sabato 8 ottobre 2011

pc 8-9 ottobre - ancora sul dibattito all'assemblea nazionale di roma del 1 ottobre

“se è vero che ci sono tanti focolai, è anche vero che ci sono tanti pompieri. Noi dobbiamo soffiare sul fuoco e fermare i pompieri che vogliono spegnerlo...”
“Il 15 ottobre ci serve una manifestazione che assomigli di più a quella del14 dicembre che a una festosa sfilata”.
L’assemblea “non paghiamo il debito. Fermiamoli” del 1° ottobre a Roma ha avuto il merito di unire i settori più radicali dell’opposizione sociale, popolare e proletaria, dalla No Tav agli operai di Pomigliano e dell’Irisbus, ma la discussione e le analisi della nuova fase della crisi che si sta approfondendo in Europa e le indicazioni di lotta che ne discendono sono, invece che un tentativo di riposizionamento politico nello scontro di classe, un farsi da parte per supportare la sinistra ex parlamentare. Altro che autonomia! Non si vuole mettere all’ordine del giorno il necessario rovesciamento con un atto di forza del sistema di dominio del Capitalismo oggi in crisi. Questo avrei voluto dire nell’intervento che non c’è mai stato perché il dibattito era già preordinato, conclusioni comprese.
Ma la nostra polemica non finisce qui. Su almeno alcuni punti: sull’analisi della fase storica alla base della costituzione di un nuovo soggetto politico e sul programma sociale per l’uscita dalla crisi.
1) si dice che è necessario riempire lo spazio politico con un movimento, partecipato e democratico, indipendente dal sistema politico istituzionale come se il problema fosse la difficoltà di organizzare la partecipazione (cosa di cui sarebbero “maestri” la sinistra ex parlamentare e della cgil) e non, invece, l’egemonia delle linee politiche riformiste, interclassiste, nel movimento con cui fare finalmente i conti e batterle sul campo.
“Il 1° ottobre, nell’assemblea autoconvocata a Roma al teatro Ambra Jovinelli, si prova a costruire uno spazio politico che oggi in Italia non c’è”.
“Con questa assemblea iniziamo un percorso difficile e non scontato. Sappiamo che altri tentativi in questa direzione sono completamente falliti. Quello che forse è mancato a tutti quei tentativi è stata quella necessaria iniezione di partecipazione e democrazia confronto aperto tra varie ipotesi, senza le quali non si costruisce mai qualcosa di veramente nuovo. In Italia siamo capacissimi di fare enormi manifestazioni, grandi movimenti di lotta, ma poi lasciamo sempre alle stesse persone, allo stesso sistema politico istituzionale, il compito di amministrarle e gestirle. Questo perché da anni non siamo in grado di costruire una reale nuova partecipazione. Per questo vogliamo iniziare da qui e provare a diffondere in tutto il paese, attraverso assemblee territoriali, la nostra proposta, costruendo comitati e assemblee ovunque.”
“Noi lottiamo, noi ci battiamo con fatica ovunque per i diritti e le libertà e poi la politica ufficiale ci interpreta, ci giudica e si sovrappone a noi. “
“Contro il colpo di stato economico che sta distruggendo la nostra democrazia”?
Ma di quale democrazia si parla? Lo stato “democratico” italiano è da tempo involucro formale che una parte della borghesia e del padronato non vede l’ora di “contro riformare” in senso reazionario, con la costruzione di un regime. Si sono dati il governo Berlusconi per questo scopo, ma oggi non gli basta più la sua “macchietta”, hanno bisogno d’imporre alla società tutta il fascismo che già stanno costruendo in fabbrica con la complicità dei confederali, cgil compresa. Bersani o chi per lui non è certo l’alternativa a questo modello ma l’interprete/esecutore. L’unità nazionale serve a questo processo. Il “golpe economico” ha certo accelerato questo processo ma non è la causa.
Come si fa a dire che: “In poco più di un anno così l’Italia ha visto distruggere la scuola pubblica, la sanità, i servizi pubblici e sociali. Il contratto nazionale non esiste più e lo statuto dei lavoratori è stato sottoposto alla deregolazione degli accordi tra le parti complici”…leggi xenofobe, attacco alle pensioni, precarietà dilagante, “Siamo alla catastrofe sociale che uccide il presente e mangia il futuro: la casa, la scuola, il lavoro, la salute, i diritti, tutto”?
Ma, scusate, qual’era la realtà politica e sociale prima di questo “golpe economico”?
2) Sul programma: ma come facciamo a fare cadere il governo unico delle banche?
Si dice che bisogna lottare per la democrazia
Nella sua introduzione Cremaschi spiega che la lettera segreta di Draghi-Trichet al governo è il fatto politico recente più saliente ma, con una compattezza da regime, in Italia la politica, tutta la politica, parla d’altro. c’è silenzio su questo che è un attacco a tutto (salario, welfare, pensioni, diritti) di una violenza inaudita. Questo dibattito negato, questo bavaglio, è il dato saliente del regime che abbiamo di fronte. Quella lettera è un programma di governo, è il “golpe economico”. Cremaschi dice: no alla coesione nazionale evocata da Napolitano, o con noi e i lavoratori o con o si sta con Marchionne, Draghi, Trichet. E poi: il No alla BCE e non la lotta a Berlusconi è la nostra discriminante costituente

Che il “dibattito” sia negato ai proletari e alle masse popolari non è certo una novità, come non è una novità l’influenza di organismi sovranazionali come BCE o FMI nelle politiche degli stati nazionali, ma siamo d’accordo quando si parla di regime.
“La crisi economica italiana è anche una crisi della democrazia. E non solo perché la sola permanenza al governo di Berlusconi dimostra che il nostro non è un paese democratico come altri. Ma anche perché oltre questo le scelte di fondo che riguardano le nostre vite non sono più decise dalle nostre istituzioni democratiche, ma vengono imposte con le terapie shock dell’emergenza economica, dal grande padronato, dalla Banca Europea, dal Fondo Monetario Internazionale”…“La politica e i poteri forti italiani sono tutti subordinati alle grandi scelte del capitalismo europeo e internazionale.”
La politica italiana non è affatto commissariata, è parte integrante del polo imperialista europeo in un rapporto di collusione e contrasto
“La crisi della democrazia italiana sta anche in questo: che gli enormi guasti sociali, civili, morali, che l’hanno colpita, per opera decisiva di Silvio Berlusconi, non sarebbero stati sufficienti a farlo cadere se non ci fosse stata la crisi del debito”…” cacciare Berlusconi è condizione necessaria, ma assolutamente non sufficiente per riprendere un percorso realmente democratico.”..” Ma dobbiamo nello stesso tempo sin d’ora preparare l’alternativa a chi vuole cacciarlo e pensa di farci pagare tutti i conti del suo disastro.” (Cremaschi, da “Liberazione” del 22 settembre) .
Casadio, della Rete dei Comunisti: ciò che si prepara non è un nuovo fascismo ma un governo che salti sul carro dei vincitori europei che non può che essere diretto dal centrosinistra.
Ma come credete che sarà la politica di un governo di centrosinistra nel nostro paese? Il centrosinistra è sempre stato un bravo maestro nel preparare la strada ai nuovi regimi.
Le posizioni sulla lotta al governo unico delle banche, sulla cancellazione del debito, sulla difesa dei beni comuni, contrastano le soluzioni a cui lavorano gli stessi capitalisti?
Tommaselli (USB) dice che saremo in piazza il 15 ottobre e poi in tutte le città per un movimento che non vuole fare un partito ma tornare a fare politica.
Il problema è quale politica? Il problema di fondo non è uscire dalla crisi lasciando intatto il sistema economico/politico che lo ha generato
“Il problema infatti è quello di costruire non una “campagna di opinione” sul non pagamento del debito, ma una campagna politica e di massa che non nutra illusioni velleitarie e la collochi ben dentro il senso comune della gente e il conflitto di classe nei vari settori sociali”..” Non è infatti possibile disgiungere dal non pagamento del debito la questione della nazionalizzazione delle banche, perché è soprattutto il debito “pubblico” verso le banche quello che va eliminato”. (Cararo, RdC)
”La lotta all’evasione fiscale, la tassa patrimoniale, devono servire a finanziare la ripresa dei salari, dei diritti, della crescita fondata sui beni comuni e non finanziare gli interessi delle banche”. “rivendichiamo il ritorno a un sistema elettorale proporzionale che dia spazio a tutte le voci e le richieste del nostro paese. Rivendichiamo il diritto alla partecipazione e all’autorganizzazione, affermando ed estendendo la democrazia diretta e il diritto alla consultazione. Il finanziamento pubblico ai partiti, va abolito e sostituito dal finanziamento alle libere attività politiche dei cittadini.”..libertà di stampa, legge sulla democrazia sindacale nei luoghi di lavoro,
“democrazia radicale anticapitalista”, raccogliere firme per “chiedere il diritto al referendum”.
Persino questo programma è oggi irrealizzabile, ci vuole un nuovo potere per attuarlo, un potere che nasce dagli operai e dal loro partito comunista che unisce tutte le opposizioni sociali in un unico programma per la rivoluzione e il rovesciamento dello Stato. Se non si dice chiaro che è questo quello che si vuole il programma della democrazia radicale anticapitalista sarà quello della solita, sconfitta, sinistra ex parlamentare e di governo. Ma se quest’assemblea non si pone neanche l’assedio dei palazzi del potere e, soprattutto, ripete la solita litania che “il movimento è tutto e il fine è il nulla” e solleva le bandiere della lotta per la democrazia all’interno di un paese imperialista, non è al proletariato che parla ma alla sua classe, la piccola borghesia preoccupata dalla crisi.
Il delegato di Pomigliano lo ha detto chiaramente: se è vero che ci sono tanti focolai, è anche vero che ci sono tanti pompieri. Noi dobbiamo soffiare sul fuoco e fermare i pompieri che vogliono spegnerlo... Ho sentito parlare qui di rivoluzione, anche in fabbrica sono tanti a dire che ci vorrebbe una rivoluzione ma non hanno la minima fiducia in chi la dovrebbe concretamente fare. Questa fiducia che manca è quella che dobbiamo dare.
Più chiaro ancora il delegato Irisbus: il 15 ottobre ci serve una manifestazione che assomigli di più a quella del14 dicembre che a una festosa sfilata.

un compagno di proletari comunisti
presente all'assemblea

pc 8-9 ottobre - Bergamo 3000 studenti

Circa tremila studenti hanno preso parte alla manifestazione per protestare contro la riforma Gelmini contro i tagli del personale, per la regolarizzazione dei precari e la rivalutazione degli stipendi del personale della scuola. Una presenza di ragazzi ben al di sopra delle aspettative degli organizzatori. E’ da qualche anno a Bergamo che non si vedeva un’adesione così alta. “La vostra riforma di ignoranza e razzismo non contaminerà le nostre menti”, questo lo striscione che apre il corteo, a cui hanno partecipato rappresentanti di quasi tutte le scuole superiori della provincia: Lussana, Mascheroni, Sarpi, Falcone, Secco Suardo, Pesenti, ma anche Turoldo di Zogno, Simone Weil di Treviglio, Lotto di Trescore. Nel mirino dei ragazzi soprattutto le ore di sessanta minuti, che hanno allungato notevolmente i tempo di permanenza a scuola. Al passaggio davanti al propileo dell’Atb gli studenti hanno lanciato rotoli di carta igienica per protestare contro la qualità del trasporto pubblico. Proteste anche davanti alla sede di Confindustria contro il precariato nella scuola. La manifestazione si è conclusa con un’assemblea pubblica in piazza Vittorio Veneto.

venerdì 7 ottobre 2011

pc 7 ottobre - verso il 15 ottobre - il Cobas Confederazione vera destra del movimento

Una affollata assemblea all’università di Roma discute della manifestazione nazionale del 15 ottobre e sul come “rimandare al mittente la lettera alla Bce”. Così com’è la giornata del 15 non convince molti. Decisa una mobilitazione per mercoledì 12 ottobre in occasione del convegno con Draghi e Napoletano alla Banca d’Italia, in pratica un vertice del “governo unico delle banche”.

La “mitica” aula I della facoltà di Lettere si riempie quasi con puntualità. Più di trecento persone tra universitari, attivisti sociali e sindacali riempie una delle più grandi aule della Sapienza per discutere della manifestazione del 15 ottobre. La chiamata è venuta dalla rete Roma Bene Comune che da mesi sta sperimentando nella capitale una modalità unitaria di gestione del conflitto sociale.

L’intervento introduttivo è di una studentessa dei collettivi universitari che parte dalle manifestazioni in corso a New York attuate del movimento “Occupy Wall Street” per arrivare alla lettera della Bce e a quello che definisce “l’inganno dell’Europa”. Il non pagamento del debito è al centro della mobilitazione. “Se responsabilità nazionale, come invoca Napolitano, significa rinunciare ai nostri diritti allora è meglio essere irresponsabili” afferma raccogliendo l’applauso scrosciante dei presenti. L’intervento arriva poi al nocciolo delle discussioni di questi giorni ed è piuttosto esplicito:”Il 15 ottobre diventa una giornata centrale se è non una sfilata ma una giornata radicale di conflitto”. Le divergenze emerse nei giorni scorsi nella preparazione del 15 ottobre si materializzano così nitidamente già in apertura di assemblea.

Ancora più netto è l’intervento di uno studente del collettivo di Scienze Politiche “Parlare di conflitto il 15 ottobre non significa evocare gli scontri in piazza ma parlare di una lotta che non abbia come obiettivo la campagna elettorale”. L’intervento annuncia un appuntamento effettivamente significativo: mercoledì 12 giugno alla Banca d’Italia ci sarà un convegno con Draghi e Napolitano. Il primo autore della Lettera della Bce, il secondo sostenitore della linea dei tagli e dei sacrifici in nome della stabilità europea. Immediatamente si anima un conciliabolìo in sala. Si tratta di decidere se trasformare questa occasione in una iniziativa non solo propedeutica al 15 ottobre ma come mobilitazione che dia il segno giusto alle proteste contro le misure antisociali del “governo unico delle banche”.

L’esponente dei Blocchi Precari Metropolitani sottolinea che il 15 ottobre è una giornata di lotta europea, rivendica il “diritto ad essere arrabbiati”, invita ad una mobilitazione permanente contro i provvedimenti antipopolari dei governi, a far echeggiare l’idea e lo slogan che “Noi il 15 non ce ne andiamo” e sostiene la proposta di una iniziativa di protesta alla Banca d’Italia per il 12 ottobre.

Una studentessa del collettivo universitario delle Malefiche ricorda come le misure del governo si accaniscono contro i servizi che servono alla donne tagliando ad esempio i consultori o all’innalzamento dell’età pensionabile delle donne.

Tocca poi ad Alessandro dei Cobas telecomunicazioni. Si capisce che deve in qualche modo interloquire con una assemblea che sul 15 ottobre ha maturato una valutazione molto diversa da quella sostenuta dai portavoce dei Cobas nelle riunioni preparatorie all’Arci. “Il 15 deve essere una piazza che garantisca l’agibilità per tutti. Occorre puntare alla coesione” sostiene nel suo intervento. Un altro esponente dei Cobas della scuola intervenuto successivamente riafferma invece la linea secondo cui la “forza del 15 ottobre deve essere soprattutto nei numeri” piuttosto che in una conflittualità a suo avviso ancora minoritaria nel paese. “A Montecitorio c’erano solo 500 compagni, dovrebbero essere invece 50.000” sostiene nell’intervento, “basterebbe portarceli invece di andarsene a San Giovanni” sibila il mio vicino.

Diversamente Luca Fagiano di Roma Bene Comune trascina l’entusiasmo dell’assemblea evocando la forza dell’autorganizzazione e la coerenza nelle pratiche del conflitto. Nel frattempo la proposta di una iniziativa per mercoledì 12 ottobre al convegno con Draghi e Napoletano alla Banca d’Italia si materializza in un comunicato dell’assemblea che dà appuntamento a tutte e a tutti mercoledì alle 15.00 al Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale, la via che la Questura ha negato alla manifestazione del 15 ottobre proprio perché c’è la sede della Banca d’Italia. Giorgio Cremaschi, dieci giorni fa era stato costretto a tenere la conferenza stampa per presentare la campagna contro il debito sulle scale del palazzo delle Esposizioni per una divieto analogo. L’iniziativa vorrebbe “restituire al mittente”,cioè Draghi, la lettera inviata dalla Bce.

Giunge all’assemblea la notizia che un gruppo di lavoratori pubblici ha occupato con un blitz la sede di rappresentanza dell’Unione Europea a Roma. L’Usb ne rivendica la paternità nel quadro delle azioni di protesta contro le misure antipopolari imposte dalle istituzioni europee.

Anche l’intervento di una studentessa di Atenei in Rivolta riprende l’appuntamento del 12 ottobre alla Banca d’Italia. “Il 15 ottobre non ci basta arrivare a Piazza San Giovanni” dice “Ci interessa occupare una piazza e non andarsene da lì per nessuna ragione”.

L’assemblea si conclude dunque con un primo appuntamento di mobilitazione fissato per il 12 ottobre e con un passaggio di discussione nazionale sabato prossimo (8 ottobre) al cinema Volturno occupato al quale parteciperanno molte delle soggettività e dei movimenti che si erano riuniti un mese fa, il 10 settembre, al deposito Atac occupato sul tema “conflitto e indipendenza”. La manifestazione del 15 Ottobre comincerà molto prima del previsto e non sembra volersi concludere la sera stessa del 15. Di fronte alla misure da massacro sociale imposte dalla Bce il movimento di protesta pare indicare delle vere e proprie antimisure, a cominciare dal non pagamento del debito. "Occorre riconsegnare le parole ai fatti" chiosa Paolo Di Vetta mentre ci si scioglie.

Giovedì 06 Ottobre 2011

www.contropiano.org

pc 7 ottobre - grande giornata di lotta degli studenti - da Red Block Palermo ' IL PASSO E' GIUSTO, TENIAMOLO !

venerdì 7 ottobre 20117 ottobre-
riflessioni post corteo
IL PASSO E' GIUSTO, TIENIAMOLO!
Già da ieri in città si sentiva l'allarme di un corteo studentesco selvaggio come quelli dello scorso autunno. Gli automobilisti, i commercianti e la cittadinanza in generale sono ormai coscienti che quando gli studenti scendono in piazza non scherzano più come prima perchè il clima politico è cambiato; le manifestazioni non sono più ridotte a passeggiate per il centro ma sono veri e propri momenti di lotta.
Questa mattina a Palermo migliaia di studenti medi tra le strade del centro hanno fatto sentire nuovamente la loro rabbia, la loro voglia di ribellarsi contro uno stato che gioca col loro futuro non garantendo nulla di migliore al precariato e alla disoccupazione.
Presenti anche delegazioni di lavoratori e studenti universitari organizzati in collettivi che hanno dato il loro appoggio al corteo degli studenti medi.
Malgrado gli allarmismi, il corteo essendo il primo aveva obiettivi ben differenti dai cortei non autorizzati dello scorso autunno ma non è mancata comunque la radicalità diffusa tra gli studenti medi giovanissimi attirati non dal carro sound system bensì dalla voglia di ribellarsi e lo dimostra il fatto che molti studenti organizzati in collettivi che costituiscono la "rete dei collettivi studenteschi" essendo molto distanti dal carro in testa al corteo hanno lanciato slogan molto significativi come:
"fuori la digos dal corteo" - "ci vogliono servi, ci avranno ribelli" - "la lotta è dura e non ci fa paura" - "siamo tutti antifascisti" "occupiamo tutto e subito" e molti altri ancora.
Gli stessi studenti della rete dei collettivi studenteschi poi quando il carro sound system si è fermato davanti il comune di Palermo, hanno proseguito il percorso verso la Stazione centrale dividendo in due blocchi il corteo per denunciare le vergognose condizioni dei trasporti pubblici.
Davanti il comune nel frattempo, gli studenti e studentesse facenti capo a "studenti medi palermo" si sono avvicinati al portone d'ingresso aspettando altri studenti e studentesse loro compagni che si erano poco prima intrufolati al comune per esporre uno striscione da una balconata, che dopo un poco è stato ritirato con la forza dai vigili urbani servi del sindaco Cammarata. Non mancavano certamente i servi in divisa in assetto antisommossa anche sotto il palazzo che sono stati accolti con fischi e slogan contro la polizia e contro il sindaco.

Sicuramente possiamo dire che questo corteo ha dimostrato che ci sono buone premesse per far del nuovo autunno una stagione di lotta veramente radicale continuando quelle pratiche già usate lo scorso autunno di conflittualità e voglia di fare. Speriamo anche che gli studenti giovanissimi che si autorganizzano manterranno la loro autonomia e sapranno sempre capire chi sono gli avvoltoi che dopo oggi proveranno sicuramente a mettergli un cappello sulla testa.
A questi studenti e con questi studenti diciamo

NO AI PARTITI ISTITUZIONALI DELLA FALSA SINISTRA!
NO AI SINDACATI DI REGIME CGIL-CISL-UIL!
NO AI POMPIERI, NOI SIAMO LA MICCIA CHE ACCENDE LA PRATERIA, CHE IL FUOCO DIVAMPI!
SI ALL'AUTORGANIZZAZIONE!
Pubblicato da RED BLOCK

pc 7 ottobre - “CON MATILDE, GIOVANNA, ANTONELLA, TINA E MARIA. LE NOSTRE VITE VALGONO PIÙ DEI VOSTRI AFFARI E COMPLICITÀ”.

Una delegazione di lavoratrici, disoccupate del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario da Taranto è andata ieri a Barletta, perchè, come abbiamo detto ai vari giornalisti e tv, la morte delle 4 operaie e della ragazzina Maria non è un “disastro”, ma un assassinio che mette tragicamente in luce una condizione delle donne operaie che per lavorare devono rischiare anche di morire; è un assassinio che grida ribellione, giustizia, necessità di unità e lotta non solo a Barletta ma per tutte le donne. Per questo era giusto esserci a Barletta (benchè oltre la nostra non vi erano altre presenze di lavoratrici da altre città).
Quando siamo arrivate, abbiamo trovato il primo grosso contrasto: da un lato arrivavano da varie vie nella piazza A. Moro tanti spezzoni di gente che sembravano quasi dei cortei, soprattutto gruppi di donne, la maggior parte giovani, tante ragazze che portavano il loro dolore, calore, rabbia; dall'altra una piazza resa volutamente ferma, silente dall'intreccio apparati della Chiesa – tutti presenti ai massimi livelli e che hanno imposto durante la cerimonia funebre un clima da “sepolcri imbiancati” - e apparati delle forze dell'ordine.
Da un lato le operaie delle altre fabbriche tessili, le operaie della fabbrica Vinci Shoes, una delle più grandi con 100 lavoratori, venute con il loro striscione, che volevano stringersi intorno alle loro compagne uccise e ai loro familiari, operai di fabbriche che erano usciti prima dal lavoro per partecipare al funerale, ma anche commercianti che avevano tutti chiuso per lutto, e poi migliaia e migliaia di persone, sicuramente più di 10 mila solo nella piazza, ma vi era tante gente anche nelle strade laterali, in particolare nelle 2 strade vicinissime alla piazza dove vi è stato il crollo; da un lato i familiari, i parenti, le amiche delle 5 donne che esprimevano la loro disperazione, ma anche, alcuni, la loro denuncia per quelle morti annunciate. Dall'altra arrivavano quelli in “giacca e cravatta”: gli amministratori con il sindaco di Barletta, complici, o forse di più, per questi omicidi e giustificatori della “normalità” del lavoro in quelle condizioni di tutto nero; arrivavano scortati i politici e rappresentanti delle istituzioni regionali, Vendola, e nazionali, Carfagna; e uguali a questi sono arrivati anche i segretari sindacali Bonanni e Camusso, che hanno detto parole scontate. E l'ipocrisia è andata in scena!
“Vendola – ci ha detto un'operaia correggendo il nostro volantino – non è vero che ha dato 200 mila euro a famiglia. Ha dato 200mila euro in tutto! E poi per pagare il funerale e le spese dell'albergo dove ora stanno le famiglie sgomberate dalle palazzine”. Quindi, soldi dovuti (ci mancava anche che le famiglie dovessero pagare), non certo un contributo di solidarietà espressione di una politica “diversa” della Regione Puglia.

Intanto, le gerarchie della Chiesa all'inizio ogni 5 minuti facevano dal palco appelli al “silenzio”, quasi preoccupati che così non potesse essere.
Ma la stessa preoccupazione aveva la polizia, ed essa si è subito manifestata verso la nostra delegazione che aveva aperto in piazza uno striscione che diceva: “CON MATILDE, GIOVANNA, ANTONELLA, TINA E MARIA. LE NOSTRE VITE VALGONO DI PIÙ DEI VOSTRI AFFARI E COMPLICITÀ”. Striscione davanti a cui si fermavano tante persone, donne, e soprattutto le operaie della Vinci Shoes, operaie di altre fabbriche tessili, delegate sindacali, per parlare, prendere il nostro volantino/messaggio, rimanere in contatto.
Ma quella scritta, "...le nostre vite valgono di più dei vostri affari e complicità", guastava il clima di “silenzio-rassegnazione” imposto; ad un certo punto è arrivata la polizia che si è accanita sullo striscione, ha provato a strapparlo e poi a sequestrarlo, cercando anche di portare in questura una compagna di Taranto. Solo la nostra ferma determinazione e l'isolamento del dirigente della polizia dalle donne e persone vicine lo ha impedito. Ma per far rimanere lo striscione nella piazza abbiamo dovuto mettere dello shock sulla frase "pericolosa", benchè, come si può vedere da alcune foto, la frase si leggeva bene lo stesso....

Con le operaie con cui abbiamo parlato, e nelle interviste rilasciate a Tv e stampa locale e nazionale, abbiamo insistito sul fatto che queste morti sono frutto sia della speculazione edile dei padroni, come della complicità del Sindaco di Barletta - e, forse, anche più che complicità. Visto quanto sta venendo fuori circa un piano esistente che prevedeva l'abbattimento di quelle palazzine non per fare abitazioni e locali a norma, ma per farci abitazioni di lusso; piano che potrebbe nascondere un intreccio affari/tangenti.

Ma queste morti sono soprattutto frutto del lavoro nero. Chi in questi giorni sta negando questo sbaglia, o volutamente in cattiva fede, o anche in buona fede come alcuni familiari, lavoratrici, gente di Barletta.
Le 4 donne sono morte in quanto operaie, sono morte sul lavoro e per il lavoro. Anche la piccola Maria è morta sul luogo di lavoro. E sono morte per le condizioni di lavoro a “nero”, che vuol dire taglio dei costi del lavoro, del salario come dei costi per la sicurezza. Se le operaie non fossero state in quelle condizioni, non si sarebbero neanche trovate in quel sottoscala a lavorare quasi di nascosto, in locali con le crepe nei muri, senza via d'uscita a norma, ecc., per gli affari del padroncino ma soprattutto per i profitti delle 'Grandi marche'. Se non sono queste morti per il lavoro, cosa sono? Non è sicuramente un caso che sono morte solo operaie e Maria che era andata da loro. Chi nega il rischio mortale del lavoro nero, intrecciato con la speculazione affaristica dei padroni edili e la mancanza di controlli di Ispettorato, Asl, ecc., il menefreghismo, o connivenza delle Istituzioni, di fatto, come sta facendo il sindaco di Barletta, lo vuole giustificare, normalizzare, renderlo ordinario e scontato, accettabile come unica prospettiva soprattutto al sud, soprattutto per le donne. Ma così non deve essere!
Con le operaie abbiamo parlato della necessità, anche di fronte alla morte di Giovanna, Matilde, Antonella, Tina, Maria – ma c'era stata un'altra morte pochi giorni fa in Puglia tra le braccianti – dell'unità, della lotta, di uno “sciopero delle donne”, per dire Basta!, per sentirci forti, per non accettare questa vita!

Purtroppo, a Barletta, chi non c'era, a parte le delegate operaie, erano i sindacati confederali locali, regionali. Ma questa non è una ragione in meno, ma un motivo in più per non delegare la nostra lotta di lavoratrici e di donne.

Il momento più emozionante è stato verso la fine della pomposa, lunga celebrazione religiosa.
Un grande, fortissimo applauso di tutta la piazza ha salutato le bare che andavano via.
Ma nello stesso tempo all'applauso si è unita la ribellione. Striscioni sono calati dai palazzi nella piazza: da un terrazzo, lo striscione nero “E ora vogliamo la verità!!”; da un balcone di un altro palazzo: “Muore chi fa il suo dovere per colpa di chi non ha mai fatto il suo”.
I rappresentanti istituzionali sono stati “accompagnati” alla fine dalle grida di gente comune, dal minimo “Bella figura che avete fatto”, a frasi molto più pesanti “Bastardi”, “Assassini”, “Andate in galera”.
La rabbia poi si è trasferita da parte di tanti cittadini sotto il Comune, verso il sindaco che si è barricato dentro e non ha voluto neanche incontrare una delegazione. La parola principale era “Dimettetevi”, “i Profitti non valgono la vita di 5 operaie Dimettetevi” - diceva uno striscione.

Noi prima di tornare a Taranto siamo andate sul luogo del disastro, vicinissimo a p.zza A. Moro, per lasciare su quelle maledette pietre il nostro striscione, come saluto, insieme ai fiori e ai cartelli, e ad altri striscioni.
Un padre ci ha detto: “grazie di essere venute. Avete fatto una cosa bella!”.

per Le lavoratrici, disoccupate del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario – Taranto

Concetta Musio
Fiorella Masci

TA. 7.10.11

pc 7 ottobre - BARLETTA IERI


La polizia ieri si è accanita sullo striscione del mfpr per la frase "...le nostre vite valgono di più dei vostri affari e complicità", ha provato a strapparlo e poi a sequestrarlo, cercando anche di fermare e portare in questura una compagna di Taranto. Solo la nostra ferma determinazione e l'isolamento del dirigente della polizia dalle donne e persone vicine lo ha impedito. Ma per far rimanere lo striscione nella piazza abbiamo dovuto mettere dello skoch sulla frase "pericolosa", ma, come si può vedere da alcune foto, la frase si legge bene lo stesso...

SEGUE RESOCONTO DELLA GIORNATA

MFPR Taranto










giovedì 6 ottobre 2011

pc 6 ottobre - napoli antifascista

basta aggressioni – comunicate rete antifascista 4 ottobre 2011





Eccoli, puntualità e vigliaccheria non gli fanno difetto!

Mentre i movimenti sociali lavorano a preparare le mobilitazioni dei precari, dei lavoratori e degli studenti per il 15 ottobre, anche a Napoli, nella nostra città, i gruppuscoli neofascisti tornano a colpire con le modalità consuete, quelle dell’agguato improvviso, dell’aggressione tanti contro uno. E’ lo stesso giro di personaggi legati a Casapound che nemmeno pochi mesi fà, in piena campagna elettorale, prima annunciarono sui muri e poi eseguirono gli accoltellamenti ai danni degli studenti universitari fuori la facoltà di Lettere! Fra gli aggressori con le lame incredibilmente anche un candidato di Casapound al consiglio municipale nelle liste del PDL (personaggio che poi ha raccolto pochissimi voti).

Stavolta una sequenza di fatti che non si possono decisamente sottovalutare!

Alcuni giorni fà la prima aggressione contro un attivista antirazzista, con modalità di vero e proprio agguato, in quattro sui motorini armati di una mazza con cui lo hanno più volte colpito nel quartiere di Chiaiano! Poi al Vomero, rincorsi e malmenati alcuni studenti medi che erano passati durante un banchetto di Casa Pound. Infine ancora minacce in quattro contro uno nella metro, con la presenza di inquietanti personaggi che riportano addirittura agli anni ’80… E questi sono solo gli episodi di cui siamo venutio a conoscenza!



A chi sono funzionali queste figure che propagano odio sociale verso gli immigrati, verso i più deboli o verso chi agisce nei movimenti sociali? Quali sono le responsabilità di figure istituzionali che anche in Campania flirtano con organizzazioni alla quale lo stragista Anders Breivik ha ben pensato di inviare il suo “documento” di rivendicazione contro il multiculturalismo e altre farneticazioni associate?! Politici presenti pure nelle istituzioni locali che allevano e sostengono economicamente questi neonazisti (ricordiamo che sempre il candidato alla municipalità per il Pdl inneggiava al compleanno di Hitler sul suo account di facebook, ma ancor più che a Roma Casapound ha aperto una delle sue sedi alla prima sezione italiana di Blood & Honour, il famigerato gruppo neonazista, violento e razzista cresciuto in Inghilterra!).

Non è certo un fenomeno da sottovalutare anche a Napoli, città culturalmente distante dal razzismo, ma dove pure la crisi economica può essere strumentalizzata per promuovere l’odio xenofobo, come dimostra l”inquietante aggressione a un lavoratore maghrebino appena pochi giorni fà a porta Capuana.

Le realtà della rete antirazzista e antifascista continueranno la propria attività per denunciare pubblicamente la presenza, il ruolo e le complicità di questi gruppi neonazisti, al fine di contrastarne il radicamento e il tentativo di diffusione. Ma evidentemente questo è un problema che riguarda tutti i cittadini, le associazioni e le organizzazioni che hanno a cuore la qualità della democrazia e l’eguaglianza sociale.

All’indomani dell’anniversario delle Quattro Giornate con cui il nostro popolo si liberò dalla tirannia nazifascista questa responsabilità è la differenza fra chi ne fa solo un’occasione retorica e chi ne difende davvero l’eredità morale, sociale e politica!



Rete napoletana contro il razzismo, il neofascismo e il sessismo

pc 6 ottobre - Roma 15 ottobre - impossibile accettare una manifestazione passeggiata subendo i diktat del governo

da contropiano

I promotori della manifestazione nazionale del 15 ottobre non sono riusciti a trovare una sintesi comune sulla giornata italiana della mobilitazione europea contro le misure antisociali della Bce del governo unico delle banche. In piazza insieme ma su contenuti e segnali diversi.

I locali dell'Arci nazionale hanno ospitato la quarta riunione delle forze che si sono prese la responsabilità di convocare la giornata di mobilitazione nazionale prevista per il 15 ottobre. In apertura di riunione si segnala la difficoltà del percorso di avvicinamento comune alla data che vedrà manifestazioni in parecchie capitali europee contro le manovre antipopolari imposte dalla Bce e dai governi subalterni alle banche.

Il groviglio è sembrato svilupparsi ancora una volta intorno al nodo del percorso del corteo, percorso che alcuni vorrebbero veder sfilare nel centro politico della capitale, mentre altri ritengono non dirimente il percorso che porterà la conclusione del corteo lontano dal centro e dunque in piazza San Giovanni.

La delegazione che era andata in Questura riferisce che la trattativa non è andata a buon fine: no al percorso su via Nazionale (dove c'è la sede della Banca d'Italia); no al passaggio in piazza Venezia, viene concesso solo l'allungamento del percorso sulla tradizionale via Cavour per poi girare verso il Colosseo e dirigersi a piazza San Giovanni.

In Questura annunciano di aver ricevuto segnali allarmanti dalle intercettazioni telefoniche e quindi diviene esplicita la intenzione di tenere il corteo del 15 Ottobre lontano dai palazzi del potere e dal centro politico della capitale. Un diktat odioso di fronte al fatto che a New York sia stato bloccato il Ponte di Brooklyn con ben 700 fermi tra I manifestanti o che in Spagna dodici attivisti del movimento M 15 siano stati arrestati per aver bloccato il Parlamento della Catalogna nel giugno scorso.

La discussione gira intorno a questo che viene giudicato un blocco della agibilità politica nelle manifestazioni, accentuato dai diktat del sindaco Alemanno, che dopo aver preteso che venissero bloccati gli operai di Termini Imerese, ha dichiarato off limits alcune piazze del centro. Gli interventi delle forze riconducibili al vecchio Social Forum (Arci, Fiom,Cobas,UdS, Uniti per l'Alternativa etc.) spingono per attestarsi su questo percorso e misurare la riuscita della giornata di mobilitazione attraverso la forza dei numeri.

Altre forze (Stati generali della precarietà. rete Roma Bene Comune, Usb) insistono per tenere aperta la trattativa con la Questura sul percorso. La conclusione della discussione è forse la peggiore in occasioni come queste:
si prende atto che la maggioranza accetta il percorso indicato e si rinvia alla prossima settimana la discussione sulla composizione del corteo e gli interventi per la conclusione a piazza San Giovanni.

Una conclusione questa che sembra allontanare una gestione comune e coordinata della manifestazione del 15 ottobre. Alcuni interventi sottolineano criticamente quella che definiscono la pretesa del coordinamento 15 ottobre di governare tutta la spinta alla mobilitazione e alla partecipazione, "l'eccedenza" si sarebbe detto fino a pochi mesi addietro. I segnali che giungono dalle varie città indicano infatti la crescita di quella che era stata identificata come la militanza nomade o che altri definivano autorganizzazione, cioè una spinta alla partecipazione crescente e diffusa a questo appuntamento.

Se ne discuterà nei prossimi giorni ma a questo punto più per aree omogenee che nel coordinamento 15 ottobre. I punti San Precario/Stati generali della precarietà comunicano che lo faranno e manifesteranno il 15 ottobre nel corteo centrale ma per conto loro. La rete Roma Bene Comune ha convocato una assemblea cittadina alla Sapienza per giovedì e una assemblea nazionale per sabato prossimo al Volturno occupato per discutere obiettivi e forme con cui stare nella manifestazione.

Le forze che hanno animato la assemblea del 1 Ottobre ne discuteranno in una riunione martedì ma nel frattempo hanno deciso di dare vita ad un proprio spezzone unitario nel corteo sui contenuti emersi dal loro percorso e che appaiono difficilmente conciliabili con lo slogan "Cambiare l'Europa cambiare l'Italia". Uno slogan questo che a detta di alcuni interventi "ognuno puo interpretare come vuole" ma che appare evidente come voglia rappresentare la cifra del corteo del 15 ottobre per edulcorarne il segno rispetto al più combattivo "People of Europe Rise Up!" che rappresenta lo slogan comune della mobilitazione europea.

Alla fine della riunione si respira un aria un po’ da dejavu, cioè quel clima che ha condizionato il conflitto sociale nel nostro paese fino al governo Prodi del 2006, una rappresentazione del conflitto piuttosto che la sua pratica. Ma nel 2006 non era ancora esplosa la crisi che sta determinando pesantemente in negativo tempi e sorti di milioni di persone in tutta Europa. Per alcuni il percorso dei prossimi mesi sembra convergere sulle "primarie", per altri con quanto emerge dai movimenti di lotta in Grecia, Spagna, Gran Bretagna. La "quadra" sul 15 ottobre insomma non si è trovata e forse era difficile ipotizzare il contrario.

di Federico Rucco tratto da www.contropiano.org


.Commentsil ministero comanda
Submitted by anonimo on Thu, 06/10/2011 - 16:00.
il ministero degli interni comanda e il movimento ubbidisce? altro che uniti contro la crisi, uniti con maroni!

pc 6 ottobre - L'aquila 913 giorni, la ricostruzione non avanza, ma avanzano le tasse


L'AQUILA. Dal sei aprile sono già passati 913 giorni, ma ancora tanti sono i punti interrogativi sulla città e sul futuro delle aree colpite da un sisma che, oltre a provocare 309 vittime, ha stravolto certezze e abitudini di un'intera comunità. Fotografi da tutto il mondo, specie nei primi mesi dell'emergenza, sono arrivati a documentare la devastazione prodotta dal terremoto. Di recente è tornato in città anche il grande Gianni Berengo Gardin. Gli scatti di due anni e mezzo fa non sono poi tanto diversi da quelli attuali. Lo confermano i dati sulla ricostruzione e i rapporti della Struttura per la gestione dell'emergenza.

GLI ASSISTITI. Oggi, il totale di persone assistite è di 35.133 di cui oltre 28mila di competenza del Comune dell'Aquila. Esattamente un anno fa, gli assistiti in totale erano oltre 55.584. Il dato evidente è che sono diminuiti sensibilmente i beneficiari del Contributo di autonoma sistemazione: 12.127 complessivamente, mentre lo scorso anno si parlava di 29.169, di cui 25.663 solo all'Aquila). Cambiamenti meno rilevanti si registrano sui dati relativi agli ospiti delle 19 aree del Progetto Case che lo scorso anno erano 14.249. Una situazione analoga si registra per quanto riguarda i Moduli abitativi provvisori nelle frazioni e nei paesi.

LA RICOSTRUZIONE. Dati che sono legati, incontrovertibilmente, all'evoluzione della ricostruzione pesante, quella relativa alle case E. La sfida è quella di ottenere i contributi in maniera fluida e agevole. Una partita che è ancora tutta da giocare per le case E, mentre già si può provare a tirare le somme per quello che concerne la ricostruzione leggera. Considerando solo il capoluogo, sono 7.615 i contribuiti definitivi erogati per le case A. Per quello che concerne le case B, per cui sono state presentate 8.322 pratiche, i contributi definitivi registrati sono 8.048. Per le case C, su 1.100 progetti di ricostruzione, 1.036 hanno superato la filiera Fintecna-Reluis-Cineas. Una trafila da cui dipende la velocità del processo di ricostruzione nelle periferie come in centro.

CASE E. I professionisti hanno presentato oltre 7.600 progetti di ricostruzione di edifici E, ma i contributi definitivi sono solo 1.337. Un ritardo che, secondo l'assessore alla Ricostruzione, Pietro Di Stefano, è da imputare prevalentemente alla filiera. «Non ce la possiamo prendere coi professionisti», spiega, «che hanno tutto l'interesse a presentare velocemente le pratiche per ottenere i contributi. Il meccanismo si ferma tra Fintecna, Reluis e Cineas. In realtà, poco o nulla possiamo contestare alle prime due che hanno dei presìdi sul territorio e stanno lavorando con competenza». L'assessore prende Fintecna come esempio. «Di 7.684 pratiche presentate», spiega, «Fintecna ne ha già considerate oltre 5mila, dando 4.196 esiti positivi. Anche il lavoro di Reluis sta andando avanti. Il problema adesso è relativo a Cineas», aggiunge, «le cui modalità di controllo dei progetti rallentano le pratiche. È anche difficile trovare degli interlocutori di Cineas sul territorio». Di questo passo, sarà difficile rispettare la «dead line» del commissario Gianni Chiodi che ha parlato della necessità di ricostruire entro il 2013 tutti gli edifici in periferia.

CENTRI STORICI. Discorso a parte va fatto per i centri storici. La progettazione della ricostruzione del centro storico del capoluogo, così come degli altri piccoli Comuni del cratere, è oggetto di pianificazione. Ma tradurre questo lavoro di progettazione preliminare in atti concreti è un'impresa quantomai difficile allo stato attuale, in un momento in cui gli indirizzi e gli interessi delle tante parti in causa sono divergenti.

pc 6 ottobre - la lotta dei siderurgici della Lorena


LORRAINE. 1.500 manifestants pour défendre la sidérurgie
RÉSISTANCE. Les deux derniers hauts-fourneaux de la vallée de la Fensch, installés aux portes d’Hayange (Moselle), le berceau du fer, sont fermés "provisoirementEn Lorraine, à Hayange, c'est un des derniers hauts-fourneaux qui ferme. Rappelons que le gouvernement bourgeois, en 2006, avait défendu la cession du monopole Arcelor au groupe Mittal Steel, pour soi-disant... sauver la production en Europe ! On voit bien qu'il n'en est rien, et que la production va sans doute être déménagée en Inde, nouvelle "fonderie du monde". Ce mouvement général de déplacement de la production est simplement la conséquence de la chute du taux de profit, exigeant une main d'oeuvre toujours à moindre coût ; ainsi que d'une tendance à la division internationale du travail, à la "tertiarisation" des sociétés occidentales tandis que le travail pénible (plutôt que de le rendre moins pénible et de le payer à sa juste valeur...) est délocalisé vers les pays où l'on peut le payer une misère, sans aucun droit social, etc.
.
".

pc 6 ottobre - corteo degli studenti a Palermo


NOI SIAMO IL 14 DICEMBRE 2010-RIPARTIAMO DA LÌ !
Si avvicina un autunno molto caldo, e con questa prima giornata di protesta studentesca è bene riprendere la grande lotta che ci ha visto protagonisti, studenti e studentesse, in scuole e facoltà l’anno scorso.
Di fronte agli attacchi di tipo fascista che il governo Berlusconi attua, supportato dalla passività/complicità della falsa opposizione parlamentare del Pd contro i diritti dei lavoratori e degli studenti, con (contro) riforme e per ultima la finanziaria lacrime e sangue adesso tocca noi far risentire la nostra voce!
Noi studenti che da sempre siamo stati la miccia che infuoca la prateria (ma il fuoco divampa solo se ci uniamo alle lotte dei lavoratori, in primis degli operai) anche quest'anno dobbiamo fare la nostra parte partendo da un bilancio dello scorso autunno dove effettivamente siamo stati il settore d'avanguardia nel movimento di opposizione al governo Berlusconi, il soggetto sociale più combattivo!
Noi studenti abbiamo già fatto enormi passi avanti dai movimenti studenteschi degli anni passati (ripensando anche al 2008-l'onda), tra questi due che vale la pena sottolineare:

non ci siamo concentrati più soltanto sulla riforma dell'istruzione ma abbiamo capito che questa fa parte delle politiche economiche e ideologiche volute dal governo e firmate dal presidente Napolitano (che prima di diventare tale proveniva dalle fila del PD).

siamo andati oltre il mero pacifismo sterile e statico riscoprendo la lotta radicale senza se e senza ma, dalle parole del 2008 siamo passati ai fatti lo scorso autunno. Le occupazioni di scuole e facoltà, le occupazioni simboliche dei monumenti del paese, i cortei selvaggi non autorizzati dalle questure, gli scontri con i servi dello stato, le paralisi delle metropoli italiane, gli assedi ai palazzi del potere, tutto questo è opera nostra.

Ed è anche opera nostra il 14 Dicembre 2010, l'apice dello scorso movimento studentesco, la più grande battaglia contro il potere dello stato dai giorni del G8 di Genova nel 2001.
Le reazioni dei politici dei vari schieramenti alcuni dei quali il giorno prima ti appoggiano strumentalmente e il giorno dopo ti condannano esortandoti alla calma, è una conferma che battaglie come quelle del 14 Dicembre, possono cambiare le carte in tavola e che farebbero realmente paura ai potenti se praticate più spesso e da più soggetti sociali che subiscono le politiche del governo.
Infatti il problema è proprio questo sistema politico organizzato nei suoi palazzi del potere dove partiti e governi vari decidono e legiferano sulle nostre spalle e in questo momento per farci pagare la crisi che il sistema capitalista produce. Quale sarebbe sennò il senso dell’appello “all’unità nazionale” del presidente Napolitano accolto da tutti i partiti rappresentati in parlamento?
Noi non ci stiamo, quale unità nazionale? Non è vero come dice il “nostro” presidente che siamo tutti sulla stessa barca, c’è chi paga la crisi ovvero la maggioranza, il popolo, i lavoratori e gli studenti e i soliti noti che ingrassano anche in periodo di crisi che anzi rappresenta un’opportunità per loro in primis per la classe politica e i grandi industriali.
I popoli del mondo, anche di quella parte del globo “ricca” come Europa e Usa pagano la crisi, grazie ai governanti da Obama a Berlusconi, da Papandreu in Grecia a Zapatero in Spagna che attuano manovre lacrime e sangue. Il governo Berlusconi, va ben oltre l'aspetto economico ed ecco che allora attacca i diritti conquistati dopo anni e anni di dure lotte politiche e sindacali con vero e proprio odio viscerale verso quelle vittorie: attacco al contratto collettivo nazionale del lavoro, attacco all'articolo 18 e in generale a tutto lo statuto dei lavoratori, si tollera e applica su larga scala l'illegittimo referendum attuato da Marchionne agli operai della Fiat esprimendo il diktat che o si lavora come bestie a un salario “competitivo” (leggi basso), ed essendo “contenti” di ciò non potendo più scioperare perchè si danneggia la produzione, oppure Sig. Fiat va a produrre in un altro paese con manodopera a basso costo e gli operai con a carico le proprio famiglie in mezzo ad una strada a patire la fame.
Consci che sia necessario combattere tutto ciò, crediamo si debba ripartire dal risultato più alto ottenuto l’anno scorso: la battaglia del 14 Dicembre, ripartire da essa nelle pratiche radicali ma anche nella riflessione per imparare sia dagli errori che dalle vittorie, ad esempio: perché anche l’anno scorso nonostante l’intensità della lotta e le dimensioni del movimento non si è andati oltre Dicembre ma da Gennaio si sono lasciate le piazze alla normalità quotidiana per rientrare tutti in classe come se niente fosse successo?
Oggi, 7 ottobre 2011, al primo corteo studentesco vogliamo rilanciare l’idea della necessità di un’assemblea studentesca a livello nazionale per ragionare su tutto ciò (ragionamento che è mancato l’anno scorso) e proseguire ancora più forti nella lotta contro il governo Berlusconi e ogni falsa alternativa della Borghesia sia essa di centro-destra o mascherata da “sinistra”.

COLLETTIVO AUTORGANIZZATO IN LOTTA CAIL
cail.pa@libero.it cail-pa.blogspot.com su fb: cail collettivo accademia

pc 6 ottobre - Barletta-Un crimine annunciato, un ennesimo crimine del profitto

Un crimine annunciato, un ennesimo crimine del profitto.

Del profitto degli speculatori del mattone, dei padroni sfruttatori.
Seppellite due volte dalle istituzioni, dalle licenze facili, dai condoni
per gli abusi, dai mancati controlli.



Crolla una palazzina e, nel sottoscala, i corpi di 4 operaie e della figlia
dei padroni, uccise mentre erano al lavoro per i padroni tessili.

Il loro lavoro era "sommerso" per istituzioni, politici, confederali, mass
media. Facevano parte di quell'esercito di "invisibili" al lavoro senza
sicurezza, schiave schiacciate da un sistema creato per il profitto dei
signori capitalisti che non gli ha dato scampo, come il sottoscala in cui
lavoravano privo di uscite di sicurezza.

Matilde, Giovanna, Antonella, Tina e la piccola Maria, "lavoravano dalle
otto alle 14 ore, a seconda del lavoro che c'era da fare. Quelle donne
lavoravano per pagare affitti, mutui, benzina, per poter vivere, anzi
sopravvivere", hanno detto i famigliari. Per 4 euro all'ora, pagati in nero,
ricattate, costrette ad accettare un salario da fame per non pesare sulle
proprie famiglie.

La Rete nazionale per la sicurezza sul lavoro si stringe al dolore dei
famigliari. Nessuna giustizia potrà venire da questo sistema: dobbiamo
lottare ancora una volta contro i tempi eterni della "giustizia" quando si
tratta di operai, contro la solitudine e la disperazione di chi è rimasto
senza la propria compagna e figlia.

Non siamo sulla stessa barca, signori padroni. Oggi c'è il dolore ma la
nostra rabbia contro di voi ed il vostro "modello di sviluppo" aumenta
giorno per giorno, al ritmo di 4 operai che muoiono ogni giorno in questo
paese.

Se non vogliamo usare parole ipocrite è tempo di combattere questa guerra
incivile non dichiarata dai padroni assetati di profitti. Solo con ua
rivoluzione sociale e politica è possibile mettere fine ai crimini dei
padroni, non c'è altra strada. L'unica giustizia è quella proletaria!



Rete nazionale per la sicurezza sul lavoro
bastamortesullavoro@gmail.com
recapiti presso le sedi Slai cobas per il sindacato di classe
e presso USI roma

mercoledì 5 ottobre 2011

pc 5 ottobre - la Grecia in lotta, offre una indicazione anche per la manifestazione del 15 ottobre

Grecia paralizzata dallo sciopero
Ad Atene scontri dimostranti-polizia
Fermi tutti i comparti del settore pubblico, dai trasporti ai musei e siti archeologici, alle scuole. La protesta contro i sacrifici imposti dal governo continuerà: il 19 ottobre con gli statali si fermeranno anche i dipendenti dei privati. Due giovani manifestanti feriti nella capitale

Scontri ad Atene ATENE - Grecia paralizzata dallo sciopero dei dipendenti pubblici contro l'ennesima manovra lacrime e sangue varata dal governo per incassare gli aiuti della comunità internazionale. La tensione, altissima ormai da settimane in tutto il Paese, è sfociata in scontri ad Atene, dove due giovani manifestanti sono rimasti feriti.
Gli incidenti si sono verificati nella centralissima piazza Syntagma, davanti al Parlamento, dopo che i poliziotti avevano esploso candelotti lacrimogeni verso una decina di dimostranti che avevano lanciato sassi e bottiglie contro le forze dell'ordine. I giovani erano usciti all'improvviso da un corteo, sino a quel momento pacifico, cui hanno partecipato oltre 20 mila lavoratori.

Lo sciopero è stato indetto dai due principali sindacati greci, l'Adedy che rappresenta i dipendenti pubblici e la Gsee che riunisce quelli del settore privato per protestare contro le ultime, più rigide misure di austerità decise dal governo per cercare di risanare la dissestata economia nazionale.

Si sono fermati
tutti i mezzi di trasporti pubblico, con l'eccezione degli autobus che dalle 8.00 alle 21.00 daranno ai cittadini la possibilità di partecipare alle manifestazioni. Gli aeroporti sono rimasti chiusi a causa dello sciopero dei controllori di volo. Gli ospedali hanno garantito solo i servizi di emergenza. Chiusi anche tutti i siti archeologici e i musei del Paese. Alla mobilitazione hanno aderito i maestri delle scuole elementari e i professori delle superiori e degli atenei che protestano per la mancanza di personale e di libri scolastici. Tra le tante categorie coinvolte nella protesta figurano anche gli avvocati e i lavoratori portuali.

La protesta non si ferma con oggi. Contro i tagli e i sacrifici che il governo di George Papandreou sta imponendo al Paese su richiesta delle istituzioni finanziarie internazionali è in programma per il 19 ottobre uno sciopero generale che oltre ai dipendenti pubblici coinvolgerà i lavoratori del settore privato.

pc 5 ottobre - Nepal, lotte operaie contro il governo Battarai con la sinistra sindacale ANTUF


correovermello-noticias.

in spagnolo facilmente traducibile
Kathmandu, 01.10.11
Fuentes de la prensa nepalí informan del rechazo total del la Federación de Sindicatos (ANTUF), leales a la linea del camarada Kiran, a la propuesta No Trabajo-No Pago que niega las ayudas a trabajadores y trabajadoras en paro en medio de la profunda crisis capitalista.
La propuesta hecha por la patronal es apoyada por el Ministerio de Trabajo del gobierno del revisionista Bhattarai y otras centrales sindicales.
Así mismo se informa de las protestas, marchas de antonchas y mitines de masas en Kathmandú, Lalitpur, Bhaktapur, Kavre, Sindhupalchowk, Chitwan, Nuwakot, Dhading, desde el pasado miercoles contra el Ministro de Defensa por sus declaraciones en apoyo a la sesesión de la región de Terai.
Organizaciones cercanas a la linea del camarada Baidya han pedido la dimisión del ministro Bhamdari, de la minoria Madhesi y lo han calficado como un ataque a la soberania del País. Todo ello a pesar del llamado del lider revisionista Prachanda a la calma y que el ministro de Energia del gobierno Bhattarai, Bugarti a defendido al Ministro de Defensa, diciendo que se han interpretado mal sus palabras

pc 5 ottobre - "DOMANI DOVRANNO ESSERE BELLE E FIERE. INSOMMA DOVRANNO ESSERE DONNE..."




Comunicato delle compagne del MFPR.

“DOMANI, QUANDO ANDRANNO VIA DOVRANNO ESSERE BELLE. BELLISSIME. BELLE E FIERE. INSOMMA DOVRANNO ESSERE DONNE”.



Le compagne del MFPR di Taranto domani saranno a Barletta, per stringersi attorno a Matilde, Giovanna, Antonella, Tina, alla ragazzina Maria.



UCCISE DALLA SPECULAZIONE EDILIZIA DEI PADRONI, DALLA COMPLICITA' E MENEFREGHISMO DELLE ISTITUZIONI, DAL LAVORO NERO, DAI PROFITTI DELLE GRANDI AZIENDE, e, come denunciano dei parenti, dai soccorsi lenti.

“Se avessimo continuato a scavare saremmo riusciti a salvarle. Dopo sono stati troppo lenti”.
“Sono arrivati lì con le loro giacche e cravatte e ci hanno tenuti oltre le transenne, gridandoci contro, senza dirci quello che stava accadendo. Ieri c'è stata una sfilata di gente in cravatta, mentre loro morivano sotto le macerie”. Anche Vendola - il Presidente di una Regione che è piena di laboratori tessili a nero, fuori norma - anche lui è arrivato in cravatta e ha pagato il prezzo di una donna morta: 200 mila euro a famiglia.

“Domani, dovranno essere belle e fiere. Insomma dovranno essere donne”, ha detto la madre di una operaia. Perchè questo è un assassinio di donne.
Donne operaie costrette a lavorare a nero, dalle 8 alle 12 ore al giorno per 3,95/4 euro all'ora, per confezionare maglioni e felpe da padroncini che devono tagliare su tutto; operaie che devono accontentarsi della miseria per produrre la ricchezza per la “Grandi marche”, che incassano “l'oro” dal “fango”, e, come ora, dal sangue.
Donne operaie come ce ne sono tante a Barletta, in Puglia a lavorare spesso in scantinati, in locali, garage che anche quando non sono a rischio vita, sono a rischio salute, perchè il più delle volte, senza aria, ventilazione, spazio o illuminazione sufficiente, ma spesso con tanto rumore, con fibre di tessuti, sostanze coloranti, che ti entrano nei polmoni.
Donne operaie uccise dal menefreghismo delle Istituzioni. “Non mi sento di criminalizzare – ha detto il sindaco Maffei - chi, in un momento di crisi come questo viola la legge assicurando, però, il lavoro”. Questo sindaco che nonostante le denunce fatte più volte da alcuni abitanti, aveva detto che non c'era pericolo, come avevano confermato suoi tecnici appena venerdì scorso, e che solo dopo la strage ha disposto la verifica di altre palazzine
Donne operaie uccise dalla speculazioni delle imprese edili, come l'impresa Giannini che aveva demolito la palazzina adiacente, lasciando da un anno solo ammasso di detriti, e che, solo dopo tante denunce, aveva subappaltato la loro rimozione ad una ditta che lo ha fatto senza alcun rispetto di norme di sicurezza.
Donne operaie che sono costrette ad accettare lavori ultraprecari, a nero, a rischio, perchè per le donne in tanti posti del sud, ma ora anche nel nord, non ve ne sono altri.
Donne che però come Matilde, Giovanna, Antonella, Tina, riuscivano a far emergere il bello anche dal “nero”, con la loro unità, complicità, anche allegria, con la loro determinazione a resistere.

OGGI, DOMANI SONO I GIORNI DEL DOLORE, ANCHE DELLA RABBIA, MA GIA' DALLE PAROLE DEI FAMILIARI VIENE FUORI LA NECESSITA' DEI GIORNI DELLA RIBELLIONE.

Le compagne del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

Taranto 5.10.11 – mfpr@libero.it

pc 5 ottobre - Operai Fiat di Termini Imerese, si definisce l'accordo con Dr Motors

Non ci sono grandi novità, se non nelle intenzioni, nel piano industriale che oggi la Dr ha presentato ai sindacati e al governo a Roma.

Secondo le notizie il piano industriale avrebbe questi numeri:

  • sessantamila vetture annue a regime nel 2017;
  • investimenti per 110 milioni di euro;
  • 1312 occupati nel 2016 con assunzioni a partire dal 2012 (241 operai), 561 nel 2013, 919 nel 2014, 1.271 nel 2015 e 1.312 nel 2016.

Da quel che si vede questo piano, anche ammesso che si possa mettere in pratica, prevede comunque anni di cassa integrazione, lascia ancora troppe incognite sui tempi molto lunghi, innanzi tutto, dato anche che tutte le infrastrutture del comprensorio di Termini previste dall’accordo di programma devono essere messe in atto, poi perché comunque gli operai dell’indotto rimangono ancora fuori nonostante l’impegno di Di Risio a sviluppare l’indotto (in settimana avrà un incontro a Termini con i rappresentanti delle aziende).

E poi ancora Di Risio si dovrà incontrare con i responsabili della Regione Siciliana per mettere a punto gli investimenti pubblici.

Troppi problemi che domani mattina gli operai dovranno affrontare quando saranno informati dai sindacati che hanno partecipato all’incontro in una assemblea pubblica a Termini Imerese continuando di fatto lo sciopero già iniziato lunedì.

Nel frattempo la Fiat se ne sta lavando definitivamente le mani… è meglio prepararsi comunque alla lotta per non farsi strappare i diritti e mantenere il posto di lavoro.

E' sempre la lotta la miglior garanzia per gli operai...

pc 5 ottobre - Ravenna, per una mobilitazione cittadina antirazzista



I proletari comunisti di Ravenna si uniscono alla richiesta di giustizia per Fall Oumar Talla e per gli altri due ragazzi immigrati per la violenza inaudita che hanno subito quest'estate in uno stabilimento balneare a Lido Adriano.
Sono al momento venuti fuori le denunce di 3 pestaggi nei confronti di immigrati che accusano la vigilanza privata ma le violenze, stile "arancia meccanica", come riportato da alcuni quotidiani locali, potrebbero essere molte di più.
Questa violenza ha l'aggravante di razzismo! Pestaggi selvaggi (Fall Oumar Talla ha avuto 10 punti nella testa), addirittura con manganelli e torce, investimenti mentre erano per strada: i responsabili devono subire una pesante condanna per questo! Come mai nessuno controlla questi viglilantes privati? Non è forse responsabile questa amministrazione locale di centrosinistra che ha affidato agli stessi commercianti la "sicurezza" delle loro proprietà?
Ma è sul pesante clima antimmigrati, nazionale e locale, che bisogna intervenire politicamente. I quotidiani locali, seppure con qualche eccezione, in maggioranza stanno sbattendo il mostro in prima pagina, l'immigrato come criminale, assieme alle ordinanze "antidegrado" di questa amministrazione di centrosinistra (non a caso l'assessore all'immigrazione è anche assessore alla "sicurezza") che si traducono in controlli, divieti, più polizia nei quartieri abitati o frequentati da immigrati, fino ad arrivare agli sgomberi e denunce degli immigrati senza tetto da parte della questura e, come non bastasse, c'è stata pure la cacciata, da parte di alcuni cittadini, degli immigrati del Torrione.
Ora basta! E' inaccettabile che il razzismo dilaghi in questa città!
Per i proletari comunisti rimane essenziale una mobilitazione cittadina e l'organizzazione di una rete antirazzista, antifascista.

proletari comunisti-Ravenna
ravros@libero.it
tel. 339/8911853

pc 5 ottobre - Il fascismo padronale di Marchionne e il "virus della politica"

La decisione di Marchionne di portare la Fiat fuori dalla CONFINDUSTRIA ha fatto saltare i nervi ai tanti politici, economisti, sindacalisti che si battono per la “coesione del Paese” in questo momento di crisi. Tutti costoro hanno sentito quindi il dovere di bacchettare il dirigente che era un modello ed adesso rischia di aggravare i problemi già presenti.

L’articolo di fondo di ieri sul sole24ore “Il virus della politica, i tabù da superare” racchiude l’insieme di queste critiche…

Lo svolgimento di fondo ricorda il fatto che quando i ladri litigano si scopre dove si trova il bottino, in questo caso si scopre cosa si nasconde dietro le chiacchiere sulla “coesione sociale”, il “sistema paese”, ecc. e cioè, nella sostanza, appunto, “libertà di licenziamento”, “controllo sociale”…

L’articolo comincia sbeffeggiando Marchionne perché lo accusa di “fare politica” proprio quando dice di non volerla fare…e infatti “gridare al disconoscimento dell'articolo 8 della Manovra per subordinarvi l'uscita dalla principale organizzazione delle imprese industriali, non è credibile se non come atto politico”… Il politico Sacconi si è incaricato, infatti, di inserire l’art. 8 nella manovra d’agosto!

E, a scanso di equivoci, se Marchionne non l’avesse capito, l’articolista ribadisce, “La parte dell'articolo 8 che garantisce la validità erga omnes retroattiva e la piena legittimità giuridica delle deroghe aziendali ai contratti nazionali, vero cuore strategico della battaglia Fiat, [sott. ns.] è intatta.” Anzi. “Anzi, rafforzata da un accordo interconfederale che dà a questa parte ulteriore vigore negoziale: anche la Cgil […]”.

Nessun problema sui licenziamenti dunque, anche se quello dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, quello che impedisce il licenziamento senza giusta causa è un “tema tuttavia da risolvere, una volta per tutte, perché al mercato del lavoro italiano serve una flessibilità in uscita, se non lo si vuole mantenere sbilanciato solo sulla precarietà dei giovani che vi fanno ingresso!”

Quindi, per ricordarlo a noi stessi: la “flessibilità in entrata” i padroni ce l’hanno già… per quella in uscita dovrebbero bastare già l’accordo del 28 giugno e l’art. 8, appunto, ma stia tranquillo Marchionne perché “Il Sole 24 Ore non farà mancare il suo appoggio” … “Se Marchionne intende farsi paladino di una nuova battaglia culturale [questa è la cultura per i borghesi!] per superare i tabù del mercato del lavoro”

E che ti dobbiamo dire di più pensa il giornalista. Ma trova ancora il coraggio di continuare, raccontando la storia d’Italia a modo proprio, dice infatti: “È evidente che in Italia esiste uno strapotere sindacale da sempre, rafforzato dalla politica della concertazione…” quel che non dice è a favore di chi è stato usato questo strapotere sindacale in concerto! Non certo a favore degli operai né tantomeno delle masse popolari in generale!

Tuttavia, e sembra di vederlo muoversi sulla sedia con fare bonariamente accusatorio: “Tuttavia appare difficile immaginare di smantellare questo sistema di governance degli interessi sociali con un tratto di penna sugli accordi o con una sbianchettatura delle leggi più "sensibili".”

Tra le leggi più sensibili c’è quindi la legge 300 del 1970 (lo Statuto dei Lavoratori)… è lucido il nostro articolista anche quando aggiunge che “Sarebbe difficile in ogni condizione, ma tanto più adesso, in un Paese in perdita di competitività e di reddito, impegnato a gestire nel modo più inclusivo possibile una crisi sociale planetaria, in cui le sofferenze italiane sono un una piccola quota di quelle continentali, a loro volta porzione delle diseguaglianze del pianeta.”

Queste crisi e sofferenze vengono prodotte “in quantità industriale” proprio dal vostro sistema, egregio signor “economista”! Ma che bel sistema sociale ci descrive!

Quindi l’accordo con le “parti sociali” è una necessità dato che si tratta di “milioni di tessere”. “Forze sociali, insomma, più forti del più forte partito. Che hanno garantito al Paese, grazie anche alla lungimiranza delle loro controparti, una gestione ancora adesso controllata della crisi sociale.”

E quindi di che ti lamenti, caro Marchionne? E tutta questa manfrina degli accordi sociali non è ancora finita, è solo una tappa perché “L'arrivo finale è sempre e comunque una vittoria del Paese e del suo prezioso mondo dei produttori.” Quanto ecumenico romanticismo! “In questo schema, dunque, la coesione sociale è un valore per la competitività stessa dell'Italia. E se non ci sono "indignados" fuori controllo come altrove, forse non è un caso.” Se non ci sono “indignados”, caro ottimista, non vuol dire che non ci saranno!

Quel che in realtà fa finta di non capire il nostro “opinionista” è che Marchionne rappresenta molto di più del manager una volta “apprezzatissimo outsider” senza pazienza: Marchionne incarna infatti il fascismo padronale che, all’interno dell’attuale rapporto di forza con la classe operaia, vuole farla finita per sempre con i proverbiali “lacci e lacciuoli” da cui si sentono legati tutti i padroni.

L’economia “in senso stretto” in tutto questo sta nello sfondo, ciò che domina è la politica, e non potrebbe essere altrimenti dato che il sistema capitalistico, l’attuale sistema sociale, è in essenza un rapporto sociale, e infatti non sono certo scelte “economiche” quelle delle leggi “salva-stati” “salva-banche”, “salva-aziende” ecc. e “salvarsi” finché è possibile sembra essere in questo momento la parola d’ordine di questi signori…

martedì 4 ottobre 2011

pc 4 ottobre - Il ruolo primario dell'Italia nella guerra in Libia

I padroni oggi attraverso diversi articoli sul giornale della loro associazione “Il sole24ore” rivendicano la loro “intelligenza” rispetto a Marchionne per quanto riguarda la scelta della Fiat di uscire dalla Confindustria e con un aperto orgoglio il ruolo militare del “loro paese” rispetto all’intervento in Libia.

In questo caso ne rivendicano il “Ruolo primario” riportando chiaramente i dati dicendo che l’80% dei raid sono partiti dalle basi italiane. Con questo ci tengono in sostanza a sottolineare, per una spartizione "corretta" del bottino di guerra, che meritano un trattamento diverso rispetto agli accordi economici sul petrolio e sul gas dopo la magra figura del ministro Frattini in Libia nell’incontro dei giorni scorsi con i rappresentanti del nuovo potere che hanno messo in dubbio il tipo di contratti che erano stati stipulati in precedenza. Come tutti hanno capito sono questi interessi i veri motori dell’intervento in Libia e non le chiacchiere sulla democrazia, libertà, diritti ecc. ecc. che vengono bellamente sommersi dalle bombe “che non hanno fatto vittime civili”!!!

L’asciutto racconto dei dati di questo articolo è di un intollerabile cinismo, lo riportiamo per intero sottolineando alcune frasi.

***

“Ruolo primario. Il contributo dell’Italia

L'80% dei raid dalle nostre basi

Ignorata dagli alleati e messa in ombra dalla censura mediatica imposta dal Governo, l'entità del ruolo rivestito dalle forze militari italiane nel conflitto libico è rimasta finora quasi del tutto sconosciuta. Un ruolo di primo piano come dimostrano i dati che Il Sole 24 Ore ha ottenuto da fonti vicine agli ambienti Nato. Innanzitutto perché oltre l'80% delle missioni aeree alleate sono state lanciate da basi italiane senza le quali l'operazione Unified Protector sarebbe stata inattuabile. Gli aerei italiani hanno svolto un ruolo fondamentale, con un numero di missioni che la scorsa settimana aveva superato quota 2mila (con oltre 7mila ore di volo) a cui aggiungere le quasi 400 compiute dagli elicotteri imbarcati della Marina. Meno solo dei francesi (oltre 4.500 missioni) e dei britannici (circa 2.400 missioni più quelle degli elicotteri imbarcati) che però hanno schierato 30/40 aerei contro i 14 italiani.

Quanto a mezzi e missioni l'Italia ha contribuito per quasi il 10% allo sforzo militare alleato con incursioni concentrate negli ultimi giorni sulle ultime roccaforti lealiste a Sirte e Bani Walid, ma in termini qualitativi ha dato molto di più tenendo conto della mole d'informazioni che la nostra intelligence ha fornito agli alleati e dell'impiego dei velivoli teleguidati Predator (solo quelli italiani e americani sono in azione in Libia) che in una trentina di missioni si sono rivelati indispensabili per individuare i bersagli e guidare i raid nelle aree abitate.

I jet italiani hanno effettuato missioni di ogni tipo. Nella sorveglianza della no-fly zone nessun altra forza alleata ha superato le 590 effettuate dagli italiani che hanno impiegato anche tanker per il rifornimento in volo, aerei da guerra elettronica e intercettazione delle comunicazioni, cacciabombardieri per l'attacco al suolo e la ricognizione. Velivoli che hanno individuato 1.500 obiettivi, attaccandone oltre 500 con circa 850 bombe a guida laser e satellitare. Di queste circa 160 sono state lanciate in 170 missioni dagli Harrier della Marina, le altre da Amx e Tornado dell'aeronautica che hanno impiegato anche oltre due dozzine di missili da crociera Storm Shadow. Tenuto conto di un costo medio di 40 mila euro per ogni bomba guidata e un milione per ogni Storm Shadow, nel conflitto gli italiani hanno impiegato finora ordigni per un valore circa 60 milioni.

Le stesse fonti hanno confermato che i raid italiani hanno avuto una precisione del 97% e non ci sono state vittime civili. Prestazioni di rilievo, specie tenendo conto che, dopo forti pressioni della Casa Bianca, l'Italia ha iniziato a colpire obiettivi sul suolo libico soltanto a fine aprile, cioè un mese e mezzo dopo gli alleati.

Ciò nonostante i Tornado hanno lanciato oltre un terzo della settantina di missili da crociera impiegati anche dai jet francesi e britannici per colpire le basi libiche meridionali nell'area desertica di Sebha. Con il progressivo decrescere delle esigenze belliche è probabile che anche gli italiani riducano le forze aeree assegnate alla Nato, attualmente inferiori numericamente solo ai britannici dal momento che Parigi ha tagliato a soli 5 jet la flotta di Rafale basati a Sigonella.

pc 4 ottobre - Immigrati sulle navi-prigione trattati come bestie

"Noi tunisini trattati come bestie chiusi nelle navi-prigione"

La denuncia raccolta dall'Arci: "Stipati in 100 per una settimana in un salone, per mangiare ci buttavano il cibo a terra". Pronto un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo

"Reclusi nel centro di Lampedusa, e poi trasferiti e trattenuti per giorni su navi-prigione in condizioni disumane in attesa di essere rimpatriati in Tunisia senza che venisse loro notificato alcun provvedimento, né concesso di accedere all'autorità giurisdizionale". Lo si legge in una nota dell'Arci che ha raccolto la denuncia di tre cittadini tunisini in occasione di un convegno internazionale svoltosi a Tunisi. "I tre cittadini tunisini - si legge - approdati a metà settembre a Lampedusa, erano stati rinchiusi nel Cpsa dell'isola sino agli scontri che ne hanno provocato la semidistruzione.

Trasferiti successivamente sulle navi ormeggiate nel porto di Palermo, sono stati sottoposti a trattamenti disumani e degradanti: stipati in 100 per una settimana in un salone, costretti a dormire per terra con la possibilità di uscire per pochi minuti dopo i pasti sul ponte dell'imbarcazione".

Dalle testimonianze raccolte dall'Arci, inoltre, emerge come "la possibilità di usufruire dei servizi igienici veniva decisa dalle forze dell'ordine che accompagnavano i migranti spintonandoli e minacciandoli con i manganelli. Trattati come bestie, provocati e offesi da chi li sorvegliava, gli veniva dato da mangiare buttando il cibo a terra. Cento migranti trattenuti con una procedura illegale che configura il reato di sequestro di persona".

A seguito di queste dichiarazioni, i legali dell'Arci hanno ricevuto il mandato dai tre cittadini tunisini di procedere per vie legali, e nelle prossime ore verrà presentato un esposto alla procura di Agrigento per denunciare la limitazione illegittima della libertà personale, con l'accusa di sequestro di persona. I legali, inoltre, presenteranno ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo perché si pronunci sulla violazione dei diritti fondamentali subita da migliaia di migranti alle frontiere italiane.

palermo.repubblica.it

(04 ottobre 2011)

pc 4 ottobre - una nuova orribile strage di operaie a Barletta

Antonella Zazza Giovanna Sardaro. Matilde Doronzo. Tina Ceci sono morte
sepolte sotto una montagna di macerie
5 le vittime compresa Maria Cinquepalmi, 14 anni, la figlia dei titolari del
maglificio.
i soccorritori hanno estratto viva Mariella Fasanella, 37 anni, l'operaia
che era riuscita a trovare riparo in un cunicolo.
sei sono i feriti, a centinaia hanno lavorato senza sosta. non hanno mai
smesso di scavare

Tragedia di donne, le operaie che lavorano nel maglificio
«Tutti sapevano che l'edificio stava cedendo»
Lo dicono in tanti, per strada
Parole colme di rabbia. Perché il palazzo maledetto, costruito negli anni
sessanta, faceva paura. I tufi sono porosi, assorbono l'acqua e si gonfiano
quando non si fa la manutenzione. Inevitabili, allora, le crepe, i piccoli
smottamenti, i cedimenti, gli scricchiolii. E inevitabili le richieste di
sopralluoghi e accertamenti da parte dei tecnici competenti. Inevitabili,
allora, le crepe, i piccoli smottamenti, i cedimenti, gli scricchiolii. E
inevitabili le richieste di sopralluoghi e accertamenti da parte dei tecnici
competenti. Una procedura eseguita, nei giorni scorsi, anche dai
proprietari. Il palazzo vicino era stato transennato, "ingabbiato" con delle
catene di ferro, ed ha resistito al crollo. Il secondo edificio si è
sbriciolato in attesa della messa in sicurezza prevista proprio ieri. C'è
chi racconta di aver visto al lavoro, in mattinata, prima della tragedia,
una ruspa. È possibile - dicono numerosi residenti della zona - che a
favorire il crollo possa essere stato un intervento di scavo compiuto al di
sotto del piano stradale, al centro fra la palazzina messa in sicurezza e
quella crollata. Esisteva infatti il rudere di una vecchia struttura, in
parte demolita un anno fa e proprio venerdì erano riprese le operazioni per
distruggere definitivamente l'e d i f i c i o, con l'abbattimento tra
l'altro
di una parete confinante con uno dei muri della palazzina crollata. La
Procura di Trani, intanto, ha già avviato un'inchiesta, al momento senza
indagati. Le ipotesi di reato sono omicidio e disastroso colposo. Tanti gli
spunti da approfondire. tante le domande in attesa di una risposta. A
cominciare dalla collocazione del maglificio sotto il palazzo maledetto.

"Non parlate di tragedia, questo è un assassinio", gridavano i parenti
delle donne asserragliati per tutta la giornata tra le macerie. Da giorni
infatti gli abitanti avevano chiesto agli uffici tecnici comunali di
verificare la staticità del palazzo. Accanto, infatti, è stato da qualche
settimana abbattuto un altro edificio in ristrutturazione e da quel momento
si erano aperte una serie di crepe nella struttura. Venerdì c'era stato un
primo sopralluogo dei vigili urbani che avevano parlato della possibile
emissione di un'ordinanza di inagibilità della struttura ma fino a ieri non
era arrivato nulla.

"Anzi - racconta il figlio di una delle residenti, tra le prime a essere
estratte vive - proprio questa mattina è arrivato uno dei dirigenti
dell'ufficio tecnico per dirci che era tutto in ordine". Attorno a
mezzogiorno, invece, è venuto giù tutto. La vittima e le donne rimaste
intrappolate erano tutte dipendenti di una ditta di confezioni di prodotti
di maglierie che si trovava nello scantinato. La.

lunedì 3 ottobre 2011

pc 4 ottobre - Salutiamo Arundhati Roy. Appoggiamo la guerra popolare in India!

Un evento straordinario, una grande lezione sul ruolo dell'intellettuale chiamato dalla stessa realtà sociale a rappresentarla e che, con coraggio, si schiera con gli ultimi della Terra e ne condivide i sogni per un mondo nuovo: questo è stato il messaggio portato nel nostro paese, a Ferrara, all'interno del festival della rivista Internazionale, dalla grande scrittrice indiana Arundhati Roy.
Di fronte ad un pubblico in maggioranza composto da giovani che hanno riempito tutto il Teatro
comunale, la scrittrice indiana, assieme allo scrittore inglese Berger, sono stati i protagonisti di una discussione dal titolo "cronache di questo mondo", cioè il mondo dell'arroganza, avidità, guerra, violenza fascista, che esercitano le multinazionali del profitto e i governi a loro asserviti, contro i popoli. E popoli non più disposti a subire l'oppressione e che si sollevano contro i potenti.
Ovviamente è dell'India che Arundhati Roy vuole parlare e della "più grave minaccia per la sicurezza nazionale" come l'ha chiamata il primo ministro indiano, cioè la guerra di popolo guidata dai maoisti.
L'indifferenza, la codardia non sono qualità degne di uno scrittore-giornalista (e la grande maggioranza lo sono, aggiungiamo noi). Arundhati Roy è l'intellettuale che non rimane indifferente alla realtà e denuncia il proprio governo che scatena la violenza fascista contro la maggioranza del suo stesso popolo, che compie genocidi di massa come la guerra "green hunt" per servire gli interessi delle multinazionali, che chiama terroristi coloro che non si arrendono.
E, aggiunge, non c'è nulla di etico in coloro che vorrebbero costringere i maoisti a rinunciare alla
violenza nel nome di una resistenza ghandiana, ha denunciato la scrittrice indiana: che senso avrebbe uno sciopero della fame nella giungla da parte di chi vive già di miseria?

Noi che facciamo parte di un comitato internazionale di sostegno alla guerra di popolo in India e che abbiamo costituito comitati locali nel nostro paese per fare conoscere l'ideologia e il lavoro politico dei maoisti indiani non possiamo che continuare a sostenere Arundhati Roy per il suo impegno e passione civile su questi temi che saranno i contenuti del suo prossimo libro, "Broken Republic".
Buon cammino assieme ai compagni, Arundhati Roy.

pc 2-3 ottobre - sull'assemblea di roma del 1 ottobre - un primo commento critico

La rilettura degli interventi e posizioni emerse nel dibattito dell’assemblea nazionale “Non paghiamo il debito” rende utile ritornare su alcuni passaggi.
Il giudizio che noi diamo è di guardare alla sostanza neoriformista, ultramovimentista a parole, elettorale nei fatti, del nuovo “spazio
pubblico politico” che si dice di voler costruire.

Perché neoriformista.
Tanti hanno detto con enfasi che la crisi, e il debito, sono il prodotto delle
leggi intrinseche di funzionamento del sistema capitalistico, non di una
sua distorsione speculativa, ma poi nessuno va oltre una soluzione, la
cancellazione del debito nazionalizzazione del credito, che di quel
sistema vorrebbe correggere solo un aspetto.

Perché elettorale.
Anche prendendo per buone le invettive contro i precedenti fallimenti di coalizioni e “governi amici” e i solenni impegni a rispettare e perseguire l’autonomia di movimento sopra ogni cosa, di fatto si è indicato come obiettivo più prossimo è quello di “sottoporre a votazione il vincolo europeo”, e l’esperienza più esaltata è stata la vittoria ai referendum sui beni comuni, fino a porre, pateticamente, come via da seguire quella dell’Islanda (!), non certo quella delle rivolta proletaria e popolare.

Ma, a livello di analisi, il punto che più disorienta è l’enfasi posta sul “governo unico europeo” e le implicazioni che ne derivano, come espresso, in modo più coerente e didascalico di altri, dalla posizione della Rete dei Comunisti.
Si dice che si va imponendo: “la costituzione di una borghesia europea imperniata su Francia e Germania dai cui giochi la borghesia italiana è esclusa … Berlusconi è la rappresentazione di questa debolezza, che è la debolezza del capitalismo italiano, straccione e parassitario … La prospettiva è la crisi e caduta finale di Berlusconi, ciò che si prepara non è un nuovo fascismo ma un governo che salti sul carro dei vincitori europei, che non potrà che essere diretto dal centrosinistra.”
In questo modo si mette in ombra che in realtà la borghesia italiana, per lo meno la sua frazione principale, quella industriale, condivide gli obiettivi imposti dal diktat franco-tedesco, quello che le serve non è un governo che negozi la resa e “salti sul carro del vincitore”, ma uno che ne applichi più rapidamente e meglio quegli obiettivi non certo solo per mantenersi nel contesto di quell’alleanza ma perché questo è il suo interesse primario all'interno del nostro paese.
Ma, soprattutto, non si comprende che è proprio il carattere necessario di misure che scarichino i costi della crisi sui proletari e le masse popolari che impone la natura comunque 'moderno fascista' di ogni governo dei padroni oggi, quale che sia il colore della sua coalizione.
Si resta così ciechi davanti a ciò che è già realtà, il fascismo padronale di Marchionne che prima si impone nelle fabbriche e poi diventa legge di stato e paradigma sociale e che già detiene un blocco più solido di quello Berlusconi, che include anche sindacati e PD, con la parziale eccezione della Fiom, anch’essa sulla via della resa.

Se non si abbandona la logica illusoria e perdente di “uscita dalla crisi”, si perde di vista l’unica effettiva 'soluzione' su cui lavorare: un movimento certo proletario e quanto più di massa che abbia l'obiettivo esplicito di rovesciare il potere, i governi e lo stato dei padroni per un potere e un governo nelle mani dei proletari.
Questo domanda come punto centrale la lotta al fascismo padronale come arma della ricostruzione dell’autonomia di classe, del soggetto politico di classe di riferimento e della guerra di classe necessarie oggi, a partire della lotte dure e le resistenze sui posti di lavoro e nei territori. Senza assumere questo punto di vista teorico e pratico, i compagni operai e le realtà presenti a questa assemblea, non possono che assumere un ruolo di inconcludenti portatori d’acqua del neo-riformismo, dominante nella rappresentazione e nelle conclusioni di questa assemblea.

un compagno di proletari comunisti presente all'assemblea
3 ottobre 2011