Ogni anno, da 31 anni a questa parte il 19 luglio
ci sono iniziative a Palermo che ricordano la strage di via D’Amelio. In quella
data, nel '92 una Fiat 126 imbottita con 90 chili di tritolo, saltò in aria
subito dopo l'arrivo delle macchine del giudice Borsellino e della sua scorta
sotto il palazzo in cui abitava la madre e dove guarda caso, non era stata
istituita la zona rimozione. Si tratta di una strage che dopo 31 anni viene
ancora definita piena di misteri, nel senso che non si sono trovati, non ci
sono gli autori materiali, ma i mandanti, e tra i mandanti Riina e Messina
Denaro, ma non i mandanti politici. Non ci sono i nomi dei servizi segreti.
Il primo mistero è quello che riguarda la sparizione della
famosa agenda rossa, in cui Borsellino teneva gli appunti sulle sue indagini e
che, a detta da chi fa le indagini, è stata rubata da qualcuno estraneo alle
forze dell'ordine che si aggirava in via D'Amelio, dei servizi segreti appunto.
L'altro mistero è “il più grande depistaggio della storia italiana”, così è
stato definito, e cioè quello di scaricare su un piccolo mafiosetto di
quartiere, tutta la responsabilità dell'attentato. Tutto questo, naturalmente,
per coprire gli interessi congiunti di politici, servizi segreti, mafiosi... borghesia
in generale, che in tutto questo fa gli affari e si arricchisce.
Mafia e politica, quindi come la strage di Capaci del 23 maggio del '92 in cui morì il giudice Falcone. In quel caso però, sotto il tunnel dell'autostrada erano stati piazzati ben 500 chili di tritolo. Politica e mafia che si intrecciano, una di quelle verità che oramai viene gridata anche negli slogan. Per esempio, è stato riportato da un giornale che Salvatore Borsellino, il fratello, ha detto, ha gridato “fuori lo Stato dalla mafia”, facendo un po’ di ironia probabilmente; “noi combattiamo la mafia-Stato, la mafia dei colletti