta per la libertà, la democrazia, per rovesciare il potere dei padroni e stabilire un potere nelle mani dei lavoratori e delle masse, è una lotta internazionale che ci unisce in tutto il mondo.

Per questo motivo esprimiamo la massima solidarietà alle masse indiane e al Partito che le dirige, e ci auguriamo che esse resistano agli attacchi del nemico e avanzino verso la vittoria.

csgpindia@gmail.com

pc 15 febbraio - Napoli - Vietato assedio sotto la Regione


Vietato assedio sotto la Regione
conferenza stampa insieme agli artisti oggi ore 12,00 sotto il Palazzo
di S. Lucia

Lavoratori, disoccupati, precari, studenti e cittadini in lotta hanno
indetto per domani mercoledì 15 febbraio una manifestazione/assedio
sotto il Palazzo della Regione Campania per imporre la fine della
politica di lacrime, sangue, arroganza e clientelismo, che continua a
produrre crisi occupazionale, tagli ai servizi sociali, sanitari e ai
trasporti e la devastazione del territorio, dovuta ad una gestione
criminale del ciclo dei rifiuti.
A questa manifestazione/assedio hanno aderito tantissimi lavoratori
della cultura e della conoscenza. Erri De Luca, Enzo Gragnaniello,
Daniele Sepe, Antonio Onorato, E Zezi, O Zulù e molti altri
intellettuali e artisti, saranno al fianco dell’opposizione sociale che
circonderà il palazzo di S.Lucia, sede della principale controparte dei
conflitti in atto, per le sue prerogative e poteri e per i flussi di
danaro pubblico che controlla.
Ancora una volta, però, la volontà di manifestare il proprio dissenso si
scontra con l’ennesimo atto di arroganza delle istituzioni e della
Questura di Napoli. Il divieto a manifestare sotto il palazzo della
Regione, che ormai si ripete da mesi, giunto a sole 24 ore di distanza,
dà il senso della totale blindatura delle istituzioni ad ascoltare le
istanze di chi viene colpito drammaticamente dalle misure del governo
nazionale e locale e della volontà a voler trasformare qualsiasi
mobilitazione pacifica in un problema di ordine pubblico.
Un divieto inaccettabile in un paese che si dice democratico ed in una
città che si vanta di aver inaugurato processi di partecipazione dal
basso.
I lavoratori, i disoccupati, i precari, gli studenti, i comitati di
cittadini in lotta per la difesa della sanità, dei trasporti e dei
servizi, decisi a far sentire le loro ragioni le porteranno lì dove
vanno portate: sotto il palazzo del potere.
Insieme agli artisti indicono una conferenza stampa per le ore 12,00
sotto il Palazzo di S. Lucia.
ASSEDIERANNO CON SUONI, PAROLE E IMMAGINI:

-Artisti di strada
-La Banda del Torchio
-Maurizio Capone
-Eduardo Castaldo
-Erri De Luca
-Massimo Ferrante
-Luciano Ferrara
-Napoli Roots Family meet O’ZULU’(from 99 Posse)
Featuring: Bruciatown FA-Mass
Bababoom Hi-Fi
Sunweed Sound System
Milidanz Station
-Antonio Onorato
-Stefano Serino
-Vico Pazzariello (Gennaro Calone – Il Capitano)
-E ZEZI

e poi… mostre, proiezioni, poesie.

COORDINAMENTO REGIONALE PER L’OPPOSIZIONE SOCIALE

pc 15 febbraio - tutti alla manifestazione NOTAV del 25 febbraio- bussoleno susa ore 13



NO TAV: FERMARCI E’ IMPOSSIBILE
Sono ormai lontani gli anni in cui “No Tav” era uno slogan da spiegare ogni volta, il grido di guerra di un pugno di “indiani di valle” che, in un luogo poco conosciuto della provincia di Torino, dichiaravano una guerra persa in partenza. Da allora molta acqua è passata nei nostri torrenti; li abbiamo guadati sotto il sole estivo, al chiaro di luna, con la neve e il ghiaccio sotto gli scarponi, mille volte, e siamo diventati una piccola potenza: quelli che sono in grado di non far dormire la notte ministri dell’interno e delle infrastrutture, commissari dello stato e squali dell’impresa. Quelli che possono dire a tutti i resistenti d’Italia: fermarli è possibile. Sempre pronti, sempre in marcia; consapevoli che essere nel giusto è dura, in questo mondo che nulla sa della pulizia di una vita gradevole, del profumo di resistenza che ancora sprigionano queste montagne. Consapevoli che vale la pena di lottare, nonostante questo voglia dire, naturalmente, anche rischiare la galera, come avviene del resto in tutto il mondo. Oggi vorrebbero confinare i No Tav in carcere, ai domiciliari, al confino nelle loro città; si vorrebbero colpire la valle e il movimento di opposizione all’alta velocità/capacità tentando di terrorizzarli, di spaventarli e criminalizzarli, con gli agenti in borghese che stringono la pistola alla cintola e fanno irruzione nelle case, mettono le mani negli armadi e nei cassetti, trattano in tutta Italia come pericoli per la società persone colpevoli di aver manifestato contro la devastazione ambientale, contro l’incubo della militarizzazione delle nostre vite.
L’operazione poliziesca “Sì Tav” è anzitutto un messaggio politico, un messaggio mediatico. È rivolto, oltre che al movimento, all’intero paese. Si vuole dare una rappresentazione della lotta che ottenga l’obiettivo che la schiera di giornalisti prezzolati non è finora riuscita ad ottenere: rendere i No Tav antipatici alla massa dei telespettatori/elettori/consumatori (gli italiani, così come sono considerati dal potere). L’operazione poliziesca vorrebbe creare una rappresentazione secondo cui, dietro a una “etichetta”, il No Tav, esiste una rete nazionale di oppositori ideologici, estremisti, lontani dalla valle ma vicini ai fantasmi di cui lo stato ha sempre bisogno per sconsigliare ai cittadini di organizzarsi e resistere. I mezzibusti del tg sono stati ben attenti a qualificare gli arrestati non come No Tav “ordinari”, ma come “antagonisti No Tav”: non una parte del movimento, ma una parte estranea al movimento. Illusi. Loro stessi non credono più a ciò che dicono, si vergognano quasi nel dirlo, perché sanno di non essere più creduti. Ormai tutti sanno la terribile e splendida verità: questa valle, tutta la valle, ha preso la strada della resistenza. Le lobbies del Tav, non essendo riuscite quest’estate, proprio attraverso i giornalisti, a infinocchiare la Val Susa con la storia dei black bloc (la valle aveva risposto: “Siamo tutti black bloc!”), provano ora, in modo odioso e patetico, a infinocchiare il resto d’Italia attraverso i magistrati. La valle ha risposto ieri sera, con le fiaccole a Bussoleno: “Siamo tutti colpevoli!”.
Sanno che è un gioco rischioso: la solidarietà valligiana è in queste ore fortissima, quella nel resto d’Italia si sta dimostrando altrettanto estesa e determinata, in un momento in cui un numero sempre più alto di soggetti sociali si ribella alla politica dei sacrifici che vengono assurdamente chiesti per foraggiare la grande finanza. La situazione italiana parla di una degenerazione economica a sociale che è condanna storica del modello di sviluppo che i No Tav hanno sempre contestato; quel modello di cui il governo Monti è ultimo difensore, nel tentativo di arginare la crisi del neoliberismo rendendo l’Italia ancora più liberista. Il movimento No Tav è stato precursore dei conflitti sociali e delle critiche culturali e politiche che si affermeranno, che si stanno già affermando; per questo essere No Tav, per molti in questo paese, è l’ultima bandiera possibile, l’unica pulita: la prima, in verità, di un’epoca di cambiamento che è sempre più urgente veder arrivare.
Non è un caso che la magistratura, nel mettere le manette ai polsi ai No Tav, abbia scelto come volto pubblico il personaggio mediaticamente più spendibile, Giancarlo Caselli; spendibile perché, per la parte più distratta dell’opinione pubblica, può apparire come la persona “onesta” del sistema: quella che non ordinerebbe mai un arresto, se l’arrestato non fosse una persona pericolosa per la collettività. La storia professionale di Giancarlo Caselli è in realtà costellata di pagine tristi, odiose e autoritarie, che nulla hanno a che fare con la lotta contro i potenti, e molto con la lotta contro i movimenti; e questa è storia, anche se troppo poco conosciuta. Non è su questo, tuttavia, che vogliamo qui insistere riguardo alla sua figura. Caselli benedice i poliziotti che sorprendono i No Tav nel sonno perché i No Tav hanno mostrato che contro le mafie si vince davvero, e in maniera trasparente, se ci si organizza dal basso, insieme, in massa; soprattutto, se si evita di propinare una versione comoda e distorta della realtà, secondo cui lo stato e le mafie, all’atto di metter in piedi un cantiere supermiliardario, sarebbero due cose distinte. Caselli benedice le nostre manette perché siamo pericolosi; pericolosi, certo, perché abbiamo mostrato che non ci sono ideologie o partiti di cui abbiamo bisogno per ribellarci: gli schemi sono rassicuranti, noi, invece, imprevedibili. La valle e il Tav sono inconciliabili, così come la militarizzazione e la dignità, la politica cialtrona e l’intelligenza, i lacrimogeni e la libertà di manifestare. Né i valsusini, né coloro che con essi sono stati o sono solidali, in Italia e in Europa, sono uniti tra loro da un’ideologia: la realtà da combattere e quella da affermare sono un vincolo molto più solido, più comprensibile, e per nulla neutrale.
Mentre si svuotano le tasche dei pensionati in tutta la penisola, i pensionati della Val Susa vengono arrestati per essersi opposti alla consegna gratis ai privati di 23 mld di euro di denaro pubblico (previsioni della controparte, sicuramente al ribasso). Mentre il reddito degli italiani perde ogni giorno potere d’acquisto, lo stato spende giornalmente 90.000 euro per militarizzare la valle. Mentre il mondo ruggisce contro il vecchio sistema, e il vecchio sistema porta l’umanità alla rovina, politici e tecnocrati della finanza investono in tecnologie antiquate, in opere pubbliche inutili e dannose, in megatreni, inceneritori, nella privatizzazione dell’acqua (nonostante la voce del popolo!), dei servizi utili, delle risorse. Abbiamo mostrato come combattere contro il malaffare illegale e l’accumulazione capitalistica legale, la devastazione e il governo, gli intimidatori e i partiti, il PD e il PDL, confindustria e i sindacato giallo sia in ultima analisi la stessa cosa. In tutti questi anni il movimento ha affrontato il centro-destra e il centro-sinistra, soldati e mediatori, carrieristi e ruffiani, sindaci di Torino e commissari governativi, le imprese legate al Tav e i loro squallidi servi prezzolati, vergogna della classe operaia. È un movimento che ha visto cose che molti altri italiani non hanno (ancora) visto: la violenza sistematica e oltraggiosa delle divise, gli abusi quotidiani della digos e dei ros, la malafede conclamata della magistratura.
Abbiamo superato la fase difficile di Venaus, dove abbiamo ricacciato le truppe d’invasione con una spallata che impressionò l’Italia; quella di Susa e di Col di Mosso, dove abbiamo impedito la praticabilità del progetto complessivo delle trivellazioni; oggi rispondiamo all’aggressione poliziesca di Chiomonte e all’occupazione militare che ne è seguita con una delle mobilitazioni più grandi, estese ed emozionanti che questo paese ricordi, e che ricorderà in futuro. Ad oggi, non un chiodo per il progetto Tav è stato piantato. Questo è un movimento delle persone contro i robocop, dei beni comuni contro gli interessi privati, delle intelligenze contro la brutalità e l’arroganza che non conoscono discussioni; per questo ha potuto resistere vent’anni alla demonizzazione giornalistica, alle intimidazioni, alla disinformazione, agli incendi dei presidi, alle gomme tagliate, agli arresti, alle botte. Resisteremo anche alla retata della vergogna, alla retata del 26 gennaio. I No Tav non rischiano soltanto la galera, ma la vita durante le manifestazioni; c’è chi ha riportato ferite permanenti, chi ha rischiato e rischia la vista e l’udito, chi è finito in coma. Chi è stato in valle, chi ha visto e ha rischiato con noi, lo sa. Nella turbolenta fase 2 del governo Monti, in cui ministro-strozzino Passera ha dichiarato ancora che il Tav è opera prioritaria e irrinunciabile, affrontiamo 26 arresti, 41 provvedimenti giudiziari. Non abbiamo paura. I nostri compagni in carcere non hanno paura. Non cederemo di un millimetro, resisteremo un metro e un istante in più di loro. Che sarebbe stata dura, lo sapevamo e lo sappiamo; che sarà forse ancora più dura, in futuro, ce lo aspettiamo. Ma non ci arrenderemo, e l’Italia già se lo aspetta. Vinceremo noi, alla fine. L’Italia pronta a cambiare sarà dalla nostra parte, non dei nostri persecutori. Abbiamo resistito e resistiamo a tutto, perché non rinunciamo a nulla.

Fermarci è impossibile!

Comitato di lotta popolare No Tav – Bussoleno

pc 15 febbraio - grecia .. le posizioni del Pame

Nel pubblicare per farle conoscere le posizioni del PAME, sindacato di base in Grecia, Proletari comunisti- PCm Italia, ribadisce che nella situazione attuale, la sola via che può fermare la mano del governo greco e dei padroni europei è quella della rivolta popolare che punti al rovesciamento di ogni governo dei padroni e la prassi giusta è quella dell'attacco allo Stato, al parlamento, alle istituzioni economiche e politiche in Grecia, per una alternativa di potere proletario, per questo non condivide le scelte del PAME e del Partito che lo ispira che punta alla sola pressione sul Parlamento e in particolare quando questa linea si traduce nell'opporsi alle iniziative di attacco prodotte da altre componenti del movimento rivoluzionario greco.

documento PAME

Le nuove misure assunte dal Governo Greco.
Le nuove misure adottate dalla Troika - il governo, la plutocrazia e l'UE, hanno schiacciato gli stipendi a tutti ilivelli. Hanno messo ulteriore pressione sui lavoratori di tutte le categorie: lavoratori qualificati e non qualificati, i vecchi e i giovani, i lavoratori del settore pubblico e nel settore privato, i disoccupati, i pensionati.
Si tratta di una grande bugia che tagliare i salari più bassi del 20% -22% interessa solo i lavoratori più retribuiti e quelli che entreranno nel mercato del lavoro. Esso colpisce tutto e tutti.
a) persone non sposate, senza esperienza di lavoro riceveranno 430 euro, dopo i tagli, mentre ricevono al momento633 euro al netto delle imposte. Il salario minimo per i giovani fino all'età di 25 anni diventerà di 430 euro al netto delle imposte, e per i giovani che lavorano come apprendisti sarà ancora più basso euro 345.
b) Tutti gli accordi collettivi di categoria vengono distrutti. L'obiettivo è far partire gli stipendi da euro 494. Gli accordicollettivi in scadenza saranno rinnovati a partire da questo importo umiliante. La probabilità è che tale importo
non andrà oltre euro 600.
c) I tagli nei salari più bassi trascinano verso il basso le pensioni di base (sociali - ndr), che sono sempre strettamente connesse, sia per legge o senza legge, con il livello di stipendio più basso. Al momento, gli importi più bassi delle pensioni di base IKA sono a euro 486, che è il 65% del salario più basso aggregato. Sulla base della nuova tabella per i salari più bassi, le pensioni saranno più simili a un assegno per i poveri, piuttosto che ad una pensione.
d) le perdite delle casse di assicurazione ammontano ad almeno 2,5 miliardi
di euro per anno a causa dell'abbassamento dei salari più bassi. Questo farà partire un nuovo disastro anti-assicurazioni per tutte le pensioni presenti e future e per le indennità.
e) l'indennità di disoccupazione sarà posta sotto la ghigliottina, in quanto sarà basata sul 55% del salario giornaliero di un operaio non specializzato. Prendendo in considerazione questi nuovi riferimenti, l'indennità di disoccupazione sarà ridotta da euro 462 a euro 369. Tutte le altre prestazioni di OAED e dei fondi assicurativi, come l'indennità di maternità, le prestazioni familiari e altre, o saranno
modificati sulla base dei salari da fame, o saranno schiacciati verso il basso in nome della razionalizzazione di tutte le spese.
Gli ulteriori tagli ai salari più bassi costituiscono solo uno dei punti dolorosi del nuovo assalto alle masse, in quantosono accompagnati da:
Un congelamento degli aumenti salariali (circa il 5% ogni tre anni su stipendi al lordo delle imposte), che consentiràdi ridurre i redditi reali e peggiorare le condizioni per il calcolo delle pensioni.
Tagli drastici a tutti i benefici per i lavori pericolosi, insalubri, ecc, alla scadenza dei contratti collettivi. Tutto sarà rinegoziato sulla base della scala dei salari più bassi da euro 500. La strada sarà lastricata dai benefici che verranno
aboliti.
Tagli di almeno il 2%, nella prima fase, dei contributi di assicurazione dei datori di lavoro, a causa della quale i fondi di assicurazione depositano sul fondo, aprendo la strada alle pensioni di base e complementari ancora più ridotti. Questi tagli contribuiranno anche per ridurre ulteriormente le quote per i farmaci, la salute check-up, ecc,
Una ghigliottina su tutte le pensioni, abbassandole dal 15% al 40%. Tutte i partiti della plutocrazia hanno concordato su questo, in un modo o nell'altro.
Abolizione del diritto dei lavoratori di ricorrere per conto proprio al Omed. Questo in sostanza significa abolire il diritto di ricorrere all'arbitrato come ultima risorsa contro l'intransigenza capitalista.
Il licenziamento di 150.000 lavoratori pubblici non solo aumenterà notevolmente il numero già enorme di disoccupati, ma anche ridurrà e paralizzerà il lavoro di asili, scuole, ospedali, assicurazioni, ecc
Abolizione del lavoro a tempo indeterminato presso aziende semi-statali e le banche. Questo aprirà la strada ad una inversione totale dei rapporti di lavoro, e si intensificherà l'intimidazione dei lavoratori da parte dei loro datori di lavoro.
Abolizione delle società di edilizia abitativa per i lavoratori e delle cooperative di lavoratori per la casa. Ciò porterà alla disperazione migliaia di famiglie il cui bilancio familiare dipende dal costo dell'affitto o del mutuo edilizio, ecc
4
Inoltre vengono aboliti anche i pochi benefici a sostegno dei bisogni di base dei lavoratori per la cultura, l'intrattenimento, ecc,
La Troika - il governo, l'Unione europea, e il grande capitale - insieme con le parti eurocentriche, sono collusi nel prendere tali misure. Essi rappresentano la plutocrazia, e tutti coloro che la sostengono. Il popolo è il perdente, con l'attuazione di queste misure, mentre coloro che trarranno vantaggio dalla loro sono gli industriali, i banchieri, i grandi albergatori, i grandi uomini d'affari e dei monopoli. Solo negli ultimi due anni, secondo i dati ufficiali basati sugli elenchi di coloro i cui stipendi sono stati tagliati, circa 9,2 miliardi sono stati sottratti dalle tasche dei lavoratori. Si tratta di denaro che è stato incanalato direttamente ad aumentare il capitale della plutocrazia. I lavoratori perderanno complessivamente il 50% del loro reddito.
Non c'è fine a questo inferno. Ci verrà detto ancora una volta fra pochi mesi, che la salvezza del nostro paese necessita di nuove misure, e che tutti i sacrifici fatti fino ad ora non sono stati sufficienti. Utilizzando il fallimento come uno spaventapasseri, non sarà una sorpresa se domani chiederanno la nostra carne e il nostro sangue.
Sono risolutamente determinati, ma dobbiamo fermarli perché è certo che essi non hanno intenzione di fermare il massacro ora.
Questa è l'ora della grande responsabilità per tutti noi. Se non si fermano le misure ora, ci getteranno all'inferno.
Non perdere più sangue per il profitto dei monopoli.
Non dobbiamo lasciare che impongano le loro leggi sulle fabbriche, le aziende, le categorie.
Il PAME vi invita ad organizzarvi per combattere unitariamente contro l'abolizione dei contratti collettivi, a cacciare i lacchè dei padroni, tutti coloro che cercano di seminare disfattismo, e quelli che sono compromessi con i datori di lavoro.
Scegli i tuoi leaders e i tuoi combattenti.
Affidatevi a PAME

pc 15 febbraio - lo sciopero della fiom del 9 marzo e la posizione dello slai cobas per il sindacato di classe

Comitato centrale Fiom-Cgil
14 febbraio 2012
Documento finale
Il Comitato centrale della Fiom-Cgil proclama, per venerdì 9 marzo 2012, 8 ore di sciopero generale per tutta la Categoria e indice una manifestazione nazionale a Roma.
La manifestazione indetta per sabato 18 è sospesa ed è convocata un'Assemblea nazionale delle delegate, dei delegati e quadri della Fiom-Cgil che si volgerà a Roma presso la struttura Atlantico.
Il Comitato centrale della Fiom, nel confermare le ragioni e i contenuti delle rivendicazioni alla base della mobilitazione precedentemente decisa, intende sottolineare le seguenti questioni.
1. Va respinta ogni manomissione all'articolo 18, che rimane elemento centrale per la tutela della dignità e della libertà nel lavoro; unica disponibilità è per una normativa che acceleri la celebrazione dei processi.
2. La riunificazione dei diritti nel lavoro, la difesa dell'occupazione e la
costruzione di nuovi posti di lavoro, sono oggi la vera priorità economica, sociale e politica. Pertanto occorre ridurre la precarietà, estendere i diritti, la tutela del reddito e gli ammortizzatori sociali a tutte le imprese e a tutte le forme di lavoro, impedire le discriminazioni di genere e rimettere in discussione gli ultimi
inaccettabili provvedimenti sulle pensioni, comprese le garanzie per l'accesso alla pensione delle persone coinvolte in accordi di ristrutturazione e di crisi.
3. Occorre prevedere un piano straordinario di investimenti pubblici e privati per un rilancio del nostro sistema industriale fondato sull'innovazione, la formazione e la sostenibilità ambientale delle produzioni e dell'uso del territorio.
4. La riconquista del Ccnl e la qualificazione della contrattazione collettiva passa oggi attraverso una reale democrazia nell'esercizio della rappresentanza e nell'affermazione delle libertà sindacali e in tutti i luoghi di lavoro a partire dalla Fiat.
In questo contesto lo sciopero generale della categoria intende contrastare le scelte della Fiat e di Federmeccanica di messa in discussione dei diritti e della contrattazione collettiva, anche attraverso una coerente pratica contrattuale diffusa in tutte le imprese e in tutti i territori.
Inoltre il Comitato centrale considera non accettabili e sbagliate le scelte del Governo italiano, che si rifanno all'applicazione della lettera della Bce, che non intervengono sulle ragioni che hanno prodotto la crisi, ma semplicemente tagliano lo Stato sociale, privatizzano e attaccano i diritti nel lavoro.
Il Comitato centrale assume i contenuti della mobilitazione europea della Ces del 29 febbraio e considera necessario che la nascente Federazione europea dell'industria si faccia promotrice di una iniziativa di mobilitazione capace anche di riunificare le lotte sindacali per una diversa idea d'Europa fondata sul lavoro e la democrazia.
Approvato all'unanimità


comunicato
Il documento del comitato centrale della fiom con il quale si convoca uno sciopero generale dei metalmeccanici per venerdì 9 marzo con manifestazione a Roma non è credibile, a fronte delle posizioni della CGIL che vanno invece in senso diametralmente opposto e a un accordo con il governo su ogni singolo punto della piattaforma che la fiom esprime; a fronte della pratica della fiom nelle diverse fabbriche che vede segreterie provinciali ed RSU andare invece ad accordi aziendali in direzione contraria. Per cui riteniamento assolutamente necessario per il sindacalismo di base e di classe mantenere la massima autonomia e indipendenza da questo sciopero e da questa manifestazione, proseguendo invece lungo la strada aperta dallo sciopero e dalla manifestazione del 27 gennaio, dando continuità
all'iniziativa sindacale sui posti di lavoro, nelle città e a livello nazionale.
Su questa base lo slai cobas per il sindacato di classe, valuterà fabbrica per fabbrica, la sua adesione o meno allo sciopero indetto dalla fiom, dal quale si distinguerà sicuramente per piattaforma, basate sull'intreccio tra le questioni nazionali e questioni presenti nelle singole fabbriche, e dalle modalità di svolgimento dello stesso, mentre non aderirà alla manifestazione nazionale di Roma.
Queste scelte saranno ulteriormente discusse, nel coordinamento nazionale dello slai cobas per il sindacato di classe del 26 febbraio.

slai cobas per il sindacato di classe
coordinamento nazionale
cobasta@libero.it
15 febbraio 2012

martedì 14 febbraio 2012

pc 14 febbraio - 28 febbraio sciopero degli operai indiani .. quelli che uccidono i padroni - in italia iniziative informative e solidali


28 febbraio sciopero degli operai indiani .. quelli che uccidono i padroni - in italia iniziative informative e solidali

pc 14 febbraio - Palermo.. studenti occupano il Provveditorato

sosteniamo la lotta degli studenti
contro la scuola dei tagli, dei dimensionamenti e accorpamenti fatti sulla pelle di studenti e lavoratori ribellarsi è giusto

Scuole e accorpamenti, a Palermo gli studenti occupano il Provveditorato
Un centinaio di ragazzi del liceo Regina Margherita protesta in via Praga contro l'annessione di 24 classi a un altro istituto


PALERMO. Circa cento di studenti del liceo Regina Margherita di Palermo hanno occupato gli uffici del Provveditorato, in via Praga, per protestare contro l'annessione di 24 classi a un altro liceo, il Ferrara. Il provvedimento, attivo dal prossimo anno, è stato deciso dall'assessorato nell'ambito della riorganizzazione delle scuole siciliane. Gli studenti del Regina Margherita hanno occupato il provveditorato alla fine di un corteo che, da corso Vittorio Emanuele, ha raggiunto via Ausonia, dove hanno organizzato anche un sit-in davanti all'assessorato regionale all'Istruzione