sabato 12 marzo 2011
pc quotidiano 12-13 marzo - Occupazione di scienze politiche pisa
Come Collettivo Aula R e come Assemblea delle studentesse e degli studenti dell'Aula R abbiamo deciso di occupare per due giorni la facoltà di Scienze Politiche.
Abbiamo preso questa decisione per lanciare un forte segnale di opposizione all'applicazione della riforma Gelmini che, approvata lo scorso dicembre, costituisce il coronamento delle politiche di distruzione dell'università pubblica portate avante dai vari governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni.
La facoltà di Scienze Politiche sarà duramente colpita dagli effetti della riforma. Drastica riduzione della didattica, accorpamento, scomparsa di corsi di laurea, chiusura della facoltà. Non sono solo voci. Anche se non ci sono notizie ufficiali sulle sorti dei nostri studi, sicuramente il peso degli effetti della riforma ricadrà sugli studenti e sui lavoratori dell'università.
A fronte di una trasparenza di facciata, costruita con la Commissione Statuto, la dura realtà con la quale gli studenti si devono confrontare, è quella della disinformazione.
E' chiaro che la Commissione Statuto, incaricata di modificare lo statuto dell'ateneo per permettere l'applicazione della riforma, non solo non permette margini reali di intervento per "addolcire" gli effetti delle politiche governative, ma non garantisce neanche quella trasparenza che avrebbe dovuto caratterizzarla.
E' quindi necessario mantenere alta la guardia, senza aspettare le decisioni di una commissione che, se anche dovesse ridurre gli effetti negativi della riforma, lo farebbe nell'ottica della conservazione degli interessi baronali.
Con questa occupazione intendiamo quindi gettare le basi per una nuova mobilitazione, ma anche affermare pratiche di lotta radicali come quella dell'occupazione e della riappropriazione degli spazi.
Venerdì alle 15:30 parleremo proprio di questo a Scienze Politiche, all'assemblea aperta "Percorsi di lotta dentro e fuori l'università", alla quale parteciperanno anche altre realtà studentesche autoorganizzate toscane.
Sabato 12 invece con un'iniziativa sulla situazione in nord africa porteremo la nostra solidarietà ai popoli in rivolta nel mediterraneo: alle 16:30 "Dalla Tunisia all'Italia, la via è breve, interverrà un compagno tunisino e ci saranno collegamenti Skype dalla Tunisia.
Auspichiamo che quest'occupazione possa essere utile per aprire spazi di confronto, per dare una scossa all'intero ateneo, per costruire nuove scadenze di lotta.
Collettivo Aula R
Assemblea delle Studentesse e degli Studenti dell'Aula R
Scienze Politiche-Pisa
11/03/11
Abbiamo preso questa decisione per lanciare un forte segnale di opposizione all'applicazione della riforma Gelmini che, approvata lo scorso dicembre, costituisce il coronamento delle politiche di distruzione dell'università pubblica portate avante dai vari governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni.
La facoltà di Scienze Politiche sarà duramente colpita dagli effetti della riforma. Drastica riduzione della didattica, accorpamento, scomparsa di corsi di laurea, chiusura della facoltà. Non sono solo voci. Anche se non ci sono notizie ufficiali sulle sorti dei nostri studi, sicuramente il peso degli effetti della riforma ricadrà sugli studenti e sui lavoratori dell'università.
A fronte di una trasparenza di facciata, costruita con la Commissione Statuto, la dura realtà con la quale gli studenti si devono confrontare, è quella della disinformazione.
E' chiaro che la Commissione Statuto, incaricata di modificare lo statuto dell'ateneo per permettere l'applicazione della riforma, non solo non permette margini reali di intervento per "addolcire" gli effetti delle politiche governative, ma non garantisce neanche quella trasparenza che avrebbe dovuto caratterizzarla.
E' quindi necessario mantenere alta la guardia, senza aspettare le decisioni di una commissione che, se anche dovesse ridurre gli effetti negativi della riforma, lo farebbe nell'ottica della conservazione degli interessi baronali.
Con questa occupazione intendiamo quindi gettare le basi per una nuova mobilitazione, ma anche affermare pratiche di lotta radicali come quella dell'occupazione e della riappropriazione degli spazi.
Venerdì alle 15:30 parleremo proprio di questo a Scienze Politiche, all'assemblea aperta "Percorsi di lotta dentro e fuori l'università", alla quale parteciperanno anche altre realtà studentesche autoorganizzate toscane.
Sabato 12 invece con un'iniziativa sulla situazione in nord africa porteremo la nostra solidarietà ai popoli in rivolta nel mediterraneo: alle 16:30 "Dalla Tunisia all'Italia, la via è breve, interverrà un compagno tunisino e ci saranno collegamenti Skype dalla Tunisia.
Auspichiamo che quest'occupazione possa essere utile per aprire spazi di confronto, per dare una scossa all'intero ateneo, per costruire nuove scadenze di lotta.
Collettivo Aula R
Assemblea delle Studentesse e degli Studenti dell'Aula R
Scienze Politiche-Pisa
11/03/11
venerdì 11 marzo 2011
pc quotidiano 11 marzo - tortura nei paesi baschi..«Tiran una manta al suelo. 'El Comisario' grita y me dice que me va a violar»
Quando si parla di torture, di violenze fisiche e psicologiche ai danni dei detenuti si è sempre portati a pensare a luoghi lontani, geograficamente e non solo.
Dici tortura e pensi a Guantanamo, ad Abu Ghraib, alle dittature che hanno insanguinato l’America Latina nel corso degli anni Settanta o ai regimi fascisti del Novecento. Eppure, nel cuore dell’Europa la tortura continua ad essere praticata. La Spagna, uno degli stati che viene posto come esempio di transizione riuscita dal fascismo franchista ad una compiuta democrazia liberale, si rende ogni giorno autore di atroci crimini contro i prigionieri politici baschi. Al momento in galera ce ne sono quasi 800.
La testimonianza che segue è solo l’ultima in ordine di tempo. Beatriz Etxebarria è stata arrestata insieme ad altri tre compagni lo scorso 1 marzo. Lo stato spagnolo li accusa di essere membri dell’ETA e di aver dato vita ad una serie di azioni di stampo terrorista tra il 2006 ed il 2009. Nel testo che ha scritto una volta che è stata trasferita in carcere, riporta le torture subite durante i cinque giorni in cui è stata sottoposta al regime di isolamento. Si tratta di abusi terribili che non possono non far stringere il cuore e suscitare indignazione. Ma questa da sola non serve a far cambiare le cose. Occorre capire, interrogarsi, denunciare, affinché lo stato spagnolo metta fine a questa guerra sporca contro il popolo basco, affinché raccolga la sfida lanciata dalla sinistra abertzale (indipendentista) basca di risoluzione pacifica e democratica del conflitto.
fonte: kaosenlared.net
La detenzione
Intorno alle 4 del mattino dell’1 marzo del 2011 fecero saltare la mia porta. Mi afferrarono per i capelli e mi trascinarono di fretta nel salone. Avevo solo il reggiseno e mi impedirono di indossare dei vestiti durante la perquisizione.
Nel salone, mi fecero sedere con violenza sul divano, cercando di mettermi le manette. Si arrabbiarono perché mi stavano piccole. E mentre ero ancora seduta sul divano mi dissero: “Vedrai cosa ti aspetta in questi 5 giorni” (si tratta del periodo di “incomunicación”, cioè di isolamento, cui sono sottoposti i prigionieri politici, NdT).
Durante la perquisizione c’erano molti poliziotti (Guardia Civil). Ad un certo punto, durante la perquisizione, uno di loro mi disse di aver trovato delle targhe della Guardia Civil. Erano le sue.
Durante la perquisizione dello stanzino, mi sentii svenire. Mi afferrarono forte il braccio, lasciandomi dei segni. Mi misero delle manette di corda che mi stringevano sempre di più.
Quando uscimmo di casa, mi minacciarono affinché non guardassi né parlassi con il mio compagno. Mi portarono alla macchina, impedendomi di assistere al resto della perquisizione.
Fui portata dinnanzi al giudice (forense) di Bilbo (Bilbao), lì mi osservarono per bene. Avevo dei segni sui polsi causati dalle manette, vene gonfie, graffi, le braccia rosse e irrigidite.
Il viaggio
Mi fecero entrare nella volante. Mi obbligarono a chiudere gli occhi, coprendoli con una mano. Li sentii parlare di un incontro con le altre auto. Si fermarono. Uno di loro, che si faceva chiamare il “commissario”, mi fece scendere dalla volante per entrare in una macchina normale. Subito iniziò ad urlarmi all’orecchio e a minacciarmi: “Sono un militare e sono addestrato per uccidere”. Mi disse che avevo solo due opzioni: parlare subito o meno. Poi prese un sacchetto e me lo mise in testa (si tratta di uno dei metodi di tortura più usati dai poliziotti spagnoli: al detenuto\a viene chiusa intorno alla testa una busta di plastica. Quando il detenuto perde conoscenza viene tolta la busta. La sensazione che provoca nel detenuto è stata descritta come “quello che c’è di più vicino alla morte”, NdT).
Durante il viaggio verso Madrid, mi picchiarono, mi diedero degli schiaffi sulla testa, mi minacciarono costantemente. Mi dissero: “ti faccio spogliare e rotolare nella neve. Ti scavo la fossa”, arrestando la macchina con questo proposito. Il commissario si tolse la giacca, iniziando a sfregarsi contro il mio corpo. L’altro poliziotto, che stava al suo fianco, cercò di “placare” il “commissario”, che comunque mi minacciò. Durante il viaggio verso Madrid, mi avvolsero due volte la testa nella busta, continuando ad urlarmi nelle orecchie e a minacciarmi su quello che avrei passato a Madrid.
In commissariato
C’erano diverse stanze: una da cui provenivano le urla degli altri detenuti e un’altra, situata al piano inferiore, che sembrava isolata e con un trattamento più duro. La prima la chiamerò la “stanza dura”, la seconda la “più dura”.
Seguirono le minacce e il “commissario” mi mise in una cella, dicendomi che avrei dovuto pensare molto bene a quello che avrei fatto. Mi fecero uscire dalla cella e mi portarono davanti al “forense”. Erano circa le 20:30 del martedì. Denunciai la tortura e mi riportarono in cella.
Mi portarono nella “stanza dura”. Lì sentii le grida degli altri detenuti e delle altre detenute. Mi fecero sedere su una sedia e mi bagnarono le mani, intanto sentivo i rumori di qualcosa che mi sembravano elettrodi. Sentivo gli stessi rumori anche dalla cella. Mi dissero che dovevo parlare e iniziarono a togliermi i vestiti fino a lasciarmi completamente nuda. E mentre ero nuda mi tirarono acqua fredda addosso. Mi rimisero la busta in testa per tre volte consecutivamente. Minacciarono di sottopormi alla bañera (altra tecnica di asfissia. La testa del detenuto viene introdotta a forza in un recipiente pieno d’acqua, a volte il water. Spesso i detenuti, dopo essere svenuti si sono risvegliati a terra, in stato di semincoscienza, NdT). Mentre ero nuda, mi misero carponi su una sorta di sgabello. Applicarono della vaselina nell’ano e nella vagina, introducendovi un oggetto. Mi lasciarono nuda, mi avvolsero in una coperta e iniziarono a colpirmi. Mi afferrarono, mi schiaffeggiarono e poi mi alzarono di peso dal suolo.
Mi riportarono in cella dove rimasi fino alla mattina del mercoledì, quando tornai dal forense. Gli raccontai quello che stavo subendo ma la sua reazione non fu per niente positiva. Ritornai in cella dove tentai di “riposare”. Ma dopo poco, arrivò il “commissario”, mi fece uscire dalla cella e mi riportò nella “stanza più dura”. Mi spogliò di nuovo. Mi prese per i capelli, mi picchiò e mi urlò all’orecchio che era un militare addestrato per uccidere, aggiunse che avrebbe “distrutto tutto ciò che avevo dentro affinché io non potessi mai avere dei piccoli etarras (militanti di ETA, NdT)”.
Mi riportò in cella e, poi, di nuovo, dal forense (terza visita). Non gli dissi niente, vista la reazione dell’ultima visita in cui gli avevo parlato delle torture.
Durante gli interrogatori c’era sempre molta gente, una volta contai più di 7 voci differenti. Mi minacciavano costantemente sul mio compagno (mi dicevano che mi avrebbero fatto sentire come lo torturavano). Minacciavano di detenere anche mio fratello. Mi dicevano che non lo avrebbero preso solo ma con la mia famiglia, che avrebbero preso anche mia nonna “in mutande e che l’avrebbero scopata”.
Il penultimo giorno “il commissario” mi spogliò di nuovo. Mise una coperta a terra e disse che mi avrebbe violentata un’altra volta. Ebbi l’impressione che si stesse spogliando, lo sentii togliersi la cintura. A questo punto, quello che chiamano Garmendia cercò di tranquillizzarlo, lo fece uscire dalla stanza, li sentii parlare. Garmendia entrò di nuovo nella stanza e mi disse che gli aveva promesso che avrei parlato. L’ultimo giorno ebbi sei interrogatori. La seconda dichiarazione alla polizia la feci il sabato alle 5:40. Dopo questa non mi fecero più spogliare.
Dopo le dichiarazioni erano meno aggressivi e mi chiesero addirittura se volevo incontrare Iñigo (il compagno di Beatriz, arrestato nel corso della stessa operazione della Guardia Civil, NdT).
Le minacce non cessarono fino all’Audiencia Nacional, e, anche nel furgone che mi trasportava al tribunale, il “commissario”, che stava seduto al mio fianco, continuava a dirmi che avrei dovuto confermare la mia dichiarazione davanti al giudice.
Durante l’intero periodo di “incomunicación”, ad eccezione degli incontri con il forense, ebbi sempre gli occhi tappati con più maschere. Alcune erano di lattice e avevano una polverina che dicevano che se avessi aperto gli occhi mi avrebbe reso cieca. Io notavo che quando me la toglievano, per andare dal forense, mi bruciavano gli occhi per un po’. Quando stavo con il “commissario” mi mettevano un’altra maschera che era simile al velluto.
Durante la “incomunicación” stetti soprattutto con tre poliziotti, anche se durante gli interrogatori c’era sempre molta gente nella stanza. Da una parte, i due che si facevano chiamare il “commissario” e l’“ispettore”. C’era una sorte di competizione tra i due, per chi riusciva ad ottenere più informazioni. Dall’altro “Garmendia”, meno selvaggio, che però ugualmente mi minacciava e mi faceva pressioni affinché dichiarassi quello che mi dicevano.
In uno degli interrogatori il “commissario” mi chiese quale corpo militare (Guardia Civil, polizia spagnola o Ertzaintza) torturasse meglio. Ripeteva sempre che era un militare e che era addestrato per uccidere.
Davanti al giudice negai la dichiarazione rilasciata alla polizia e denunciai le torture.
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pc quotidiano 11 marzo - LA CGIL (E LA FIOM?) CONTRO LO SCIOPERO DELLE DONNE
Alla Fiat Sata di Melfi l'8 marzo vi è stato un riuscito presidio delle lavoratrici, disoccupate di Taranto del Mfpr, con volantinaggio, megafono, raccolta firme, con importanti discussioni con le operaie - alcune hanno portato anche all'interno i moduli per firmare l'appello per uno sciopero delle donne. Una iniziativa assolutamente nuova, in netta contrapposizione al silenzio o alle ipocrite mimose, e importante soprattutto in questa fase di attacco pesante ai diritti e alle dignità delle operaie da parte del piano Marchionne, che si prepara in questo mese a ridurre le pause e aumentare i ritmi, e da parte del governo del magnaccia Berlusconi. Ma importante anche per affermare il punto di vista, il protagonismo delle donne, la ricchezza della lotta delle donne contro e all'interno della sottovalutazione operaista, economicista e di fatto maschilista presente anche nel movimento sindacale e operaio.
Ma l'8 è avvenuto anche altro. Nei giorni precedenti alcune operaie della Fiom avevano chiesto alla segreteria di organizzare insieme alle lavoratrici del Mfpr il presidio dell'8 marzo. La risposta è stata: NO. Con motivazioni insussistenti: “tra le operaie c'è paura per il clima alla Fiat, c'è sfiducia” (diventando di fatto, la stessa Fiom, un fattore di cristallizzazione della paura, e non di contrasto del ricatto seminato da azienda, capi e sindacati padronali); “parlare di sciopero non è opportuno” (benchè fosse chiaro che non di sciopero l'8 marzo o il giorno dopo si trattava); fino a dire che “le operaie si disinteressano delle questioni legate alla loro doppia condizione di operaie/donne” (fatto assolutamente non vero, bastava sentire quello che hanno raccontato e denunciato le operaie).
Poi a fronte del fatto che il presidio del MFPR si faceva comunque, la Cgil è intervenuta direttamente, per fare un'azione preventiva di contrapposizione, di dissuasione tra le operaie, dando un suo volantino, e mandando una funzionaria che in maniera burocratica ha detto alle lavoratrici del Mfpr che era contrarissima allo sciopero delle donne perchè divideva le forze degli operai... e la mobilitazione generale (!?). Ma di quale divisione parlasse ce lo hanno spiegato alcune operaie: il problema era l'unità dei sindacati, non l'unità tra lavoratrici e tra lavoratori (vale a dire l'unità con cisl, uil, fismic, discorso che sempre sposta a destra le posizioni della Fiom).
Una manovra preventiva, però, non riuscita, visto che mentre tutte le operaie si conservavano il volantino sullo “sciopero delle donne”, molte hanno lasciato a terra quello della Cgil, e decine di operaie sono venute a firmare l'appello per lo sciopero delle donne.
Lo stesso volantino della Cgil - all'insegna dello spirito nazional/patriottico (“nell'anno in cui si celebra il 150esimo anniversario dell'unità d'Italia....” ) era di fatto una vergognosa contrapposizione al protagonismo di lotta delle lavoratrici per affermare una ennesima delega/richiesta alle Istituzioni di alcune rivendicazioni su occupazione femminile (= incentivi alle imprese), maternità, conciliazione famiglia-lavoro; rivendicazioni che, così come sono presentate dalla Cgil, le istituzioni e lo stesso governo non hanno grandi difficoltà a mettere in cantiere (vedi l'accordo comune firmato al Ministero del lavoro e sottoscritto anche dalla Cgil), mentre contemporaneamente padroni, governo, Stato peggiorano la condizione generale di doppio sfruttamento e oppressione delle donne.
Stesso atteggiamento ha avuto la Cgil a Palermo, dove al mattino vi è stata una combattiva manifestazione di precarie, lavoratrici della scuola, disoccupate, delle compagne del Mfpr, che ha trovato un larghissimo sostegno tra le donne dei quartieri popolari attraversati, proprio sulla questione della ribellione e lotta delle donne e della necessità di uno sciopero totale delle donne .
Qui donne della Cgil, insieme ad altri collettivi femministi hanno fatto una iniziativa serale all'insegna, invece, di una sorta di parola d'ordine: manifestare “per” e non “contro”; “battere le mani, non lottare contro Berlusconi, maschilismo, ecc.”. Con una esaltazione esistenziale assolutamente fuori luogo. Riportiamo dal volantino distribuito, perchè dice più di tante nostre parole : “... ogni manifestazione riempie i partecipanti di un’energia che solo tutti uniti si può provare. Quest’energia è straordinariamente potente, in grado di distruggere come di creare: noi vorremmo inondare noi stessi e tutti quanti di un’emozione che ormai si prova raramente, quella di riconoscere di essere vivi e vitali. Ognuno di noi sa che battere le mani insieme ad altri procura un senso di esaltazione che si accresce via via: batterle per strada, senza gridare nulla, in nome della Pace, senza distinzioni sessiste, susciterà un’immensa emozione, un’onda di bellezza contagiosa.
Non vogliamo contaminare la nostra energia gridando slogan contro Berlusconi, né contro il maschilismo o qualunque altra cosa ci imprigioni. L’idea è quella di proporre una visione pulita, nuova, aperta al cambiamento, alle immense potenzialità che in ognuno sono sul punto di tracimare..” - No comment!
Che bisogno c'è di uno sciopero delle donne? Nessuno! Basta per le donne della Cgil e qualche femminista “inondare di emozioni”...
Ma per concludere in bellezza, l'8 marzo non poteva mancare la segretaria della Cgil, Camusso, che in sintonia con i suoi compagni Fassino, parlamentari del PD, e in perfetta sintonia con il Presidente della Repubblica, chiede “alla politica il 50% della rappresentanza per le donne”, mostrando ancora una volta dove vuole far andare a parare anche la grande mobilitazione delle donne del 13 febbraio, con le manifestazioni dell'8 marzo, per non parlare delle lotte delle operaie Fiat, delle lavoratrici, dall'Omsa alla Tacconi Sud (per citare quelle più recenti), delle proteste delle tante lavoratrici precarie, delle disoccupate del sud, delle donne dei quartieri a rischio, ecc., delle insegnanti, delle studentesse, ecc.:
una bella rappresentanza delle donne alle elezioni per dare qualche posto di potere, in imprese, parlamento, istituzioni, ad alcune, pochissime donne in questo sistema sociale, mentre la maggioranza delle donne continua come e peggio di prima.
Per questo le donne stanno lottando?!
E' chiaro che per questa prospettiva, non solo non serve uno sciopero delle donne, ma va contrastato, perchè rischia di mobilitare le donne più sfruttate e oppresse che per la doppie catene e la doppia determinazione che hanno, si sa quando cominciano ma non si sa come continuano...
pc quotidiano 11 marzo - I DISOCCUPATI ORGANIZZATI A TARANTO INTERROMPONO IL CONSIGLIO COMUNALE
QUESTA MATTINA INVASIONE E INTERRUZIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI TARANTO DEI DISOCCUPATI ORGANIZZATI dello Slai cobas per il sindacato di classe, con la presenza all'inizio anche del Comitato contro le Discariche.
Hanno protestato con forza perchè ancora una volta il Comune è venuto meno al suo impegno di fare un consiglio monotematico su raccolta differenziata lavoro, discariche.
La protesta ha “convinto” alcuni consiglieri comunali a presentare loro la richiesta di consiglio monotematico.
Ma la prossima settimana sono già in programma nuove iniziative:
il 15 MARZO manifestazione a BARI dove ci sarà un incontro con gli assessori e forse Vendola;
16 MARZO MANIFESTAZIONE alla struttura dell'Amiu dove si fa la selezione dei rifiuti.
I Disoccupati Organizzati denunciano: Siamo già a più di metà della durata dei corsi di formazione sulla raccolta differenziata a cui stanno partecipando circa 60 disoccupati, in maggioranza i Disoccupati Organizzati dello Slai Cobas per il sindacato di classe, corsi che devono essere finalizzati al lavoro, e a tutt’oggi invece le prospettive di impiego nella raccolta differenziata sono molto scarse:
nella gara d’appalto in corso per un area di 50 mila abitanti – per cui il prossimo 14 marzo scadono i termini per le ditte per la presentazione delle offerte, i posti di lavoro previsti sono attualmente appena 18, tra autisti e operatori per la raccolta porta a porta – troppo pochi anche rispetto alle prospettive iniziali che parlavano di circa 30;
mentre siamo ancora a zero per quanto riguarda l’estensione della raccolta differenziata ad altri quartieri con l’impiego dei nuovi fondi regionali di circa 2 milioni di euro; su questo dai recenti incontri con il Comune (destinatario ed utilizzatore diretto in questo caso dei fondi della regione) da un lato abbiamo appreso di tempi ancora molto lunghi; dall’altro viene confermata la volontà di affidare questo nuova raccolta all’Amiu, che in concreto vorrà dire: 0 nuove assunzioni!
Quindi niente posti di lavoro e contemporaneamente uno spreco di soldi per le nuove gare d’appalto che invece potrebbero essere superate con un’estensione della gara in corso, i cui mezzi possono essere impiegati anche in altre zone della città.
NOI VOGLIAMO CHE A FINE CORSI CORRISPONDA INIZIO DELLE ATTIVITA’ LAVORATIVE PER TUTTI I DISOCCUPATI CHE LI STANNO FREQUENTANDO!
DISOCCUPATI ORGANIZZATI
SLAI COBAS per il sindacato di classe
pc quotidiano 11 marzo - LA MAFIA IN PROVINCIA DI IMPERIA, FEUDO DI SCAJOLA
LA MAFIA IN PROVINCIA DI IMPERIA, FEUDO DI SCAJOLA
Giovedì 10 marzo il Governo vara la controriforma della giustizia, che distrugge totalmente uno dei capisaldi del regime democratico borghese, per salvare il c... al Padrino di Arcore ed i suoi tirapiedi.
Le dichiarazioni del Padrino lombardo non lasciano spazio all'immaginazione: con questa nuova schifezza, che Al Pappone - parole sue - aspettava sin dal 1994, non ci sarebbe stata Tangentopoli; già, fosse per lui ci sarebbero ancora Craxi, Andreotti, Forlani, e tutti i ladroni della politica che infestavano le istituzioni in quegli anni: se questo infame provvedimento fosse stato in vigore allora, nessun Tribunale li avrebbe mai potuti processare.
Contemporaneamente (che tempismo!) il ministro dell'Interno, il legaiolo Roberto Scassamaroni, scioglie il Consiglio comunale di Bordighera (IM) - in pieno feudo elettorale dell'ex ministro dello Sviluppo economico, proprietario di un appartamento romano con vista sul Colosseo del quale non conosce l'identità di chi glielo abbia regalato e perché, Claudio Scajola - per infiltrazioni mafiose.
Riesce difficile credere che il 'signor' Scajola possa essere estraneo ai fatti testé richiamati: egli è il plenipotenziario forzitaliota della provincia più occidentale della Liguria, ed il presidente di questa - l'ex sindaco di Imperia Luigi Sappa, inquisito per le faccende per nulla chiare riguardanti il porto del capoluogo (vedasi mio articolo del 4 febbraio scorso, dal titolo: "Ce l'hanno tutti con lui! Chissà perché!") - è un suo tirapiedi.
Genova, 10 marzo 2011
Stefano Ghio - Comitato promotore Circolo Proletari Comunisti Genova
Giovedì 10 marzo il Governo vara la controriforma della giustizia, che distrugge totalmente uno dei capisaldi del regime democratico borghese, per salvare il c... al Padrino di Arcore ed i suoi tirapiedi.
Le dichiarazioni del Padrino lombardo non lasciano spazio all'immaginazione: con questa nuova schifezza, che Al Pappone - parole sue - aspettava sin dal 1994, non ci sarebbe stata Tangentopoli; già, fosse per lui ci sarebbero ancora Craxi, Andreotti, Forlani, e tutti i ladroni della politica che infestavano le istituzioni in quegli anni: se questo infame provvedimento fosse stato in vigore allora, nessun Tribunale li avrebbe mai potuti processare.
Contemporaneamente (che tempismo!) il ministro dell'Interno, il legaiolo Roberto Scassamaroni, scioglie il Consiglio comunale di Bordighera (IM) - in pieno feudo elettorale dell'ex ministro dello Sviluppo economico, proprietario di un appartamento romano con vista sul Colosseo del quale non conosce l'identità di chi glielo abbia regalato e perché, Claudio Scajola - per infiltrazioni mafiose.
Riesce difficile credere che il 'signor' Scajola possa essere estraneo ai fatti testé richiamati: egli è il plenipotenziario forzitaliota della provincia più occidentale della Liguria, ed il presidente di questa - l'ex sindaco di Imperia Luigi Sappa, inquisito per le faccende per nulla chiare riguardanti il porto del capoluogo (vedasi mio articolo del 4 febbraio scorso, dal titolo: "Ce l'hanno tutti con lui! Chissà perché!") - è un suo tirapiedi.
Genova, 10 marzo 2011
Stefano Ghio - Comitato promotore Circolo Proletari Comunisti Genova
pc quotidiano 11 marzo - gli sbirri stupratori di roma non voglio proteste .. ancora repressione
la nostra solidarietà al compagno
Da informa-azione.info A seguito di un presidio davanti alla caserma dei carabinieri del quartiere Quadraro di Roma, tenutosi dopo la notizia di uno stupro al suo interno da parte degli sbirri, un nostro amico e compagno è stato arrestato in serata con l'accusa di fabbricazione, detenzione e trasporto di materiale sospetto, per loro. A lui tutta la nostra vicinanza. E' ancora rinchiuso nel carcere di Regina Coeli e domani mattina alle 9,30 ci sarà un'udienza alla IX sez. collegiale. Andiamo a portare la nostra solidarietà DOMANI 10 MARZO H.9,30 a piazzale Clodio.
Dal Corriere della sera. Redazione online. 05 marzo 2011
ROMA - E' finita con un arresto la protesta, culminata nel lancio di bombe carta, contro la caserma dei carabinieri del Quadraro alla periferia di Roma, dove una ragazza madre di 32 anni in stato di fermo sarebbe stata violentata nei giorni scorsi da tre carabinieri e un vigile urbano ora indagati. Sabato mattina, un improvvisato sit-in di attiviste dei centri sociali e dei collettivi femministi si è trasformato in una veemente protesta con lancio di uova contro la sede locale dell'Arma. Nel pomeriggio si è poi saputo dell'arresto di un uomo accusato di aver lanciato bombe carta.
Da informa-azione.info A seguito di un presidio davanti alla caserma dei carabinieri del quartiere Quadraro di Roma, tenutosi dopo la notizia di uno stupro al suo interno da parte degli sbirri, un nostro amico e compagno è stato arrestato in serata con l'accusa di fabbricazione, detenzione e trasporto di materiale sospetto, per loro. A lui tutta la nostra vicinanza. E' ancora rinchiuso nel carcere di Regina Coeli e domani mattina alle 9,30 ci sarà un'udienza alla IX sez. collegiale. Andiamo a portare la nostra solidarietà DOMANI 10 MARZO H.9,30 a piazzale Clodio.
Dal Corriere della sera. Redazione online. 05 marzo 2011
ROMA - E' finita con un arresto la protesta, culminata nel lancio di bombe carta, contro la caserma dei carabinieri del Quadraro alla periferia di Roma, dove una ragazza madre di 32 anni in stato di fermo sarebbe stata violentata nei giorni scorsi da tre carabinieri e un vigile urbano ora indagati. Sabato mattina, un improvvisato sit-in di attiviste dei centri sociali e dei collettivi femministi si è trasformato in una veemente protesta con lancio di uova contro la sede locale dell'Arma. Nel pomeriggio si è poi saputo dell'arresto di un uomo accusato di aver lanciato bombe carta.
giovedì 10 marzo 2011
pc quotidiano 10 marzo - a bologna corteo per Francesco Lorusso nonostante il divieto
Sabato pomeriggio alle 17, nell’ambito della due giorni organizzata per ricordare i giorni del marzo 1977 e l’uccisione di Francesco Lorusso da parte di un carabiniere, da piazza Verdi si muoverà un corteo diretto prima in via Mascarella (dove il giovane militante di Lotta Continua fu ucciso) e poi verso la “T”: sfidando, così, il divieto prefettizio di effettuare manifestazioni in centro nei fine settimana. Promuove l’iniziativa l’Aassociazione Lorusso insieme a “Reti invisibili”, all’Osservatorio contro la repressione e all’assocazione “La lotta continua”.
“Non e’ possibile che Bologna sia l’unica citta’ italiana dove non si puo’ manifestare per non disturbare il bottegaio”, spiegano dall’Associazione Lorusso, quindi “se ci dicono di no il corteo lo facciamo lo stesso”.
Il percorso prevede: piazza Verdi, largo Repighi, via Mascarella, via Irnerio, via Indipendenza, via Rizzoli e ritorno per via Zamboni in zona universi
“Non e’ possibile che Bologna sia l’unica citta’ italiana dove non si puo’ manifestare per non disturbare il bottegaio”, spiegano dall’Associazione Lorusso, quindi “se ci dicono di no il corteo lo facciamo lo stesso”.
Il percorso prevede: piazza Verdi, largo Repighi, via Mascarella, via Irnerio, via Indipendenza, via Rizzoli e ritorno per via Zamboni in zona universi
pc quotidiano 10 marzo - napoli .. senza donne non c'è rivoluzione ...ma compagni quella delle donne o è una 'rivoluzione nella rivoluzione' o non è
Questa mattina, 8 Marzo, Napoli si è svegliata con un monito, scritto sulla pelle: "Senza donne non c'è rivoluzione". La scritta è apparsa a via Girolamo Santacroce, su un muretto oltre il quale si gode la vista della nostra bellissima città.
Riprendiamo e ripubblichiamo queste foto [1] [2] con piecere, per ricordare che la lotta per la liberazione dall'oppressione, dallo sfruttamento sul lavoro, dalla discrimninazione in nome del profitto, non è una lotta di genere, è una lotta dei generi che riconoscono il proprio ruolo nella società e imparano, insieme, a modificarlo, a stravolgerlo, a riconoscersi come la stessa parte.
Come i/le compagni/e che hanno lasciato questa scritta, riportiamo uno stralcio da "L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato" di Friedrich Engels, e un volantino, scritto per l'8 Marzo, dagli studenti del coordimento Studienti Autorganizzati Campani.
“Quello che noi oggi possiamo dunque presumere circa l’ordinamento dei rapporti sessuali, dopo che sarà spazzata via la produzione capitalistica, il che accadrà fra non molto, è principalmente di carattere negativo, e si limita per lo piú a quel che viene soppresso. Ma che cosa si aggiungerà? Questo si deciderà quando una nuova generazione sarà maturata. Una generazione d’uomini i quali, durante la loro vita, non si saranno mai trovati nella circostanza di comperarsi la concessione di una donna col danaro o mediante altra forza sociale; e una generazione di donne che non si saranno mai trovate nella circostanza né di concedersi a un uomo per qualsiasi motivo che non sia vero amore, né di rifiutare di concedersi all’uomo che amano per timore delle conseguenze economiche. E quando ci saranno questi uomini, non importerà loro un corno di ciò che secondo l’opinione d’oggi dovrebbero fare; essi si creeranno la loro prassi e la corrispondente opinione pubblica sulla prassi di ogni individuo.”
F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato
La lotta per la liberazione delle dobbe dovrebbe svilupparsi senza mai perdere di vista questo scopo preciso: le energie rese libere devono essere incanalate in un movimento di liberazine degli uomini e delle donne insieme e non trasformarsi in una specie di culto borghese...
Black PAnther Party
Riprendiamoci l’8 marzo, basta violenza sul corpo delle donne.
La data dell’8 marzo non significa solo mimose e regali, dietro c’è molto di più. La giornata internazionale della donna è, infatti, memoria delle conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, e di lotta sia contro le discriminazioni che le violenze cui esse sono ancora fatte oggetto.
La storia di questa giornata è lunga e complessa e fonda le sue radici nel 1908 quando, nel VII congresso della II internazionale socialista, si iniziò a trattare della questione femminile e della rivendicazione al voto, impegnandosi a lottare per l’introduzione delle donne ai seggi elettorali.
Il 28 febbraio 1909, negli Stati Uniti, si svolse per la prima volta la giornata della donna che, in seguito, si diffuse un po’ in tutte le altre parti del mondo.
Le celebrazioni di questa giornata, però, si interruppero nel corso della prima Guerra Mondiale fino a quando, le donne di San Pietroburgo, l’8 marzo del 1917, organizzarono una grande manifestazione per rivendicare la morte di oltre 2 milioni di soldati, caduti in guerra, e per chiedere la fine di questo massacro.
Una ricorrenza quella dell’8 marzo che non è nata in seguito alla morte delle 129 operaie nella fabbrica di Cotton, fabbrica probabilmente mai esistita, ma frutto solo di una storia romanzata di un gravissimo incidente realmente avvenuto ovvero l’incendio che nel 1911 colpì la Triangle Shirtwaist Company di New York.
L’8 marzo è una di quelle date che segnano la storia del mondo e quella dei diritti umani che, la retorica dell’apparato ideologico dominante, l’abitudine e l’usura, realizzata attraverso un uso smodato ed ipocrita di mimose da parte di capo uffici maschilisti e boriosi o di mariti, padri e fidanzati che portano la propria “donna” – considerata di loro proprietà – a cena solo perché è 8 marzo, quando magari già il giorno dopo tornano a picchiarla, a segregarla in casa, ad insultarla e sminuirla, hanno ridotto a semplice giornata di festa, rendendo di fatto questa data ridicola. Quella dell’8 marzo, invece, è una ricorrenza seria, un giorno di riflessione, un giorno che dovrebbe far pensare al cammino di lotta percorso: lo studio, il ’68, “le streghe son tornate”, i collettivi, il femminismo e, più indietro, George Sand, le suffragette, il diritto al voto, gli scioperi per il lavoro, i soprusi e le umiliazioni subiti.
Questo giorno dovrebbe, quindi, portare a riflettere sulla condizione della donna oggi che, ancora, è soggetta a violenze sessuali, come accaduto pochi giorni fa in un ospedale, dove una paziente è stata stuprata da un’infermiere, o come accaduto in una caserma dei carabinieri, dove una donna è stata stuprata, privata ancora una volta della sua libertà, imprigionata e violentata da tre uomini delle forze dell’ordine. Parimenti grave è la storia di una donna che, in preda al panico, si è inventata di essere stata stuprata solamente per avere la pillola del giorno dopo che, altrimenti, difficilmente avrebbe potuto ottenere. In Italia, infatti, qualche anno fa fu votata una legge secondo la quale è diritto, di ogni medico o farmacista di turno, scegliere se prescrivere o meno la pillola, in base alla loro coscienza (ossia se il soggetto in questione riterrebbe la somministrazione della pillola del giorno dopo causa della morte e, quindi, omicidio del feto oppure no!). La donna, quindi, come si può ben notare, non è nemmeno libera di decidere della propria vita e di tutto ciò che riguarda il proprio corpo ed allora ci sorge spontanea unaa domanda: la donna è realmente emancipata? La strada intrapresa fin’ora è di enorme rilevanza storica e ricca di rivendicazioni, ma di certo non è arrivata al suo termine; le donne dovranno ancora lottare, rendere prova del loro spirito e rendersi indipendenti e rispettate.
Ma la questione antisessista non è una questione che riguarda solamente le donne; è una lotta da affrontare uomini e donne gli uni al fianco degli altri; è una lotta che va al di là del sesso, è una lotta sociale e politica, che accomuna tutte le fasce disagiate della popolazione.
Per questo noi studenti, che sentiamo ancora viva la protesta di tutte quelle donne che negli anni si sono battute per cancellare i rapporti di potere tra sessi, vogliamo ricordare cosa vuol dire l’8 marzo, un giorno dedicato alla dignità ed alle vittorie passate e future delle donne.
Studenti Autorganizati Campani
Riprendiamo e ripubblichiamo queste foto [1] [2] con piecere, per ricordare che la lotta per la liberazione dall'oppressione, dallo sfruttamento sul lavoro, dalla discrimninazione in nome del profitto, non è una lotta di genere, è una lotta dei generi che riconoscono il proprio ruolo nella società e imparano, insieme, a modificarlo, a stravolgerlo, a riconoscersi come la stessa parte.
Come i/le compagni/e che hanno lasciato questa scritta, riportiamo uno stralcio da "L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato" di Friedrich Engels, e un volantino, scritto per l'8 Marzo, dagli studenti del coordimento Studienti Autorganizzati Campani.
“Quello che noi oggi possiamo dunque presumere circa l’ordinamento dei rapporti sessuali, dopo che sarà spazzata via la produzione capitalistica, il che accadrà fra non molto, è principalmente di carattere negativo, e si limita per lo piú a quel che viene soppresso. Ma che cosa si aggiungerà? Questo si deciderà quando una nuova generazione sarà maturata. Una generazione d’uomini i quali, durante la loro vita, non si saranno mai trovati nella circostanza di comperarsi la concessione di una donna col danaro o mediante altra forza sociale; e una generazione di donne che non si saranno mai trovate nella circostanza né di concedersi a un uomo per qualsiasi motivo che non sia vero amore, né di rifiutare di concedersi all’uomo che amano per timore delle conseguenze economiche. E quando ci saranno questi uomini, non importerà loro un corno di ciò che secondo l’opinione d’oggi dovrebbero fare; essi si creeranno la loro prassi e la corrispondente opinione pubblica sulla prassi di ogni individuo.”
F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato
La lotta per la liberazione delle dobbe dovrebbe svilupparsi senza mai perdere di vista questo scopo preciso: le energie rese libere devono essere incanalate in un movimento di liberazine degli uomini e delle donne insieme e non trasformarsi in una specie di culto borghese...
Black PAnther Party
Riprendiamoci l’8 marzo, basta violenza sul corpo delle donne.
La data dell’8 marzo non significa solo mimose e regali, dietro c’è molto di più. La giornata internazionale della donna è, infatti, memoria delle conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, e di lotta sia contro le discriminazioni che le violenze cui esse sono ancora fatte oggetto.
La storia di questa giornata è lunga e complessa e fonda le sue radici nel 1908 quando, nel VII congresso della II internazionale socialista, si iniziò a trattare della questione femminile e della rivendicazione al voto, impegnandosi a lottare per l’introduzione delle donne ai seggi elettorali.
Il 28 febbraio 1909, negli Stati Uniti, si svolse per la prima volta la giornata della donna che, in seguito, si diffuse un po’ in tutte le altre parti del mondo.
Le celebrazioni di questa giornata, però, si interruppero nel corso della prima Guerra Mondiale fino a quando, le donne di San Pietroburgo, l’8 marzo del 1917, organizzarono una grande manifestazione per rivendicare la morte di oltre 2 milioni di soldati, caduti in guerra, e per chiedere la fine di questo massacro.
Una ricorrenza quella dell’8 marzo che non è nata in seguito alla morte delle 129 operaie nella fabbrica di Cotton, fabbrica probabilmente mai esistita, ma frutto solo di una storia romanzata di un gravissimo incidente realmente avvenuto ovvero l’incendio che nel 1911 colpì la Triangle Shirtwaist Company di New York.
L’8 marzo è una di quelle date che segnano la storia del mondo e quella dei diritti umani che, la retorica dell’apparato ideologico dominante, l’abitudine e l’usura, realizzata attraverso un uso smodato ed ipocrita di mimose da parte di capo uffici maschilisti e boriosi o di mariti, padri e fidanzati che portano la propria “donna” – considerata di loro proprietà – a cena solo perché è 8 marzo, quando magari già il giorno dopo tornano a picchiarla, a segregarla in casa, ad insultarla e sminuirla, hanno ridotto a semplice giornata di festa, rendendo di fatto questa data ridicola. Quella dell’8 marzo, invece, è una ricorrenza seria, un giorno di riflessione, un giorno che dovrebbe far pensare al cammino di lotta percorso: lo studio, il ’68, “le streghe son tornate”, i collettivi, il femminismo e, più indietro, George Sand, le suffragette, il diritto al voto, gli scioperi per il lavoro, i soprusi e le umiliazioni subiti.
Questo giorno dovrebbe, quindi, portare a riflettere sulla condizione della donna oggi che, ancora, è soggetta a violenze sessuali, come accaduto pochi giorni fa in un ospedale, dove una paziente è stata stuprata da un’infermiere, o come accaduto in una caserma dei carabinieri, dove una donna è stata stuprata, privata ancora una volta della sua libertà, imprigionata e violentata da tre uomini delle forze dell’ordine. Parimenti grave è la storia di una donna che, in preda al panico, si è inventata di essere stata stuprata solamente per avere la pillola del giorno dopo che, altrimenti, difficilmente avrebbe potuto ottenere. In Italia, infatti, qualche anno fa fu votata una legge secondo la quale è diritto, di ogni medico o farmacista di turno, scegliere se prescrivere o meno la pillola, in base alla loro coscienza (ossia se il soggetto in questione riterrebbe la somministrazione della pillola del giorno dopo causa della morte e, quindi, omicidio del feto oppure no!). La donna, quindi, come si può ben notare, non è nemmeno libera di decidere della propria vita e di tutto ciò che riguarda il proprio corpo ed allora ci sorge spontanea unaa domanda: la donna è realmente emancipata? La strada intrapresa fin’ora è di enorme rilevanza storica e ricca di rivendicazioni, ma di certo non è arrivata al suo termine; le donne dovranno ancora lottare, rendere prova del loro spirito e rendersi indipendenti e rispettate.
Ma la questione antisessista non è una questione che riguarda solamente le donne; è una lotta da affrontare uomini e donne gli uni al fianco degli altri; è una lotta che va al di là del sesso, è una lotta sociale e politica, che accomuna tutte le fasce disagiate della popolazione.
Per questo noi studenti, che sentiamo ancora viva la protesta di tutte quelle donne che negli anni si sono battute per cancellare i rapporti di potere tra sessi, vogliamo ricordare cosa vuol dire l’8 marzo, un giorno dedicato alla dignità ed alle vittorie passate e future delle donne.
Studenti Autorganizati Campani
pc quotidiano 10 marzo - Napoli .. quanta fretta di carc e disobbedienti per partecipare al teatrino della politica...
Il Partito dei CARC sostiene la candidatura di Luigi De Magistris a Sindaco
di Napoli
Il Partito dei CARC sostiene la candidatura di Luigi De Magistris a Sindaco
di Napoli con una lista civica e chiama tutte le organizzazioni operaie e
popolari a costruire la lista, il programma e a condurre la battaglia per un
governo di alternativa popolare che contribuisca alla rinascita della città
e del paese!
Subject: Insurgencia sostiene De Magistris alle elezioni comunali disobbedienti ala militante del riformismo
Insurgencia sostiene De Magistris alle elezioni comunali
Inserito il 8 marzo 2011 da anonimo
Antonio Musella, leader del centro sociale Insurgencia, appoggia la
candidatura di De Magistris a sindaco di Napoli durante l'inaugurazione
della campagna elettorale al cinema Modernissimo.
di Napoli
Il Partito dei CARC sostiene la candidatura di Luigi De Magistris a Sindaco
di Napoli con una lista civica e chiama tutte le organizzazioni operaie e
popolari a costruire la lista, il programma e a condurre la battaglia per un
governo di alternativa popolare che contribuisca alla rinascita della città
e del paese!
Subject: Insurgencia sostiene De Magistris alle elezioni comunali disobbedienti ala militante del riformismo
Insurgencia sostiene De Magistris alle elezioni comunali
Inserito il 8 marzo 2011 da anonimo
Antonio Musella, leader del centro sociale Insurgencia, appoggia la
candidatura di De Magistris a sindaco di Napoli durante l'inaugurazione
della campagna elettorale al cinema Modernissimo.
pc quotidiano 10 marzo - il 14 dicembre.. la polizia ha sparato contro gli studenti
Il 14 dicembre, a Roma, i carabinieri usarono anche le armi da fuoco contro il corteo degli studenti
L'Arma spara ad altezza d'uomo
Come a Genova dieci anni fa
Checchino Antonini
Tre colpi. Tre, almeno, e Liberazione è in grado di mostrare la "pistola fumante". Era il 14 dicembre, giorno della sfiducia studentesca e metalmeccanica al governo Berlusconi, graziato, invece, dal voto dell'Aula. La scena è quella dello slargo all'incrocio tra Botteghe Oscure e Via degli Astalli. Per alcuni lunghi minuti i manifestanti si sono fronteggiati con il drappello di carabinieri che sbarravano la strada verso Palazzo Grazioli, la residenza del premier di fronte alla quale il Cavaliere ha preteso che non fermino più neppure gli autobus. Il fronteggiamento, ripreso da molte angolazioni, da professionisti e mediattivisti, sembra determinato dalle modalità stesse della gestione della piazza. Piazzare in quel modo i blindati sembra più una provocazione, una rozzezza tra le tante, che una reale necessità difensiva. Nei minuti presi in esame volano bottigliette, qualche stecca e anche sassi alle spalle dei due blindati dove piomba anche un bombone da stadio. Prima e dopo quel botto sono chiaramente distinguibili due detonazioni da arma da fuoco. Le foto che pubblichiamo in anteprima sono tratte da un video finora inedito. La fiammata che immortaliamo non lascerebbe dubbi sulla traiettoria del proiettile: ad altezza d'uomo. Lo sparo è partito da dietro gli scudi appostati sul cofano anteriore di uno dei due blindati che sbarravano il budello di strada alle spalle di Palazzo Venezia. Negli scatti si riconoscono alcuni carabinieri e, col casco più chiaro, azzurro anziché blu, il dirigente di ps che li comandava in abiti borghesi. Altro materiale, girato da prospettive diverse mostra alcuni militari con la pistola in mano e aderente alla coscia. Diversi testimoni ricordano di aver udito le esplosioni e di avere visto il personale in ordine pubblico chino, probabilmente a raccogliere bossoli. «Le immagini che oggi pubblica Liberazione - commenta Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista - sono inequivocabili. Di nuovo come a Genova nel 2001 le forze dell'ordine sparano ad altezza d'uomo durante una manifestazione. A Roma non è successo l'irreparabile ma questo non rende meno grave la questione. Adesso capiamo meglio le parole di Maroni che nei giorni delle manifestazioni studentesche di dicembre sosteneva che ci poteva "scappare il morto" . Vogliamo sapere da lui che ordini sono stati dati alle forze dell'ordine per la gestione dell'ordine pubblico, se vi sono state inchieste interne riguardo all'uso di armi da fuoco e che risultati hanno dato. Ministro Maroni, vogliamo conoscere la verità, perché l'Italia è un paese democratico ed ha diritto di sapere».
09/03/2011
L'Arma spara ad altezza d'uomo
Come a Genova dieci anni fa
Checchino Antonini
Tre colpi. Tre, almeno, e Liberazione è in grado di mostrare la "pistola fumante". Era il 14 dicembre, giorno della sfiducia studentesca e metalmeccanica al governo Berlusconi, graziato, invece, dal voto dell'Aula. La scena è quella dello slargo all'incrocio tra Botteghe Oscure e Via degli Astalli. Per alcuni lunghi minuti i manifestanti si sono fronteggiati con il drappello di carabinieri che sbarravano la strada verso Palazzo Grazioli, la residenza del premier di fronte alla quale il Cavaliere ha preteso che non fermino più neppure gli autobus. Il fronteggiamento, ripreso da molte angolazioni, da professionisti e mediattivisti, sembra determinato dalle modalità stesse della gestione della piazza. Piazzare in quel modo i blindati sembra più una provocazione, una rozzezza tra le tante, che una reale necessità difensiva. Nei minuti presi in esame volano bottigliette, qualche stecca e anche sassi alle spalle dei due blindati dove piomba anche un bombone da stadio. Prima e dopo quel botto sono chiaramente distinguibili due detonazioni da arma da fuoco. Le foto che pubblichiamo in anteprima sono tratte da un video finora inedito. La fiammata che immortaliamo non lascerebbe dubbi sulla traiettoria del proiettile: ad altezza d'uomo. Lo sparo è partito da dietro gli scudi appostati sul cofano anteriore di uno dei due blindati che sbarravano il budello di strada alle spalle di Palazzo Venezia. Negli scatti si riconoscono alcuni carabinieri e, col casco più chiaro, azzurro anziché blu, il dirigente di ps che li comandava in abiti borghesi. Altro materiale, girato da prospettive diverse mostra alcuni militari con la pistola in mano e aderente alla coscia. Diversi testimoni ricordano di aver udito le esplosioni e di avere visto il personale in ordine pubblico chino, probabilmente a raccogliere bossoli. «Le immagini che oggi pubblica Liberazione - commenta Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista - sono inequivocabili. Di nuovo come a Genova nel 2001 le forze dell'ordine sparano ad altezza d'uomo durante una manifestazione. A Roma non è successo l'irreparabile ma questo non rende meno grave la questione. Adesso capiamo meglio le parole di Maroni che nei giorni delle manifestazioni studentesche di dicembre sosteneva che ci poteva "scappare il morto" . Vogliamo sapere da lui che ordini sono stati dati alle forze dell'ordine per la gestione dell'ordine pubblico, se vi sono state inchieste interne riguardo all'uso di armi da fuoco e che risultati hanno dato. Ministro Maroni, vogliamo conoscere la verità, perché l'Italia è un paese democratico ed ha diritto di sapere».
09/03/2011
pc quotidiano 10 marzo - ATTENTE ALLO STATO!
Carabinieri, avvocati, con sindaco Alemanno e alti comandi dell'Arma continuano arrampicarsi sugli specchi per cercare di far derubricare a quasi gioco consenziente o a "rapporti sessuali amichevoli" (come dice l'Avv. Taormina difensore di uno dei carabinieri)lo stupro dei due carabinieri e del vigile nella caserma Quadraro a Roma. Ma in realtà più parlano e più si contraddicono e di fatto vengono fuori conferme e soprattutto la loro chiara e precisa intenzione di abusare della donna, come il fatto per esempio che la donna stava dormendo e i 2 carabinieri tornati in caserma un pò ubriachi vedendo la donna dormire in cella l'avrebbero svegliata.
In realtà la situazione, non solo limitata alla caserma Quadraro di Roma - dove sono venuti fuori altri episodi di violenze sessuali, di abusi contro le donne - ma anche in altre città, è di "normale" atteggiamento fascista, sessista, da parte delle forze dell'ordine. Una recente denuncia è venuta da Firenze, dove una donna ha detto di essere stata violentata durante una perquisizione nella sua abitazione e il trasporto in caserma.
"ZONE A RISCHIO: CASE, CHIESE, CARCERI, CASERME" diceva uno striscione a Roma nella manifestazione dell'8 marzo.
In realtà la situazione, non solo limitata alla caserma Quadraro di Roma - dove sono venuti fuori altri episodi di violenze sessuali, di abusi contro le donne - ma anche in altre città, è di "normale" atteggiamento fascista, sessista, da parte delle forze dell'ordine. Una recente denuncia è venuta da Firenze, dove una donna ha detto di essere stata violentata durante una perquisizione nella sua abitazione e il trasporto in caserma.
"ZONE A RISCHIO: CASE, CHIESE, CARCERI, CASERME" diceva uno striscione a Roma nella manifestazione dell'8 marzo.
mercoledì 9 marzo 2011
pc quotidiano 9 marzo - salento amianto 3 . 35% con il tumore Emigrati salentini lavoravano in Eternit
Emigrati salentini
lavoravano in Eternit
e chiedono giustizia
"Il 35% ha il tumore"
LECCE - Il Salento si scopre focolaio delle malattie polmonari legate alla
lavorazione dell'amianto. Sono circa un migliaio gli ex emigranti della
provincia di Lecce, per la maggior parte residenti nei comuni di Corsano e
Tiggiano, che nel giro di pochi anni potrebbero manifestare i sintomi delle
malattie tumorali alla pleura e ai polmoni solo perché hanno lavorato negli
stabilimenti Eternit. Nei due comuni del Capo di Leuca, infatti, lontani
centinaia e centinaia di chilometri dagli stabilimenti svizzeri di
Niederurnen, vivono (sopravvivono), persone che in quella fabbrica hanno
lavorato per anni, respirando polveri senza alcun avvertimento sui rischi
dell'esposizione, già conosciuti dal 1962.
La piccola schiera si va assottigliando mese per mese perché qualcuno viene
a mancare quando la massa tumorale esplode in tutta la sua crudeltà. Ormai
gli ex lavoratori, che hanno fatto rientro in Italia dal 1994, si conoscono
tutti tra loro e condividono le medesime ansie in attesa di un ris
arcimento. Un processo a Torino, aperto grazie alle indagini del procuratore
Raffaele Guariniello, è già in corso, e vede come imputati gli ex dirigenti
della Eternit Italia, il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, 63 anni,
e il barone belga Jean Luis Cartier De Marchienne, di 93 anni, accusati di
disastro colposo e omissione di cautele contro le malattie professionali.
Per chi ha lavorato negli stabilimenti svizzeri invece, oltre al danno la
beffa. Il danno è che il processo bis tarda ad arrivare, nonostante la
procura piemontese abbia chiesto da tempo gli atti alla Suva (l'ente per le
assicurazioni per gli infortuni sul lavoro, paragonabile al nostro Inail).
La beffa è che gli ex emigranti salentini che chiedono il riconoscimento
della malattia per causa di servizio devono aspettare che la forma tumorale
sia grave. Raggiungere quello stadio però, significa che restano al più sei
o sette mesi di vita.
Dai racconti degli ex operai, che sono partiti da questi due comuni grazie a
un passaparola tra fratelli, cugini, amici e conoscenti, traspare un'enorme
lacuna sulle norme di sicurezza in fabbrica. «Eravamo impegnati a impastare
la materia in polvere, tagliarla e forarla», spiega Mario Ricchiuto, 59 anni
di Tiggiano, «non ci hanno mai dato una mascherina oppure il latte
giornaliero previsto da contratto. Anzi, quando i dirigenti venivano a
conoscenza di un'ispezione delle autorità sanitarie ci facevano spegnere la
metà dei macchinari e ripulire la polvere».
Mario Ricchiuto, che a Niederurnen ha lavorato dal 1972 al 1984, è uno degli
ex che convive con le placche pleuriche e che si è sentito rispondere dalla
Suva con un agghiacciante «riprovi quando sarà peggiorato». Grazie a un
protocollo d'intesa tra l'associazione «Emigranti nel mondo» di Corsano,
l'Unione
dei Comuni «Terra di Leuca» e la Asl di Lecce, il servizio di pneumologia
sta esaminando gli ex operai. Su 194 visitati in questo periodo il 35 per
cento manifesta già i primi sintomi della malattia, che dovrebbe raggiungere
il suo apice tra il 2015 e il 2020.
lavoravano in Eternit
e chiedono giustizia
"Il 35% ha il tumore"
LECCE - Il Salento si scopre focolaio delle malattie polmonari legate alla
lavorazione dell'amianto. Sono circa un migliaio gli ex emigranti della
provincia di Lecce, per la maggior parte residenti nei comuni di Corsano e
Tiggiano, che nel giro di pochi anni potrebbero manifestare i sintomi delle
malattie tumorali alla pleura e ai polmoni solo perché hanno lavorato negli
stabilimenti Eternit. Nei due comuni del Capo di Leuca, infatti, lontani
centinaia e centinaia di chilometri dagli stabilimenti svizzeri di
Niederurnen, vivono (sopravvivono), persone che in quella fabbrica hanno
lavorato per anni, respirando polveri senza alcun avvertimento sui rischi
dell'esposizione, già conosciuti dal 1962.
La piccola schiera si va assottigliando mese per mese perché qualcuno viene
a mancare quando la massa tumorale esplode in tutta la sua crudeltà. Ormai
gli ex lavoratori, che hanno fatto rientro in Italia dal 1994, si conoscono
tutti tra loro e condividono le medesime ansie in attesa di un ris
arcimento. Un processo a Torino, aperto grazie alle indagini del procuratore
Raffaele Guariniello, è già in corso, e vede come imputati gli ex dirigenti
della Eternit Italia, il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, 63 anni,
e il barone belga Jean Luis Cartier De Marchienne, di 93 anni, accusati di
disastro colposo e omissione di cautele contro le malattie professionali.
Per chi ha lavorato negli stabilimenti svizzeri invece, oltre al danno la
beffa. Il danno è che il processo bis tarda ad arrivare, nonostante la
procura piemontese abbia chiesto da tempo gli atti alla Suva (l'ente per le
assicurazioni per gli infortuni sul lavoro, paragonabile al nostro Inail).
La beffa è che gli ex emigranti salentini che chiedono il riconoscimento
della malattia per causa di servizio devono aspettare che la forma tumorale
sia grave. Raggiungere quello stadio però, significa che restano al più sei
o sette mesi di vita.
Dai racconti degli ex operai, che sono partiti da questi due comuni grazie a
un passaparola tra fratelli, cugini, amici e conoscenti, traspare un'enorme
lacuna sulle norme di sicurezza in fabbrica. «Eravamo impegnati a impastare
la materia in polvere, tagliarla e forarla», spiega Mario Ricchiuto, 59 anni
di Tiggiano, «non ci hanno mai dato una mascherina oppure il latte
giornaliero previsto da contratto. Anzi, quando i dirigenti venivano a
conoscenza di un'ispezione delle autorità sanitarie ci facevano spegnere la
metà dei macchinari e ripulire la polvere».
Mario Ricchiuto, che a Niederurnen ha lavorato dal 1972 al 1984, è uno degli
ex che convive con le placche pleuriche e che si è sentito rispondere dalla
Suva con un agghiacciante «riprovi quando sarà peggiorato». Grazie a un
protocollo d'intesa tra l'associazione «Emigranti nel mondo» di Corsano,
l'Unione
dei Comuni «Terra di Leuca» e la Asl di Lecce, il servizio di pneumologia
sta esaminando gli ex operai. Su 194 visitati in questo periodo il 35 per
cento manifesta già i primi sintomi della malattia, che dovrebbe raggiungere
il suo apice tra il 2015 e il 2020.
pc quotidiano 9 marzo - Salento 2 ..L'amianto che uccide ..la denuncia di una vedova
La rabbia di una vedova: «Sapevano e tacevano»
CORSANO - Nella Eternit di Niederurnen il lavoro non era affidato solo agli uomini. C’era anche una consistente schiera femminile, e in questa c’era un gruppo di donne salentine. Giuseppa Florio è una di quelle, oggi ha 74 anni ed è vedova di un altro operaio Eternit, Marino Riso, entrato in azienda nel 1956 e morto d’infarto nel 1993 a soli 61 anni con pleurite cronica conclamata. È vicina di casa dei coniugi Riso e anche lei si è sottoposta al controllo pneumologico della Asl eseguito nel presidio ospedaliero «Daniele-Romasi» di Gagliano del Capo dal dottor Walter Castellano.
«Ho lavorato in quella fabbrica dal 1958 al 1962», racconta Giuseppa Florio, «ero addetta allo stampaggio delle forme. Dal mio reparto uscivano vasi e tubi di piccole dimensioni e grazie alla collaborazione dei colleghi maschi a noi veniva affidato il lavoro sui pesi minori». Non è stato facile per lei lavorare in un ambiente senza diritti e quasi senza regole, con tante punizioni che si ripercuotevano anche sullo stipendio. «La nostra più grande paura nella fabbrica erano le visite degli ispettori addetti al controllo del materiale», spiega l’ex operaia, «se i manufatti erano difettosi venivano segnati e la punizione era la trasformazione del contratto da cottimo a giornata. In questo modo non venivano tenuti in considerazione gli sforzi di produzione e l’azienda pagava di meno».
Lei, come tutti gli ex lavoratori dell’amianto in Svizzera, è informatissima sulle vicende processuali torinesi e aspetta l’apertura di uno spiraglio per costituirsi parte civile in un altro filone penale. «Negli anni in cui io e mio marito abbiamo lavorato nella fabbrica di Niederurnen », racconta, «non abbiamo mai visto il barone De Marchienne, titolare della multinazionale. Una volta l’anno passavano per u n’ispezione i vertici degli stabilimenti svizzeri. Chissà», dice Giuseppa ormai senza più sorriso sulle labbra, «se qualcuno pagherà per aver tenuto nascosto tutto questo ai lavoratori». [m.c.]
CORSANO - Nella Eternit di Niederurnen il lavoro non era affidato solo agli uomini. C’era anche una consistente schiera femminile, e in questa c’era un gruppo di donne salentine. Giuseppa Florio è una di quelle, oggi ha 74 anni ed è vedova di un altro operaio Eternit, Marino Riso, entrato in azienda nel 1956 e morto d’infarto nel 1993 a soli 61 anni con pleurite cronica conclamata. È vicina di casa dei coniugi Riso e anche lei si è sottoposta al controllo pneumologico della Asl eseguito nel presidio ospedaliero «Daniele-Romasi» di Gagliano del Capo dal dottor Walter Castellano.
«Ho lavorato in quella fabbrica dal 1958 al 1962», racconta Giuseppa Florio, «ero addetta allo stampaggio delle forme. Dal mio reparto uscivano vasi e tubi di piccole dimensioni e grazie alla collaborazione dei colleghi maschi a noi veniva affidato il lavoro sui pesi minori». Non è stato facile per lei lavorare in un ambiente senza diritti e quasi senza regole, con tante punizioni che si ripercuotevano anche sullo stipendio. «La nostra più grande paura nella fabbrica erano le visite degli ispettori addetti al controllo del materiale», spiega l’ex operaia, «se i manufatti erano difettosi venivano segnati e la punizione era la trasformazione del contratto da cottimo a giornata. In questo modo non venivano tenuti in considerazione gli sforzi di produzione e l’azienda pagava di meno».
Lei, come tutti gli ex lavoratori dell’amianto in Svizzera, è informatissima sulle vicende processuali torinesi e aspetta l’apertura di uno spiraglio per costituirsi parte civile in un altro filone penale. «Negli anni in cui io e mio marito abbiamo lavorato nella fabbrica di Niederurnen », racconta, «non abbiamo mai visto il barone De Marchienne, titolare della multinazionale. Una volta l’anno passavano per u n’ispezione i vertici degli stabilimenti svizzeri. Chissà», dice Giuseppa ormai senza più sorriso sulle labbra, «se qualcuno pagherà per aver tenuto nascosto tutto questo ai lavoratori». [m.c.]
pc quotidiano 9 marzo - Salento !..un operaio denuncia 'Trentaquattro anni in fabbrica senza mai vedere una mascherina»
Trentaquattro anni in fabbrica senza mai vedere una mascherina»
CORSANO - «Ho lavorato 34 anni in quell’azienda senza mai vedere uno straccio di mascherina, poi sono arrivate le ridicole cassette “controlla-polvere”». Luigi Riso, oggi quasi 82enne, è stato uno degli storici operai che hanno lavorato nella Eternit di Niederurnen. Si trovava in Svizzera già dal 1955 come lavorante in una cava e due anni dopo, convinto dal suo compaesano Biagio Marzo, entrò in fabbrica dove rimase ininterrottamente fino al 1991. Luigi ha respirato sempre e solo amianto, alternandosi nei tre turni giornalieri.
«Le visite mediche nella Eternit?», spiega l’anziano, «un miraggio, come lo erano tutte le misure di prevenzione. Il contratto di lavoro era regolare, ma quello che c’era scritto non era mai rispettato sino in fondo dal punto di vista sanitario. Negli anni ’50 gli operai venivano sottoposti a visite mediche a campione solo ogni cinque o sei anni. Solo nell’ultimo periodo, alla fine degli Anni ’80, il lasso di tempo si è ridotto a tre o quattro anni. Su un controllo però erano costanti», ironizza Riso, «quello dell’udito, anche se i macchinari non erano eccessivamente rumorosi. Ci facevano un controllo otorino quasi annuale. Negli ultimi due anni in cui ho lavorato hanno piazzato su alcuni miei colleghi una specie di cassetta dietro le spalle, per conoscere la quantità di polvere che si accumulava durante il giorno».
Le morti tra colleghi avvenivano con frequenza, ma nessuno all’epoca si preoccupava di approfondirne le cause. «Certo che morivano», conferma Riso, «ogni tanto tra i colleghi del turno si diffondeva la notizia che qualcuno stava male o che era morto. Ma tutti credevamo fosse il ciclo naturale della vita. All’epoca pensare che la materia che si stava lavorando era la causa delle morti per tumore era inimmaginabile». Riso si sottopone periodicamente ai controlli gratuiti della Asl di Lecce, che sta effettuando lo screening tra gli ex lavoratori. L’ultima visita pneumologia del 22 febbraio scorso ha rivelato un ispessimento delle pleure parietali bilateralmente. «Vivo quotidianamente con l’incubo che possa insorgere la malattia», confida Riso, «ho visto troppi familiari che hanno lavorato con me distrutti dal mesotelioma pleurico. Mi resta il ricordo di un forte spirito di gruppo tra colleghi».
La stessa grave preoccupazione che assilla la moglie di Luigi, Cosima Branca, di 77 anni. Lei non ha mai lavorato nella Eternit ma ha vissuto in Svizzera con il marito e in una casa piena di operai, vedendo morire uno dopo l’altro tre fratelli colpiti dal male dell’amianto. «In quella casa rincasavano ogni giorno dieci operai, tra fratelli e cognati», ricorda l’anziana, «io mi occupavo di lavare i loro vestiti e non dimentico che bisognava spazzolare con forza, prima a secco e poi in acqua calda, le incrostazioni di cemento. Dal 1974 un dirigente decise che le tute andavano lavate all’interno della fabbrica e a pensarci oggi forse cominciavano a sorgere i primi dubbi anche tra i vertici. Non ho lavorato in azienda», aggiunge, «ma ho respirato le stesse polveri per anni e così anche i miei figli».
La figlia di Luigi e Cosima, Rossana che oggi ha 49 anni, all’età di due ebbe una dermatite acuta che nessuno seppe spiegare. «Giocavo tra i vestiti e la polvere», conferma la signora, «e ho sempre vissuto con il dubbio che a provocarmi quella malattia fosse stato l’amianto. Abbiamo tutti paura», conclude insieme ai genitori, «troppe persone sono morte e molte altre moriranno forse senza avere giustizia».
CORSANO - «Ho lavorato 34 anni in quell’azienda senza mai vedere uno straccio di mascherina, poi sono arrivate le ridicole cassette “controlla-polvere”». Luigi Riso, oggi quasi 82enne, è stato uno degli storici operai che hanno lavorato nella Eternit di Niederurnen. Si trovava in Svizzera già dal 1955 come lavorante in una cava e due anni dopo, convinto dal suo compaesano Biagio Marzo, entrò in fabbrica dove rimase ininterrottamente fino al 1991. Luigi ha respirato sempre e solo amianto, alternandosi nei tre turni giornalieri.
«Le visite mediche nella Eternit?», spiega l’anziano, «un miraggio, come lo erano tutte le misure di prevenzione. Il contratto di lavoro era regolare, ma quello che c’era scritto non era mai rispettato sino in fondo dal punto di vista sanitario. Negli anni ’50 gli operai venivano sottoposti a visite mediche a campione solo ogni cinque o sei anni. Solo nell’ultimo periodo, alla fine degli Anni ’80, il lasso di tempo si è ridotto a tre o quattro anni. Su un controllo però erano costanti», ironizza Riso, «quello dell’udito, anche se i macchinari non erano eccessivamente rumorosi. Ci facevano un controllo otorino quasi annuale. Negli ultimi due anni in cui ho lavorato hanno piazzato su alcuni miei colleghi una specie di cassetta dietro le spalle, per conoscere la quantità di polvere che si accumulava durante il giorno».
Le morti tra colleghi avvenivano con frequenza, ma nessuno all’epoca si preoccupava di approfondirne le cause. «Certo che morivano», conferma Riso, «ogni tanto tra i colleghi del turno si diffondeva la notizia che qualcuno stava male o che era morto. Ma tutti credevamo fosse il ciclo naturale della vita. All’epoca pensare che la materia che si stava lavorando era la causa delle morti per tumore era inimmaginabile». Riso si sottopone periodicamente ai controlli gratuiti della Asl di Lecce, che sta effettuando lo screening tra gli ex lavoratori. L’ultima visita pneumologia del 22 febbraio scorso ha rivelato un ispessimento delle pleure parietali bilateralmente. «Vivo quotidianamente con l’incubo che possa insorgere la malattia», confida Riso, «ho visto troppi familiari che hanno lavorato con me distrutti dal mesotelioma pleurico. Mi resta il ricordo di un forte spirito di gruppo tra colleghi».
La stessa grave preoccupazione che assilla la moglie di Luigi, Cosima Branca, di 77 anni. Lei non ha mai lavorato nella Eternit ma ha vissuto in Svizzera con il marito e in una casa piena di operai, vedendo morire uno dopo l’altro tre fratelli colpiti dal male dell’amianto. «In quella casa rincasavano ogni giorno dieci operai, tra fratelli e cognati», ricorda l’anziana, «io mi occupavo di lavare i loro vestiti e non dimentico che bisognava spazzolare con forza, prima a secco e poi in acqua calda, le incrostazioni di cemento. Dal 1974 un dirigente decise che le tute andavano lavate all’interno della fabbrica e a pensarci oggi forse cominciavano a sorgere i primi dubbi anche tra i vertici. Non ho lavorato in azienda», aggiunge, «ma ho respirato le stesse polveri per anni e così anche i miei figli».
La figlia di Luigi e Cosima, Rossana che oggi ha 49 anni, all’età di due ebbe una dermatite acuta che nessuno seppe spiegare. «Giocavo tra i vestiti e la polvere», conferma la signora, «e ho sempre vissuto con il dubbio che a provocarmi quella malattia fosse stato l’amianto. Abbiamo tutti paura», conclude insieme ai genitori, «troppe persone sono morte e molte altre moriranno forse senza avere giustizia».
CORSANO - «Ho lavorato 34 anni in quell’azienda senza mai vedere uno straccio di mascherina, poi sono arrivate le ridicole cassette “controlla-polvere”». Luigi Riso, oggi quasi 82enne, è stato uno degli storici operai che hanno lavorato nella Eternit di Niederurnen. Si trovava in Svizzera già dal 1955 come lavorante in una cava e due anni dopo, convinto dal suo compaesano Biagio Marzo, entrò in fabbrica dove rimase ininterrottamente fino al 1991. Luigi ha respirato sempre e solo amianto, alternandosi nei tre turni giornalieri.
«Le visite mediche nella Eternit?», spiega l’anziano, «un miraggio, come lo erano tutte le misure di prevenzione. Il contratto di lavoro era regolare, ma quello che c’era scritto non era mai rispettato sino in fondo dal punto di vista sanitario. Negli anni ’50 gli operai venivano sottoposti a visite mediche a campione solo ogni cinque o sei anni. Solo nell’ultimo periodo, alla fine degli Anni ’80, il lasso di tempo si è ridotto a tre o quattro anni. Su un controllo però erano costanti», ironizza Riso, «quello dell’udito, anche se i macchinari non erano eccessivamente rumorosi. Ci facevano un controllo otorino quasi annuale. Negli ultimi due anni in cui ho lavorato hanno piazzato su alcuni miei colleghi una specie di cassetta dietro le spalle, per conoscere la quantità di polvere che si accumulava durante il giorno».
Le morti tra colleghi avvenivano con frequenza, ma nessuno all’epoca si preoccupava di approfondirne le cause. «Certo che morivano», conferma Riso, «ogni tanto tra i colleghi del turno si diffondeva la notizia che qualcuno stava male o che era morto. Ma tutti credevamo fosse il ciclo naturale della vita. All’epoca pensare che la materia che si stava lavorando era la causa delle morti per tumore era inimmaginabile». Riso si sottopone periodicamente ai controlli gratuiti della Asl di Lecce, che sta effettuando lo screening tra gli ex lavoratori. L’ultima visita pneumologia del 22 febbraio scorso ha rivelato un ispessimento delle pleure parietali bilateralmente. «Vivo quotidianamente con l’incubo che possa insorgere la malattia», confida Riso, «ho visto troppi familiari che hanno lavorato con me distrutti dal mesotelioma pleurico. Mi resta il ricordo di un forte spirito di gruppo tra colleghi».
La stessa grave preoccupazione che assilla la moglie di Luigi, Cosima Branca, di 77 anni. Lei non ha mai lavorato nella Eternit ma ha vissuto in Svizzera con il marito e in una casa piena di operai, vedendo morire uno dopo l’altro tre fratelli colpiti dal male dell’amianto. «In quella casa rincasavano ogni giorno dieci operai, tra fratelli e cognati», ricorda l’anziana, «io mi occupavo di lavare i loro vestiti e non dimentico che bisognava spazzolare con forza, prima a secco e poi in acqua calda, le incrostazioni di cemento. Dal 1974 un dirigente decise che le tute andavano lavate all’interno della fabbrica e a pensarci oggi forse cominciavano a sorgere i primi dubbi anche tra i vertici. Non ho lavorato in azienda», aggiunge, «ma ho respirato le stesse polveri per anni e così anche i miei figli».
La figlia di Luigi e Cosima, Rossana che oggi ha 49 anni, all’età di due ebbe una dermatite acuta che nessuno seppe spiegare. «Giocavo tra i vestiti e la polvere», conferma la signora, «e ho sempre vissuto con il dubbio che a provocarmi quella malattia fosse stato l’amianto. Abbiamo tutti paura», conclude insieme ai genitori, «troppe persone sono morte e molte altre moriranno forse senza avere giustizia».
CORSANO - «Ho lavorato 34 anni in quell’azienda senza mai vedere uno straccio di mascherina, poi sono arrivate le ridicole cassette “controlla-polvere”». Luigi Riso, oggi quasi 82enne, è stato uno degli storici operai che hanno lavorato nella Eternit di Niederurnen. Si trovava in Svizzera già dal 1955 come lavorante in una cava e due anni dopo, convinto dal suo compaesano Biagio Marzo, entrò in fabbrica dove rimase ininterrottamente fino al 1991. Luigi ha respirato sempre e solo amianto, alternandosi nei tre turni giornalieri.
«Le visite mediche nella Eternit?», spiega l’anziano, «un miraggio, come lo erano tutte le misure di prevenzione. Il contratto di lavoro era regolare, ma quello che c’era scritto non era mai rispettato sino in fondo dal punto di vista sanitario. Negli anni ’50 gli operai venivano sottoposti a visite mediche a campione solo ogni cinque o sei anni. Solo nell’ultimo periodo, alla fine degli Anni ’80, il lasso di tempo si è ridotto a tre o quattro anni. Su un controllo però erano costanti», ironizza Riso, «quello dell’udito, anche se i macchinari non erano eccessivamente rumorosi. Ci facevano un controllo otorino quasi annuale. Negli ultimi due anni in cui ho lavorato hanno piazzato su alcuni miei colleghi una specie di cassetta dietro le spalle, per conoscere la quantità di polvere che si accumulava durante il giorno».
Le morti tra colleghi avvenivano con frequenza, ma nessuno all’epoca si preoccupava di approfondirne le cause. «Certo che morivano», conferma Riso, «ogni tanto tra i colleghi del turno si diffondeva la notizia che qualcuno stava male o che era morto. Ma tutti credevamo fosse il ciclo naturale della vita. All’epoca pensare che la materia che si stava lavorando era la causa delle morti per tumore era inimmaginabile». Riso si sottopone periodicamente ai controlli gratuiti della Asl di Lecce, che sta effettuando lo screening tra gli ex lavoratori. L’ultima visita pneumologia del 22 febbraio scorso ha rivelato un ispessimento delle pleure parietali bilateralmente. «Vivo quotidianamente con l’incubo che possa insorgere la malattia», confida Riso, «ho visto troppi familiari che hanno lavorato con me distrutti dal mesotelioma pleurico. Mi resta il ricordo di un forte spirito di gruppo tra colleghi».
La stessa grave preoccupazione che assilla la moglie di Luigi, Cosima Branca, di 77 anni. Lei non ha mai lavorato nella Eternit ma ha vissuto in Svizzera con il marito e in una casa piena di operai, vedendo morire uno dopo l’altro tre fratelli colpiti dal male dell’amianto. «In quella casa rincasavano ogni giorno dieci operai, tra fratelli e cognati», ricorda l’anziana, «io mi occupavo di lavare i loro vestiti e non dimentico che bisognava spazzolare con forza, prima a secco e poi in acqua calda, le incrostazioni di cemento. Dal 1974 un dirigente decise che le tute andavano lavate all’interno della fabbrica e a pensarci oggi forse cominciavano a sorgere i primi dubbi anche tra i vertici. Non ho lavorato in azienda», aggiunge, «ma ho respirato le stesse polveri per anni e così anche i miei figli».
La figlia di Luigi e Cosima, Rossana che oggi ha 49 anni, all’età di due ebbe una dermatite acuta che nessuno seppe spiegare. «Giocavo tra i vestiti e la polvere», conferma la signora, «e ho sempre vissuto con il dubbio che a provocarmi quella malattia fosse stato l’amianto. Abbiamo tutti paura», conclude insieme ai genitori, «troppe persone sono morte e molte altre moriranno forse senza avere giustizia».
pc quotidiano 9 marzo - avanzano le guerre popolari dirette dai maoisti in filippine e perù
in spagnolo facilmente comprensibile
Filipinas: otra emboscada de la guerrilla maoísta deja 1 policía muerto y 4 heridos
7 de marzo 2011
Un policía murió y otros tres resultaron heridos, además de otro civil, en una emboscada realizada por el maoísta Nuevo Ejército del Pueblo.
Se sospecha que el objetivo de la emboscada era presuntamente el Mayor Rolando Evardone de Arteche, Samar Oriental, que se suponía que debía estar con el convoy de la policía formado por 11 hombres.
El policia muerto es el Inspector Al Tanciado del Grupo Regional de Mobile. Los policías heridos fueron identificados como el oficial de policía Elmer Tizado y los policas Kenneth Tafalla y Sherwin Portajada .
En el camino, el grupo de policias pisó una mina, matando instantáneamente a Tanciado.
La guerrilleros decomisaron tres M-16, un fusil M-14, una pistola de 9 mm, una pistola calibre 45, una calibre 40 y más pertenencias de los policías.
Publicado por Odio de Clase en 06:53 0 comentarios
Etiquetas: GUERRA POPULAR EN FILIPINAS
Perú: el EPL aniquila un soplón y realiza acciones de agitación y propaganda
Perù
9 de Marzo del 2011
Guerilleros maoístas del Ejército Popular de Liberación (EPL) aniquilaron a un poblador acusado de ser un soplón y colaborador de la policía en el valle del Monzón.
Los guerrilleros colocaron banderas rojas en este sector y con ello dejaron constancia de su presencia.
Una columna fuertemente armada del Ejército Popular de Libeación, ingresó a Sachavaca, situado a 32 kilómetros de Tingo María, a la medianoche del domingo y se dedico a realizar acciones de agitación y a la colocación de banderas rojas.
Poco después de las acciones de agitación y propaganda sometieron a juicio popular al soplón y posteriormente lo ejecutaron.
Los banderas rojas con la hoz y el martillo, dejados por los guerrilleros, fueron retiradas por agentes de policía.
Filipinas: otra emboscada de la guerrilla maoísta deja 1 policía muerto y 4 heridos
7 de marzo 2011
Un policía murió y otros tres resultaron heridos, además de otro civil, en una emboscada realizada por el maoísta Nuevo Ejército del Pueblo.
Se sospecha que el objetivo de la emboscada era presuntamente el Mayor Rolando Evardone de Arteche, Samar Oriental, que se suponía que debía estar con el convoy de la policía formado por 11 hombres.
El policia muerto es el Inspector Al Tanciado del Grupo Regional de Mobile. Los policías heridos fueron identificados como el oficial de policía Elmer Tizado y los policas Kenneth Tafalla y Sherwin Portajada .
En el camino, el grupo de policias pisó una mina, matando instantáneamente a Tanciado.
La guerrilleros decomisaron tres M-16, un fusil M-14, una pistola de 9 mm, una pistola calibre 45, una calibre 40 y más pertenencias de los policías.
Publicado por Odio de Clase en 06:53 0 comentarios
Etiquetas: GUERRA POPULAR EN FILIPINAS
Perú: el EPL aniquila un soplón y realiza acciones de agitación y propaganda
Perù
9 de Marzo del 2011
Guerilleros maoístas del Ejército Popular de Liberación (EPL) aniquilaron a un poblador acusado de ser un soplón y colaborador de la policía en el valle del Monzón.
Los guerrilleros colocaron banderas rojas en este sector y con ello dejaron constancia de su presencia.
Una columna fuertemente armada del Ejército Popular de Libeación, ingresó a Sachavaca, situado a 32 kilómetros de Tingo María, a la medianoche del domingo y se dedico a realizar acciones de agitación y a la colocación de banderas rojas.
Poco después de las acciones de agitación y propaganda sometieron a juicio popular al soplón y posteriormente lo ejecutaron.
Los banderas rojas con la hoz y el martillo, dejados por los guerrilleros, fueron retiradas por agentes de policía.
pc quotidiano 9 marzo - India - Il PCI maoista organizza lo sciopero generale nello stato di Orissa
- in spagnolo facilmente comprensibile
campagna internazionale a sostegno della guerra popolare dal 2 al 9 aprile
info csgpIndia@gmail.com
El Partido Comunista de India (Maoísta) convoco una bandh (paro general) en el estado de Ordisha el 7 de marzo, para protestar contra la violación del acuerdo alcanzado con el gobierno para la liberación de presos políticos a cambio de la puesta en libertad por los maoístas del funcionario del Estado que mantienen arrestado.
Mientras tanto, cerca de 20 carteles maoístas fueron encontrados cerca del sitio propuesto para la planta de acero de la multinacional POSCO en Oriya, en los que los maoístas advierten a las autoridades de las "consecuencias" si el robo de tierras de los pobladores pobres no se detiene inmediatamente.
En estos carteles los maoístas denuncian que todos los partidos políticos del Estado bailan al ritmo de las empresas privadas y permiten que estas empresas saqueen los minerales del Estado. Algunos de estos carteles se encuentran en las paredes de Ersama High School y la casa almacén del departamento de abastecimiento.
Además los maoístas han comenzado a consolidarse en Nuapada Distrito. "El número de los maoístas ha aumentado en las últimas dos semanas. Casi se ha triplicado en la zona", dijo la policía.
campagna internazionale a sostegno della guerra popolare dal 2 al 9 aprile
info csgpIndia@gmail.com
El Partido Comunista de India (Maoísta) convoco una bandh (paro general) en el estado de Ordisha el 7 de marzo, para protestar contra la violación del acuerdo alcanzado con el gobierno para la liberación de presos políticos a cambio de la puesta en libertad por los maoístas del funcionario del Estado que mantienen arrestado.
Mientras tanto, cerca de 20 carteles maoístas fueron encontrados cerca del sitio propuesto para la planta de acero de la multinacional POSCO en Oriya, en los que los maoístas advierten a las autoridades de las "consecuencias" si el robo de tierras de los pobladores pobres no se detiene inmediatamente.
En estos carteles los maoístas denuncian que todos los partidos políticos del Estado bailan al ritmo de las empresas privadas y permiten que estas empresas saqueen los minerales del Estado. Algunos de estos carteles se encuentran en las paredes de Ersama High School y la casa almacén del departamento de abastecimiento.
Además los maoístas han comenzado a consolidarse en Nuapada Distrito. "El número de los maoístas ha aumentado en las últimas dos semanas. Casi se ha triplicado en la zona", dijo la policía.
pc quotidiano 9 marzo - Viareggio inizia il processo per la strage.. ma i responsabili non ci sono
indegna assenza degli imputati primo fra tutti Moretti l'amministratore
delegato delle ferrovie - sostenuto bipartizan dai partiti del governo e
dell'opposizione e dai sindacati confederali
Il treno della tragedia
Si ricomincia in un'aula
L'indagine sul disastro del 29 giugno 2009 verso una fase decisiva.Gli
indagati per incendio e disastro ferroviario colposi, lesioni e omicidio
colposi e mancata valutazione dei rischi sono 38, fra cui l'amministratore
delegato delle Ferrovie Mauro Morettidi
Un momento della commemorazione della strage di via Ponchielli
L'inchiesta sul disastro ferroviario di Viareggio del 29 giugno 2009 entra
in una fase decisiva, quella delle indagini tecniche per stabilire le cause
del deragliamento del treno 50325 proveniente da Trecate (Novara) e diretto
a Gricignano di Aversa, e della rottura di una delle cisterne che
trasportavano Gpl (gas di petrolio liquefatto), con la conseguente
fuoruscita del gas e la devastante onda di fuoco che si è divorata trentadue
vite, ne ha sconvolte molte altre e ha ridotto in macerie via Ponchielli,
rivelando numerose falle nella sicurezza dei trasporti ferroviari e i rischi
gravissimi che ogni giorno e ogni notte corrono tutti coloro che vivono nei
pressi delle strade ferrate.
L'incidente probatorio. Accogliendo la richiesta del procuratore di Lucca
Aldo Cicala e dei sostituti Giuseppe Amodeo e Salvatore Giannino, il gip di
Lucca Simone Silvestri affiderà ai professori Dario Vangi nell'università di
Firenze e Riccardo Licciardello della università La Sapienza di Roma
l'incarico di eseguire accertamenti irripetibili sugli elementi del treno e
della rete ferroviaria coinvolti nel disastro.
Le analisi, in incidente probatorio, saranno eseguite alla presenza degli
esperti nominati da tutte le parti in causa, che sono numerosissime. Gli
indagati per incendio e disastro ferroviario colposi, lesioni e omicidio
colposi e (a vario titolo) mancata valutazione dei rischi sono 38, fra cui
l'amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti. Ad essi si
aggiungono otto aziende chiamate in causa per responsabilità amministrativa:
Gatx Rail Austria (proprietaria delle ferrocisterne coinvolte
nell'incidente), Gatx Rail Germania, Officina Jungenthal di Hannover (di
proprietà Gatx), Gruppo Ferrovie dello Stato, Rete ferroviaria italiana
(Rfi), Trenitalia, Fs Logistica, Cima Riparazioni. Le parti offese sono 349.
Indagati e persone offese saranno, a loro volta, assistiti da avvocati e da
esperti. Si prevede, perciò, un grande afflusso di persone. E questa è la
ragione per cui l'udienza non si svolgerà in tribunale ma nell'area
fieristica di Lucca (Lucca Fiere & Congressi), realizzata negli ex
stabilimenti Bertolli.
L'incidente. "Da anni oltre l'80% dei deragliamenti interessa il trasporto
ferroviario merci. La rilevanza di tale incidenza percentuale è ancora più
forte se si considera che il trasporto merci occupa una quota di circa il
18%, cioè di meno di un quinto della totale intensità di traffico
ferroviario". Lo scrive la Commissione di indagine incaricata dal ministero
delle Infrastrutture di investigare sul disastro ferroviario di Viareggio.
Era un merci il treno 50325 composto da 14 ferrocisterne cariche di una
sostanza estremamente pericolosa, il Gpl, che il 29 giugno 2009 alle 23,48
deragliò per la rottura dell'asse di un carrello durante il passaggio dalla
stazione di Viareggio. Cinque cisterne si ribaltarono e la prima di esse,
scontrandosi con un elemento tagliente, si lacerò, causando la dispersione
del Gpl. Dopo circa tre minuti il gas si incendiò provocando un'onda di
fuoco che investì tutta l'area circostante.
La lesione della cisterna. Se non ci sono dubbi sulla causa del
deragliamento - e cioè la rottura "a fatica" di uno degli assi del primo
carrello della prima cisterna - sin dalle prime ore dopo il disastro si è
manifestata una netta disparità di giudizi sulla causa della lacerazione
della cisterna. La polizia ferroviaria e il consulente della procura di
Lucca, professor Paolo Toni, hanno concentrato i sospetti su un picchetto di
regolazione delle curve abbattuto durante il deragliamento. I picchetti sono
costituiti da spezzoni di rotaia tagliati a sega, posti a circa un metro e
mezzo dal binario e sporgenti almeno 5 centimetri al di sopra della rotaia.
Essi rappresentano il sistema tradizionale utilizzato dalle ferrovie
italiane per controllare la corretta geometria delle curve, ma potrebbero
essere sostituiti da altri tipi di picchetti non pericolosi oppure da
tecnologie moderne basate su sistemi satellitari (introdotte sulle linee ad
alta velocità).
Peraltro, già il 2 luglio 2009, tre giorni dopo il disastro,
l'amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti dichiarò in
commissione lavori pubblici del Senato: "Sembra che la rottura sia avvenuta
non per picchetti vari, com'è stato detto, ma perché il carro merci è andato
a sbattere in modo stranissimo contro il cuore di uno scambio, che ha una
parte mobile e una fissa". Rete ferroviaria italiana (Rfi), la società del
Gruppo Ferrovie che si occupa della infrastruttura ferroviaria, ha poi
sviluppato questa tesi con una relazione di una propria commissione di
inchiesta corroborata da analisi di docenti di varie università italiane.
Dopo essersi ribaltata, la cisterna ha percorso circa cento metri,
incontrando due picchetti di riferimento delle curve, due controrotaie e la
"piegata a zampa di lepre del cuore del deviatoio 13 B". Rfi sottolinea che
le controrotaie e la piegata sono "componenti essenziali dello scambio" e
ritiene che la cisterna, quando era ancora vincolata al locomotore, abbia
strisciato lungo il binario senza discostarsene troppo nella sua parte
anteriore, e abbia in tal modo potuto incontrare solo la piegata a zampa di
lepre. Tesi che sembra condivisa sia da Trenitalia che dalla stessa
Commissione di indagine del ministero.
Le prove irripetibili. Le prove di carattere metrologico, meccanico e
matallurgico previste dall'incidente probatorio consentiranno - almeno si
spera - di stabilire con certezza quale "ente" sia stato responsabile
della lacerazione della cisterna. Le conseguenze saranno enormi. Se la
frattura sarà attribuita alla zampa di lepre, "componente essenziale dello
scambio", Rfi non potrà essere ritenuta responsabile del disastro, almeno
sotto questo profilo. Se invece verrà stabilita la corrispondenza fra
lacerazione e picchetto, Rfi dovrà difendersi dall'accusa di non aver
valutato il rischio di mantenere ostacoli taglienti lungo le linee su cui
transitano merci pericolose e per di più nei centri abitati.
La disposizione sui carri inerti. A tale proposito la polizia ferroviaria ha
rilevato che il 18 dicembre 2001 Rete ferroviaria italiana aveva emanato una
disposizione (una specifica tecnica) contenente linee guida per realizzare
il controllo della corretta geometria delle curve con una tecnologia basata
su segnali satellitari. La specifica, però, non è stata seguita da un piano
di rimozione dei picchetti sulle linee storiche. Solo lungo le nuove linee
dell'alta velocità non ci sono picchetti. Peraltro il 23 aprile 2007 la
Direzione tecnica di Rete ferroviaria italiana ha emesso una disposizione in
materia di trasporto di merci pericolose che impone di tenere separati "con
almeno un carro carico di materie inerti" i carri cisterna che trasportano
gas liquefatti dai carri carichi di travi, lamiere piani e profilato di
qualunque tipo. Nel convoglio deragliato a Viareggio non c'erano vagoni
carichi di travi, lamiere o profilato (tutti e 14 i carri trasportavano
Gpl), ma la Polizia Ferroviaria rileva una grave falla nella valutazione dei
rischi da parte di Rfi.
La norma sul distanziamento mira sicuramente a evitare che travi o lamiere
possano in caso di incidente bucare le cisterne contenenti gas. "Se questo
principio di pericolo vale per la composizione dei treni merci - osserva
l'ispettore capo Angelo Laurino nella annotazione depositata il 2 dicembre
2009 - non si riesce a comprendere come mai Rfi non abbia previsto la
dismissione, a partire dalla data della circolare (18 dicembre 2001), dei
picchetti di regolazione delle curve, che rappresentano analogo pericolo in
caso di ribaltamento del materiale rotabile".
I misteri dell'asse spezzato. Il disastro ferroviario di Viareggio ha
mostrato numerose falle nel sistema di sicurezza del traffico ferroviario.
Una norma contenuta nel decreto legislativo 162 del 2007 sulla sicurezza
ferroviaria stabilisce che, per essere ammesso in servizio in Italia, il
materiale rotabile già in servizio in un altro stato dell'Unione Europea
deve essere corredato da un fascicolo tecnico in lingua italiana. Dopo
l'incidente di Viareggio, invece, gli inquirenti sono diventati matti a
inseguire per tutta Europa le tracce della cisterna della multinazionale
Gatx e dei suoi componenti, in special modo dell'assile 98331 che è spezzato
e ha provocato il deragliamento del convoglio. Non vi è neppure la certezza
che questo asse, costruito nel 1974 nella Repubblica democratica tedesca,
appartenga a un modello a norma.
La stessa Gatx sembra ignorare del tutto come e da chi sia stato utilizzato
dal 1974, anno della sua costruzione, sino al 2002. Il 26 novembre 2008,
sette mesi prima del disastro, l'asse era stato sottoposto a controlli nelle
Officine Junghental di Hannover. I tecnici sono concordi nel ritenere che,
se il controllo ad ultrasuoni fosse stato accurato, la frattura, o cricca,
sarebbe stata già ben individuabile. Invece l'assile uscì promosso
dall'officina e fu poi montato su una cisterna che trasportava Gpl.
Scrive la commissione di indagine del ministero delle Infrastrutture: "La
questione essenziale posta dall'incidente di Viareggio è relativa non alla
causa della rottura di un componente ma ai motivi per cui la progressione
della frattura non è stata scoperta prima della rottura". E raccomanda per
il futuro: tracciabilità completa degli assili; obbligo di distruzione di
quelli di essi per i quali non sia possibile la tracciabilità; obbligo di
registrazione dei dati forniti dagli strumenti di prova (cioè degli esami
agli ultrasuoni - ndr); controlli a campione sulle verifiche e prove non
distruttive effettuate dai tecnici; controlli effettuati a percorrenze
chilometriche prestabilite e non solo a tempo; divieto di riammissione in
servizio di assili con fessure o inneschi in specifiche aree; studio di un
percorso per incrementare la sicurezza passiva dei serbatoi che trasportano
merci pericolose.
I rilevatori di svio. A proposito di questo ultimo tema, da anni la
Svizzera, e più di recente la Spagna, hanno messo a punto dei sistemi di
rilevamento automatico di svio che innescano i freni di emergenza nel
momento in cui una ruota sormonta un binario. La Svizzera è partita dal
concetto che in caso di trasporto di merci pericolose le conseguenze di un
deragliamento possono essere "non sopportabili" e che quindi bisogna evitare
che i carri si ribaltino. Il rilevatore di svio, determinando un automatico
rallentamento della velocità del convoglio, serve proprio a scongiurare i
ribaltamenti dei carri.
La Agenzia ferroviaria europea (Era) è però rimasta a lungo assai scettica,
arrivando poche settimane prima del disastro di Viareggio a emettere una
raccomandazione in cui dichiarava che il dispositivo "poteva non essere
adottato". La tragedia di Viareggio dovrebbe aver cambiato le carte in
tavola. Ora si spera che il Governo italiano riesca a convincere l'Europa.
(05 marzo 2011)
--
delegato delle ferrovie - sostenuto bipartizan dai partiti del governo e
dell'opposizione e dai sindacati confederali
Il treno della tragedia
Si ricomincia in un'aula
L'indagine sul disastro del 29 giugno 2009 verso una fase decisiva.Gli
indagati per incendio e disastro ferroviario colposi, lesioni e omicidio
colposi e mancata valutazione dei rischi sono 38, fra cui l'amministratore
delegato delle Ferrovie Mauro Morettidi
Un momento della commemorazione della strage di via Ponchielli
L'inchiesta sul disastro ferroviario di Viareggio del 29 giugno 2009 entra
in una fase decisiva, quella delle indagini tecniche per stabilire le cause
del deragliamento del treno 50325 proveniente da Trecate (Novara) e diretto
a Gricignano di Aversa, e della rottura di una delle cisterne che
trasportavano Gpl (gas di petrolio liquefatto), con la conseguente
fuoruscita del gas e la devastante onda di fuoco che si è divorata trentadue
vite, ne ha sconvolte molte altre e ha ridotto in macerie via Ponchielli,
rivelando numerose falle nella sicurezza dei trasporti ferroviari e i rischi
gravissimi che ogni giorno e ogni notte corrono tutti coloro che vivono nei
pressi delle strade ferrate.
L'incidente probatorio. Accogliendo la richiesta del procuratore di Lucca
Aldo Cicala e dei sostituti Giuseppe Amodeo e Salvatore Giannino, il gip di
Lucca Simone Silvestri affiderà ai professori Dario Vangi nell'università di
Firenze e Riccardo Licciardello della università La Sapienza di Roma
l'incarico di eseguire accertamenti irripetibili sugli elementi del treno e
della rete ferroviaria coinvolti nel disastro.
Le analisi, in incidente probatorio, saranno eseguite alla presenza degli
esperti nominati da tutte le parti in causa, che sono numerosissime. Gli
indagati per incendio e disastro ferroviario colposi, lesioni e omicidio
colposi e (a vario titolo) mancata valutazione dei rischi sono 38, fra cui
l'amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti. Ad essi si
aggiungono otto aziende chiamate in causa per responsabilità amministrativa:
Gatx Rail Austria (proprietaria delle ferrocisterne coinvolte
nell'incidente), Gatx Rail Germania, Officina Jungenthal di Hannover (di
proprietà Gatx), Gruppo Ferrovie dello Stato, Rete ferroviaria italiana
(Rfi), Trenitalia, Fs Logistica, Cima Riparazioni. Le parti offese sono 349.
Indagati e persone offese saranno, a loro volta, assistiti da avvocati e da
esperti. Si prevede, perciò, un grande afflusso di persone. E questa è la
ragione per cui l'udienza non si svolgerà in tribunale ma nell'area
fieristica di Lucca (Lucca Fiere & Congressi), realizzata negli ex
stabilimenti Bertolli.
L'incidente. "Da anni oltre l'80% dei deragliamenti interessa il trasporto
ferroviario merci. La rilevanza di tale incidenza percentuale è ancora più
forte se si considera che il trasporto merci occupa una quota di circa il
18%, cioè di meno di un quinto della totale intensità di traffico
ferroviario". Lo scrive la Commissione di indagine incaricata dal ministero
delle Infrastrutture di investigare sul disastro ferroviario di Viareggio.
Era un merci il treno 50325 composto da 14 ferrocisterne cariche di una
sostanza estremamente pericolosa, il Gpl, che il 29 giugno 2009 alle 23,48
deragliò per la rottura dell'asse di un carrello durante il passaggio dalla
stazione di Viareggio. Cinque cisterne si ribaltarono e la prima di esse,
scontrandosi con un elemento tagliente, si lacerò, causando la dispersione
del Gpl. Dopo circa tre minuti il gas si incendiò provocando un'onda di
fuoco che investì tutta l'area circostante.
La lesione della cisterna. Se non ci sono dubbi sulla causa del
deragliamento - e cioè la rottura "a fatica" di uno degli assi del primo
carrello della prima cisterna - sin dalle prime ore dopo il disastro si è
manifestata una netta disparità di giudizi sulla causa della lacerazione
della cisterna. La polizia ferroviaria e il consulente della procura di
Lucca, professor Paolo Toni, hanno concentrato i sospetti su un picchetto di
regolazione delle curve abbattuto durante il deragliamento. I picchetti sono
costituiti da spezzoni di rotaia tagliati a sega, posti a circa un metro e
mezzo dal binario e sporgenti almeno 5 centimetri al di sopra della rotaia.
Essi rappresentano il sistema tradizionale utilizzato dalle ferrovie
italiane per controllare la corretta geometria delle curve, ma potrebbero
essere sostituiti da altri tipi di picchetti non pericolosi oppure da
tecnologie moderne basate su sistemi satellitari (introdotte sulle linee ad
alta velocità).
Peraltro, già il 2 luglio 2009, tre giorni dopo il disastro,
l'amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti dichiarò in
commissione lavori pubblici del Senato: "Sembra che la rottura sia avvenuta
non per picchetti vari, com'è stato detto, ma perché il carro merci è andato
a sbattere in modo stranissimo contro il cuore di uno scambio, che ha una
parte mobile e una fissa". Rete ferroviaria italiana (Rfi), la società del
Gruppo Ferrovie che si occupa della infrastruttura ferroviaria, ha poi
sviluppato questa tesi con una relazione di una propria commissione di
inchiesta corroborata da analisi di docenti di varie università italiane.
Dopo essersi ribaltata, la cisterna ha percorso circa cento metri,
incontrando due picchetti di riferimento delle curve, due controrotaie e la
"piegata a zampa di lepre del cuore del deviatoio 13 B". Rfi sottolinea che
le controrotaie e la piegata sono "componenti essenziali dello scambio" e
ritiene che la cisterna, quando era ancora vincolata al locomotore, abbia
strisciato lungo il binario senza discostarsene troppo nella sua parte
anteriore, e abbia in tal modo potuto incontrare solo la piegata a zampa di
lepre. Tesi che sembra condivisa sia da Trenitalia che dalla stessa
Commissione di indagine del ministero.
Le prove irripetibili. Le prove di carattere metrologico, meccanico e
matallurgico previste dall'incidente probatorio consentiranno - almeno si
spera - di stabilire con certezza quale "ente" sia stato responsabile
della lacerazione della cisterna. Le conseguenze saranno enormi. Se la
frattura sarà attribuita alla zampa di lepre, "componente essenziale dello
scambio", Rfi non potrà essere ritenuta responsabile del disastro, almeno
sotto questo profilo. Se invece verrà stabilita la corrispondenza fra
lacerazione e picchetto, Rfi dovrà difendersi dall'accusa di non aver
valutato il rischio di mantenere ostacoli taglienti lungo le linee su cui
transitano merci pericolose e per di più nei centri abitati.
La disposizione sui carri inerti. A tale proposito la polizia ferroviaria ha
rilevato che il 18 dicembre 2001 Rete ferroviaria italiana aveva emanato una
disposizione (una specifica tecnica) contenente linee guida per realizzare
il controllo della corretta geometria delle curve con una tecnologia basata
su segnali satellitari. La specifica, però, non è stata seguita da un piano
di rimozione dei picchetti sulle linee storiche. Solo lungo le nuove linee
dell'alta velocità non ci sono picchetti. Peraltro il 23 aprile 2007 la
Direzione tecnica di Rete ferroviaria italiana ha emesso una disposizione in
materia di trasporto di merci pericolose che impone di tenere separati "con
almeno un carro carico di materie inerti" i carri cisterna che trasportano
gas liquefatti dai carri carichi di travi, lamiere piani e profilato di
qualunque tipo. Nel convoglio deragliato a Viareggio non c'erano vagoni
carichi di travi, lamiere o profilato (tutti e 14 i carri trasportavano
Gpl), ma la Polizia Ferroviaria rileva una grave falla nella valutazione dei
rischi da parte di Rfi.
La norma sul distanziamento mira sicuramente a evitare che travi o lamiere
possano in caso di incidente bucare le cisterne contenenti gas. "Se questo
principio di pericolo vale per la composizione dei treni merci - osserva
l'ispettore capo Angelo Laurino nella annotazione depositata il 2 dicembre
2009 - non si riesce a comprendere come mai Rfi non abbia previsto la
dismissione, a partire dalla data della circolare (18 dicembre 2001), dei
picchetti di regolazione delle curve, che rappresentano analogo pericolo in
caso di ribaltamento del materiale rotabile".
I misteri dell'asse spezzato. Il disastro ferroviario di Viareggio ha
mostrato numerose falle nel sistema di sicurezza del traffico ferroviario.
Una norma contenuta nel decreto legislativo 162 del 2007 sulla sicurezza
ferroviaria stabilisce che, per essere ammesso in servizio in Italia, il
materiale rotabile già in servizio in un altro stato dell'Unione Europea
deve essere corredato da un fascicolo tecnico in lingua italiana. Dopo
l'incidente di Viareggio, invece, gli inquirenti sono diventati matti a
inseguire per tutta Europa le tracce della cisterna della multinazionale
Gatx e dei suoi componenti, in special modo dell'assile 98331 che è spezzato
e ha provocato il deragliamento del convoglio. Non vi è neppure la certezza
che questo asse, costruito nel 1974 nella Repubblica democratica tedesca,
appartenga a un modello a norma.
La stessa Gatx sembra ignorare del tutto come e da chi sia stato utilizzato
dal 1974, anno della sua costruzione, sino al 2002. Il 26 novembre 2008,
sette mesi prima del disastro, l'asse era stato sottoposto a controlli nelle
Officine Junghental di Hannover. I tecnici sono concordi nel ritenere che,
se il controllo ad ultrasuoni fosse stato accurato, la frattura, o cricca,
sarebbe stata già ben individuabile. Invece l'assile uscì promosso
dall'officina e fu poi montato su una cisterna che trasportava Gpl.
Scrive la commissione di indagine del ministero delle Infrastrutture: "La
questione essenziale posta dall'incidente di Viareggio è relativa non alla
causa della rottura di un componente ma ai motivi per cui la progressione
della frattura non è stata scoperta prima della rottura". E raccomanda per
il futuro: tracciabilità completa degli assili; obbligo di distruzione di
quelli di essi per i quali non sia possibile la tracciabilità; obbligo di
registrazione dei dati forniti dagli strumenti di prova (cioè degli esami
agli ultrasuoni - ndr); controlli a campione sulle verifiche e prove non
distruttive effettuate dai tecnici; controlli effettuati a percorrenze
chilometriche prestabilite e non solo a tempo; divieto di riammissione in
servizio di assili con fessure o inneschi in specifiche aree; studio di un
percorso per incrementare la sicurezza passiva dei serbatoi che trasportano
merci pericolose.
I rilevatori di svio. A proposito di questo ultimo tema, da anni la
Svizzera, e più di recente la Spagna, hanno messo a punto dei sistemi di
rilevamento automatico di svio che innescano i freni di emergenza nel
momento in cui una ruota sormonta un binario. La Svizzera è partita dal
concetto che in caso di trasporto di merci pericolose le conseguenze di un
deragliamento possono essere "non sopportabili" e che quindi bisogna evitare
che i carri si ribaltino. Il rilevatore di svio, determinando un automatico
rallentamento della velocità del convoglio, serve proprio a scongiurare i
ribaltamenti dei carri.
La Agenzia ferroviaria europea (Era) è però rimasta a lungo assai scettica,
arrivando poche settimane prima del disastro di Viareggio a emettere una
raccomandazione in cui dichiarava che il dispositivo "poteva non essere
adottato". La tragedia di Viareggio dovrebbe aver cambiato le carte in
tavola. Ora si spera che il Governo italiano riesca a convincere l'Europa.
(05 marzo 2011)
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pc quotidiano 9 agosto - un'altra vita spezzata alla Fincantieri di marghera - appello della rete nazionale
la rete nazionale fa appello a una mobilitazione in tutta la fincantieri e a
una iniziativa nazionale a marghera
bastamortesullavoro@gmail.com
] Comunicato su Ennesimo morto in Fincantieri
OGGI SCIOPERO DI 8 ORE MA IERI NON E' STATA BLOCCATA LA FABBRICA SUBITO COME
CHIESTO DALLO SLAI COBAS per il sindacato di classe A TREVISAN
RAPPRESENTANTE PROVINCIALE FIOM
08-03-2011 - Marghera - Lo sciopero questa volta c'è stato, di tutta la
giornata, alla Fincantieri di Marghera. Occorre che quando accadono eventi
come quello di ieri dove è morto Giuseppe Fazio, operaio siciliano di
Augusta dipendente della TF Impianti subappalto della Simic all'interno
della famigerata Fincantieri, si riunisca immediatamente l'assemblea
generale fermando tutta la produzione. Lo sciopero di oggi, per quanto
corretto, era previsto, invece quando accadono questi fatti, Trevisan e
tutta la RSU dovrebbero immediatamente lottare con il Cobas e con tutti gli
operai d'avanguardia per fermare tutta la produzione ! Questo ennesimo
assassinio, che ricorda l'incidente in cui perse la gamba un operaio
albanese un anno fa, è il secondo morto in due settimane in Fincantieri tra
Monfalcone e Marghera. Lanciamo la parola d'ordine di una manifestazione
nazionale della Rete per la Sicurezza sui posti di lavoro a Marghera con
l'occupazione simbolica della Fincantieri stessa, per permettere alle masse
di capire come accadono questi omicidi ! Evidentemente il management di
Fincantieri, che siamo convinti abbiano giocato politicamente apposta la
carta della cassa integrazione, anziché riassumere direttamente il personale
specializzato degli appalti e mettere ordine negli appalti stessi, pensa di
far dimenticare anche le pesanti condanne sull'amianto. Invece altri pensano
di far passare sotto attenzione la gravissima dinamica della logistica
(autotrasporti) che miete vittime anche nelle fabbriche, come accaduto
recentemente nel capannone a Martellago dove un pezzo di cemento ha travolto
un autista, alla San Benedetto con i ritmi pazzeschi del reparto pallets con
l'azzoppamento di un nostro compagno, al Porto, con il camion finito in mare
e l'autista annegato, e ieri alla Fincantieri, con un camion che ha travolto
e ucciso un operaio
UN'ALTRA MORTE BIANCA IN FINCANTIERI
Il lavoratore Giuseppe Fazio di 34 anni, dipendente di una ditta di appalto
che è stato investito ieri
da un camion in manovra all'interno della Fincantieri di Marghera, non ce
l'ha fatta.
E' mancato alle 2 di questa mattina, a causa delle gravi lesioni riportate
nell'incidente che lo ha
coinvolto.
Il coordinamento nazionale Fincantieri, insieme a FIM, FIOM, UILM Nazionali,
esprimono
profondo cordoglio e solidarietà ai familiari e ai colleghi di Giuseppe.
E' necessario che le autorità competenti facciano immediatamente chiarezza
sulla dinamica e sulle
cause del tragico incidente avvenuto ieri.
Questo tragico evento si somma all'incidente mortale avvenuto in Fincantieri
Monfalcone il 21
Febbraio scorso, nel quale ha perso la vita Ismail Mio, un giovanissimo
operaio, anch'egli
dipendente di una ditta dell'appalto.
Anche in quell'occasione, come ormai avviene da molto tempo e
quotidianamente, è stato da noi
contestato e denunciato il modello organizzativo adottato da Fincantieri il
quale, a questo punto, va
urgentemente rimesso in discussione: l'Azienda deve finalmente prendere atto
di questa necessità!
Questo modello non migliora l'efficienza produttiva, fa aumentare la
confusione all'interno del
cantiere e, soprattutto, scarica sui lavoratori i rischi generati da una
disordinata rincorsa alla
competitività, alla produttività e al profitto; rischi che, in modo
evidente, sono sottovalutati o,
addirittura, ignorati da parte di un'Azienda che non sta controllando
adeguatamente il processo
produttivo.
A questo proposito verrà richiesto immediatamente un incontro urgente a
livello nazionale per
riaprire la questione sicurezza e per attivare tempestivamente ogni
possibile soluzione per mettere
in sicurezza tutti i cantieri.
FIM, FIOM, UILM Nazionali approvano e sostengono tutte le iniziative che le
Organizzazioni
Sindacali territoriali di Venezia, insieme alla RSU del cantiere hanno
deciso di intraprendere, in
risposta al tragico evento.
Dichiarano inoltre, per la giornata di Mercoledì 9 Marzo 2011, 1 ora di
sciopero in tutti i siti e
stabilimenti del Gruppo Fincantieri, con modalità da definirsi a livello
locale.
FIM FIOM UILM Nazionali
Roma, 8 Marzo 2011.
una iniziativa nazionale a marghera
bastamortesullavoro@gmail.com
] Comunicato su Ennesimo morto in Fincantieri
OGGI SCIOPERO DI 8 ORE MA IERI NON E' STATA BLOCCATA LA FABBRICA SUBITO COME
CHIESTO DALLO SLAI COBAS per il sindacato di classe A TREVISAN
RAPPRESENTANTE PROVINCIALE FIOM
08-03-2011 - Marghera - Lo sciopero questa volta c'è stato, di tutta la
giornata, alla Fincantieri di Marghera. Occorre che quando accadono eventi
come quello di ieri dove è morto Giuseppe Fazio, operaio siciliano di
Augusta dipendente della TF Impianti subappalto della Simic all'interno
della famigerata Fincantieri, si riunisca immediatamente l'assemblea
generale fermando tutta la produzione. Lo sciopero di oggi, per quanto
corretto, era previsto, invece quando accadono questi fatti, Trevisan e
tutta la RSU dovrebbero immediatamente lottare con il Cobas e con tutti gli
operai d'avanguardia per fermare tutta la produzione ! Questo ennesimo
assassinio, che ricorda l'incidente in cui perse la gamba un operaio
albanese un anno fa, è il secondo morto in due settimane in Fincantieri tra
Monfalcone e Marghera. Lanciamo la parola d'ordine di una manifestazione
nazionale della Rete per la Sicurezza sui posti di lavoro a Marghera con
l'occupazione simbolica della Fincantieri stessa, per permettere alle masse
di capire come accadono questi omicidi ! Evidentemente il management di
Fincantieri, che siamo convinti abbiano giocato politicamente apposta la
carta della cassa integrazione, anziché riassumere direttamente il personale
specializzato degli appalti e mettere ordine negli appalti stessi, pensa di
far dimenticare anche le pesanti condanne sull'amianto. Invece altri pensano
di far passare sotto attenzione la gravissima dinamica della logistica
(autotrasporti) che miete vittime anche nelle fabbriche, come accaduto
recentemente nel capannone a Martellago dove un pezzo di cemento ha travolto
un autista, alla San Benedetto con i ritmi pazzeschi del reparto pallets con
l'azzoppamento di un nostro compagno, al Porto, con il camion finito in mare
e l'autista annegato, e ieri alla Fincantieri, con un camion che ha travolto
e ucciso un operaio
UN'ALTRA MORTE BIANCA IN FINCANTIERI
Il lavoratore Giuseppe Fazio di 34 anni, dipendente di una ditta di appalto
che è stato investito ieri
da un camion in manovra all'interno della Fincantieri di Marghera, non ce
l'ha fatta.
E' mancato alle 2 di questa mattina, a causa delle gravi lesioni riportate
nell'incidente che lo ha
coinvolto.
Il coordinamento nazionale Fincantieri, insieme a FIM, FIOM, UILM Nazionali,
esprimono
profondo cordoglio e solidarietà ai familiari e ai colleghi di Giuseppe.
E' necessario che le autorità competenti facciano immediatamente chiarezza
sulla dinamica e sulle
cause del tragico incidente avvenuto ieri.
Questo tragico evento si somma all'incidente mortale avvenuto in Fincantieri
Monfalcone il 21
Febbraio scorso, nel quale ha perso la vita Ismail Mio, un giovanissimo
operaio, anch'egli
dipendente di una ditta dell'appalto.
Anche in quell'occasione, come ormai avviene da molto tempo e
quotidianamente, è stato da noi
contestato e denunciato il modello organizzativo adottato da Fincantieri il
quale, a questo punto, va
urgentemente rimesso in discussione: l'Azienda deve finalmente prendere atto
di questa necessità!
Questo modello non migliora l'efficienza produttiva, fa aumentare la
confusione all'interno del
cantiere e, soprattutto, scarica sui lavoratori i rischi generati da una
disordinata rincorsa alla
competitività, alla produttività e al profitto; rischi che, in modo
evidente, sono sottovalutati o,
addirittura, ignorati da parte di un'Azienda che non sta controllando
adeguatamente il processo
produttivo.
A questo proposito verrà richiesto immediatamente un incontro urgente a
livello nazionale per
riaprire la questione sicurezza e per attivare tempestivamente ogni
possibile soluzione per mettere
in sicurezza tutti i cantieri.
FIM, FIOM, UILM Nazionali approvano e sostengono tutte le iniziative che le
Organizzazioni
Sindacali territoriali di Venezia, insieme alla RSU del cantiere hanno
deciso di intraprendere, in
risposta al tragico evento.
Dichiarano inoltre, per la giornata di Mercoledì 9 Marzo 2011, 1 ora di
sciopero in tutti i siti e
stabilimenti del Gruppo Fincantieri, con modalità da definirsi a livello
locale.
FIM FIOM UILM Nazionali
Roma, 8 Marzo 2011.
pc quotidiano - speciale 8 marzo - il corteo delle donne proletarie a palermo “Siamo solo una goccia nel mare. Ma il mare è fatto di gocce”
Precarie delle Coop Sociali, lavoratrici della scuola precarie e non, lavoratrici comunali, precarie postali, disoccupate, studentesse siamo scese in corteo a Palermo nella mattina di questa giornata di lotta dell’8 marzo.
Dietro un grande striscione con su scritto “ 8 Marzo: per uno Sciopero totale delle donne contro governo, padroni, stato…” abbiamo inizialmente sfilato attraverso alcuni quartieri popolari portando con tanta determinazione e grinta un forte messaggio di lotta alle donne “normali”, quelle “ di tutti i giorni”.
Ad alcune giornaliste che sono venute al concentramento e che ci hanno chiesto incuriosite “ma come mai sfilerete in questi quartieri popolari e non nelle piazze ufficiali che solitamente si scelgono per le manifestazioni?” abbiamo risposto che noi siamo parte della maggioranza di donne proletarie, lavoratrici, precarie, disoccupate, casalinghe, studentesse, immigrate… che vivono in tante in questi quartieri, quelle donne i cui bisogni e necessità nei loro “bei discorsi” le tante parlamentari non ricordano mai tranne quando strumentalmente se ne servono per i loro scopi elettorali o contro cui le tante sindacaliste dei sindacati ufficiali sono complici degli attacchi che governo, padroni, stato… scagliano non solo in termini lavorativi ma anche in termini di vita vera e propria.
E la risposta dalle donne è arrivata incoraggiandoci nella protesta, tante donne si sono affacciate dai balconi e ci hanno salutato, diverse commesse sono uscite dai negozi e hanno solidarizzato prendendo volentieri il volantino/mozione/appello promosso dal Mfpr per la costruzione dello sciopero delle donne che contemporaneamente veniva letto e spiegato al microfono “uno sciopero al femminile, costruito dalle lavoratrici, da tutte le donne, operaie, precarie, disoccupate, immigrate, studentesse., uno sciopero su una piattaforma, parole d'ordine che esprimano l'insieme della nostra condizione di doppio sfruttamento e oppressione, uno sciopero per imporre sui posti di lavoro, nelle piazze, nelle scuole, il punto di vista delle donne, la doppia determinazione delle donne…” “Tutta la nostra vita deve cambiare!”
Arrivate dinanzi al mercato popolare del “Capo” dove ci siamo fermate per un po’ bloccando la strada antistante, donne e anche uomini che facevano la spesa sono venuti verso di noi applaudendo e unendosi alla denuncia contro il governo con le sue politiche antiproletarie e antipolari che per le donne si traducono in doppio attacco, non ultimo il recentissimo provvedimento di legge che il ministro Sacconi ha iniziato a discutere con i sindacati confederali, compreso la Cgil, sulla cosiddetta conciliazione per le donne dei tempi di lavoro con i tempi per la famiglia, che dietro l’ipocrita intenzione di “aiutare” le donne, in realtà non è altro che l’ennesima manovra a favore dei padroni per sfruttarle maggiormente sul lavoro al ribasso e contro le donne che di fatto si vorrebbero ricacciare a casa, da usare sempre di più come ammortizzatore sociale al posto dei servizi sociali che dovrebbe garantire lo Stato, donne da attaccare anche sul piano ideologico riportandole indietro in un moderno medioevo.
Un altro momento forte nel corteo si è avuto quando siamo passate davanti il tribunale dove sono stati denunciati i tanti episodi di violenza sessuale che nel nostro paese sono in continuo aumento contro le donne, le sentenze vergognose dei giudici che in diversi casi hanno assolto gli stupratori e i violentatori, vedi il grave caso dell’assoluzione dell’ispettore di polizia che aveva tentato di violentare Joy, una donna immigrata rinchiusa in un CIE che con grande coraggio insieme ad altre compagne si è ribellata ad una situazione di oppressione che per le donne migranti significa anche violenza per non parlare dell’ultimo caso di violenza sessuale in una caserma da parte di alcuni carabinieri e un vigile in servizio contro una donna arrestata: “Poliziotti e carabinieri non stuprano solo nei Cie ma anche nelle caserme”, “Vergogna! Vergogna!” , “Per ogni donna stuprata e offesa siamo tutte parte lesa!” “ contro la violenza dello Stato di polizia scateniamo la nostra doppia ribellione e lotta!” .
Ma è stato anche denunciato con forza come la violenza sulle donne in questo paese parte dall’alto, il governo Berlusconi in questo senso rappresenta la sintesi più marcia dell’uso/abuso del potere politico per usare/abusare del corpo delle donne diffondendo a livello di massa un humus maschilista, sessista, fascista che inevitabilmente si trasforma in violenza crescente contro le donne, “dal 13 febbraio, all’8 marzo e oltre… lottiamo per cacciare via Berlusconi e tutto il governo…!”
Lungo il corteo abbiamo anche salutato le tante e altre iniziative di lotta messe in campo oggi in diverse città da quella del Coordinamento donne di Trieste al presidio delle compagne, lavoratrici, disoccupate di Taranto a Melfi con le operaie della Fiat Sata, da Milano, a Ravenna, Perugia, Roma… ma un messaggio di solidarietà è stato lanciato anche alle tante donne che stanno lottando in prima linea nel mondo dalle rivolte popolari della Libia, Egitto, Tunisia, Algeria…, alle guerre popolari in India, Perù… contro un sistema sociale da trasformare totalmente.
Il corteo si è concluso alla prefettura dove una folta delegazione di donne e studentesse ha incontrato il prefetto cui sono state portate tutte le rivendicazioni della protesta.
Il corteo è stato sostenuto anche dalla presenza di lavoratori e precari che hanno condiviso la necessità e le ragioni della lotta.
8 marzo 2011
Lavoratrici/precarie/disoccupate Slai Cobas per il sindacato di classe
Donne del movimento femminista proletario rivoluzionario
dal 13 febbraio all' 8 marzo... e oltre
PER UNO SCIOPERO TOTALE DELLE DONNE
da ogni posto di lavoro,scuola, quartiere, casa…
CORTEO MATTUTINO A PALERMO MARTEDI' 8 MARZO
da Piazza principe di Camporeale partenza ore 11,00 - attraverso alcuni quartieri popolari della città - fino alla Prefettura
Siamo lavoratrici precarie delle Cooperative Sociali - Assistenti igienico personale ai ragazzi disabili nelle scuole superiori- sfruttate da anni e spesso anche discriminate dai padroncini coop per il fatto di essere donne, oggi a serio rischio posto di lavoro (a partire da giugno 2011)
Siamo lavoratrici della Scuola colpite maggiormente dai tagli massicci sferrati alla scuola pubblica dalla riforma Gelmini del governo che ha causato veri e propri licenziamenti di massa
Siamo donne disoccupate che doppiamente hanno difficoltà a trovare un lavoro in un paese, per non parlare della regione in cui viviamo, dove le prime ad essere licenziate, ad essere messe in cassa integrazione, ad essere sempre più precarizzate e ricattate, a pagare la crisi, sono appunto le donne
Siamo donne, quelle "di tutti i giorni" che Martedì 8 marzo saranno ancora in lotta e certamente scenderemo ancora in piazza dicendo a gran voce CONTRO! perchè oggi per noi donne, lavoratrici, precarie, disoccupate, studentesse...la questione principale è scatenare la nostra ribellione contro tutti gli attacchi alle nostre condizioni di lavoro e di vita, è costruire e organizzare una forte risposta di lotta a quello che è un attacco complessivo alle nostre vite, uno "sciopero totale delle donne" prendendo ancora e ancora... la lotta nelle nostre mani
TUTTA LA NOSTRA VITA DEVE CAMBIARE!
Invitiamo tutte le donne, lavoratrici, precarie, disoccupate, casalinghe, giovani, immigrate... a partecipare
COSTRUIAMO LO SCIOPERO DELLE DONNE
PER QUESTO INIZIEREMO A DIFFONDERE ANCHE NELLA NOSTRA CITTA' A PARTIRE DALL'8 MARZO UNA MOZIONE/PETIZIONE CHE ALLEGHIAMO IN QUESTA E MAIL PER INVITARE LE DONNE LAVORATRICI, PRECARIE, DISOCCUPATE, GIOVANI, IMMIGRATE AD ADERIRE
LAVORATRICI/PRECARIE/DISOCCUPATE Slai Cobas per il sindacato di classe cobas_slai_palermo@libero.it
Donne del movimento femminista proletario rivoluzionario - mfprpa@libero.it
340/8429376
“Siamo solo una goccia nel mare. Ma il mare è fatto di gocce” ha detto qualcuna di loro. Donne di tutte le età sono scese per strada, questa mattina a Palermo, donne che questa festa hanno voluto trasformarla in un’opportunità, di sciopero e di protesta. Poche decine, tra loro anche uomini, ma che non hanno intenzione di rassegnarsi. Lavoratrici delle cooperative sociali, precarie della scuola, disoccupate che vogliono difendere il loro “posto di lavoro” e la loro “dignità”.
Le assistenti igienico-sanitarie, dipendenti di cooperative sociali, che assistono gli alunni disabili nelle scuole della provincia, come la Nido d’Argento, Azione Sociale, MediCare, dopo aver visto il loro contratto passare a tempo determinato, non sanno se l’appalto verrà loro rinnovato l’anno prossimo: “I problemi sono sia relativi ai fondi – spiega Stefania Costa, 37 anni – che alle modifiche che la Provincia, modifiche che neanche noi abbiamo ben capito. Le voci che girano sono quelle di un albo che introdurrebbe anche nuove figure professionali, altri lavoratori” e l’incertezza per la loro posizione dopo 12 anni e mezzo di lavoro: “Ci hanno tirato la terra sotto i piedi” protesta Stefania. Alcune di loro sono divorziate, pagano affitti, mantengono figli.”Mio marito è disabile e non lavora, ma sembra che di persone come lui lo Stato non se ne prenda cura. Noi dobbiamo pagare anche un affitto, mia figlia è all’università” spiega Francesca Armetta, 55 anni, anche lei assistente igienico sanitaria. ”Stiamo puzzando di fame” ha detto Epifania Ippolito, 55 anni, che ancora non riesce a percepire il Tfr dalla cooperativa che ha lasciato qualche tempo fa.
Ma c’è chi il lavoro non lo ha mai avuto, e nonostante le qualificazioni, si trova costretta a vivere con i genitori senza potersi permettere una famiglia: “Nel ‘92 ho preso un attestato come assistente socio-sanitaria al Policlinico, ma non ho mai lavorato. Ho lottato per sette anni si seguito per il posto che mi spettava. Abbiamo ottenuto un’ulteriore qualifica, ma ancora niente, così abbiamo occupato anche la Regione. Su 500, in 320 sono riusciti a entrare”. Lei, Enza Librè, 42 anni, no, ma dice di continuare a sperare: “Abbiamo fatto causa all’assessorato al Lavoro e alla Sanità, perché secondo noi non ci sono state assunzioni regolari. Se pagavamo anche noi – chiosa – entravamo tutti”.
Anche poche giovanissime, come Sabrina, 18 anni, studentessa di Ragioneria, hanno preso parte al corteo: “Penso anche al mio futuro e so che è necessario manifestare tutti insieme”. Spiega di vivere sulla propria pelle l’esperienza della sorella maggiore: “Precaria, molto spesso licenziata, anche con orari estenuanti: diritti zero”.
E ancora, chi uno stipendio ce l’ha ma si sente “umiliata”, perchè non lavora. Regina Milone ha 55 anni ed è un assistente tecnico ex-enti locali: “Eravamo collaboratori scolastici sotto il Comune. Abbiamo fatto un concorso per passare ad assistente tecnico di quarto livello, ma nel 2000 siamo passati allo Stato in terzo livello. Abbiamo fatto causa e siamo nuovamente passati al quarto”. Risultato? “Adesso siamo a scuola senza fare niente, prendiamo stipendio senza lavorare!”. È un crescendo la sua rabbia fino a queste ultime parole. La rabbia di ”persone fantasma” che si sentono “umiliate” e “non apprezzate”. Lei dovrebbe aiutare nella gestione di laboratori, come quelli informatici, ma non ha le qualifiche. ”Lo sanno tutti che nel 2000 Orlando ha voluto trasferirci allo Stato per poter inserire gli Lsu” continua la signora prima di scusarsi per lo sfogo, aggiungendo che ”siamo in molti, ma non hanno più la forza, sono depressi e amareggiati”.
E ancora a scuola, donne che dopo gli ultimi tagli non sanno se il prossimo anno avranno un lavoro. Caterina Lo Iacono da 11 anni ha incarichi annuali nelle segreterie, ma da quest’anno dice di essere nel “buio più totale”: “Dopo i tagli a scuola le segreterie hanno un peso di lavoro eccessivo. Io ho cinquantadue anni, sono vedova e non so se l’anno prossimo sarò richiamata. E come me molti altri”.
Infine le lavoratrici delle Poste Italiane che hanno lavorato solo tre mesi nel 2000 e che da allora chiedono “il posto di lavoro cui abbiamo diritto da contratto”. Qualcuna accanto al marito, è venuta anche solo per esprimere la propria solidarietà: “Ci tenevo che anche lui fosse presente. Io sono a tempo indeterminato, ma vedo a scuola questi ragazzi che vivono doppiamente questo disagio: da una parte la consapevolezza che non ci sarà futuro anche con i meriti, e dall’altra quella delle famiglie, dei loro genitori precari”, spiega Antonella Milici in coda ad un corteo che lei vede “una goccia nell’acqua, in un mare che però è fatto da gocce”.
Il corteo, partito da Piazza Principe di Camporeale si è concluso alla Prefettura: “Chiederemo al prefetto di aprire un tavolo – afferma Donatella Anello, rappresentante sindacale Slai Cobas – con Provincia e Regione per le precarie delle cooperative, con il Provveditorato per le precarie della scuola e chiederemo alla Regione di istituire un fondo sociale minimo esistenziale per le disoccupate”.
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martedì 8 marzo 2011
pc quotidiano - speciale 8 marzo - POCHE MELE MARCE?.. LA VIOLENZA SULLE DONNE E’ UNA COSTANTE TRALE FORZE DEL DISORDINE
Nella giornata dell’8 marzo quasi come un
improvviso temporale vengono giù un diluvio di fatti di cronaca che
quanto avvenuto alla caserma di Roma non è l’eccezione ma la regola.
Sul portale della sicurezza GrNet.it emerge la denuncia, alla
Magistratura Ordinaria e a quella Militare, di una volontaria dell’
esercito, impegnata in missioni all’estero, nei confronti di tre
superiori (due ufficiali e un sottoufficiale) per essere stata oggetto
di “numerosi atti di molestie sessuali”. Tra i tre denunciati vi è una
donna (sembra di rivedere le scene di Abu Ghraib) che voleva
coinvolgere la volontaria in un rapporto di gruppo con altri
“missionari” stranieri. Al suo rifiuto la volontaria sarebbe stata
mobbizzata, facendo leva sul fatto che è di religione musulmana, come
denunciato dal suo avvocato – Giorgio Carta -, sarebbe stata
“comandata” a partecipare a funzioni religiose cattoliche. Lo stesso
avvocato afferma che il caso della volontaria non è isolato e che
questo è il terzo caso di cui è a conoscenza, e che l’atteggiamento dei
superiori a cui sono stati denunciati i fattacci almeno in due casi “ha
consigliato” a “lasciar perdere e non denunciare l’accaduto” col
ricatto di non stabilizzare il rapporto di lavoro.
Contemporaneamente a
Milano il Procuratore Aggiunto – Piero Forno (uno degli inquirenti del
“caso” Ruby)- convalida l’arresto di un maresciallo dell’esercito di 45
anni, che attraverso Facebook ha cercato di avere rapporti sessuali con
la figlia minorenne di un conoscente.
Nei CIE, nelle caserme GLI
“UOMINI” IN DIVISA - CHE ODIANO LE DONNE – STUPRANO
NON LASCIAMOLI IN
PACE, COME A ROMA ASSEDIAMO QUESTI COVI DI VIOLENZA
improvviso temporale vengono giù un diluvio di fatti di cronaca che
quanto avvenuto alla caserma di Roma non è l’eccezione ma la regola.
Sul portale della sicurezza GrNet.it emerge la denuncia, alla
Magistratura Ordinaria e a quella Militare, di una volontaria dell’
esercito, impegnata in missioni all’estero, nei confronti di tre
superiori (due ufficiali e un sottoufficiale) per essere stata oggetto
di “numerosi atti di molestie sessuali”. Tra i tre denunciati vi è una
donna (sembra di rivedere le scene di Abu Ghraib) che voleva
coinvolgere la volontaria in un rapporto di gruppo con altri
“missionari” stranieri. Al suo rifiuto la volontaria sarebbe stata
mobbizzata, facendo leva sul fatto che è di religione musulmana, come
denunciato dal suo avvocato – Giorgio Carta -, sarebbe stata
“comandata” a partecipare a funzioni religiose cattoliche. Lo stesso
avvocato afferma che il caso della volontaria non è isolato e che
questo è il terzo caso di cui è a conoscenza, e che l’atteggiamento dei
superiori a cui sono stati denunciati i fattacci almeno in due casi “ha
consigliato” a “lasciar perdere e non denunciare l’accaduto” col
ricatto di non stabilizzare il rapporto di lavoro.
Contemporaneamente a
Milano il Procuratore Aggiunto – Piero Forno (uno degli inquirenti del
“caso” Ruby)- convalida l’arresto di un maresciallo dell’esercito di 45
anni, che attraverso Facebook ha cercato di avere rapporti sessuali con
la figlia minorenne di un conoscente.
Nei CIE, nelle caserme GLI
“UOMINI” IN DIVISA - CHE ODIANO LE DONNE – STUPRANO
NON LASCIAMOLI IN
PACE, COME A ROMA ASSEDIAMO QUESTI COVI DI VIOLENZA
pc quotidiano - speciale 8 marzo - in piazza a trieste
8 MARZO IN PIAZZA
SE NON ORA QUANDO ? ADESSO!
Presidio Alle ore 17 in Piazza S. Antonio a Trieste
Dopo la gioiosa irruzione di centinaia di migliaia di donne nelle piazze di tutta Italia, diamo ancora più valore all'8 marzo, giornata nata più di un secolo fa per onorare le lavoratrici di tutto il mondo, diventata nel tempo festa delle donne.
Il 13 febbraio abbiamo affermato che la libertà, la dignità e la vita delle donne sono il presente e il futuro del paese.
Facciamo che l'8 marzo sia il giorno di tutte le donne: delle donne che lavorano stabilmente fuori e dentro casa, di quelle che cercano lavoro e non lo trovano, delle lavoratrici costrette al lavoro nero, delle licenziate, delle precarie, delle tante che hanno lasciato lontano le loro famiglie per occuparsi delle nostre, e delle donne ridotte in schiavitù.
Vogliamo servizi adeguati per le donne che lavorano, dalla tutela della maternità agli asili nido
Vogliamo che sia salvaguardata la salute della donna, con il rilancio dei consultori e della medicina pubblica
Vogliamo norme appropriate per le pari opportunità e che impediscano il licenziamento “preventivo” : niente più dimissioni in bianco.
Vogliamo le donne rappresentate, 50 e 50 ovunque si decide.
Vogliamo dire no alla violenza maschile, fisica e psicologica
Coordinamento Donne Trieste
SE NON ORA QUANDO ? ADESSO!
Presidio Alle ore 17 in Piazza S. Antonio a Trieste
Dopo la gioiosa irruzione di centinaia di migliaia di donne nelle piazze di tutta Italia, diamo ancora più valore all'8 marzo, giornata nata più di un secolo fa per onorare le lavoratrici di tutto il mondo, diventata nel tempo festa delle donne.
Il 13 febbraio abbiamo affermato che la libertà, la dignità e la vita delle donne sono il presente e il futuro del paese.
Facciamo che l'8 marzo sia il giorno di tutte le donne: delle donne che lavorano stabilmente fuori e dentro casa, di quelle che cercano lavoro e non lo trovano, delle lavoratrici costrette al lavoro nero, delle licenziate, delle precarie, delle tante che hanno lasciato lontano le loro famiglie per occuparsi delle nostre, e delle donne ridotte in schiavitù.
Vogliamo servizi adeguati per le donne che lavorano, dalla tutela della maternità agli asili nido
Vogliamo che sia salvaguardata la salute della donna, con il rilancio dei consultori e della medicina pubblica
Vogliamo norme appropriate per le pari opportunità e che impediscano il licenziamento “preventivo” : niente più dimissioni in bianco.
Vogliamo le donne rappresentate, 50 e 50 ovunque si decide.
Vogliamo dire no alla violenza maschile, fisica e psicologica
Coordinamento Donne Trieste
pc quotidiano - speciale 8 marzo - giornata di mobilitazione a Perugia
Per un'intera giornata di mobilitazione
Ore 10 Corso Vannucci
riprendiamoci ancora la città!
martedì 8 marzo presso Piazza della Reppublica dalle ore 16:00 alle ore 18:00
Ormai meno di una donna su due lavora, decine di migliaia sono le donne che hanno subito mobbing e molestie sessuali per ottenere e mantenere il posto lavoro, mentre dentro le mura domestiche, nell’ambito delle relazioni familiari e intime, assistiamo ad una crescita accelerata del fenomeno del femminicidio che rimanda ad una visione complessiva del fenomeno della violenza maschile sulle donne.
E’ poi evidente come la privatizzazione dei beni comuni, i tagli alla spesa sociale e la precarizzazione del lavoro siano attacchi diretti alla libertà e all’autonomia delle donne, perché è a loro per prime che si chiede di fare – gratuitamente, invisibilmente – da ammortizzatrici sociali per servizi di cura interni alla famiglia di cui il welfare non si fa più carico.
La continua mercificazione si somma agli interventi etici sui nostri corpi, dispiegando un orizzonte simbolico e normativo volti a riprodurre e a rafforzare tutti quegli sterotipi – vero movente dei femminicidi- che considerano le donne come naturalmente ancorate al ruolo di madre, moglie, curatrice della famiglia,oggetto riproduttivo e oggetto sessuale. Abbiamo dunque deciso discendere in piazza ciascuna/o con la propria soggettività, con i propri saperi e percorsi esperienziali: c’è chi proporrà performance, chi letture ad alta voce, e chi con cartelloni e striscioni richiamerà l’attenzione relativamente alle condizioni che pesano sulle nostre esistenze.
Ci riprenderemo ancora una volta il centro storico perché una città sicura è una città vissuta , rispondente ai bisogni e ai desideri di chi la vive; una città sicura è spazio comune,condiviso e dunque un luogo di socialità e di aggregazione.
Respingiamo con forza ogni attacco alla nostra autodeterminazione e pretendiamo libertà di scelta, servizi sociali, reddito e diritti!
Ore 10 Corso Vannucci
riprendiamoci ancora la città!
martedì 8 marzo presso Piazza della Reppublica dalle ore 16:00 alle ore 18:00
Ormai meno di una donna su due lavora, decine di migliaia sono le donne che hanno subito mobbing e molestie sessuali per ottenere e mantenere il posto lavoro, mentre dentro le mura domestiche, nell’ambito delle relazioni familiari e intime, assistiamo ad una crescita accelerata del fenomeno del femminicidio che rimanda ad una visione complessiva del fenomeno della violenza maschile sulle donne.
E’ poi evidente come la privatizzazione dei beni comuni, i tagli alla spesa sociale e la precarizzazione del lavoro siano attacchi diretti alla libertà e all’autonomia delle donne, perché è a loro per prime che si chiede di fare – gratuitamente, invisibilmente – da ammortizzatrici sociali per servizi di cura interni alla famiglia di cui il welfare non si fa più carico.
La continua mercificazione si somma agli interventi etici sui nostri corpi, dispiegando un orizzonte simbolico e normativo volti a riprodurre e a rafforzare tutti quegli sterotipi – vero movente dei femminicidi- che considerano le donne come naturalmente ancorate al ruolo di madre, moglie, curatrice della famiglia,oggetto riproduttivo e oggetto sessuale. Abbiamo dunque deciso discendere in piazza ciascuna/o con la propria soggettività, con i propri saperi e percorsi esperienziali: c’è chi proporrà performance, chi letture ad alta voce, e chi con cartelloni e striscioni richiamerà l’attenzione relativamente alle condizioni che pesano sulle nostre esistenze.
Ci riprenderemo ancora una volta il centro storico perché una città sicura è una città vissuta , rispondente ai bisogni e ai desideri di chi la vive; una città sicura è spazio comune,condiviso e dunque un luogo di socialità e di aggregazione.
Respingiamo con forza ogni attacco alla nostra autodeterminazione e pretendiamo libertà di scelta, servizi sociali, reddito e diritti!
pc quotidiano - speciale 8 marzo - a Mantova
8 marzo 2011 ore 16 Piazza Mantegna MANTOVA
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Si ripete la tradizionale “festa della donna” ormai ridotta a tripudio di mimose, cene e ipocrisia.
Nulla di più distante dallo spirito con cui Rosa Luxemburg, l’aquila del proletariato mondiale, propose, in ricordo del tragico incendio in cui perirono 129 operaie, la data dell’8 marzo come giornata di lotta internazionale della donna.
Dopo il 13 febbraio ci sembra fondamentale ribadire la nostra presenza nelle piazze contro la precarietà che condiziona sempre di più le nostre esistenze, contro un sistema politico-culturale maschile e spesso maschilista, contro la strumentalizzazione delle donne e dei nostri corpi, per la libertà di scelta e l’autodeterminazione.
Per questo ci chiediamo cosa ci sia da festeggiare, per questo ci rispondiamo che non c’è nulla da festeggiare l’8 marzo,
MA SERVE LOTTARE PER I NOSTRI DIRITTI.
Ci rivolgiamo a collettivi, gruppi, associazioni, organizzazioni politiche e sindacali, singole e singoli che condividano le queste tematiche e che le vogliano arricchirle con ulteriori contributi,
per un 8 marzo di lotta:
- contro la riproposizione moralistica dei ruoli patriarcali e del familismo,
- contro la mortificazione del corpo femminile, per la libertà sessuale e per il diritto all’autodeterminazione,
- per denunciare le politiche sessiste dello stato, della chiesa, di questo e di altri governi,
- per denunciare la cultura della gerarchia, della violenza, del dominio maschile sul corpo femminile,
- per denunciare qualsiasi strumentalizzazione politica delle donne (come è stata la recente campagna antiberlusconi usando il corpo delle donne solo per motivazioni strumentali ma non per riproporre una vera stagioni di diritti, garanzie, miglioramenti della qualità della vita di tutte le donne, ma anche recente campagna razzista sugli stupri "fatti" commettere da stranieri, precedentemente l’approvazione del pacchetto sicurezza e della sua applicazione in città governate da giunte di tutti i colori)
- contro la politica di tagli sulle spese sociali, ai servizi, ai consultori pubblici, ai centri antiovelenza che inchioda e le donne ai ruoli tradizionali, ai doppi ruoli lavoratrice dipendente e obbligata ai lavori di cura verso i familiari fragili non più sostenuti da una rete dis ervizi pubblici in corso di smantellamento sia a licello cnetrale che amministrativo,
- contro l’imposizione della crisi e della precarietà che viene scaricata sui settori sociali più deboli, limitando ulteriormente la loro autonomia,
- contro le leggi etiche, i continui attacchi alla 194, contro la legge sull'affido condiviso che ha impsoto, col voto di tutti i parlamentari, alle donne di divenire soggetti di ricatto e ostaggio di mariti violenti, facendo compiere al diritto di famiglia un balzo indietro di 50 anni, contro la legge Bossi/Fini che impone quei CPT, inaugurati dalla allora Legge Turco / Napolitano e sempre mantenuti nonostante l'altenarsi di govenri di destra a governi di centro sinistra, nonostante si tratti di veri e propri lager dove brilla la completa assenza del diritti e della garanzie connesse al rispetto dei diritti umani
Collettivo Femminista ColpoDiStreghe
Mantova
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Si ripete la tradizionale “festa della donna” ormai ridotta a tripudio di mimose, cene e ipocrisia.
Nulla di più distante dallo spirito con cui Rosa Luxemburg, l’aquila del proletariato mondiale, propose, in ricordo del tragico incendio in cui perirono 129 operaie, la data dell’8 marzo come giornata di lotta internazionale della donna.
Dopo il 13 febbraio ci sembra fondamentale ribadire la nostra presenza nelle piazze contro la precarietà che condiziona sempre di più le nostre esistenze, contro un sistema politico-culturale maschile e spesso maschilista, contro la strumentalizzazione delle donne e dei nostri corpi, per la libertà di scelta e l’autodeterminazione.
Per questo ci chiediamo cosa ci sia da festeggiare, per questo ci rispondiamo che non c’è nulla da festeggiare l’8 marzo,
MA SERVE LOTTARE PER I NOSTRI DIRITTI.
Ci rivolgiamo a collettivi, gruppi, associazioni, organizzazioni politiche e sindacali, singole e singoli che condividano le queste tematiche e che le vogliano arricchirle con ulteriori contributi,
per un 8 marzo di lotta:
- contro la riproposizione moralistica dei ruoli patriarcali e del familismo,
- contro la mortificazione del corpo femminile, per la libertà sessuale e per il diritto all’autodeterminazione,
- per denunciare le politiche sessiste dello stato, della chiesa, di questo e di altri governi,
- per denunciare la cultura della gerarchia, della violenza, del dominio maschile sul corpo femminile,
- per denunciare qualsiasi strumentalizzazione politica delle donne (come è stata la recente campagna antiberlusconi usando il corpo delle donne solo per motivazioni strumentali ma non per riproporre una vera stagioni di diritti, garanzie, miglioramenti della qualità della vita di tutte le donne, ma anche recente campagna razzista sugli stupri "fatti" commettere da stranieri, precedentemente l’approvazione del pacchetto sicurezza e della sua applicazione in città governate da giunte di tutti i colori)
- contro la politica di tagli sulle spese sociali, ai servizi, ai consultori pubblici, ai centri antiovelenza che inchioda e le donne ai ruoli tradizionali, ai doppi ruoli lavoratrice dipendente e obbligata ai lavori di cura verso i familiari fragili non più sostenuti da una rete dis ervizi pubblici in corso di smantellamento sia a licello cnetrale che amministrativo,
- contro l’imposizione della crisi e della precarietà che viene scaricata sui settori sociali più deboli, limitando ulteriormente la loro autonomia,
- contro le leggi etiche, i continui attacchi alla 194, contro la legge sull'affido condiviso che ha impsoto, col voto di tutti i parlamentari, alle donne di divenire soggetti di ricatto e ostaggio di mariti violenti, facendo compiere al diritto di famiglia un balzo indietro di 50 anni, contro la legge Bossi/Fini che impone quei CPT, inaugurati dalla allora Legge Turco / Napolitano e sempre mantenuti nonostante l'altenarsi di govenri di destra a governi di centro sinistra, nonostante si tratti di veri e propri lager dove brilla la completa assenza del diritti e della garanzie connesse al rispetto dei diritti umani
Collettivo Femminista ColpoDiStreghe
Mantova
pc quotidiano -speciale 8 marzo - la manifestazione a Torino
Il volantino distribuito in piazza a Torino in occasione della manifestazione .
Per un 8 marzo di lotta tutte in piazza
Martedì 8 marzo ore 17,30
P.zza CASTELLO (ang. Via Garibaldi)
Roma, quartiere Quadraro, notte tra il 23 e il 24 febbraio… S., 32 anni, è in stato di fermo in una caserma dei carabinieri: ha rubato due magliette in un grande magazzino, una figlia da mantenere, niente lavoro, niente soldi e nella mente il ricordo delle botte dell’uomo con cui aveva una relazione e da cui aveva avuto la forza di scappare, provando a ricominciare da capo in un’altra città, lontano.
È in una camera di sicurezza, sta dormendo.
Tre carabinieri e un vigile urbano le strappano la coperta di dosso, la portano in sala mensa, la trattengono a sedere, la costringono a bere e poi la violentano, su un tavolo: sono in quattro, altri guardano, qualcuno controlla.
S. denuncia la violenza subita e viene in seguito accompagnata al Policlinico Casilino.
I tre carabinieri coinvolti vengono in un primo momento trasferiti in reparti lontani da Roma, uno a Torino, uno a Cagliari, uno a Milano, e il vigile urbano destinato ad altro ufficio, ma, pochi giorni fa, sono stati sospesi per motivi disciplinari, in via precauzionale.
Questi i fatti.
Come da copione, orribile e purtroppo ripetuto, i tre militari e il vigile urbano hanno subito affermato che S. era consenziente, anzi, che l’unico rapporto sessuale sarebbe avvenuto in una situazione totalmente amichevole e per libera scelta…
Pretendono di farci credere che una giovane donna, in stato di fermo, in manette, a notte fonda, probabilmente spaventata, abbia potuto scegliere di aver rapporti sessuali su un tavolo.
Pretendono di farci credere che sia normale rientrare in caserma, anche se fuori servizio e solo per dormire, e abusare come un oggetto in propria totale disponibilità di un corpo di donna per concludere una serata di bevute.
Pretendono di farci credere che commettere una sola violenza sia meno grave che aver violentato una donna inerme in quattro.
Pretendono di farci credere che guardare i propri colleghi che stuprano sia meno rilevante che stuprare….
Una violenza compiuta indossando una divisa non la rende in sé più ignobile, ma la amplifica e in qualche modo la condiziona anche dopo che è avvenuta, dal momento che una divisa definisce un ruolo, che è ruolo di potere, determina l’appartenenza a un gruppo, che difende se stesso e i propri membri, e sempre più spesso autorizza e legittima violenze e impunità, dalla caserma di Roma al Cie di Milano in cui è stata stuprata Joy.
Un uomo in divisa che torna in caserma per la notte è esattamente come il marito che picchia tra le quattro mura di casa, il bravo ragazzo che stupra in un parcheggio, lo sconosciuto che aggredisce per strada: per tutti loro la donna è semplicemente una cosa da prendere, un oggetto a disposizione di cui si riconosce parola e volontà solo per poter poi dire “era consenziente”…
È sempre violenza maschile contro una donna, e, in questo caso, è anche violenza di Stato: lo Stato che vorrebbe garantire sicurezza militarizzando le città, lo Stato che va a caccia di migranti, rom, lavavetri, lo Stato che perseguita le prostitute, lo Stato che ammazza nelle sue carceri è lo stesso Stato che stupra S., Joy e tante altre di cui non sapremo nulla perché contro lo Stato, soprattutto se povera o migrante o ladra è difficile andare e questo quei quattro in divisa lo sanno benissimo.
Sta a noi dire no. A noi donne.
Oggi vogliamo lanciare un no forte anche contro il modo in cui la violenza maschile contro le donne viene presentata dai giornali e dalla televisione: la causa è sempre da ricercarsi nel dato estremo, particolare, colpevole e infatti o si tratta di un raptus di follia, o di gelosia, o di eccesso di passione o, come in questo caso secondo il ministro La Russa, di poche mele marce che vanno subito allontanate, ma si tace il fatto che la violenza maschile contro le donne è norma quotidiana, che non conosce differenze di territorio, nazionalità, classe sociale, età, appartenenza politica.
A scorrere i titoli di questi giorni c’è da rabbrividire, come ormai d’abitudine quando si tratta di stupro, perché una seconda violenza viene imposta con le parole a chi quella violenza ha subito sulla propria carne, come è accaduto a S. nella caserma dei carabinieri del Quadraro a Roma: S. è stata descritta prima come prostituta, poi come ladra, poi come fragile psichicamente e infine, quando proprio non si sapeva più che cosa scrivere, quasi a giustificare lo stupro e a creare una linea netta di demarcazione tra le donne vittime davvero e quelle che un po’ se la sono andata a cercare, come consenziente, ripetendo le parole di chi, di fatto e non per congettura, ha abusato di lei.
Vorremo dedicare questo 8 Marzo anche a S., una giornata che deve essere di mobilitazione e lotta, non perché una vicenda di violenza maschile contro una donna sia più grave o più odiosa di altre, ma proprio perché ogni volta, in qualsiasi forma e con qualsiasi abito, la riconosciamo come violenza contro ognuna di noi, non evento straordinario ma quotidianità contro cui, come donne, saremo sempre irriducibili e indomabili.
La nostra sicurezza è la nostra ribellione!
Promuovono:Assemblea per l'autodetermin-azione, Laboratorio Sguardi sui Generis, MeDeA, Collettivo femminista Rossefuoco, Csoa Gabrio, Csoa Askatasuna, Ksa, Cua, Col.Po, A.L.A.TO., Csa Murazzi, Sinistra Critica Torino
Per un 8 marzo di lotta tutte in piazza
Martedì 8 marzo ore 17,30
P.zza CASTELLO (ang. Via Garibaldi)
Roma, quartiere Quadraro, notte tra il 23 e il 24 febbraio… S., 32 anni, è in stato di fermo in una caserma dei carabinieri: ha rubato due magliette in un grande magazzino, una figlia da mantenere, niente lavoro, niente soldi e nella mente il ricordo delle botte dell’uomo con cui aveva una relazione e da cui aveva avuto la forza di scappare, provando a ricominciare da capo in un’altra città, lontano.
È in una camera di sicurezza, sta dormendo.
Tre carabinieri e un vigile urbano le strappano la coperta di dosso, la portano in sala mensa, la trattengono a sedere, la costringono a bere e poi la violentano, su un tavolo: sono in quattro, altri guardano, qualcuno controlla.
S. denuncia la violenza subita e viene in seguito accompagnata al Policlinico Casilino.
I tre carabinieri coinvolti vengono in un primo momento trasferiti in reparti lontani da Roma, uno a Torino, uno a Cagliari, uno a Milano, e il vigile urbano destinato ad altro ufficio, ma, pochi giorni fa, sono stati sospesi per motivi disciplinari, in via precauzionale.
Questi i fatti.
Come da copione, orribile e purtroppo ripetuto, i tre militari e il vigile urbano hanno subito affermato che S. era consenziente, anzi, che l’unico rapporto sessuale sarebbe avvenuto in una situazione totalmente amichevole e per libera scelta…
Pretendono di farci credere che una giovane donna, in stato di fermo, in manette, a notte fonda, probabilmente spaventata, abbia potuto scegliere di aver rapporti sessuali su un tavolo.
Pretendono di farci credere che sia normale rientrare in caserma, anche se fuori servizio e solo per dormire, e abusare come un oggetto in propria totale disponibilità di un corpo di donna per concludere una serata di bevute.
Pretendono di farci credere che commettere una sola violenza sia meno grave che aver violentato una donna inerme in quattro.
Pretendono di farci credere che guardare i propri colleghi che stuprano sia meno rilevante che stuprare….
Una violenza compiuta indossando una divisa non la rende in sé più ignobile, ma la amplifica e in qualche modo la condiziona anche dopo che è avvenuta, dal momento che una divisa definisce un ruolo, che è ruolo di potere, determina l’appartenenza a un gruppo, che difende se stesso e i propri membri, e sempre più spesso autorizza e legittima violenze e impunità, dalla caserma di Roma al Cie di Milano in cui è stata stuprata Joy.
Un uomo in divisa che torna in caserma per la notte è esattamente come il marito che picchia tra le quattro mura di casa, il bravo ragazzo che stupra in un parcheggio, lo sconosciuto che aggredisce per strada: per tutti loro la donna è semplicemente una cosa da prendere, un oggetto a disposizione di cui si riconosce parola e volontà solo per poter poi dire “era consenziente”…
È sempre violenza maschile contro una donna, e, in questo caso, è anche violenza di Stato: lo Stato che vorrebbe garantire sicurezza militarizzando le città, lo Stato che va a caccia di migranti, rom, lavavetri, lo Stato che perseguita le prostitute, lo Stato che ammazza nelle sue carceri è lo stesso Stato che stupra S., Joy e tante altre di cui non sapremo nulla perché contro lo Stato, soprattutto se povera o migrante o ladra è difficile andare e questo quei quattro in divisa lo sanno benissimo.
Sta a noi dire no. A noi donne.
Oggi vogliamo lanciare un no forte anche contro il modo in cui la violenza maschile contro le donne viene presentata dai giornali e dalla televisione: la causa è sempre da ricercarsi nel dato estremo, particolare, colpevole e infatti o si tratta di un raptus di follia, o di gelosia, o di eccesso di passione o, come in questo caso secondo il ministro La Russa, di poche mele marce che vanno subito allontanate, ma si tace il fatto che la violenza maschile contro le donne è norma quotidiana, che non conosce differenze di territorio, nazionalità, classe sociale, età, appartenenza politica.
A scorrere i titoli di questi giorni c’è da rabbrividire, come ormai d’abitudine quando si tratta di stupro, perché una seconda violenza viene imposta con le parole a chi quella violenza ha subito sulla propria carne, come è accaduto a S. nella caserma dei carabinieri del Quadraro a Roma: S. è stata descritta prima come prostituta, poi come ladra, poi come fragile psichicamente e infine, quando proprio non si sapeva più che cosa scrivere, quasi a giustificare lo stupro e a creare una linea netta di demarcazione tra le donne vittime davvero e quelle che un po’ se la sono andata a cercare, come consenziente, ripetendo le parole di chi, di fatto e non per congettura, ha abusato di lei.
Vorremo dedicare questo 8 Marzo anche a S., una giornata che deve essere di mobilitazione e lotta, non perché una vicenda di violenza maschile contro una donna sia più grave o più odiosa di altre, ma proprio perché ogni volta, in qualsiasi forma e con qualsiasi abito, la riconosciamo come violenza contro ognuna di noi, non evento straordinario ma quotidianità contro cui, come donne, saremo sempre irriducibili e indomabili.
La nostra sicurezza è la nostra ribellione!
Promuovono:Assemblea per l'autodetermin-azione, Laboratorio Sguardi sui Generis, MeDeA, Collettivo femminista Rossefuoco, Csoa Gabrio, Csoa Askatasuna, Ksa, Cua, Col.Po, A.L.A.TO., Csa Murazzi, Sinistra Critica Torino