sabato 21 gennaio 2012

pc 21 gennaio - a Roma il 27 gennaio con lo slai cobas per il sindacato di classe

Taranto
lo slai cobas per il sindacato di classe di taranto organizza per il 27 gennaio un bus per partecipare alla manifestazione di Roma.
Il bus parte da Taranto alle 23 del 26 e rientra a Taranto per le 23 del 27.
La quota partecipazione è di 10 euro per precari-disoccupati-studenti - 20 euro per lavoratori
per partecipare comunicare subito nominativo e telefono a:
cobasta@libero.it o tel al 347-5301704 (margherita)

slai cobas pe ril sindacato di classe taranto
via rintone 22 taranto tel.347-1102638


Palermo
Sciopero generale del 27 gennaio contro il governo antiproletario e antipopolare Monti
MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA
Partenza in pullman da Palermo:
Andata giovedì 26 gennaio ore 17,00 da Piazzale Giotto
Ritorno nella prima mattinata di Sabato 28 gennaio a Piazzale Giotto.
Per adesioni chiamare ai numeri 338/7708110 – 340/8429376 o recarsi presso la sede in Via G. del Duca, 4 Martedì ore 15,30

slai cobas per il sindacato di classe palermo
cobas_slai_palermo@libero.it


Milano - Bergamo
Partenza in pullman da Milano: per adesioni chiamare al numero 333/ 9415168
o presso lo sportello dello slai cobas per il sindacato di classe c/o coa
Transiti in via Transiti, 28 (MM1Pasteur) Giovedì 19 gennaio ore dalle ore
15.30 alle 17,00

SLAI COBAS per il sindacato di classe
SEDE regionale DALMINE Viale Marconi,1 (BG)

per Milano- scuola contatti:cobasdiclasse.mi@gmail.com 333/9415168
fipdalminev.marconi,1 16.1.12


ravenna
info cobasravenna@libero.it




Attacco alle pensioni, aumento delle tasse, aumento dell’iva anche sui beni di prima necessità, "liberalizzazioni" e privatizzazioni di tutto ciò che è pubblico, attacco all'art.18 con l'avvio dei licenziamenti più facili nei posti di lavoro, cancellazione dei contratti nazionali di lavoro... insomma un governo “lacrime e sangue”… da “macelleria sociale”… con un pacchetto di misure “impressionante” come lo ha definito perfino la Merkel, chiamiamolo come vogliamo il fatto è che questo governo sta mettendo in atto una politica che aggrava ancora di più quella del governo precedente.



E la piattaforma da cui è stato lanciato il governo Monti/Napolitano è proprio quella del governo Berlusconi che con le ultime manovre estive, i cosiddetti maxiemendamenti, e la legge di stabilità aveva già provato ad annullare le conquiste dei lavoratori, vedi appunto la misura di lancio per i licenziamenti facili (l'art. 8) sia nel privato che nel pubblico impiego.

Ma il signor Monti in tutto questo si è trovato proprio a suo agio, ha già detto da tempo che in questo paese c’è un grosso ostacolo alle "riforme", ma che questo ostacolo si può superare. "L'abbiamo visto di recente – ha detto - con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po' ridotto l'handicap dell'Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili."
In perfetta continuità e oltre con il governo precedente dietro la formula "governo tecnico"!!!

Ma quale governo tecnico! Il governo Monti è un governo che sta mettendo in pratica UNA POLITICA BEN PRECISA, la politica di far pagare la crisi del capitale alle masse popolari
mentre deputati e senatori si arricchiscono sempre di più insieme a banchieri e padroni!

Il governo Monti, che si vanta di aver organizzato un governo di fatto antidemocratico perché non è stato eletto da nessuno, è un governo di Grande Coalizione come si dice alla tedesca, di Unità Nazionale, che mette insieme tutti i partiti dal Pdl di Berlusconi al Pd di Bersani... è un governo forte con i deboli e debole con i forti, tanto per cambiare.

E mentre i sindacati confederali si muovono alla ricerca dell'ennesimo patto con il governo e con i padroni a spese delle masse popolari si rende necessaria una lotta a tutto campo nella quale lavoratori, precari, donne, immigrati, disoccupati, con forti mobilitazioni su tutti i terreni, fino ad arrivare ad una vera e propria rivolta che cacci questo governo e ogni governo dei padroni e delle banche, degli affari e del malaffare...

pc 21 gennaio - Iniziativa di sostegno alla guerra popolare in India - Palermo




Si è svolta ieri pomeriggio presso il box 3 del Cua - facoltà di lettere, l’iniziativa promossa dai rappresentanti a Palermo del Comitato Internazionale a sostegno della guerra popolare in India.

Dopo la presentazione dell’iniziativa iniziata con la lettura del documento di ringraziamento del Partito Comunista dell’India maoista, inviato a tutti coloro che hanno espresso solidarietà dopo l’uccisione del compagno dirigente Kishenji nel quale gli si rende onore a seguito dell’ assassinio messo in atto dal regime genocida indiano, è stato proiettato il primo video di una intervista alla scrittrice indiana Arundhaty Roy, la coraggiosa e attiva scrittrice che è andata di persona nelle zone del nuovo potere del “corridoio rosso” trascorrendo alcune settimane nella foresta del Chattisgarh insieme ai compagni maioisti e alla popolazione in lotta, per fare un quadro ampio dell’attuale situazione nel paese con particolare riferimento al genocidio, così viene definito dalla stessa Roy, del popolo indiano attraverso l’Operazione messa in piedi dal governo chiamata Green Hunt “Caccia verde”, alla lotta contro la violenza dello Stato al sevizio degli interessi delle multinazionali.

Questo e gli altri video sull’Operazione Green Hunt, sulla vita e sul funerale di Kishenji, sulle donne che subiscono le peggiori torture dai militari e dall’altro sono le protagoniste della Guerra Popolare, del suo esercito e del Partito, sono stati inframmezzati da commenti esplicativi dei vari passaggi con ulteriori dati e informazioni sulla funzione dell’informazione o meglio della mancanza di informazione in Italia.

Dopo i video è stato fatto il punto sull’interesse dell’imperialismo italiano in India con particolare riferimento alla funzione della Finmeccanica, e della Fiat.
La Finmeccanica come esempio di penetrazione dell’imperialismo italiano in India con il suo portato di morte, dato che produce essenzialmente sistemi d’arma, come gli elicotteri per la guerra, e di sostegno effettivo al governo indiano attraverso la corruzione dei suoi massimi esponenti e “modello di scandalo”, caratteristica “strutturale” dell’intervento dei paesi imperialisti in questo tipo di paesi... si è parlato della campagna contro la FInmeccanica che intendiamo sviluppare nel nostro paese come contributo concreto in generale alla guerra popolare indiana con un sguardo particolare alla condizione e alla lotta degli operai indiani supersfruttati nelle fabbriche e alle masse popolari che lottano contro l’espropiazione delle loro terre, il saccheggio e la rapina delle risorse naturali.

Alcuni stralci degli interventi che sono seguiti:

Un lavoratore precario ha detto che è terribile vedere il tipo di violenza scatenato dal governo indiano contro il proprio popolo... il tutto per mantenere una manciata di ricchi che diventano sempre più ricchi, una specie di cupola aiutata dai militari ”mi chiedo se dopo l’uccisione di questo leader, riferendosi a Kinshenji, ce ne siano altri dello stesso livello, capaci di prendere il suo posto... da noi la situazione è differente...”

Una lavoratrice ha sottolineato che le lotte che facciamo nel nostro paese sono certamente diverse per la natura diversa di esso ma la lotta che si sta sviluppando in India è un grande esempio ... l’uomo, si dice in genere, è “normale” che faccia la guerra, ma l’immagine di donne madri che abbracciano i propri figli prima di andare in guerra per tutti i figli del popolo sono davvero forti e toccanti, prima di tutto però siamo essere umani con una dignità che deve essere rispettata e per la quale si deve lottare, la repressione feroce non arresta la lotta delle masse popolari indiane nonostante le gravi perdite di dirigenti amati dal popolo... questa informazione nuova e diversa cambia il nostro modo di pensare e di agire.

Uno studente del Cua ha ritenuto l’iniziativa molto interessante perché si deve ammettere che non si ha normalmente questo tipo di informazione sul livello di scontro che c’è in India, di questa gente che mette in gioco nella lotta la propria vita e certezze.
Il tipo di economia di cui si parla per l’India riguarda i cosiddetti paesi in via di sviluppo che adesso si chiamano BRIC Brasile, India, Cina e sarebbe interessante fare un’iniziativa per esempio sul Brasile che adesso dicono si stia sviluppando enormemente e dove è molto presente la Fiat che ha delocalizzato lì da molto tempo...
Un aspetto di rilievo è quello relativo al controllo del territorio che hanno i compagni maoisti in India, “...noi abbiamo fatto qualche iniziativa sulle Farc in Colombia ma non è la stessa cosa... quelli hanno altri metodi... controllano sì il territorio e hanno gli ostaggi (in riferimento al trattamento di coloro che vengono catturati in India dai maoisti e poi rilasciati....) ma stanno sempre con i passamontagna quando vengono intervistati... qui si vede invece che stanno a volto scoperto... il livello di militarizzazione è avanzato...”

Un compagno del comitato di sostegno ha aggiunto che in altre occasioni sono state approfondite gli aspetti dell’organizzazione nelle basi rosse, la cappa di silenzio è dovuta al fatto che in India la differenza della costruzione del nuovo potere è palese, la campagna che si sta facendo in tutto il mondo è stata apprezzata dai compagni che hanno mandato un ringraziamento generale e in particolare agli organizzatori, “...noi non facciamo queste iniziative per semplice solidarietà, noi vogliamo fare come loro adattando il tutto ad un paese come il nostro nella fase attuale...rispetto alla Fiat in India bisogna dire che è stato proprio il popolo in armi ad impedire che si realizzassero i piani di distruzione ambientale e di sfruttamento, in questo senso l’unica opposizione a questo tipo di globalizzazione, l’unica diga viene proprio dalla guerra popolare...”

Una lavoratrice infine ha ricordato ai presenti che il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, nell’ambito delle iniziative messe in campo nelle diverse città promosse dal movimento femminista proletario rivoluzionario, sul piano internazionale si è voluta dedicare la giornata in particolare alle donne indiane maoiste contro cui la violenza dello Stato indiano attraverso l'esercito e le forze paramilitari è feroce, la violenza sessuale usata come arma di repressione di stato ma che di contro diventa leva per lo scatenamento della ribellione delle donne contro una pesante condizione di oppressione patriarcale/feudale di lunga durata, in tante si uniscono e aderiscono sempre di più alla guerra popolare. Il dossier della Roy riporta in alcuni passi l'esperienza di diverse compagne. La questione delle donne è uno degli elementi fondamentali trattati dal partito comunista indiano maoista, lo sviluppo e il rafforzamneto della militanza rivoluzionaria delle donne, l'avanzamento delle compagne, tante sono quadri nell'esercito e all'interno del partito, anche se passi in avanti si devono ancora fare per affermare pienamente il ruolo dirigente delle compagne. La lotta contro l'oppressione feudale/patriarcale/maschilista nelle zone del nuovo potere è concreta e si afferma sia sul piano pratico che ideologico, così avviene all'interno del partito dove le compagne vengono da lunghi anni di lotta non solo per affermare i loro diritti ma per convicere il partito che l'uguaglianza tra uomini e donne è al centro di un'ideale di società giusta.
L'India insegna che nella lotta rivoluzionaria le donne, le compagne non stanno a guardare ma sono protagoniste in essa stando in prima linea e mettendo già in atto sul campo la "rivoluzione nella rivoluzione". La lotta delle donne indiane ci incoraggia e ci arricchisce nella lotta che quotidianamente facciamo nel nostro paese come parte del cammino di liberazione della donne nel mondo contro violenza sessuale, uccisioni, doppia oppressione e sfruttamento.

pc 21 gennaio - Napoli : Più flessibilità? Più precarietà? IO NON M' I(N)CHINO


Più flessibilità? Più precarietà? IO NON M' I(N)CHINO!
Venerdì 20 Gennaio 2012 17:08 cau .
Oggi, 20 gennaio 2012, presso la sede centrale dell'Università Federico II di Napoli si è svolto il convegno organizzato dalla Uil "E' tempo di riforme. Per il lavoro e per la crescita: il coraggio delle scelte", con ospite il giuslavorista senatore del PD Pietro Ichino, in città per la presentazione del suo ultimo libro "Inchiesta sul lavoro". Come studenti di varie facoltà napoletane abbiamo deciso di interrompere questa kermesse, irrompendo nella sala piena di giornalisti e sindacalisti, prendendo la parola per contestare la natura dell'iniziativa e dire la nostra sulla riforma del mondo del lavoro, sulla precarietà e sulla crisi economica.

La riforma del mercato del lavoro sostenuta da Ichino prevede il riordino della giungla delle forme contrattuali, una maggiore libertà di licenziamento, il bisogno di una maggiore "flessibilità". Il suo appoggio incondizionato al recente Piano Marchionne, un vero e proprio ricatto che mette la parola "fine" a molti dei diritti conquistati dai lavoratori negli anni, dimostra chiaramente da che parte si colloca il senatore. Ichino insomma è uno di quelli che ci chiede di fare ulteriori sacfrifici e stringere la cinghia ancora di più...

Un "pezzo da 90" del genere non poteva certo passare inosservato nelle nostre facoltà! Ovunque si riuniranno questi personaggi per sponsorizzare i loro scellerati piani di riforma, per richiederci ancora "lacrime e sangue", li troveranno la giusta opposizione di studenti, lavoratori e disoccupati.


Eat the rich! La crisi la paghino i padroni!

Collettivo Autorganizzato Universitario - Napoli


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Oggi pomeriggio presso la sede centrale dell’Università Federico II di Napoli in Corso Umberto I, il senatore Pietro Ichino, tra i promotori della riforma del mercato del lavoro, è stato contestato da un gruppo di 50 tra studenti dei collettivi dell’Università Federico II (tra cui il Laboratorio Palayana e il Movimento di Giurisprudenza) e precari della Rete Reclaim.

Il senatore stava presentando il suo libro “Il Coraggio delle scelte” invitato dall’associazione Elaborando. All’iniziativa erano presenti anche diversi esponenti del Pd cittadino e diversi docenti, oltre alla segretaria Uil Anna Rea.

Noi, studenti ed i precari, abbiamo fatto irruzione nell’aula Pessina dove si svolgeva la presentazione del libro di Ichino interrompendo i lavori ed esponendo uno striscione con la scritta “Diritti e precarietà non pagheranno la crisi” ed intonando slogan contro la precarietà.

Abbiamo letto anche un documento per dire al “teorico della flessibilità” quanto la nuova povertà incalzante e la precarietà diffusa, pesino sulla nostra pelle.

Noi che siamo la generazione dei non garantiti e veniamo già dopo la fine delle tutele, già dopo la contrattazione nazionale, già dopo la crisi del welfare familiare, dopo l’impoverimento. Noi che siamo la generazione che assiste alla perdita del lavoro dei propri genitori. Abbiamo voluto dire ad Ichino che non ci facciamo ingannare dall’esotismo di parole come FLEXICURITY ALLA DANESE, dietro alle quali fin troppo chiaramente si nasconde un ennesimo favore a quei datori di lavoro che già oggi ci sfruttano e ci sottopagano, ingrassando le fila dei working poor, lavoratori a cui è impedito di conseguire un livello di vita sostenibile.

Siamo convinti come il senatore democratico che vada eliminato lo spartiacque tra garantiti e non-garantiti, ma questo proposito di equità non può avvenire schiacciando, tutti, indistintamente, dalla parte dei non garantiti. Non viviamo quindi con soddisfazione l’aggressione all’articolo 18 perché non riteniamo che aumentare indiscriminatamente il numero di persone costrette a vivere la nostra condizione, il numero di persone che non sa come pagarsi le rate di un auto e figurarsi l’idea di poter vivere per conto proprio, sia una risposta al nostro disagio, una garanzia per il nostro futuro. La posizione assolutamente pionieristica della nostra generazione in termine di fine dei diritti non è qualcosa che ci auguriamo di veder proliferare proprio perché sulla nostra pella sappiamo già cosa significa.

Sappiamo bene che in tempi di crisi la piena occupazione non è né possibile, né auspicabile per nessun paese europeo, meno che mai per l’Italia. La risposta alla fine di questo mito lavorista non è né il modello Marchionne né il fantoccio di un sussidio di disoccupazione che non risolve la condizione di intermittenza e precarietà e inoccupazione che, soprattutto al sud, lacera il nostro tessuto sociale.

Non capiamo, e non per ingenuità, quale mai sia il nesso causale che lega aumento dello spread, crisi del debito e aggressione ai diritti. Non possiamo accettare che lo spauracchio di una crisi che non abbiamo provocato inneschi i noti dispositivi emergenziali che permettono di portare avanti disegni che in tempi di stabilità non sarebbero neanche proponibili. Lo scudo del governo tecnico non può ammantare di neutralità manovre odiose che hanno ricadute immediate nella nostra esistenza: aumento dell’iva, caro benzina e la riforma delle pensioni sono alcuni degli esempi che restituiscono in modo plastico la portata di quest’impoverimento.

Si è contestato ad Ichino anche di essere stato tra i firmatari di un’interrogazione in Senato che chiede l’aumento delle tasse universitarie adeguandole a quelle inglesi. Gli studenti hanno preso la parola leggendo un documento di contestazione alla proposta Ichino ed hanno poi abbandonato l’aula.

Con questa iniziativa, anticipiamo pure la nostra adesione alla mobilitazione del prossimo 11 febbraio quando la manifestazione nazionale della Fiom, proprio sul tema della riforma del mercato del lavoro, sarà generalizzata dai movimenti anche come la prima manifestazione nazionale contro il governo Monti.

” Reclaim ! ” – rete urbana contro la crisi Laboratorio Universitario “Palayana” Movimento di Giurisprudenza – Federico II

pc 21 gennaio - GLI OPERAI IMMIGRATI DELLA LOGISTICA DI BERGAMO OTTENGONO NUOVE ASSUNZIONI!


I lavoratori immigrati della logistica di Brignago organizzati nello Slai cobas per il sindacato di classe di Bergamo ottengono una nuova vittoria, e affrontano con più chiarezza di classe problematiche tra i lavoratori.

A settembre con un'assemblea permanente era già stato respinto il tentativo della KN, attraverso 2 cambi appalto che si sono succeduti in questi mesi, di mettere fuori lo Slai cobas psc e di mettere a rischio le condizioni e i risultati in termini di diritti contrattuali e salariali che avevano già conquistato gli operai con una lunga e dura lotta nei mesi scorsi, con blocchi, presidi duri e prolungati, scontri con la polizia, ecc.
Questa nuova fase di lotta aveva già costretto il consorzio subentrante ad un accordo all'inizio di dicembre, con cui il consorzio si è impegnato al pagamento puntuale dello stipendio, al miglioramento sulla malattia, con il pagamento della malattia al 100% e nei primi 3 eventi nell'anno anche della carenza, e di rispettare il versamento delle trattenute sindacali.
In questa fase, inoltre, gli operai dello slai cobas psc avevano respinto una intrusione della Uil che, come aveva fatto nel consorzio precedente, voleva introdurre in maniera clientelare suoi iscritti con contratti a termine, per creare scompiglio tra i lavoratori e contrastare la loro compattezza in stragrande maggioranza nel cobas.

Dopo, quindi, questi importanti risultati, frutto della linea chiara dello slai cobas per il sindacato di classe, della lotta determinata e del fatto che gli operai immigrati hanno preso nelle loro mani il cobas e l'attività quotidiana sindacale all'interno delle cooperative,
ORA SIAMO ARRIVATI ANCHE A NUOVE ASSUNZIONI CONTRATTATE con i lavoratori del cobas - che si aggiungono alle assunzioni di tutti gli ex lavoratori con contratto a termine, strappate nella prima fase della lotta di giugno.
A fronte del fatto che la committente minacciava di non rinnovare gli appalti con le cooperative, e quindi, vi era il rischio concreto di licenziamenti di massa; a fronte della volontà aziendale di pretendere più carichi di lavoro, più produttività, gli operai non solo hanno respinto queste minacce ma hanno imposto: No aumento della produttività, No straordinari, ma nuove assunzioni!!
Questa è una vittoria che ha anche un profondo significato di unità di classe.
Si è affermata infatti una linea di classe, non facile oggi, contro una tendenza presente anche tra gli stessi lavoratori a piegarsi al supersfruttamento per avere un po' più di salario, ponendo a volte la difesa del salario in contrasto con l'aumento dell'occupazione.
A Brignago, invece, gli operai del cobas hanno detto: vogliamo più posti di lavoro, No miseri aumenti frutto di ricatti e carico di lavoro.

Questa impostazione di classe sta guidando anche la gestione di problematiche/contraddizioni che si presentano inevitabilmente all'interno dei lavoratori. Un esempio è quanto accaduto a dicembre, dove, dopo che i delegati dello slai cobas psc avevano raccolto il malcontento dei lavoratori verso 3 responsabili incapaci di organizzare il lavoro con ripercussioni sugli stessi lavoratori, alcuni operai arabi, pure iscritti cobas, avevano raccolto firme contro la rimozione di uno dei 3 responsabili.
Lo Slai cobas psc ha detto subito che raccogliere le firme era stato sbagliato perche se ci sono dei problemi li dobbiamo affrontare con una assemblea dei lavoratori, e non intaccando la coesione all'interno. Lo Slai cobas psc ha proposto anche di togliere la tessera a questi lavoratori per dare un segnale di cosa sia il cobas e per rafforzare l'unità degli operai che stanno capendo come siano cambiate le cose, anche tra di loro, da quando abbiamo fatto la lotta, e per fare passi avanti nella coscienza che il cobas è una forza collettiva che segue una linea non un gruppo che tutela indistintamente tutti quelli che pensano di farsi i fatti loro.
In una assemblea fatta a metà dicembre di oltre 120 lavoratori, si è rafforzata l'unità tra gli operai che hanno votato per acclamazione 5 dei 7 delegati iniziali; qui è stato ribadito che quanto ottenuto è stato solo il frutto della lotta e della compattezza dei lavoratori, che questa esperienza e unità di classe si deve allargare alle altre cooperative in lotta, come Pioltello, e che l'unità e la lotta oggi sono più che mai necessari per la battaglia più generale contro l'intero sistema dei padroni e il governo.

pc 21 gennaio - LA CRISI DELLA LOGISTICA: IN 100 BLOCCANO LA CAVALIERI

(da antanarivo@libero.it)

La crisi della logistica: in 100 bloccano la Cavalieri, i lavoratori la spuntano
Blocco di sei ore davanti i cancelli della Cavalieri Trasporti a Tavazzano, e le condizioni contrattuali di 230 lavoratori... (19 gennaio 2012)

Logistica, bloccata la Cavalieri

(19 gennaio 2012)

Blocco di sei ore davanti i cancelli della Cavalieri Trasporti a Tavazzano, e le condizioni contrattuali di 230 lavoratori del magazzino cambiano in meglio: è stato necessario uno sciopero duro per far tornare sui suoi passi la nuova cooperativa che subentra nell’appalto della movimentazione merci.

Il 22 gennaio ci sarà il cambio di appalto della gestione del magazzino alla Cavalieri Trasporti con la cooperativa Quick Trade che entrerà in sostituzione della cooperativa Sphera. Il cambio d’appalto ha portato però sgradevoli novità per gli operai, circa 230, che lavorano alla movimentazione delle merci, soprattutto freschi e surgelati alimentari.

Intanto per l’assunzione nella nuova cooperativa è stato chiesto ai dipendenti di sottoscrivere volontariamente un verbale di conciliazione con il quale avrebbero rinunciato a tutte le spettanze pregresse dovute dalla cooperativa Sphera o dalla società committente. Quindi l’assunzione con il nuovo gruppo sarebbe avvenuta con un livello contrattuale d’ingresso, indipendentemente dalle mansioni effettive e dall’anzianità di servizio, con un periodo di prova di un mese e con retribuzioni sensibilmente più basse rispetto a quelle maturate in qualifiche superiori.

Queste condizioni sono state ritenute dai lavoratori «punitive e vessatorie». Operai e Si Cobas hanno quindi organizzato in fretta e furia uno sciopero per ieri mattina dichiarando lo stato di agitazione e prospettando astensioni dal lavoro e blocchi ai cancelli senza preavviso qualora non si fosse raggiunto un accordo.

Ieri mattina già prima delle 10 si sono presentati davanti i cancelli un centinaio di lavoratori del magazzino che hanno completamente bloccato l’uscita e l’entrata dei Tir. Sul posto erano presenti due pattuglie dei carabinieri e sono sopraggiunti due funzionari della Digos per verificare che tutto si svolgesse senza incidenti. E a parte qualche raro momento di tensione innescato dalle proteste di autisti che volevano lasciare l’azienda, il blocco è stato pacifico e senza problemi.

«La cooperativa di prima si approfittava dei lavoratori e quella che arriva ora fa lo stesso - raccontano due operai -. Non ci sono ferie retribuite, non ci sono straordinari né festivi: a dicembre ho fatto 170 ore e ho preso sempre il solito stipendio da mille euro, con il notturno, i sabati e le domeniche. I pagamenti in più erano sempre rimandati e adesso bisogna firmare che non ci spetta più niente. Questo non è giusto».

Rabbia e delusione davanti i cancelli non sono mancate, anche se sono sfociate più che altro in qualche slogan o nella semplice protesta a voce. «Io lavoro qui da 12 anni come mulettista specializzato, perché devo rientrare con un mese di prova e con il livello di contratto d’ingresso, quello più basso?», si chiede un altro operaio. E storie come queste ce ne sono state in quantità ieri mattina.

Verso mezzogiorno è quindi iniziata una trattativa tra alcuni sindacalisti Si Cobas e i rappresentanti della nuova cooperativa. «Dopo lo sciopero e il blocco si sono ammorbiditi un po’ e hanno capito che i lavoratori erano davvero arrabbiati e pronti a proseguire nella lotta - dice Fulvio Di Giorgio del Si Cobas -.Così siamo riusciti a ottenere alcuni miglioramenti: sparisce il mese di prova e i lavoratori saranno assunti con un livello più alto di quello d’ingresso, con l’impegno tra cinque mesi a rivedere le effettive mansioni secondo il contratto nazionale di lavoro merci e trasporti. Per le spettanze arretrate, invece, invitiamo i lavoratori a non firmare la conciliazione, ma le semplici dimissioni. E ovviamente vigileremo perché l’accordo sia rispettato». Andrea Bagatta

venerdì 20 gennaio 2012

pc 20 gennaio - operai cinesi in lotta

Gennaio 2012
Gli operai cinesi hanno dato il benvenuto al nuovo anno con una ondata di nuovi scioperi a causa dei bassi salari e la mancanza dei basilari diritti.
Nella provincia sud occidentale dello Sichuan migliaia di operai del settore metallurgico hanno invaso le principali strade la mattina del 4 gennaio. Secondo un testimone oculare nel corteo c’erano circa diecimila operai. Gli operai delle acciaierie Pangang di proprietà pubblica hanno seguito l’esempio delle acciaierie Chengdu Chuanhua dove gli operai avevano ottenuto in precedenza dopo
una dura lotta un aumento salariale di 400/500 yuan al mese (63/78 $). Contemporaneamente uno sciopero è iniziato nella fabbrica di giocattoli Wuzhou Yongwei Toy Factory di Wuzhou nel sud della Cina, Gli operai sono scesi in sciopero per chiedere il pagamento degli arretrati e contro l’abolizione del premio di produzione di fine anno.
Centinaia di operaie nelle caratteristiche tute gialle hanno cominciato a concentrarsi davanti alla fabbrica chiedendo il pagamento dei salari del mese di novembre e il ripristino del premio di fine anno. “Lo sciopero è finito” ha dichiarato alla stampa un impiegato contattato per telefono” l’azienda ha corrisposto subito tutti gli arretrati”:
Ci sono notizie di un altro sciopero nelle fabbriche del gruppo Xiao Tian'e (elettrodomestici) nella città orientale di Wuxi anche se un impiegato del gruppo ha dichiarato che non poteva ne confermare ne smentire lo sciopero alla cui origine sarebbero i bassi salari,

11/01/12
Centinaia di operai sono scesi in piazza nella città meridionale di Dongguan per protestare contro il fallimento della fabbrica di giocattoli (a capitale di Hong-Kong), i dirigenti della fabbrica sarebbero scappati ad Hong Kong senza pagare diversi mesi di salario.
I mille operai della Dongguan Chuangying Toy Factory nel sobborgo di Hengli dopo aver sfilato in corteo per la città si sono concentrati davanti al palazzo del governo “Padrone bastardo, dacci il nostro sangue ed il nostro sudore” e “L’anno sta per finire vogliamo andare a casa” ( in riferimento alla fine dell’anno lunare) questi alcuni degli striscioni portati dagli operai inferociti, fronteggiati da poliziotti in assetto da guerra.
Erano da diverso tempo che l’azienda era in difficoltà gli operai avevano invitato le autorità a vigilare affinché i dirigenti dopo aver dichiarato fallimento non scappassero con i loro stipendi arretrati.
Sono oltre 10.000 gli operai impiegati nelle fabbriche di giocattoli a capitale di Hong Kong situate nell’area di Dongguan.

3/01/12
Nella provincia meridionale di Fujian i portuali sono scesi in sciopero per chiedere il pagamento degli arretrati, bloccando una strada e scontrandosi con la polizia. Gli operai dei Cantieri Guanhai Shipyard di Fuzhou capoluogo della provincia, hanno dichiarato che devono avere circa tre mensilità arretrate, e che nonostante le richieste l’azienda si rifiuta di corrispondere i salari dovuti.
Durante la mattina, lunedì 2 gennaio, centinaia di portuali hanno abbandonato lo stabilimento, concentrandosi e bloccando, per diverse ore, la strada ad alta densità di traffico di fronte ai cantieri navali.

( Fonte Radio Free Asia)
ripreso da operai contro

Milano: tifoso del Genoa picchiato dalla polizia, ricoverato in rianimazione. E' grave



da Osservatorio Repressione

Un tifoso del Genoa si trova ricoverato al Policlinico di Milano in rianimazione dopo uno scontro con un agente di Polizia. La colluttazione è avvenuta, prima dell’inizio della gara di coppa Italia tra Inter e Genoa.
Il tifoso Massimo Moro, di 38 anni, è ricoverato in gravi condizioni e in prognosi riservata nel reparto di Rianimazione del Policlinico di Milano, dove è stato trasportato dal 118 in codice rosso.
Massimo Moro è piantonato dagli agenti in stato di fermo: secondo la ricostruzione fornita dalla questura, intorno alle 20.15, quasi un’ora prima del fischio di inizio del match, Moro sarebbe stato fermato e trattenuto al varco 9 dello stadio Meazza, durante l’afflusso degli spettatori agli ingressi, perché ubriaco. Dopo avergli impedito l’ingresso, le forze dell’ordine lo avrebbero portato in un vicino posto di polizia per un controllo, ma il tifoso genoano (sempre secondo la questura) avrebbe dato in escandescenze, cercando di aggredire un agente. Un collega è intervenuto per cercare di bloccare Moro, e durante la colluttazione entrambi sarebbero caduti a terra: ad avere la peggio sarebbe stato il tifoso, che avrebbe battuto la testa, riportando un trauma cranico.
All’ospedale, però, sarebbe un’altra, la versione che i medici avrebbero fornito al cognato dell’uomo, che era allo stadio con Moro e altri due amici, giunti tutti al Policlinico intorno alle 2.30 di questa notte: secondo quanto riportato dal familiare, il prodotto usato per sedare Moro gli avrebbe provocato una reazione allergica; inoltre, l’uomo avrebbe ingoiato il suo stesso vomito, finito poi nei polmoni. Il tifoso non è cosciente ed è intubato, ma i sanitari hanno assicurato che «non è in pericolo di vita».
Poco dopo l’una, prima che arrivasse il cognato di Moro, si era presentata al Policlinico una delegazione di una quindicina di tifosi del Genoa e del Napoli, storicamente gemellati, tutti dubbiosi sulla ricostruzione fornita dalla questura e convinti che Moro sia stato vittima di un pestaggio. Gli stessi amici che erano in compagnia del tifoso ricoverato non hanno nascosto le proprie perplessità: «Era con noi - hanno raccontato - e forse ha reagito male. Gli agenti lo hanno portato via di peso, strattonato, ma nulla faceva pensare che la situazione degenerasse. Infatti noi siamo entrati comunque dentro lo stadio e abbiamo seguito tranquillamente la partita. In mattinata cercheremo di capire cosa è successo e magari chiameremo un avvocato. Soprattutto vogliamo sapere se ha lesioni interne».

Pisa: Polizia spara e uccide giovane nordafricano




E' finito in tragedia, martedi 17 gennaio, l'inseguimento sulla A12 di un'automobile che non si era fermata ad un posto di blocco; un agente ha aperto il fuoco uccidendo un giovane nordafricano. A Pisa un corteo per chiedere verità e giustizia

Quasi duecento persone, principalmente nordafricani, si sono radunati oggi alla stazione di Pisa e hanno sfilato in corteo chiedendo verità e giustizia per Karim, il giovane tunisino di 21 anni ucciso due giorni fa da un agente di polizia, nei pressi di Sarzana, dopo un lungo inseguimento in autostrada. Una notizia passata decisamente in sordina in questi giorni; stando alla ricostruzione delle forze dell'ordine, l'auto, con a bordo Karim ed altre tre persone, avrebbe forzato un posto di blocco e costretto le forze dell'ordine ad un inseguimento di 12 chilometri (durante il quale dall'auto sarebbe stato lanciato un panetto di eroina); dopodiché si sarebbe verificato un conflitto a fuoco durante cui un agente avrebbe colpito Karim, per difendersi dai colpi che venivano esplosi dai fuggitivi.
Una ricostruzione senza dubbio parziale, che lascia parecchie perplessità; per questo anche a Pisa si è svolta una mobilitazione sotto le parole d'ordine di verità e giustizia. Secondo i suoi familiari Karim stava scappando perché, in quanto clandestino, temeva la reclusione in un cie, e durante il suo tentativo di fuga è stato assassinato. Sarebbe quindi il drastico epilogo di una vita di precarietà e insicurezza, come quella che vive ogni giorno qualsiasi straniero sia segnato nel nostro paese dallo stigma della clandestinità, come la vita vissuta da tanti dei partecipanti al corteo di oggi, che probabilmente si sono immedesimati nella possibilità di fare la stessa fine di Karim.
Il corteo si è mosso per le principali vie della città, animato da una rabbia e un dolore evidenti; si è andato a concludere nella palazzina occupata di via la pergola, dove, in un'assemblea è stata decisa la partecipazione ad un altro momento di mobilitazione domani mattina a La Spezia.

fonte: InfoAut

pc 20 gennaio - 24 gennaio con i compagni prigiorieni di via democratica di base in Marocco - a fianco delle rivolte arabe !


in occasione della giornata internazionale a sostegno dei prigionieri politici rivoluzionari e maoisti della 'via democratica di base' in Marocco
il 24 gennaio una giornata di mobilitazione tra i proletari, studenti è indetta
a Milano - a cura di proletari comunisti - e Palermo - a cura del blog redblock
in altre città viene distribuito ai militanti proletari l'opuscolo informativo realizzato in francia dai compagni di AGEN - associazione generale degli studenti di Nanterre parigi
- a tutti richiediamo di diffondere e far circolare l'appello internazionale
in tutte le forme possibili

24 gennaio giornata internazionale di solidarietà con i prigionieri politici di Via Democratica di Base in Marocco

Maoist Road sottoscrive e invita tutti i partiti e le organizzazioni MLM nel mondo a firmare l'appello e sostenere questa giornata internazionale, con tutti i tipi di iniziative possibili, dalle scritte alle assemblee, dalle informazioni su internet e stampa a manifestazioni di piazza!

Tutti i proletari e rivoluzionari, i democratici e antimperialisti del mondo devono sapere che cosa accade in Marocco e nelle sue prigioni
Tutti i proletari e rivoluzionari, i democratici e antimperialisti di tutto il mondo devono conoscere la lotta dei coraggiosi giovani e dei militanti rivoluzionari maoisti in Marocco in questi anni contro la monarchia e il regime filo-imperialista marocchino, per la liberazione nazionale e sociale del popolo e per la rivoluzione proletaria!

Nelle rivolte arabe, in Marocco come in tutti gli altri paesi arabi, occorre un partito rivoluzionario maoista per trasformare la ribellione in rivoluzione!

Libertà per i nostri compagni in Marocco!

Maoista Road
maoistroad@gmail.com

gennaio 2012

appello

Dal 2008 prosegue in Marocco una dura lotta per ottenere la liberazione dei prigionieri di Via Democratica e di Base MarxistaLeninistaMaoista (VDB MLM) e di altri prigionieri politici. Essi appartengono a sindacati operai, ai disoccupati ribelli (Ifni), al movimento nel Saharawi e sono imprigionati quali "nemici interni" del regime reazionario del Marocco da punire. Il loro coraggio e determinazione a servire gli interessi del popolo ha permesso alla loro lotta di andare oltre i confini del Marocco, nonostante il silenzio dei media. Questa lotta ha avuto eco in tutto il mondo, come esempio per tutti coloro che si schierano contro l’ingiusto ordine capitalista, dei proprietari terrieri feudali e torturatori.

VDB MLM è una corrente rivoluzionaria nata dalla UNEM (Unione Nazionale degli Studenti del Marocco) erede del "fronte unito di studenti progressisti" che esisteva nel 1970. La sua ideologia è basata sul marxismo-leninismo-maoismo. I militanti di VDB MLM sono stati imprigionati per aver diretto la lotta per l'istruzione gratuita per i figli e le figlie del popolo contro la "carta nazionale dell’istruzione", contro la privatizzazione e la militarizzazione delle università, difendendo i diritti delle masse popolari, da cui la maggior parte degli studenti proviene, praticando la solidarietà internazionalista, soprattutto con la Palestina occupata e le guerre popolari. Sono tuttora rinchiusi o sono stati incarcerati perché sono comunisti.

Altri sono stati uccisi. Non possiamo dimenticare il compagno Abdelrrazak El Agadiri, attivista della UNEM e di VDB MLM, assassinato il 28 Dic 2008 durante una protesta a sostegno del popolo di Gaza. Il regime cercò addirittura di nascondere il cadavere fuori la porta sul retro dell’ospedale Ibn Tufayl. Ma la sua lotta vive ancora. La lotta per la liberazione del gruppo Zahra Boudkour (in carcere dal 15 maggio 2008) e del compagno Hasnouni Ilham (catturato nella sua abitazione il 12 ottobre 2010) non si è ancora conclusa, anche dopo il rilascio dei due esponenti rivoluzionari e di alcuni loro compagni. Hasnouni Ilham, dopo Zahra Boudkour, è la più giovane prigioniera politica in Marocco, è studentessa dell'Università di Marrakech, 21 anni, attivista comunista e sindacalista dell’UNEM. Detenuta senza processo da più di dieci mesi, è stata arrestata senza mandato nell’ottobre 2010 e torturata per fatti risalenti agli incidenti nel campus del 2008. Eventi simili si sono avuti a Fez nel marzo 2009, scontri tra studenti e polizia che hanno poi portato a diverse ondate di arresti. Gli attivisti sono accusati di: distruzione di proprietà dello stato, manifestazione non autorizzata, vilipendio di pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, uso della forza e partecipazione a banda armata.

A Novembre 2011, ci sono tre prigionieri rivoluzionari di VDB ancora in galera:

* Achouini Murad, arrestato il 15 maggio 2008, condannato a 4 anni
* Elhamdiya Youssef, arrestato il 10 ottobre 2010, condannato a un anno e mezzo
* Abdelhak Talhaoui, arrestato il 23 febbraio 2011, condannato in primo a 4 anni, pena ridotta a 10 mesi nell’appello dell’ottobre 2011.

Il regime, usa la detenzione per spezzare la volontà degli attivisti sindacali e politici. Ma il movimento di solidarietà e l’acuirsi della lotta di classe in Marocco hanno trasformato le prigioni in luoghi di resistenza e lotta. Infine la rivendicazione del rilascio dei prigionieri è cresciuta col movimento popolare e si ritrova sulla piattaforma del "Movimento del 20 febbraio". Il Marocco, come il Sud America o l'entità sionista, è un centro di tortura, persecuzione ed eliminazione degli oppositori. Mantiene questo sinistro primato. Marx diceva che quando la borghesia, anche la più democratica, si sente minacciato, essa calpesta la sua stessa legalità. Rapimenti, esecuzioni extragiudiziali, uccisioni di militanti fatte passare come scontri sono armi di terrore utilizzato a tutti i livelli per garantire l'ordine imperialista. I paesi imperialisti ne sono i mandanti, anche quando non sono gli esecutori diretti della tortura. La lotta per la liberazione dei prigionieri politici è un problema della classe, una lotta internazionale di tutti coloro che lottano per l'emancipazione degli oppressi.

Facciamo appello a sviluoppare iniziative per esigere l’immediata liberazione dei compagni e far conoscere la loro lotta!

Via la lotta del popolo marocchino!

Libertà per o prigionieri rivoluzionari!

Abbasso il regime reazionario marocchino e l’imperialismo francese!

Sottoscrivono : AGEN, Comité Anti-Impérialiste, Coup Pour Coup 31, Coup Pour Coup
87, FSE, La Cause du Peuple, Libertat, OCML Voie Prolétarienne, PCmF, PCm Italia, PCR Canada, Secours Rouge Arabe, SRI de Baiona Secours Rouge de Belgio, Maoistroad

diffusione e campagna in italia a cura di
maoistroad@gmail.com
ro.red@libero.it

pc 20 gennaio - un operaio dell'Enichem di Ravenna sul sostegno alla guerra popolare in India

Un compagno operaio dell'Enichem presente all'incontro di Ravenna ci ha inviato le sue considerazioni.



La visione del filmato sulla guerra popolare in India permette alcune considerazioni di netta somiglianza tra le lotte nei paesi imperialiste e quelle nei paesi sfruttati (anche se presentati al mondo come economie emergenti in grande sviluppo).

Come operai dobbiamo sostenere la guerra popolare in India perchè siamo consapevoli d’essere tutti gli sfruttati dalla stessa parte ed avere il nemico comune rappresentato dai padroni-multinazionali-paesi imperialisti e/o asserviti ad essi e le forze della reazione.

Dall’intervista di A.Roy si può evincere lo stesso trattamento che riservano i mercati quando chi amministra lo stato per conto della borghesia ad ogni latitudine abbia lo stesso effetto positivo sulle borse, nel momento in cui si promettono repressioni alla minaccia all’espansionismo delle multinazionali, nei paesi in “crescita” (India) così come nei paesi “sviluppati” i governi annunciano tagli al welfare e alla spesa pubblica (Italia ed Europa in generale). Così facendo smascherano come i mercati siano incompatibili con il benessere reale dei cittadini.

Come non notare che mentre nei paesi in guerra il lavoro sporco lo fanno i militari ed i paramilitari nei paesi sviluppati, oltre alle forze della repressione e ai mass media, lo fanno i confederali e le organizzazioni pacifiste/conciliatrici nel dar manforte alla repressione delle ribellioni radicali per metterle sotto il controllo pacifico-concertativo dei “preposti” all’ordine sociale.

Un altro segnale di identici obbiettivi da parte dei poteri forti è la deportazione dalle zone di interesse economico-strategico delle popolazioni siano esse contadine o cittadine (in India le zone minerarie, qui in Italia le zone colpite da catastrofi naturali, come L’Aquila, o gli espropri per opere d’interesse commerciale, TAV per esempio).

Vediamo la criminalizzazione della violenza da parte dei media quando viene dal popolo in lotta, mentre è benedetta quando ad adoperarla sono gli eserciti e le polizie, in ogni angolo del mondo, al servizio del capitale.

Ultima considerazione della loro essenza di democrazia, dove gli elettori sono soprattutto e soltanto dei consumatori, e come tali c’è soltanto il mercato da far crescere e difendere.

Come si può evincere la lotta contro i padroni ad ogni latitudine e la solidarietà alle lotte nei paesi sfruttati fan parte di un’unica lotta degli oppressi contro gli oppressori siano essi padroni, multinazionali o stati imperialisti, e soltanto la vittoria di questa guerra di popolo di lunga durata può metter fine a questo scempio sotto gli occhi di tutti che continua a mietere morti e fame tra le file degli sfruttati.

MG, operaio Enichem-Ravenna

pc 20 gennaio - Confindustria: il decalogo di Bombassei

Il patron di Brembo ha le idee piuttosto chiare in merito, “l’impegno primario della prossima presidenza confindustriale sarà quello di riuscire a dare alle imprese di ogni dimensione e settore, una scatola degli attrezzi, costruita a livello interconfederale, dalla quale ogni azienda possa scegliere il modello di contrattazione più coerente con le proprie esigenze”.


Obiettivo e' dare a imprese modello contrattazione coerente

Confindustria: il decalogo di Bombassei(ANSA) - MILANO, 17 GEN - Una lettera contenente il decalogo per il futuro di Confindustria. E' il documento inviato dal vice presidente di Viale dell'Astronomia, Alberto Bombassei, che nei mesi scorsi si e' detto disponibile a guidare l'associazione presieduta da Emma Marcegaglia.


giovedì 19 gennaio 2012

pc 20 gennaio - Come e perché l’Italia addestra gli afgani alla guerra


Mai così tanti i militari italiani in missione di guerra in Afghanistan. Quattromiladuecentodieci e solo a metà anno i primi uomini faranno rientro a casa. Per completare il ritiro del contingente nazionale, secondo il ministro della Difesa Di Paola, bisognerà attendere invece la fine del 2014. Un conflitto in nome degli interessi geostrategici delle transnazionali dell’energia, per cui è stato versato un alto tributo in vite umane: per il sito della Camera dei Deputati sono già 42 i militari caduti in territorio afgano “di cui 28 in seguito ad attentati o conflitti armati”. Top secret il numero di feriti e traumatizzati, ma sarebbero centinaia. Dal primo gennaio 2002 al dicembre del 2011, dispiegamenti di reparti, caccia, elicotteri e tank, blitz e bombardamenti aerei, esercitazioni a fuoco hanno comportato una spesa per i contribuenti italiani di circa 3 miliardi e 800 milioni di euro. E le operazioni tricolori in Afghanistan assorbiranno più della metà delle spese previste per pagare le missioni all’estero nel 2012 (complessivamente 1,4 miliardi di euro).
“A Kabul il nostro contingente opera nell’ambito del Quartier Generale di ISAF, della NATO Training Mission - Afghanistan e di Italfor Kabul con circa 210 uomini mentre ad Herat siamo presenti con circa 4.000 uomini, principalmente appartenenti alla Brigata paracadutisti Folgore”, spiegano i portavoce dello Stato maggiore della difesa. “Per le esigenze connesse con le missioni in Afghanistan ed in Iraq, inoltre, ci sono 125 persone tra Al Bateen, Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti), dove sono dislocati alcuni velivoli che assicurano il sostegno logistico, a Tampa (Stati Uniti d’America) presso il Comando USA dell’intera operazione e in Bahrein quale personale di collegamento con le forze USA”. Nel teatro di guerra afgano, il contingente dispone dei più moderni sistemi d’attacco, batterie missilistiche, bombardieri, elicotteri, aerei da trasporto, velivoli per missioni di sorveglianza e ricognizione. La componente aerea è stata rafforzata a partire del 2007 con l’arrivo dei caccia AMX, dei velivoli senza pilota “Predator” e degli elicotteri d’attacco A129 “Mangusta”. Oltre una trentina sono i velivoli schierati ad Herat, il terzo contribuito aeronautico alleato in Afghanistan dopo USA e Gran Bretagna.
“ISAF – spiega il Ministero della difesa - ha il compito di condurre operazioni militari secondo il mandato ricevuto, in cooperazione e coordinazione con le forze di sicurezza afgane ed in coordinamento con le forze della Coalizione, al fine di assistere il Governo afgano nel mantenimento della sicurezza, favorire lo sviluppo delle strutture, estendere il controllo su tutto il Paese ed assistere gli sforzi umanitari e di ricostruzione”. In vista del progressivo sganciamento dall’Afghanistan, gli alleati stanno operando per “incrementare le capacità, l’autonomia e le competenze” delle ricostituite forze armate locali. L’Italia ha assunto un ruolo centrale nelle attività di formazione e addestramento dell’esercito (ANA) e della polizia (ANP) afgani, un impegno oneroso dal punto di vista organizzativo e finanziario e che presuppone pure il loro accompagnamento materiale in vere e proprie azioni di combattimento. L’esercito italiano impiega sul campo i cosiddetti OMLT (Operational Mentoring Liason Teams), team composti da 20-30 consiglieri ed addestratori “a livello di Corpo d’Armata, di Brigata e di Kandak (battaglione)”. I cicli addestrativi hanno una durata di almeno sei mesi e spaziano dalle procedure tecnico-tattiche di fanteria, all’uso di armi leggere e pesanti, ecc. Nel 2008, si è pure tenuto un lungo addestramento sulle tecniche di “ambientamento e movimento in montagna”, destinato all’Afghan National Army, articolatosi in lezioni teoriche a Camp Invicta, sede del contingente italiano a Kabul e in attività pratiche in Italia, presso il 6° reggimento Alpini di Brunico (Bolzano).
La formazione di piloti e tecnici dell’Afghan Air Force viene effettuata invece nella base aerea di Shindand da personale dell’Aeronautica militare. Per i training, avviati il 2 novembre 2010, sono a disposizione due gruppi di consiglieri-addestratori accanto ai militari afgani destinati alla guida degli elicotteri Mi.17 di fabbricazione russa. Gli italiani hanno pure istituito corsi di specializzazione nel campo delle comunicazioni radio e radar, della gestione delle reti e depositi POL (petrolio, olio e lubrificanti), della manutenzione e del rifornimento dei velivoli, del supporto medico, ecc.. I voli addestrativi vengono svolti in cooperazione con l’Aeronautica militare ungherese che utilizza da diversi anni la stessa tipologia di elicotteri e con l’838th Air Expeditionary Advisory Group (AEAG) delle forze aeree degli Stati Uniti.
Ad Alenia North America, società controllata da Alenia Aeronautica (gruppo Finmeccanica), è stata affidata la formazione dei piloti e del personale addetto alla manutenzione dei velivoli da trasporto tattico C-27/G.222, la cui consegna all’aeronautica afgana è in fase di completamento da parte di US Air Force. Il contratto, del valore di oltre 4 milioni di dollari, prevede un anno di lezioni teoriche, la formazione pratica e l’addestramento in volo nello stabilimento Alenia di Napoli-Capodichino dei piloti afgani e degli advisor statunitensi che sono poi inviati a Kabul per operare con il personale dell’Afganistan National Army Air Corps (ANAAC). Nell’ottobre 2008, Alenia North America era stata protagonista di una strana triangolazione Italia - Stati Uniti – Afghanistan: la società aveva venduto ad US Air Force diciotto aerei da trasporto G.222 (già in uso all’aeronautica militare italiana), che dopo essere stati riammodernati erano stati trasferiti alle forze aeree afgane.
Imponente anche l’impegno addestrativo degli italiani a favore delle forze di polizia. Ad Adraskan ed Herat due team di carabinieri provenienti dall’organizzazione Territoriale dell’Arma e dai paracadutisti del 1° Reggimento “Tuscania” contribuiscono alla formazione di alcune unità del Comando Regionale dell’Afghan Uniform Police e dell’Afghan National Civil Order Police.
Militari dell’Arma e della Guardia di finanza partecipano anche alla missione di polizia “Eupol Afghanistan” dell’Unione Europea, nell’ambito dell’iniziativa di Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD). La missione, iniziata il 15 giugno 2007, ha lo scopo di “sviluppare le attività di training, advising e mentoring del personale afgano destinato alla Polizia nazionale e alla Polizia di frontiera”. Grazie a un accordo bilaterale Italia-Afghanistan, carabinieri e fiamme gialle sono pure impegnati ad Herat nell’addestramento della polizia di frontiera e doganale, collaborando con il personale USA del Combined Security Transition Command Afghanistan (CSTC-A). Sempre ad Herat, Il Ministero della difesa italiano ha recentemente contribuito con 100.000 euro alla realizzazione di una nuova stazione della polizia afgana.
Un colonnello del 3° Reggimento Bersaglieri è alla guida del PRT - Provincial Reconstruction Team che ha il “compito di supporto alla governance e di sostenere il processo di ricostruzione e sviluppo”, congiuntamente ad una componente civile rappresentata da un Consigliere del Ministero Affari esteri. La struttura controlla e gestisce buona parte degli interventi in Afghanistan finanziati con denaro della Cooperazione allo sviluppo. Negli ultimi cinque anni, PRT dichiara di aver costruito nel distretto di Herat “scuole, ospedali, carceri, strade e ponti” per il valore complessivo di 30 milioni di euro, 5,6 dei quali nel solo 2011. Entro la fine di gennaio sarà completata la prima tranche dei lavori di ampliamento del terminal del locale aeroporto (250.000 euro). Per lo scalo di Herat, i progettisti del Provincial Recontruction Team hanno predisposto un masterplan del valore di oltre 137 milioni di euro per realizzare un nuovo terminal, piste aeree e opere viarie di collegamento. Lo scorso 17 dicembre, il programma è stato presentato alle autorità nazionali afgane dall’ex ministro allo Sviluppo economico, Paolo Romani, neo-rappresentante dell’esecutivo Monti per lo “sviluppo economico dell’Afghanistan e del’Iraq”.
Dal 2001 al 31 dicembre 2010, la Cooperazione italiana ha erogato 516 milioni di euro per finanziare “iniziative bilaterali e multilaterali” nel “settore infrastrutturale e degli aiuti umanitari” (103 milioni solo per il collegamento stradale Bamyan-Maidan Shar). Ventinove i milioni stanziati lo scorso anno per “progetti nel settore della governance, dello sviluppo rurale e agricolo e delle infrastrutture stradali”. L’Afghanistan è proprio la gallina d’oro di mercanti d’ami e grandi società di costruzioni. Nel 2012 potrebbero partire i lavori di ristrutturazione della strada Herat–Chishet Sharif. Prima beneficiaria, spiega Il Sole24Ore, la grande cava di proprietà del magnate statunitense Adam Doost (alla guida dell’American Chamber in Afghanistan), “che di recente ha chiuso un accordo di partnership con la Margraf di Vicenza per commercializzare in Italia e in Europa blocchi di marmo inizialmente per 5 milioni di dollari”. La guerra in Afghanistan si combatte per il gas e il petrolio ma anche in nome e per conto dei pescecani dei mercati finanziari planetari.

Antonio Mazzeo

tratto da http://www.liberazione.it

14 gennaio 2012

pc 20 gennaio - Israele acquista caccia Italiani in cambio di "radar anti-immigrati"

osservatorioiraq

L'aeronautica militare israeliana rinnova la flotta e raccomanda l'acquisto di mezzi italiani

Nelle prossime settimane Israele procederà al rinnovamento della propria flotta aerea: in lizza per la vendita dei caccia da addestramento militare, oltre alla Corea del Sud, anche l’Italia, “raccomandata” dall’aeronautica israeliana direttamente al ministero della Difesa. Aerei che serviranno per addestrare i soldati di oggi e di domani a bombardare i civili palestinesi (nel caso in cui la Striscia di Gaza dovesse averne ancora 'bisogno').

di Cecilia Dalla Negra

Che la cooperazione militare con governi che utilizzano la propria aeronautica per bombardare i civili non s’avrebbe da fare è un concetto che all’Italia – pronta a spendere 15 miliardi di euro per l’acquisto di 131 F-35 mentre chiede ai propri cittadini di “fare sacrifici” – sembra proprio non piacere.
Quando si parla di affari – tanto più se di tipo militare – l’etica non trova spazio, e ogni acquirente è buono. Ancor meglio poi se l’alleato si chiama Israele e intrattiene con il nostro paese, storicamente, un rapporto di cooperazione militare - che in gergo civile si potrebbe chiamare ‘complicità’ - che affonda le sue radici lontano nel tempo.
Ancor prima che esistessero un’aeronautica e un ministero della Difesa, in Israele, capaci oggi di acquistare i potenti mezzi usciti dalle fabbriche di morte dell’industria bellica italiana.
Tra i primati che l’Italia può annoverare c’è anche la fabbricazione dei caccia da addestramento M-346. Alenia Arlemacchi la produttrice, per questi jet militari transonici di cui l’aeronautica israeliana ha raccomandato l’acquisto.
Destinatari della “segnalazione” l’Israeli Defence Force – l’esercito israeliano – e il ministero della Difesa, che stanno discutendo l’acquisto di nuovi mezzi per sostituire quelli, ormai tramontati in troppe guerre, della flotta nazionale. La decisione sarà presa nelle prossime settimane, i vertici ancora non si sono pronunciati: c’è sempre da capire quale possa essere il tornaconto più conveniente.
In lizza insieme all’Italia, infatti, c’è la Corea del Sud, con i suoi T-50 Golden Eagle, addestratori avanzati monomotore sviluppati grazie ad una joint venture con gli Stati Uniti.
“Entrambe i caccia corrispondono alle nostre esigenze” secondo quanto dichiarato da una fonte del ministero della Difesa, ma sembra evidente che sulla decisione finale peserà il contro-investimento in sistemi di sicurezza israeliani che i due paesi saranno disposti a fare.
Un giro d’affari che, dalla Corea del Sud, porta alle casse israeliane circa 280 milioni di dollari l’anno in sistemi di difesa acquistati: una partita che il paese vorrebbe vedere ricambiata, tanto da aver accusato Gerusalemme di voler favorire l’Italia nelle negoziazioni per l’acquisto, pena il buon andamento dei rapporti diplomatici tra i due paesi.
Già piuttosto tesi, a dire il vero, stando a quanto affermato dal quotidiano Ha’aretz, che stima in 1 miliardo di dollari circa l’ammontare complessivo dell’affare che sta per concludersi.
Israele per il momento non si pronuncia – il portavoce dell’esercito, interpellato dal giornale, ha fatto sapere che “non discute di questioni professionali con i media” – ma è evidente che nella scelta peserà l’intenzione da parte dei due paesi di voler “contraccambiare” il favore con l’acquisto di mezzi di difesa israeliani.
Ma un punto di vantaggio in questo senso è stato già segnato dall’Italia, che negli ultimi tempi è stata particolarmente ligia nel rendere omaggio all’accordo di cooperazione militare ratificato con Israele (Legge 15/05/2005).
Se non fossero bastate le esercitazioni congiunte nel deserto del Negev, e la base militare di Decimomannu, in Sardegna, che spalanca le proprie porte all’addestramento in volo con gli F-16 israeliani, a rafforzare i rapporti tra i due paesi è arrivato anche l’acquisto dei tanto avversati “radar anti-migranti”.
In Puglia, Sicilia e Sardegna – individuate per la futura installazione di questi impianti – le manifestazioni si moltiplicano nel silenzio dei media. Apparecchi denominati EL/M – 2226 ACSR, prodotti dall’azienda israeliana Elta System, che serviranno per “proteggere” le coste italiane dell’arrembaggio dei migranti, categoricamente rifiutati dalle popolazioni locali per le ripercussioni non solo etiche, ma anche ambientali e sanitarie che potrebbero avere.
Notizie che non fanno notizia, proprio come domande la cui risposta è intuitiva. A cosa servirà l'acquisto italiano degli F-35? A bombardare la prossima Libia. Così come i caccia da addestramento militare serviranno a preparare i soldati israeliani a bombardare la prossima Gaza.



pc 18-19 gennaio - Sicilia e rivolta dei forconi .. che succede veramente ..posizione dei centri sociali e interventi da indymedia

Palermo : Centri Sociali al fianco dei "forconi" in lotta!
Submitted by anonimo on Thu, 19/01/2012 - 14:22 banchebloccocentri socialicomunicaticrisidebitoeconomieequitaliaforconiitalialavoro / nonlavoromanovramontimovimentiPalermo
Oggi per tutta la giornata una trentina di compagni/e dei centri sociali palermitani Anomalia e Laboratorio Arrigoni hanno partecipato e sostenuto il presidio del Movimento dei Forconi e degli autotrasportatori, svoltosi all’altezza di via oreto - rotonda di via regione siciliana - imbocco dell’autostrada, dove i manifestanti circa centocinquanta, hanno piu’ volte attuato dei blocchi stradali a singhiozzo mandando in tilt l’intero traffico in entrata e in uscita da Palermo.

La protesta popolare che si sta diffondendo in Sicilia come tutte le proteste di questo tipo sono complesse, di massa e contradditorie, ma di sicuro parlano il linguaggio della lotta contro la globalizzazione, contro equitalia e lo strozzinaggio legalizzato che sta mettendo in miseria larghe fasce della societa’ siciliana , contro la casta politica di destra e di sinistra che sta mettendo in ginocchio i lavoratori e le loro famiglie , contro l’aumento dei prezzi della benzina . Soprattutto il movimento dei forconi quello che richiede lo vuole conquistare con la lotta. Blocchi stradali, fermo di tutti i tir che entrano ed escono dalla citta’, e momenti di propaganda contro i governi regionale e nazionale che incontrano a differenza di cio’ che dicono i media ufficiali la gran simpatia della popolazione.

Serve un po’ di chiarezza su alcuni punti, secondo noi, determinanti.

Tante critiche sono state fatte ai soggetti promotori di queste manifestazioni.

Una di queste è che sarebbero gestiti e organizzati in maniera strumentale da alcuni personaggi vicini al partito di Lombardo (Mpa). Senza voler fare del becero moralismo o inviti alla comprensione pietistica rispondiamo col potere dei dati empirici e non della retorica: chi ascolta i soggetti protagonisti dei blocchi e delle manifestazioni a cui stiamo assistendo; chi legge i loro cartelli e volantini; chi incrocia i loro megafoni sa quanto peso abbia nei loro linguaggi la competa sfiducia verso tutta la classe politica (tutta!). Se poi a parlare per loro sono stati anche quel politicante dell’Mpa o quell’altro di Forza sud non ci stupisce più di quando assistevamo alle becere vetrine costruite attorno a presunti portavoce di altri movimenti (gli studenti in primis) che altro non erano che la "cattura partitica" di lotte e vertenze. Eppure, anche in questi anni di lotte studentesche e universitarie, qualcuno si costruiva legittimità per provare successivamente a vendere i movimenti al partito di "sinistra" o al sindacato di "sinistra".Questo ci ha mai impedito di stare dentro tali movimenti? Di provare a portare in essi i contenuti di una lotta antisistemica e autonoma? Quante volte dietro battaglie (in molti casi figlie dello stesso qualunquismo che ora si imputa ad altri) in difesa di "cultura e formazione" abbiamo dovuto convivere con le più fantasiose manovre elettoralistiche senza mai perdere di vista ciò che più ci interessa – soggetto, pratiche, linguaggi - ? Per fortuna abbiamo avuto ragione.

Una risposta veemente va data a chi agita lo spauracchio "fascista" a proposito delle lotte in questione. Il fatto che in alcuni contesti venga dato spazio a certe forze di estrema destra – crediamo sia "biologico", nella origini di questi movimenti, che venga ricercato supporto in chiunque lo conceda - non è forse più significativa la colpa di chi, non riconoscendo tutto quello cui abbiamo già accennato, rimanendo distante dalla materialita’ dei rapporti sociali, lascia spazio di agibilità a costoro che, ovviamente (e dove sta la novità?), cercano di agire questo spazio attraverso il loro sporco populismo? Non è forse il solito esercizio retorico di "sinistre da salotto" in attesa di momenti messianici già pronti e confezionati e mai pronta a "sporcarsi le mani" in dinamiche che vanno irradiate di contenuti, non certo tenute a distanza…eppure tanti di questi "manifestanti"erano venuti a bussare alle porte dei nostri centri sociali e delle sedi della sinistra "radicale": sono fascisti? Non crediamo!

Noi, militanti di centri sociali e di spazi occupati dellla citta’ di Palermo, sosterremo la lotta di "forconi" e autotrasportatori perchè frutto di una giusta battaglia e perchè ricca di positive e "incompatibili" energie; per questo, come sempre, saremo al fianco di chi lotta contro la crisi e questo intollerabile sistema.

Studentato Autogestito Anomalia

Laboratorio Vittorio Arrigoni

PALERMO

la rivolta dei forconi. chi c'è dientro e dentro veramente
Submitted by anonimo on Thu, 19/01/2012 - 14:40 antifascismoforconiitaliarepost da altri mediaAltre città
S’avanza sui media il movimento dei forconi siciliani. Un movimento che raccoglie qualche migliaio di sostenitori su Facebook e che in questi giorni manifesta per chiedere attenzione e, in definitiva, soldi per alcuni settori dell’economia siciliana in crisi.

Si tratta di un movimento che muove da istanze corporative di alcune categorie imprenditoriali, segnatamente agricoltura e trasporti e che interpreta alla perfezione il ruolo di finta opposizione all’interno di un sistema marcio colluso, dal quale gli stessi che protestano hanno raccolto benefici per anni, premiando con il loro consenso chi poi li ha condotti al disastro insieme al resto del paese.

Si tratta di un classico movimento populista, animato da un’estrema destra che spera di approfittare della crisi di un sistema di potere del quale ha largamente profittato e che, anche per questo, non intende minimamente mettere in discussione. Un movimento che procede su linee d’azione speculari a quelle della Lega al Nord, travestendo da opposizione chi ha governato fino a ieri e cercando di distogliere l’ira popolare dai veri responsabili di un’operazione di governo fallimentare, puntando ai sempiterni capri espiatori dell’estrema destra italiana.

Così i siciliani scesi in protesta, che in Italia hanno la regione con la più vasta autonomia, chiedono autonomia di spesa, si dicono contro la globalizzazione e chiedono addirittura la possibilità di stampare una moneta sovrana per la Sicilia.

Un “programma” che sembra scritto da uno dei tanti freak dell’estrema destra italiana, di quelli che insieme a Scilipoti combattono contro la piaga del “signoraggio” sparando tette e culi di Ruby Rubacuori e Sara Tommasi. È un’azione politica che ripete stilemi e parole d’ordine sempre care all’estrema destra, che da sempre quando va male punta il dito sulle “banche usuraie” e grida al complotto demo-pluto-giudaico-massonico.

Una destra nazionalista e ignorante, che ha l’unico interesse nel cercare d’inserirsi e di pesare in quei meccanismi di potere che dice di disprezzare in nome di una purezza ideale alla quale non può credere nessuno. L’impressionante imbarcata di camerati da parte dei governi Berlusconi, come da parte di sindaci come Alemanno, testimonia della purezza di questa gente che si riempie la bocca di parole come “onore” e poi striscia per ottenere un incarico pubblico, che spesso trasforma in un’impresa criminale ad esclusivo vantaggio personale o di qualche cricca.

Moralizzatori populisti come la Lega, interessati solo a piazzare i Trota e altri famigli sulle spalle dei contribuenti.

Una destra falsa e anche vigliacca, perché anche in Sicilia non ha il coraggio di alzare al voce contro Schifani o Alfano, mammasantissima della politica nazionale, e nemmeno ha il coraggio di attaccare Cammarata, il sindaco di Palermo che si dimette ora a due mesi dal termine del suo mandato perché dal prossimo mese non ha i soldi per pagare i dipendenti e non ha la voglia di fronteggiare le prevedibili proteste.

Un sindaco rimasto al suo posto anche dopo che si scoprì che aveva fatto assumere in Regione Sicilia il marinaio del suo yacht personale, che così era pagato dalla Regione anche se lavorava sulla barca del sindaco. Alla faccia dei forconi.

Una destra vigliacca che non spende una parola o una riga contro la mafia e la plateale corruzione nelle istituzioni isolane, i problemi in Sicilia sono altri: la globalizzazione, l’euro, la moneta sovrana, il prezzo della benzina, il traffico…

Una destra violenta, che cerca di amplificare una modesta protesta corporativa obbligando con la forza all’adesione anche chi non ne avrebbe voglia. Una violenza applaudita e acclamata dai siti d’estrema destra, anche da quelli che più dissimulano la loro appartenenza, come quello di Massimo Fini, nel quale si possono leggere alate parole di plauso, che si ritrovano anche più esplicite in altri siti dell’estrema destra. Viva la violenza rivoluzionaria, quella contro i camionisti che non aderiscono allo sciopero però, non quella contro i mafiosi o i politici che hanno divorato la Sicilia.

Una destra vigliacca che si nasconde dichiarandosi “apartitica” e “apolitica”, anche questo un espediente già visto e già usato anche dagli estremisti di Forza Nuova, che sostiene con forza la protesta. Apartitici, ma evidentemente non antifascisti. Un espediente classico che tuttavia non può nascondere la puzza di destra populista che promana dalla pagine ufficiale del Movimento su Facebook, dalla quale oggi si grida “onore alla Padania!” (con l’onore ci hanno la fissa) per un articolo a sostegno della protesta. Una retorica che riesce ad ingannare alcuni siciliani, ma fortunatamente non troppi, anche se anni di latitanza della politica “alta” dall’isola hanno indotto un evidente regresso della consapevolezza politica nell’isola, regresso peraltro comune a buona parte del resto del paese.

Onore alla Padania, onore a Borghezio, onore a chi sputa sui terroni, onore all’autonomia mafiosa siciliana, all’onore dei Prizzi. E via con i manifesti e le grafiche nelle quali il tricolore si mescola al nero fascista. Niente onore ai piccoli imprenditori taglieggiati dalla criminalità organizzata, niente onore per i siciliani che pagano le tasse e non vivono di favori e assistenzialismo.

Serve autonomia alla regione più autonoma d’Italia, governata dal Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo, un altro che parlando di autonomia ha costruito le sue fortune e poi ha contribuito a gettare i suoi amministrati in disastro senza uguali, tacendo sugli scandali e offrendo sponda ai coinvolti nelle peggiori truffe ai danni della collettività.

Bisogna combattere contro l’anonima “casta”, non contro i potenti personaggi che ricoprono importanti incarichi pubblici e controllano l’isola andando a braccetto con la mafia. Contro “il sistema” e la globalizzazione, ma non contro il sistema siciliano che ruba ai siciliani la vita di oggi e la speranza di domani. Non un fiato sul clamoroso dissesto delle casse siciliane, non un fiato contro i responsabili, contro i consiglieri regionali pagati più dei parlamentari, contro i ladri e gli incapaci alla guida della sanità pubblica e le mille camarille e cricche che hanno fatto fallire Catania, devastato l’università a Messina o che spendevano centinaia di migliaia di euro per mandare missioni a Dubai, per studiare se l’azienda dei rifiuti palermitana poteva concorrere alla gara per la gestione dei rifiuti nella capitale araba del business. Azienda in perenne dissesto che non è mai riuscita ad assicurare un servizio decente nemmeno a Palermo. Non un fiato sulla situazione di scuole ed ospedali nell’isola, quelli sono affari che non si possono criticare.

Si tratta del solito estremismo di destra, che nei momenti di crisi veste la casacca da tribuno del popolo e agita quanti sono stati sacrificati da politiche fallimentari e ruberie, cavalcando il malcontento provocato dai compagni di merende, da quegli interessi illeciti grazie ai quali l’estrema destra e i Masaniello del momento hanno mangiato fino a ieri. Non è gente che cerca la rivoluzione, ma un posto in un’amministrazione comunale, un ente, una partecipata. Gente alla quale non interessa nulla dei problemi dei trasportatori o degli agrari colpiti dalla crisi, persone che ieri come oggi rappresentano solo pacchetti di voti da conquistare e poi da mettere a frutto su mercato della politica.

Pacchetti controllati dai veri padroni di quei settori, persone delle quali non è bene fare i nomi, ma che sono capaci di mettere in strada centinaia di camion e di materializzare una protesta che non è “di popolo”, ma corporativa e non è “contro il sistema”, ma la difesa di un sistema di gattopardi che mangiano da sempre alla stessa mensa, a spese dei siciliani e non solo.

Siciliani che per fortuna non sembrano sedotti da un movimento, che non spende una parola per molte categorie sociali e che schiera in prima fila amministratori e personaggi tanto interni al sistema, che oggi si dicono pronti e si offrono di combatterlo “da dentro”. Come virus, ha detto proprio così un amministratore locale intervistato. Il virus della malapolitica che si offre di distruggere il sistema da dentro, l’idea sembra quella di distruggere lo stato grazie ai virus, non di debellare i virus e sanare l’amministrazione pubblica facendola diventare trasparente, efficiente e rispettosa di diritti e doveri.

A muovere questi forconi (p.s. ma anche i tassisti come questo nella foto accanto) sono quindi i soliti gattopardi, non a caso i media controllati dalla destra non hanno fiatato per gli episodi di violenza già registrati, mentre sono sempre pronti a scatenare un putiferio se un ragazzino rompe una vetrina durante cortei diversi. E come tutti i gattopardi siciliani, anche questi agitano i forconi per chiedere che tutto cambi, in modo che tutto possa restare come prima. Non c’è da temere effetti dirompenti, alla fine prevarrà l’inciucio alla democristiana o, alla peggio, la pax mafiosa. I camerati rientreranno nei ranghi, i camionisti e gli agrari saranno liquidati con una mancia e torneranno a casa vincitori e tutti vivranno felici e contenti. Siciliani onesti a parte.

Aggiornamento: Da controlacrisi.org: Gruppi criminali e mafiosi si sarebbero infiltrati tra gli autotrasportatori, gli agricoltori del movimento ‘Forconi’ e i pescatori di alcune marinerie e agirebbero per interessi che nulla hanno a che fare con i motivi alla base delle proteste che da tre giorni stanno paralizzando alcune zone della Sicilia, tra cui il rincaro dei carburanti e dei pedaggi autostradali. Questo quanto denunciano Confindustria e altre undici associazioni che, dopo avere firmato un documento congiunto, oggi hanno deciso di inviare al governo altre due relazioni, denunciando la pericolosita’ della situazione che si e’ venuta a creare in Sicilia e chiedendo l’intervento delle istituzioni. Il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, ha inviato una nota al ministro dell’Economia, Corrado Passera, mentre il cartello di associazioni che raggruppa artigiani, agricoltori, commercianti e cooperative ha scritto al premier Mario Monti e al presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo. ”I drammatici fatti di queste ore – scrivono le associazioni che si sono subito dissociate dalle proteste pur condividendo il malessere di alcune categorie – evidenziano la gravità della crisi economica in Sicilia e la totale assenza, fino ad oggi, di provvedimenti incisivi da parte del governo nazionale e regionale: ci• ha portato alla esplosione di proteste esasperate, con forme di lotta che stanno causando ulteriori danni all’economia e ai cittadini siciliani. Le ragioni delle imprese rischiano di essere strumentalizzate dalla peggiore politica, e di sfociare in un ribellismo inconcludente aperto anche alle infiltrazioni della criminalità, organizzata e non”. Il documento e’ firmato dai vertici regionali di Confartigianato, Confagricoltura, Confederazione italiana Agricoltori, Cna Sicilia, Casartigiani, Confapi Sicilia, Confcommercio, LegaCoop, Confesercenti Sicilia, Confcooperative, UniCoop.

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Submitted by anonimo on Thu, 19/01/2012 - 00:40 italiamovimentimovimento dei forconirepost da altri mediasiciliasicilia libertariaPalermo
Sul movimento dei forconi e la rivolta popolare in Sicilia

Mentre scriviamo è in atto in tutta la Sicilia la protesta organizzata da Movimento dei forconi, Aias ed altre associazioni minori che si sono man mano aggregate. Si tratta di una realtà eterogenea, le cui potenzialità erano note, ma la cui portata sociale si potrà cominciare a verificare a partire da questa settimana. Di fatto, dopo la protesta degli anni ottanta degli “abusivi per necessità”, non si erano più verificati movimenti così diffusi e radicali, in grado di intercettare il crescente malcontento e di dare delle risposte alla crescente voglia di protagonismo, da anni repressa nei meccanismi del clientelismo e della delega.

Un movimento di tal fatta non poteva non destare l’attenzione di chiunque abbia interesse a creare un clima di “rivolta” per pescare nel torbido, o da parte di chi sente sia giunto il momento di portare allo scoperto le proprie rivendicazioni corporative. E’ così che la destra, da tempo attenta agli sviluppi di questo movimento, ne canta le lodi, e dove può, partecipa in maniera anonima con i suoi militanti ai blocchi stradali; è il caso di Forza Nuova e di altre sigle della galassia neofascista; è il caso dell’arcipelago indipendentista. E’ anche il caso di Zamparini, l’industriale presidente del Palermo calcio, e del suo Movimento per la gente, costituito per lottare contro Equitalia. Quest’ultimo pare abbia anche fornito risorse economiche al Movimento, ovvero a “Forza d’Urto”, la sigla unificante sotto cui si svolgono le manifestazioni di questi giorni.

La sinistra, anche quella rivoluzionaria, aristocraticamente, ha osservato da lontano e con fastidio quanto andava nascendo in mezzo a categorie – contadine in particolare – sprofondate in una profondissima crisi, andando a cercare i peli nell’uovo. Eppure di occasioni in questi mesi ve ne sono state per incontrare i “forconi”, ad esempio nel movimento contro il Muos di Niscemi.

Gran parte dei fondatori e degli aderenti al Movimento dei forconi (come pure all’Aias, il sindacato degli autotrasportatori), provengono dal bacino elettorale del centro-destra o dell’MPA, questo è notorio. Può bastare questo a definire i “forconi” un movimento di destra, o addirittura fascista?

Una delle cause scatenanti del loro scendere in piazza è infatti la delusione verso i governi regionale e nazionale nei confronti delle rispettive categorie degli agricoltori, dei camionisti dei pescatori, ecc.; oggi gridano, assieme a tanta gente, contro Lombardo e contro i deputati tutti, chiedendo che se ne vadano; oggi si organizzano per consegnare le tessere elettorali, avendo perso la fiducia nella democrazia parlamentare.

Noi dobbiamo analizzare il movimento a partire da una dichiarazione retroattiva di voto? (una exit pol molto post-datata), o a partire da quanto ne scrivono Forza Nuova e camerati?, o a partire dalle simpatie del singolo personaggio?, oppure dobbiamo dare un giusto peso a una rivolta sociale che comincia a definirsi, dopo anni che scriviamo e critichiamo la calma piatta regnante e che ci interroghiamo sul perchè la gente non si ribelli? Adesso la gente si sta ribellando; porta nei blocchi stradali tutto il suo disgusto, la sua disperazione, la sua rabbia, e le sue certezze: non ostenta un obiettivo specifico; non è la rivolta contro la discarica o la tav o i licenziamenti; non è più solo la protesta dei contadini contro la concorrenza sleale e le leggi del mercato, o quella dei camionisti contro il caro-carburanti, o dei piccoli commercianti snervati dalle tasse e dalla Serit, ma comincia a delinearsi come la protesta diffusa di tutti; una rivolta contro lo sfruttamento; contro un infame trattamento per il Sud e la Sicilia, contro lo Stato esattore della povera gente, costretta, assieme alle piccole imprese – quindi ciò che regge l’economia di intere regioni – al fallimento. Questa è la novità che non si riesce a cogliere, e che invece noi poniamo alla base del nostro ragionamento.

Certamente siamo su un terreno scivoloso. Ma quando mai le rivolte sociali sono state linde e chiare, politicamente corrette, esenti da contraddizioni, orientate a sinistra, eccetera eccetera?

Noi che viviamo nel profondo Sud sappiamo bene come i fascisti abbiano progressivamente occupato spazi sociali e fisici lasciati vuoti dai movimenti di sinistra, radicali e anche rivoluzionari. Sappiamo bene come le strategie del neofascismo siano improntate ad approcci formalmente non ideologici, volti a creare consensi nei quartieri e laddove regna la rabbia e l’emarginazione. Del resto non è una novità dal punto di vista storico, e non è più neanche una caratteristica del solo meridione.

Ma sappiamo anche che il terreno perduto si riconquista metro per metro standovi sopra, non lontani; sappiamo anche che le contraddizioni della gente possono essere portate alla luce del sole se si sta in mezzo alla gente. Abbiamo fatto delle scelte che ci impongono di stare laddove il popolo soffre e soprattutto laddove si ribella e mette in discussione assetti sociali e politici, privilegi e ruberie, corruzione e meccanismi truffaldini del consenso. Avremmo dovuto farlo prima; avremmo dovuto essere stati noi a tessere le fila di questo movimento di protesta e di lotta. Non è stato così, ma questo non vuol dire che la cosa non ci riguardi.

La redazione di Sicilia libertaria