Nelle prossime scadenze di lotta
abbiamo una cosa da non fare. Quella da non fare è esaltarle
come grandi lotte, numeri da gonfiare, “percorsi da sviluppare”.
Non è così. Sono forme di prima resistenza.
Il 26 novembre delle donne, è
una importante trincea d’avanguardia per il tipo di
governo che abbiamo, clerico-fascista, sessista e revanscista contro
diritti e conquiste delle donne, in primis il diritto d’aborto.
Che ci volesse una donna di matrice fascista a incarnare questo attacco, una persona che usa continuamente il fatto di essere donna come una "patacca" per autoesaltarsi a modello, è la dimostrazione che la borghesia almeno come “classe politica” è alla frutta.
Quella del 26 novembre è una manifestazione necessaria che vogliamo
larga e combattiva, che raccolga tutte le istanze e tutte le lotte, i
fermenti delle donne contro una classe, uno Stato e un governo che in
nome di “Dio, patria e famiglia” e figli coniugano la legge fondamentale
nel sistema capitalista: il profitto; sono “bandiere” che
accompagnano sempre la doppia oppressione e il recupero del moderno
medioevo e che sono compagne di miseria e guerra, di femminicidio di
massa.
E’ in questo che il movimento attuale delle donne è una trincea
che può diventare prima linea di un movimento esteso e continuo
delle donne e di tutte le lotte delle masse. In questo è importante
oggi la presenza delle proletarie, delle operaie sfruttate, vessate,
discriminate, e uccise sul posto di lavoro, il contingente che
esprime la contraddizione di classe come madre di tutte le
contraddizioni.
Questo è il dato non tanto di quantità ma di qualità per misurare
il livello della lotta delle donne, come termometro del livello
generale della lotta necessaria e possibile: una rivoluzione
proletaria, una rivoluzione nella rivoluzione, perché tutta la vita
deve cambiare.
Il 2 dicembre c’è una giornata di lotta, non uno sciopero
generale che è altra cosa, ed è fastidioso ai limiti
dell’insopportabilità, la pretesa demagogica delle burocrazie dei
sindacati di base di parlare di “sciopero generale”.
Quello che è certo è che contingenti di lavoratori, precari,
disoccupati, studenti e pezzi di movimento saranno in sciopero e in
piazza, con la giusta ambizione di rappresentare gli interessi
proletari e popolari di tutti.
Qui importante è in che misura questo si collega, influisce, possa
essere un segnale reale per il mondo delle fabbriche e quale è il
tipo di presenza operaia che raccoglie l’appello alla lotta e
comincia a fare la sua parte.
Bisogna lavorare per questo contro il sindacalismo confederale, vera
gabbia mortale della classe operaia e puntello dell’imperialismo
nelle fila operaie.
E’ chiaro che la giornata del 2 dicembre è una continuità della
lotta in corso e delle manifestazioni fatte prima con al governo
Draghi oggi con la Meloni. Ma non è ancora un nuovo inizio. E di
questo occorre consapevolezza, innanzitutto di chi dirige e
organizza. In questo senso quello che non serve è esaltarle come
grandi lotte, numeri da gonfiare. Perché solo se riusciamo a
costruire il nuovo inizio dentro questa fase di crisi, tendenza alla
guerra, reazione aperta, noi abbiamo, sia pure in un difficile
presente, un sentiero da percorrere della lotta generale, dello
sciopero generale, della trasformazione dello sciopero generale in
sciopero politico.