martedì 11 gennaio 2011
pc quotidiano 11 gennaio - la rivolta di algeri e tunisi
dallo spagnolo, direttamente dai luoghi della rivolta - traduzione a breve
Zehira Houfani
Scendendo in piazza per manifestare violentemente contro i suoi oppressi, i giovani magrebini esprimono il loro risentimento contro governi e opposizioni.
Questo inizio 2011 restrerà segnato dal movimento delle rivolte popolari che sta scuotendo in Magreb. Rivolte della fame, le chiamano alcuni, ma sicuramente per la giustizia e la fine delle dittature e dei regimi mafiosi che governano questi paesi con la forza e la repressione. mentre a Tunisi i disordini durano da alcune settimane, in Algeria i quartieri popolari della capitale e delle grandi città si sono incendiati mercoledì 5 gennaio per l'esplosione di rabbia dei giovani alimentata da una quotidiana tra più assurde, di un paese che affonda sotto il peso di petrodollari, di cui però da decenni si appropriano solo i despoti al potere.
Si calcola che oltre il 70% della popolazione algerina sia formata da giovani cui le politiche non danno nulla né su occupano seriamente dei milioni di giovani abbandonati al loro destino senza speranze. Sono condannati a una disoccupazione endemica, alla tossicodipendenza, alla prostituzione, all'ingiustizia e ai tentativi disperati di emigrare clandestinamente, spesso suicida, all'indigenza e al desolidarizzato vuoto culturale e politico di un paese che ha perso senso comune e sale della vita asfissiato dalle leggi dello stato di emergenza, distrutto dalla corruzione dei governanti e sottomesso all'ignoranza e al suo più fedele compagni: l'intolleranza.
Scendendo in piazza per manifestare violentemente contro i loro oppressori i giovani magrebini si propongono al mondo come testimoni della loro disperazione, ma indicano anche il loro risentimento contro le élite al potere o all'opposizione. Questo è ancor più vero in Algeria, dove i giovani si sentono lasciati al loro destino dalle generazioni precedenti, l'Algeria della rivoluzione, che fu gloria del paese, e dell'indipendenza, che mai seppe assumere il ruolo che le era proprio, cioè realizzare lo Stato di diritto, obiettivo ultimo della rivoluzione algerina.
Dalla violazione della costituzione da parte del presidente Buteflika per assicurarsi il terzo mandato, nonostante i due precedenti fossero stati i peggiori sia per il paese, consegnato ai diktat dei mercati nazionale e internazionale spesso e senza scrupoli, sia per il popolo che subisce condizioni di vita spaventose e lotta duramente per sopravvivere mentre è oltraggiato dal lusso indecente esibito apertamente da chi detiene il potere, la situazione è andata ancora peggiorando negli anni. si deve oggi constatare che, per continuato a umiliare e disprezzare il popolo, reprimendo le libertà di espressione, proibendo ogni apertura nel campo politico e dell'informazione, garantendo l'impunità dei grandi criminali e corrotti noti all'opinione pubblica e denunciati per ripetute prevaricazioni e tradimento, il regime di Buteflika è il responsabile di ogni tragedia che minaccia l'Algeria.
Il presidente ha tradito tutte le sue promesse elettorali, ha mentito agli algerini e, ancora peggio, ha dato nuovo corso al malgoverno circondendosi di 13 o 14 ministri provenienti dal suo stesso villaggio, riportando in voga il potere dei clan invece di moralizzare i costumi politici iniziando e realizzando il buon governo, preludio dello stato di diritto che aveva promesso. l'unico impegno che sembra importare al presidente, insieme alla megalomania e vanità che caratterizzano i leader arabi, l'impegno che mantenuto fin dalla salita al potere, è quello di pompare più petrolio affinché il bottino da spartire tra il suo clan e i militari sia sempre più grosso e garante di una clientela totalmente votata alla sua presidenza. Una clientela che ha scelto di vivere lontano da dalla miseria, in fortezze signorili, cittadelle inaccessibili con verdi parchi e piazze pubbliche privatizzate per decreto, sottraendole al patrimonio pubblico. Con denaro pubblico hanno edificato piccoli paradisi riservati ai più fortunati tra i milionari. Diversamente dai ricconi occidentali, che spesso hanno tribolato per costruire le loro fortune, ai dittatori, e tra questi i dirigenti algerini, basta ricorrere al patrimonio pubblico dei loro paesi per saziare ogni desiderio. una situazione che il popolo algerino non può più sopportare, rivendica la dignità umana che il potere totalitario gli ha confiscato, privandolo del minimo per vivere decentemente, il sapere, una distribuzione perequativa delle risorse nazionali, il diritto a un lavoro giustamente retribuito, un tetto per formare una famiglia e, ovviamente, la libertà di pensare e svilupparsi serenamente. Tali rivendicazioni non si conciliano con una dittatura ma anzi esigono l'instaurazione di uno Stato di diritto.
E' questo l'inizio della fine delle dittature nel Magreb? La palla è nel campo delle élite e del politici onesti di questi paesi, che devono non solo assumere le rivendicazioni dei loro popoli ma anche far sì che esse siano ascoltate non solo nelle tribune locali ma anche sulla scena internazionale, in modo da mostrare le responsabilità grandi potenze che appoggiano le dittature, disprezzando tanti popoli del pianeta. Non può ancora continuare la negazione dei diritti umani , né nel Magreb, né in Africa, né in America Latina. I governi hanno stretto accordi per promuovere, perfino imporre la globalizzazione dei mercati e oggi, 2011, i popoli si sollevano per la globalizzazione della democrazia.
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