La manifestazione indetta oggi (venerdì) a Roma dal SI Cobas presso
Montecitorio è si è caratterizzata fin dal principio da un sentimento
diffuso di rabbia nei confronti del governo Draghi, in particolare del
ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti.
Il motivo di questa rabbia è da ricercarsi nel silenzio omertoso del
MISE sulla vertenza FedEx, sulla chiusura dell’hub di Piacenza, sulle
centinaia di posti di lavoro messi a repentaglio dalla multinazionale
americana con il suo progetto di internalizzazione-truffa, e sullo
squallido gioco di sponda tra padroni e triplice confederale, che ha lo
scopo di cancellare gli accordi di secondo livello strappati negli
scorsi anni dal SI Cobas e di eliminare la presenza del sindacalismo
combattivo in tutta la filiera.
DAL MISE 2 MESI DI SILENZI
Fin dal momento della chiusura unilaterale del sito di Piacenza a
fine marzo, con 280 lavoratori e relative famiglie finite per strada, il
SI Cobas ha accompagnato alle azioni di sciopero e di lotta sui
Sui vaccini si è scatenata una vera e propria tempesta confusionale, soprattutto nel nostro paese, a causa della gestione pessima da parte dei governi, gestione che è stata accompagnata da un bombardamento quotidiano di notizie da parte dei mass media, talk show, con dati spesso contraddittori; tutto questo fa venire paure e dubbi che spingono a porsi le domande: è sicuro il vaccino? Lo si deve fare? Chi lo deve fare, e quale deve fare ecc. ecc.
Le lavoratrici e i lavoratori, le masse popolari più in generale, per poter mettere in atto un’azione generale più efficace nella soluzione del problema, hanno bisogno di una corretta informazione e comprensione sulla somministrazione dei vaccini per dare una risposta di classe anche a questo aspetto, importantissimo.
È per questo che lo Slai cobas per il sindacato di classe ha anche organizzato fino ad ora due riunioni con Fabrizio Chiodo, ora ricercatore del CNR in Italia (dopo 12 anni all’estero) che lavora anche in equipe alla produzione dei vaccini a Cuba, rientrato da poco: “penso - ha detto - che sia dovere morale per uno scienziato condividere con i lavoratori, con gli studenti tutto quello che conosciamo, che abbiamo imparato; i colleghi che vanno in televisione hanno un atteggiamento diverso, ‘massonico’, classista del tipo ‘so tutto io’”.
Riportiamo stralci dai suoi interventi nell'ultima riunione.
"...ci sono le ingiustizie e le diseguaglianze che “sono figlie e frutto di questo modello economico”, come per esempio il fatto che “su scala mondiale … in questo momento l’86% dei vaccini sono stati distribuiti ai paesi ricchi, mentre lo 0,1 per cento ai paesi in via di sviluppo”, ma è chiaro che “se non
Vediamo alcuni elementi contenuti nel protocollo vaccini in azienda:
Si possono fare convenzioni con i privati sia per i locali che per la somministrazione del vaccino. Ma guarda caso, in Lombardia il padrone di Tenaris si chiama Rocca ed è lo stesso del gruppo sanità privata Humanitas...; e come già successo qualche anno fa con il ritrovamento di amianto nei suoi reparti di Dalmine, gli operai inseriti nel registro ex esposti sono stai inviati dall'Ats a fare gli esami di controllo alla clinica del padrone - come dire: una mano lava l'altra...
Nel testo, poi, si dice che: "Il piano in azienda avverrà in coerenza con il piano nazionale"
Ma non c’è scritto niente che vincoli la partenza del piano vaccini in azienda alle priorità, ossia dopo aver vaccinato le categorie a rischio per età, fragilità…
I costi del piano vaccini a cura del padrone non comprendono la fornitura di vaccini e siringhe che sono
proletari comunisti si unisce alla solidarietà e rilancia la necessità di una assemblea nazionale specifica
per affrontare in presenza la questione della repressione antiproletaria che tocca tutte le forze del sindacalismo classista e combattivo e tutte le lotte e i movimenti nella loro azione quotidiana in tutti i suoi aspetti
indica per il 19 giugno a Milano una possibile data
SOLIDARIETÀ AI LAVORATORI SI COBAS AGGREDITI A ROMA
Solidarietà
dalle compagne e dai compagni del Csa Vittoria ai lavoratori SiCobas
della Fedex aggrediti da carabinieri e polizia a Roma.
Abbiamo visto le manganellate e i calci,
abbiamo visto la rabbia delle squadracce in divisa impegnate nella
difesa degli interessi dei padroni.
Abbiamo visto la determinazione dei nostri
compagni nella lotta e la loro intelligenza nel non rispondere alle
cariche per non consegnare altri lavoratori e compagni nelle mani della
repressione e di chi è disposto a oltraggiare ogni diritto per
affermare la volontà del capitale, di imporre il proprio comando e le
proprie esigenze di profitto con licenziamenti politici e
ristrutturazioni aziendali sulle spalle di centinaia di lavoratori e
lavoratrici, lasciate da un giorno all'altro in mezzo ad una strada.
Siamo al vostro fianco da sempre e ancora
una volta di più vogliamo farvi sentire la nostra solidarietà, cementata
da anni di lotte fianco a fianco, senza mai un passo indietro.
Non è il momento di valutazioni politiche
complessive da un punto di vista di classe, per le quali avremo tempo da
domani in poi, anche rilanciando l'assemblea dei lavoratori combattivi
del 5 giugno. Ora è il momento della solidarietà piena e incondizionata a
chi lotta contro lo sfruttamento di classe, mettendoci la faccia
giorno, per una società migliore senza più classi ne padroni.
Questa lotta paga un isolamento mediatico
anche perchè non ha ammiccamenti istituzionali e non cerca "coperture",
ma ha bisogno di una solidarietà di classe che da oggi speriamo si
faccia ancora più sentire.
A fianco dei lavoratori della Fedex in lotta per il posto di lavoro.
A fianco del Sicobas oggetto continuo di
un pesantissimo attacco repressivo come esempio chiaro di
autorganizzazione, di dignità operaia e di lotta di classe.
Ieri era stato indetto uno sciopero nei reparti CCO da Fim, Fiom,
Uilm e per tutta la fabbrica da Usb, in particolare contro i
licenziamenti, ma anche contro la situazione di stallo generale.
Ma Acciaierie d'Italia ha di fatto vietato lo sciopero!
Proseguendo
sulla linea Mittal, sul fronte della repressione dello sciopero, a
dimostrazione che l'entrata dello Stato anche su questo aspetto non
cambia la politica di attacco agli operai e sindacale seguita finora.
Le RSU Fiom, Fim, Uilm denunciano:“l’azienda unilateralmente ha predisposto le comandate allargate su 3 turni derogando all’accordo integrativo del 1989 sulle procedure di raffreddamento, non
permettendo ai lavoratori di partecipare allo sciopero. Inoltre, tale
situazione inevitabilmente potrà ripetersi in futuro in occasione di
altre iniziative di mobilitazione da parte dei sindacati... “Non siamo
più disposti ad accettare tale atteggiamento da parte di Arcelor Mittal,
adesso Acciaierie d’Italia, in quanto crediamo che lo sciopero sia un
diritto costituzionale che debba essere garantito ai lavoratori e che
tale situazione sia determinata dall’assenza di investimenti della
multinazionale in merito alla macchina di granulazione. Qualsiasi
impianto siderurgico a ciclo integrale non può non avere una “valvola di
sfogo”, in quanto ci sono eventi prevedibili che possono essere
gestiti, come lo sciopero, ed altri imprevedibili che potrebbero
compromettere seriamente la salvaguardia della sicurezza
dei lavoratori, dell’ambiente e degli stessi impianti di
produzione...".
Detto questo, che è molto grave ed è parte della
linea generale di padroni, governo, Stato per impedire, attaccare le
lotte degli operai, e soprattutto il diritto di sciopero, nella
logistica come nelle fabbriche, dove si dividono i compiti: i padroni
licenziano, il governo sta dalla parte dei padroni (all'ArcelorMItta di
Taranto ora è esso stesso "padrone"), lo Stato manda la polizia, carica
le lotte, arresta (vedi Fedex),
dobbiamo dire però in'altra cosa.
Lo Slai cobas ieri mattina alle 6 è stato alle portinerie dell'ex Ilva e
dell'appalto, anche per sostenere lo sciopero sui licenziamenti
illegittimi, MA... non c'era niente e nessuno: nè un sindacalista, nè un
delegato, nè un comunicato, nè un avviso, niente di niente, come se
fosse una giornata normale; nei pressi della Direzione decine e decine
di bandiere di Fim, Fiom, Uilm ma neanche mezzo delegato. Per non
parlare della Usb che, avendo indetto lo sciopero per tutta la fabbrica e
l'appalto, quantomeno la presenza al mattino doveva farla... Niente!
I
padroni fanno sempre più il loro sporco mestiere, ma hanno campo
libero! E chi ne paga le conseguente in termini di sfruttamento, rischi
sul lavoro, cassintegrazione, licenziamenti sono gli operai.
La Palestina ed il suo popolo in oltre 70 anni di lotta di
liberazione nazionale hanno conquistato la simpatia e la solidarietà
nei cinque continenti.
Nelle
ultime settimane migliaia di persone in molti paesi del mondo sono
scese in piazza per esprimere ancora una volta il proprio sostegno al
popolo palestinese, contro l'ennesima aggressione dello stato
sionista che durante il mese sacro di Ramadhan per i musulmani ha
attaccato ripetutamente i fedeli in preghiera sulla spianata delle
moschee mentre bande di coloni sionisti hanno attaccato il quartiere
di Sheikh Jarrah a Gerusalemme anticipando la probabile decisione di
sfratto di queste famiglie dalle loro case in favore degli stessi
coloni.
In
tutti questi decenni di occupazione coloniale questi soprusi sono
all'ordine del giorno ma queste aggressioni su più fronti e
dispiegate, concentrate in pochi giorni hanno fatto montare lo sdegno
e la rabbia dando vita ad un'eroica resistenza prima a Sheikh Jarraj
e in tutta Gerusalemme e poi in tutto il Paese.
Anche
le fazioni armate palestinesi nella Striscia di Gaza (Hamas,
Jihad Islamica e Fronte Popolare di
A 48 anni dal suo assassinio,
il compagno İbrahim KAYPAKKAYA, fondatore e guida teorica del nostro
Partito, dirigente
del
proletariato internazionale in Turchia, continua a guidarci. Il
nostro compagno İbrahim KAYPAKKAYA vive nella nostra lotta per la
Rivoluzione di Nuova Democrazia, il Socialismo, il Comunismo e nella
Guerra Popolare.
Mentre il sistema
capitalista-imperialista continua a sgretolarsi, con sangue, lacrime
e pus che colano da tutti i pori, mantiene il suo colonialismo
parassitario in tutto il mondo. La crisi economico-politica e le
guerre su
scala regionale
accentuano
i
conflitti inter-imperialisti
e acutizzano
ulteriormente
la lotta per la
spartizione.
Conseguenza
diretta di questa situazione sono guerre ingiuste, aumento della
povertà, milioni di cosiddetti rifugiati, crescita di organizzazioni
reazionarie e fasciste e dilagare della violenza di
Stato. Se
da un lato nella
situazione in cui ci
troviamo di fronte c'è questo brutale ordine di sfruttamento e le
sue conseguenze, dall'altro ci sono le masse popolari, i
rivoluzionari e i comunisti, che combattono contro la
reazione
e la barbarie e resistono a ogni
forma di
violenza e aggressione.
Perciò l'ondata
controrivoluzionaria che abbiamo di fronte
non ci fa
paura.
Sappiamo che quando le masse raggiungono la
coscienza
politica rivoluzionaria e agiscono secondo
questa
coscienza, tutti
vedranno
che gli imperialisti e i loro lacchè non sono che "tigri di
carta". Più volte la storia della lotta di classe ha dimostrato
che quando le masse si sollevano
con
coscienza rivoluzionaria, non c'è nessuna
África do Sur: Estivadores néganse a desembarcar produtos israelitas
21/05/2021
En Durbán
(África do Sur), os membros do sindicato SATAWU recusaron descarregar un
barco isralita o 21 de maio.
.
.
.
O
IDC, condenou tamén “firmemente o masacre que Israel leva a cabo contra
o pobo palestino e chama á paz e o diálogo, respectando os acordos e as
leis internacionais que rexen na zona ‘dunha vez por todas'”.
A organización apela a “todos os traballadores portuarios a faceren
gala da súa solidariedade, tantas
Dopo i portuali di Genova, Livorno e Napoli, anche i portuali di Ravenna si rifiutano di caricare armi dirette ad Israele. I confederali hanno proclamato lo stato d'agitazione al Porto di Ravenna ed è una decisione che condividiamo. Ma è necessario fare chiarezza e non seminare confusione tra i lavoratori: le ragioni dei lavoratori non possono basarsi su una linea di equidistanza tra Israele e Palestina (tra l'occupante israeliano e la resistenza popolare e armata palestinese), su di un vuoto pacifismo, per una "pace" generica, ipocrita, parola abusata dai governi imperialisti e da quelli reazionari per coprire l'apartheid e l'occupazione delle terre palestinesi dello stato nazisionista d'Israele. Una linea che danneggia anche la solidarietà con il popolo palestinese e i movimenti che sono scesi in strada in solidarietà con i palestinesi lo hanno dimostrato chiaramente.
Come Slai Cobas psc di Ravenna saremo domani in piazza per portare la nostra solidarietà alla resistenza popolare e armata delle masse palestinesi e denunciare il ruolo dell'Italia imperialista che esporta armi ad Israele e lo sostiene politicamente; così come il ruolo dei partiti in Parlamento, dal PD alla Lega e FdI, che si sono espressi per "il diritto all'autodifesa di Israele" che ha già ucciso 230 civili di cui 65 sono bambini; e per denunciare anche i media asserviti che portano avanti le menzogne sioniste a copertura dei crimini israeliani.
Slai Cobas per il sindacato di classe-Ravenna
Ravenna, i lavoratori del porto non caricheranno armi destinate al conflitto in Medio Oriente. Mai complici
«Basta con questo gioco alla guerra»
21/05/2021
"I lavoratori del porto di Ravenna si rifiuteranno di caricare armi, esplosivi o altro materiale bellico che
In India si è registrato il record mondiale di decessi giornalieri
per Co-Sars-2. Nella giornata di mercoledì 19 maggio il Ministero della
Salute indiano ha dichiarato che sono morte 4.529 persone nell’arco di
24 ore. Sale così a 283.248 il numero di vittime da Covid-19 nel paese
indiano.
Le masse contadine in lotta tornano a Delhi il 26 maggio
Cariche della polizia all'altezza
della Galleria Borghese quando gli operai della Fedex tentavano di forzare
il blocco
21 MAGGIO
2021 1 MINUTI DI LETTURA
Scontri nel cuore
dell'ansa barocca. Due persone sono rimaste ferite: un carabiniere e un
manifestante. Oltre 150 operatori della logistica Fedex intorno alle 12 sono
sbucati dalla metro Barberini, hanno improvvisato un corteo lungo via del
Tritone intenzionati a raggiungere piazza di Montecitorio: all'altezza di
palazzo Chigi hanno voluto forzare il blocco delle forze dell'ordine e ne sono
scaturiti dei violenti scontri con i carabinieri a presidio dell'area. Le
cariche proprio di fronte alla Galleria Borghese. Un militare è rimasto ferito,
mentre un manifestante è stato colpito alla testa da una manganellata. Ai
lavoratori intorno alle 13 é stato consentito raggiungere piazza di
Montecitorio.
Un altro chiaro segnale della ristrutturazione generale in
corso (all’interno della crisi mondiale) della ex Fiat ora Stellantis che le chiacchiere
rassicuranti di Tavares (e dei sindacalisti Cgil Cisl Uil) non possono coprire:
gli effetti reali di queste manovre di ristrutturazione vedrà altri
licenziamenti tra gli operai dei vari stabilimenti (e anche tra quelli che
lavorano nelle concessionarie) e peggioramento delle condizioni di lavoro.
Una prima risposta è la riunione di domani degli operai Stellantis, appunto, i
cui “temi
all’ordine del giorno saranno: rischi occupazionali, condizioni economiche
e di lavoro nell’era Stellantis.”
Gli operai Fca degli stabilimenti italiani si ritrovano in videoconferenza:
appuntamento il 22/5
***
(ansa)
La comunicazione inviata a tutti i rivenditori e alle
associazioni di categoria in Europa: nascerà un nuovo sistema multimarche in
linea con le direttive europee. Il gruppo: "Con il nuovo modello benefici
per clienti, distribuzione e società"
TORINO - Addio vecchi concessionari, Stellantis punta a
creare una nuova rete vendita nel giro di due anni. La disdetta è stata
annunciata a tutti i dealer e alle associazioni di categoria dei vari Paesi da
parte di Stellantis che punta a creare un nuovo sistema di vendita multimarche,
in linea con le direttive europee, a giugno 2023. I titolari dei concessionari
di Vauxhall, Peugeot, Citroen, Ds Automobiles, Alfa Romeo, Fiat e Jeep sono
stati avvisati dei cambiamenti in singole teleconferenze virtuali per ogni
Paese europeo e la Casa nata a gennaio dalle nozze tra Fca e Psa prevede di
costruire un modello di distribuzione multimarca.
Auto, il mercato europeo rimbalza ma resta a -22% sui
livelli pre-Covid. L'Italia meno peggio degli altri Paesi
La proposta di Enrico Letta, attuale segretario del Pd, incoraggiato
da proposte simili fatte già a livello internazionale, anche da Biden, ha
gettato nel panico i ricchi e ricchissimi di questo Paese, i padroni delle
grandi aziende e di grandi patrimoni finanziari, insomma quelli che si arricchiscono
succhiando il sangue alle operaie e agli operai direttamente o indirettamente, vivendo
di rendita che poi passano ai figli, di fatto altri puri parassiti, senza nemmeno
voler pagare la tassa di successione.
La “proposta di una dote da 10mila euro per tutti i 18enni,
da finanziare tassando le successioni sopra i 5 milioni di euro. Una proposta
che mira a togliere qualcosa alla rendita, all’1% dei più ricchi, per
raggiungere circa 280mila ragazzi di ceto medio basso, la metà del totale. E
aiutarli a pagare gli studi, l’affitto di casa, o l’avvio di una attività in
proprio.” (v. il Manifesto di oggi)
E “Al Nazareno ricordano [se lo ricordano solo adesso! ndr]che
l’aliquota sulle successioni sopra i 5 milioni in Italia è al 4%, mentre in
Francia arriva al 45% e in Germania al 30%.”
Contrapponiamo al fronte unico dei capitalisti e dei
loro stati, il fronte unico dei lavoratori e delle lavoratrici
Lo scorso 7 aprile, in occasione della Giornata
mondiale della Salute, il governo italiano e la Commissione europea hanno
rilanciato l’appuntamento a Roma il 21 maggio per il “Global Health Summit”, un
evento inserito nell’agenda del G20 a presidenza italiana. Roma era stata
individuata come luogo simbolico di raduno dei capi di stato e di governo delle
20 più grandi economie capitalistiche del mondo dall’ex-premier Conte e dalla
presidente dell’UE von der Leyen per l’intensità della crisi sanitaria vissuta
in Italia.
Il summit dovrebbe discutere e concordare a livello
globale come adeguare i rispettivi sistemi medico-sanitari al crescente rischio
di altre pandemie - un’ipotesi, dunque, che gli
A lo largo de los primeros 21 días del Paro General que sacude al país, el Estado ha ido escalando su estrategia de guerra, para tratar de contener la rebeldía popular. La primera semana el epicentro fue Cali con los primeros asesinatos a manos del Esmad y la policía. Luego, con el empuje de la juventud y el aumento de las movilizaciones y los bloqueos en el resto del país, el terrorismo de Estado se ha ido desplazando también a Buga, Jamundí, Pereira, Bogotá… ahora el régimen mafioso de Duque se ha ensañado con los luchadores en Yumbo.
La brutalidad con la que el régimen narcoparamilitar de Duque-Uribe ha atacado a los jóvenes, buscando en vano levantar los bloqueos, se debe al gran impacto que estos han tenido al garantizar el paro de la producción. Según la revistaForbes, de acuerdo con el informe de la Cámara de Comercio de Cali, del 10 de mayo del 2021, el 41,3 % de las empresas no estaban operando y de las restantes el 47,2 % reportaba operando con solo el 39,9 % de la capacidad instalada. Sus cálculos estiman pérdidas por $1,2 billones por semana.
Las consecuencias económicas del Paro General Indefinido impulsan a los parásitos capitalistas a presionar al títere Duque para que ataque con todo el terror militar a la juventud, que mantiene los bloqueos en las principales vías del país. Las decenas de barricadas dispuestas en las principales carreteras ha represado mucha de la mercancía que llega o intenta salir por el puerto de Buenaventura.
La burguesía parásita está asustada, «La capacidad de almacenamiento en los puertos cada día se agota más», dice la presidente de la Cámara de Comercio de Buenaventura; al parecer tienen capacidad de almacenamiento para una semana más y en los terminales de graneles ya no tienen dónde guardar producto. De allí la urgencia y la sevicia con la que se ataca al pueblo luchador del Valle del Cauca. El Estado de los explotadores necesita devolver a los ricos la tranquilidad para que sigan explotando y ganando dinero al ritmo que están acostumbrados.
La creciente rebeldía popular, a pesar de no contar con la participación organizada del proletariado industrial, ha logrado hacer temblar a los ricos y su fuerza es tan elevada que no ha podido ser eliminada pese a la sanguinaria represión.
El paro, según el diario Portafolio, solo para la burguesía del Valle del Cauca ha significado pérdidas por $2 billones; de la misma manera, según el mismo medio, el Gobierno estima una pérdida de $6,2 billones en todo el país. Esas cifras son las que realmente les duele, aunque hipócritamente vociferen sobre la pésima situación de los campesinos, los niños, los pequeños comerciantes… de los que solo se acuerdan ahora para tratar de engañar incautos apelando a ellos, pero de los que se olvidaron en el tiempo del Agro Ingreso Seguro, de las ayudas durante el primer año de la pandemia, o a la hora de imponer sus antipopulares reformas.
Esas cifras económicas y no los 51 asesinatos, los 18 casos de abuso sexual, los más de 548 desaparecidos, reportados por la ONG Temblores… son las que le duelen al criminal Estado colombiano, de allí que la represión haya sido tan fuerte, no solo arremetiendo los puntos de bloqueo sino actuando como si fuera un ejército de ocupación contra niños, mujeres, ancianos en sus casas, atacando con balas y cápsulas de gas. Este Paro General Indefinido ha revelado claramente que el Estado burgués solo sirve para garantizar ganancias a los holgazanes capitalistas y prodigar miseria y guerra contra el pueblo laborioso.
Pero, pese a la represión Yumbo sigue en pie, y no podía ser de otra forma pues donde hay opresión hay rebelión y el pueblo de Yumbo se cansó de tanta barbarie, pues según las cifras del Informe de calidad de vida 2020, Yumbo cómo vamos el 61,3 % de la población del municipio no alcanza siquiera los niveles de ingresos mínimos para los alimentos básicos, 5179 de los hogares están en situación de pobreza crónica y 11.900 personas no tienen cobertura de salud.
Y ahora, cuando el pueblo con justeza se levanta, el Estado quiere suprimir su lucha mediante el terror y el asesinato, pero el pueblo y los luchadores de primera línea en vez de doblegarse mantienen su firmeza y su furia crece contra todo este sistema de opresión y represión, pues mientras el pueblo de Yumbo exige sus derechos básicos: al trabajo, a la salud, a la vivienda, a la alimentación, a un medioambiente adecuado y saludable, a la vida, a un nivel de vida adecuado… lo que ha hecho el régimen narcoparamilitar es responder con bala. Nuevamente la realidad y las masas con su lucha nos dejan claro que: ¡La rebelión se justifica
El Paro no para. Tercera semana de rebelión popular en las calles. Parte I
Han pasado 16 días desde el comienzo del Paro Nacional el 28 de abril, y las masas populares colombianas continúan en las calles, generando diversos espacios de lucha social como multitudinarias marchas, asambleas populares, tomas culturales, bloqueos a vías nacionales, entre otros. El 2 de mayo el pueblo vislumbró su primera victoria parcial, el retiro de la reforma tributaria (para construir otra nueva); al día siguiente, nueva victoria parcial: Alberto Carrasquilla, el autor de este texto, renunció a su cargo como ministro de hacienda.
Para todo el mundo ha quedado claro que las razones que dieron lugar a esta rebelión popular en el país van más allá de la reforma tributaria, la cual solo era una gota más en medio de todo el mar de miseria en que se ahoga el pueblo. Es por esto que, después de la retirada de la reforma, la gente trabajadora, jóvenes de barrios populares, estudiantes, y otros sectores se han mantenido en las calles con energía y combatividad manifestando su rechazo al viejo Estado opresor, que es el responsable del histórico sufrimiento del pueblo.
Las reivindicaciones, el pueblo, el oportunismo
En este momento no hay unidad o claridad total al respecto de un cuerpo de objetivos reivindicativos comunes de los que dependa el paro. De distintas maneras se han ido formulando los deseos del pueblo luchador, a través de fórmulas diversas construidas localmente por los activistas reunidos en sus territorios. En varias ciudades del país, la gente ha estado conformando asambleas populares, donde se ponen sobre la mesa sus necesidades y posturas, yendo desde lo más particular hacia lo más colectivo.
En medio de la gran lista de demandas, resalta la de la derogación del proyecto de ley 010, un proyecto que fue presentado al congreso por el gobierno, y que ha sido socializado por sindicatos de médicos al público para que se conozcan sus peligros. Este proyecto de ley es favorable a los monopolios financieros más poderosos que controlan el negocio de la salud en Colombia, buscando reducir el número de aseguradoras que operan en el sector. Además, abre las puertas a que los trabajadores tengan que pagar pólizas de seguros por enfermedades hoy cubiertas por el plan obligatorio de salud, para que las EPS (aseguradoras) tengan otro frente de acumulación. También, estipula sanciones económicas a los pacientes que no sigan las medidas de “autocuidado”, quedando bajo criterio de la EPS la determinación de si un paciente está o no siguiendo las medidas para sancionarlo.
Entendiendo estas razones, en muchos lugares del país la derogación de este proyecto resuena como otro gran objetivo común de la protesta social actual, y es muy probable que pronto se anuncie su retiro. Otras medidas que se han planteado, sobre todo por los sindicatos obreros, como necesarias de derogar, son los proyectos y anuncios de reforma laboral y pensional.
En Cali, que es para muchos el epicentro de este Paro Nacional, las barriadas históricamente marginalizadas y sus Primeras Líneas ya están elaborando pliegos de petición. Allí se contienen varios puntos relacionados con deseos y necesidades que plantean las masas, como programas sociales para jóvenes; construcción de una biblioteca y museo en el barrio Puerto Resistencia, en el lugar donde opera actualmente un CAI; trabajo para los jóvenes; ampliación de cobertura de oferta educacional para jóvenes, entre otras[1].
Allí también aparecen exigencias que han surgido como necesidad por las mismas circunstancias en las que se ha dado el paro, por ejemplo, esclarecer los responsables directos los asesinatos policiales a los jóvenes colombianos y la no judicialización de los activistas. En este mismo sentido, en Medellín, varios jóvenes activistas impulsaron la exigencia del castigo a los asesinos y violadores del pueblo como una bandera de lucha.
Los trabajadores del sector transporte, camioneros y transportadores de carga y pasajeros, han participado activamente el paro con bloqueos en las principales vías del país. Por lo mismo, han sido objeto de una gran campaña de deslegitimación operada a través de los medios de comunicación monopólicos donde el mismo gobierno que quiso imponer una reforma tributaria contra los pobres en medio de una pandemia y una crisis económica, se “preocupa” por el desabastecimiento de las ciudades. La fiscalía buscó intimidar a los trabajadores anunciando que aplicaría extinción de dominio sobre los camiones que estén bloqueando las vías[2].
Esta campaña mediática y la represión demuestran que los bloqueos le han dado a los ricos donde les duele, en los bolsillos, como lo sugería hace poco un líder de este sector por medio de una denuncia de la estigmatización de los bloqueos: “el Estado lo que quiere es que le abramos los corredores de las vías del departamento para que las grandes plataformas comerciales como D1, como Justo y Bueno y como Olímpica, que son de los grandes ricos senadores de la república y de los grandes políticos de Colombia que nos siguen manipulando”[3].
Las reivindicaciones trazadas por este sector para buscar una negociación con el gobierno, se centran en el costo de los peajes, el de la gasolina y el de la seguridad de los trabajadores por las carreteras. Una exigencia específica de los transportadores de pasajeros es que se llegue a un acuerdo en torno a los precios de los pasajes. El fondo de esto es que, para los trabajadores, el tiempo que trabajan transportando a la gente se hace muy largo dado el estado de las vías y esto no se ve representado en el salario que tienen[4].
Los campesinos y trabajadores del campo también han participado de grandes marchas en los pueblos. En Anorí, Antioquia, el paro comenzó desde el 25 de abril, y terminó nueve días después, cuando los líderes se sentaron a negociar con la gobernación en torno a tres puntos: formalización y permisos para los mineros artesanales, suspensión de la erradicación forzada, revisión de la aspersión con glifosato en la zona, y cumplimiento con el programa de la sustitución voluntaria de cultivos de coca[5].
Otros sectores populares como taxistas, colectivos ambientalistas, entre otros, también han participado de movilizaciones amplias al tiempo que convocan sus jornadas propias de manifestación, donde plantean unas demandas gremiales.
Mientras el pueblo busca construir sus procesos de organización desde la base, los sectores oportunistas de la política reclaman autoridad sobre esta gran movilización social. El Comité de Paro avanza negociaciones con el gobierno, tratando, en primera instancia, de forzar en éste una declaración que rechace la “brutalidad policial”, intento que no ha sido exitoso.
Además, desde este Comité se hacen al gobierno las siguientes peticiones: retiro del proyecto de ley 010 de salud y fortalecimiento de una masiva vacunación; renta básica de por lo menos un salario mínimo legal mensual; defensa de la producción nacional (agropecuaria, industrial, artesanal, campesina) y subsidios a las MiPymes y empleo con derecho y una política que defienda la soberanía y seguridad alimentaria; matrícula cero y no a la alternancia educativa; no discriminación de género, diversidad sexual y étnica; no privatizaciones y derogatoria del decreto 1174; detener erradicaciones forzadas de cultivos de uso ilícito y aspersiones aéreas con glifosato[6].
Por otro lado, el “pacto histórico” (liderado por Petro) rechaza el esfuerzo del Comité de Paro por controlar y “representar” a las masas, presentándose como una mejor “alternativa” supuestamente más conectada con las bases. Así, buscan que las reivindicaciones del paro sean la reforma a la policía, una renta básica, el cese de la militarización, entre otras[7]. El fondo de esto es la intención de convertir a toda esta masa descontenta en una base electoral para el próximo año.
Como parte de la disputa de estos dos sectores del oportunismo por la dirección y representación de las masas, un periodista miembro del partido político Dignidad, el cual tiene hegemonía dentro del Comité de Paro, difundió un audio de una reunión secreta en la que se escucha la voz de Petro afirmando que el paro se debió bajar después de que el gobierno retiró la reforma tributaria. Si desde Dignidad se difundió el audio fue solo porque éstos quieren minar el apoyo que el “pacto histórico” gana entre las bases, pero, de cualquier forma, esto desenmascaró para muchas bases las intenciones que tienen Petro y sus secuaces de contener la rebelión popular e imponer los ritmos de la movilización popular en el país para ponerla al servicio de su candidatura presidencial.
El gobierno ha establecido un ejercicio retórico de “dialogo nacional” donde convoca a varios sectores sociales por medio de “representantes”, y también sectores del mismo Estado, como partidos y líderes politiqueros, expresidentes, las cortes, etc., para supuestamente llegar a acuerdos. Pero, los hechos demuestran que el Estado colombiano aborda esta gran mareada de lucha social de las masas fundamentalmente desde el punto de vista militar.
A finales de la semana pasada, desde el partido de gobierno se impulsó al presidente a decretar conmoción interior, o sea, un estado de sitio, por el cual se faculta al ejecutivo para restringir la circulación de personas, prohibir manifestaciones o reuniones, controlar la información en medios de comunicación, entre otras medidas. Esto no haría más que formalizar la dictadura que ya se ejerce sobre el pueblo y darle un respaldo de legalidad.
Por ahora, Duque afirmó al respecto de esto que la ley tiene varias herramientas siendo una de ellas la conmoción interior, pero que por el momento otras están siendo usadas, sugiriendo también que la represión llevada a cabo hasta ahora se ha operado con las “herramientas ordinarias que da la ley”.
A su vez, las cortes rechazaron la medida por razones de legitimidad y pragmatismo: plantearon que la conmoción interior “podría ser vista como autoritaria” y “exacerbar las marchas”[8]. Y, similarmente, Uribe observó que semejante declaración “daría argumentos en contra del talante del gobierno de nuestro partido” y, al tiempo, reafirmó la necesidad de fortalecer el pie de fuerza militar contra las protestas: “lo que sí estoy de acuerdo es fortalecer las Fuerzas Armadas, en defender a nuestra Policía. A ellos los asesinan, los queman con ácido, los humillan y enseguida los presentan ante la comunidad internacional como violadores de derechos humanos. Eso no se puede permitir”[9].
Con o sin conmoción interior, para todo el pueblo está claro que el Estado ha enfrentado el paro desde el punto de vista belicista, y no solo porque la policía usa armas de fuego para reprimir y asesinar a los jóvenes, sino que también ha llamado a militarizar las ciudades, y además ha instigado a los civiles más reaccionarios a hacerlo por su propia cuenta[10].
Además, esto se puede confirmar desde el punto de vista ideológico. En un trino del 3 de mayo, Uribe mostró cómo la reacción está usando esquemas ideológicos para hacerse un cuadro de la situación, postulando que las protestas actuales hacen parte de una “revolución molecular disipada”.
Este concepto fue introducido a los militares colombianos a través de Alex López, un “intelectual” pinochetista y neonazi que dio unas conferencias en la universidad militar de nueva granada. Según el señor, esta revolución molecular consistiría en una estrategia posmoderna de la izquierda para tomarse el poder, y que tendría varias fases: una de suspensión de la normalidad en la vida cotidiana de las ciudades; otra de escalamiento del inconformismo social y las acciones combativas de las masas; un tercer momento de copamiento, donde el sistema estatal de reacción llegando a su límite, no puede responder a la revolución, y su reclamo de autoridad por medio de la violencia es desacatado; y una última fase de saturación, donde ya el sistema deja de funcionar[11].
Esta forma paranoide de enfocar las grandes jornadas de protesta social y popular que están teniendo lugar en Colombia, refleja la conciencia de los reaccionarios de que el sistema de explotación y opresión se les sale de las manos y se resquebraja cada vez más. Por esta conciencia, emerge esta actitud defensiva que también fue notoria en las palabras de Piñera al respecto de la rebelión de los chilenos, al afirmar, “estamos en guerra contra un enemigo poderoso, implacable”.
Por lo demás, antes de que comenzara la rebelión ya había una prevención frente a lo que se venía. Por eso, mientras escribían la reforma tributaria y decían que el país se estaba quedando sin caja, el gobierno también financió y fortaleció más su pie de fuerza: 14.100 millones de pesos fueron invertidos en la compra de más municiones para el ESMAD entre marzo y abril. Además, otros 14 billones iban a ser gastados en aviones de guerra.
En la práctica, esta perspectiva militar se ha traducido en un doloroso y brutal baño de sangre en el que han caído principalmente jóvenes populares. Desde el 28 de abril al 12 de mayo, según INDEPAZ, el reporte es de al menos 42 víctimas de asesinato por parte de las fuerzas de la reacción, la mayoría de los victimarios han sido policías y otros han sido actores civiles que atacan con arma de fuego a los manifestantes. Además, según la ONG Temblores[12], se han presentado 1055 detenciones y 30 víctimas de agresiones oculares. A continuación, el reporte con la información disponible de los asesinados, referido por INDEPAZ[13]:
Nombre
Edad
Fecha fallecimiento
Ciudad fallecimiento
1
Marcelo Agredo Inchima
17 años
28/04/2021
Cali
2
Michel David Reyes Pérez
28/04/2021
Bogotá
3
Cristian Alexis Moncayo Machado
28/04/2021
Cali
4
Yarli Parra Banguera
28/04/2021
Cali
5
Pol Stiven Sevillano Perea
19 años
28/04/2021
Cali
6
Jeisson García
13 años
28/04/2021
7
Miguel Angel Pinto Mona
28 años
29/04/2021
Cali
8
Dadimir Daza Correa
29/04/2021
Yumbo
9
Daniel Felipe Azcarate Falla
29/04/2021
Cali
10
Edwin Villa Escobar
39 años
30/04/2021
Cali
11
Heinar Alexander Lasso Chará
30/04/2021
Cali
12
Kevin Yair González Ramos
30/04/2021
Cali
13
Evelio de Jesús Florez
86 años
30/04/2021
Pereira
14
Jovita Osorio
73 años
30/04/2021
Cali
15
Brayan Fernando Niño Araque
24 años
01/05/2021
Madrid
16
Jeferson Alexis Marín Morales
33 años
01/05/2021
Medellín
17
Yinson Andrés Angulo Rodríguez
24 años
01/05/2021
Cali
18
Yofri Esteban Cardona Popayán
20 años
02/05/2021
Cali
19
Santiago Andrés Murillo Meneses
19 años
02/05/2021
Ibagué
20
Joan Nicolás García Guerrero
27 años
02/05/2021
Cali
21
Harold Antonio Rodríguez Mellizo
03/05/2021
Cali
22
Cristian Arturo Hinojosa Murillo
26 años
03/05/2021
Cali
23
José EmilsonAmbuila
03/05/2021
Cali
24
Wenceslao Solis Sánchez
04/05/2021
Yumbo
25
Kevyn Anthony Agudelo Jiménez
22 años
04/05/2021
Cali
26
José Yesit Acevedo Santamaría
59 años
04/05/2021
Cali
27
Brahian Gabriel Rojas Lopez
26 años
04/05/2021
La Virginia
28
Pedro Benito Suarez Ariza
62 años
05/05/2021
Caicedonia
29
Jairo Alberto Cuartas Herran
41 años
05/05/2021
Caicedonia
30
Javier Humberto Ordóñez Bermúdez
43 años
9/9/2020
Bogotá
31
Cristian Camilo Hernández Yara
26 años
9/9/2020
Bogotá
32
Jaider Alexander Fonseca Castillo
17 años
9/9/2020
Bogotá
33
Germán Smyth Puentes Valero
25 años
9/9/2020
Bogotá
34
Angie Paola Baquero Roja
29 años
9/9/2020
Bogotá
35
Julieth Ramírez Meza
18 años
9/9/2020
Bogotá
36
Anthony Gabriel Estrada Espinoza
28 años
9/9/2020
Soacha
37
Fredy Alexander Mahecha Vásquez
20 años
9/9/2020
Bogotá
38
Christian Andrés Hurtado Menecés
27 años
9/9/2020
Soacha
39
Andrés Felipe Rodríguez Ávila
23 años
10/9/2020
Bogotá
40
LorwanStiwen Mendoza Aya
30 años
10/9/2020
Bogotá
41
Marcela Zúñiga
36 años
9/9/2020
Bogotá
42
Julián Mauricio González Fory
27 años
9/9/2020
Bogotá
Además de atentar directa y cobardemente contra la vida de las personas, los criminales de la reacción han usado como arma la violación a las jóvenes mujeres del pueblo. Según la ONG Temblores, en 15 días de paro nacional ha habido 16 víctimas de violencia sexual[14]. Uno de los casos recientes es el de la joven de 17 años Alison Meléndez, hija de un policía retirado. Alison fue detenida el 12 de mayo por la policía en Popayán y llevada a una URI (Unidad de Reacción Inmediata de la Fiscalia), donde fue violada y agredida físicamente por policías, luego de lo cual se suicidó.
Al día siguiente de publicarse esta información a través de redes sociales, las movilizaciones en todo el país rechazaron este cobarde crimen contra una joven del pueblo. En Popayán los jóvenes llegaron hasta la URI donde ocurrieron los hechos y lo quemaron. Estas imágenes, celebradas por el pueblo, condenadas por la reacción le dieron la vuelta al país.
Hechos similares de combatividad se han replicado en muchas partes del país, donde se han tumbado estatuas reaccionarias, se ha destruido infraestructura bancaria, oficinas estatales, entre otros símbolos físicos de poder de clase. El balance del ministerio de defensa es ilustrativo en este sentido: para el 11 de mayo se contabilizaban “1.052 vehículos de transporte público vandalizados, 156 estaciones de transporte vandalizadas…,29 peajes afectados…, 421 oficinas bancarias vandalizadas, 407 cajeros automáticos afectados, 305 acciones de vandalismo y saqueo a establecimientos comerciales, 2 entidades religiosas vandalizadas, 1 hotel incinerado[15] (sic)”[16].
En una de las jornadas más masivas y combativas, el 5 de mayo, las masas estuvieron a punto de invadir el capitolio nacional en Bogotá, como se ve en este video en el cual el congreso desarrollaba una plenaria. Las instalaciones del recinto fueron evacuadas preventivamente y los congresistas buscaron un lugar donde esconderse[17].
En otras zonas de esta gran ciudad, como la estación de Transmilenio llamada Portal de las Américas, los jóvenes de la Primera Línea mostraron su disposición a resistir al embate del ESMAD, enviado por la alcaldesa para proteger el “orden”. Este punto se ha convertido en uno de los centros de la resistencia popular en la ciudad.
En Medellín, en medio de las marchas se hicieron pintas en apoyo a la lucha de la Liga de Campesinos Pobres en Brasil, que como informó la prensa popular brasilera, recientemente ha sufrido intentos de desalojo por parte del Estado y que han sido exitosamente repelidos por las masas.
En la marcha convocada a nivel nacional el 12 de mayo, uno de los hechos que más llamó la atención en el país fue la represión a la protesta en la ciudad de Barranquilla. Las masas (incluyendo los barristas) se dirigieron hasta el estadio Romelio Martínez para exigir que se cancelara el partido entre el Junior y el RiverPlate.
Sin embargo, la CONMEBOL y Jaime Pumarejo, el alcalde de la ciudad, decidieron continuar con el juego, y enviaron un mensaje en el que reafirmaban que el partido no se cancelaría y que “la vida no depende de la voluntad de los manifestantes” y para ello buscaron contener y reprimir el rechazo de toda la gente que se manifestaba a las afueras del estadio. “El partido se va a jugar según la administración de Pumarejo…escuchen esto”, “¡ey, no le interesamos al gobierno!”, “¡no, no se va a jugar el partido!”, gritaban diferentes voces cuando se dieron cuenta de esto gesto de desprecio de parte del gobierno local.
Mientras gritaban “resistencia, resistencia”, las masas rompieron el cerco policial que protegía al estadio y luego se desató un combate entre las fuerzas de la reacción y los jóvenes. El sonido de las bombas aturdidoras que usa el ESMAD se escuchaba adentro del estadio mientras los jugadores se alistaban para el partido. Para tapar esto el alcalde pidió que se pusiera reggaetón a todo volumen dentro del estadio, pero esta absurda “táctica” no dio resultado, no solo porque las detonaciones seguían escuchándose, sino porque los mismos jugadores y equipos técnicos comenzaron a verse afectados por los gases lacrimógenos. El fracaso total de la Conmebol y del Estado colombiano fueron dobles: porque los intentos, llevados hasta el absurdo, de tapar la realidad fracasaron; y porque el partido, finalmente, sí se suspendió. Además, este acontecimiento generó repudio popular a nivel nacional e internacional, etiquetándolo como una vergüenza.
Al siguiente día los jóvenes emprendieron de nuevo movilizaciones alrededor del estadio, con represión de parte de las fuerzas policiales y respuesta a esto por las masas.
Además, un aspecto importante de la lucha, especialmente de los jóvenes, ha sido la apropiación de espacios de las ciudades. Esto no solo se ha demostrado con las tumbadas de estatuas lideradas por indígenas, sino también en la intervención de zonas importantes con murales políticos y en el renombramiento de espacios. En el caso de Medellín, el Parque de los Deseos, lugar tradicional de convocatoria para concentraciones de movilizaciones, fue transformado en Parque de la Resistencia.
En Bogotá, la avenida Jimenez (nombrada en honor al conquistador Gonzalo Jimenez de Quesada, a quien las élites criollas consideran fundador de la ciudad) fue rebautizada por los indígenas como Avenida Misak. Además, en Cali, el Parque Loma de La Cruz, fue transformado en Loma de la Dignidad o de la Resistencia, y el Puente de los Mil Días, pasó a llamarse el Puente de las Mil Luchas.
El Paro no para. Tercera semana de rebelión popular en las calles. Parte III
Cali, concentración de contradicciones
La ciudad donde más violencia estatal y asesinatos a jóvenes ha habido es Cali, que fue militarizada por órdenes del presidente y bajo el comando del general del ejército Eduardo Zapateiro, un genocida con un largo prontuario criminal, que participó incluso en un comando de guerra en Israel en 1982. Hasta el momento, en esta ciudad, al menos 15 personas caídas por las balas del Estado y otras tantas producto de ataques cometidos por civiles armados provenientes de las clases altas de la ciudad.
Cali es una de las principales ciudades de Colombia. La ciudad está poblada por muchas familias de campesinos que fueron desarraigados y expulsados de forma violenta, mestizos, negros e indígenas, principalmente de otras zonas de la región del suroccidente colombiano, región que es un espacio estratégico económicamente tanto por la gran producción de coca y como porque allí las mercancías entran desde y salen hacia el océano pacífico. En esta gran parte del país, el territorio de las zonas planas está apropiado por, y al servicio de, la agroindustria de la caña, donde los trabajadores negros de los ingenios azucareros son sobreexplotados y en las zonas de ladera, por una economía cafetera y cocalera en la que priman unas relaciones sociales semifeudales, donde los campesinos viven en condición de siervos subyugados por mafiosos y terratenientes[18].
La mayoría del espacio urbano propiamente caleño está poblado por una gran masa popular en condiciones precarias de vida material: según el DANE, del millón y medio de personas que habitan la ciudad, 934.000 personas (o sea, casi la mitad de la ciudad) viven con menos de COP $360.000 al mes.
Las cifras de Cali al respecto de los estragos de la crisis económica, puestas de relieve frente a las cifras nacionales, dan cuenta del mayor peso que tuvo en esta ciudad la agudización de la miseria. Durante el 2020, la pobreza del país aumentó un 20% durante el 2020, 3,5 millones de personas empobrecieron (cuentan con menos de COP $ 331.688 al mes) haciendo que el total de la población extremamente pobre del país sea del 42,5%. Entre tanto, en Cali, 221.522 personas cayeron en estas condiciones de absoluta precariedad, o sea que la pobreza en la ciudad aumentó en un 67%, triplicando a la media nacional[19]. Una joven caleña lo sintetiza claramente al decir que básicamente “de cada 10 nuevos pobres en el país, 1 es caleño”[20].
Claramente la agudización de la violencia en Cali no tiene que ver solo con razones económicas, porque hay otras zonas del país aún más pobres, como el Chocó, que no están atravesando en este momento una situación particularmente crítica ligada al Paro Nacional. Pero estos indicadores económicos son dicientes respecto a las condiciones sociales sobre las que se está desarrollando los actuales acontecimientos en la ciudad, que han desnudado una latente lucha de clases.
Los lugares que concentran a la masa popular caleña están en barrios y sectores como Siloé, El Comercio, La Portada, Terrón, La Luna, El Lido, Puerto Resistencia y lugares como el parque artesanal Loma de la Cruz, recientemente bautizado por los manifestantes como Loma de la Resistencia. Es justamente en estos espacios donde han ocurrido varios de los acontecimientos más violentos de este estallido social y donde también -y esto no es menor- se han constituido como puntos de resistencia, donde las barriadas hacen ollas comunitarias y asambleas populares.
En Siloé, una comuna al oriente de la ciudad con población fundamentalmente obrera, el pasado 3 de mayo tuvo lugar una masacre perpetrada por la policía y el ESMAD, en la que murieron 7 jóvenes. El hecho se presentó mientras la comunidad realizaba una velatón en memoria de Nicolás Guerrero, de 21 años, que había sido asesinado la noche anterior por el ESMAD, con un disparo en la cabeza, como se ve en este video. Durante la velatón, ya en las horas de la noche, la comunidad hizo un plantón pacífico, el cual fue reprimido con balas y gases lacrimógenos, los jóvenes opusieron resistencia al embate policial, pero 3 de ellos cayeron en medio de esta desproporcional (y valiente, por parte de los jóvenes) batalla.
“Acá hay pandillas, Bacrim (bandas y grupos emergentes), gente en reinserción y ellos llegan disparando. ¿Cómo cree que se va a sentir la gente de la montaña? Están indignados. De por si este Gobierno lleva años oprimiéndolos y aquí lo que hubo fue una masacre sistemática por parte del Estado. La comunidad tiene miedo y está encerrada en sus casas” asegura uno de los testigos del hecho, el abogado y líder social Harby Mina.
La gobernadora del Valle, Clara Luz Roldán, justificó la masacre afirmando que “cuando se nos infiltran vándalos en esas protestas pacíficas y cuando hay momentos como los que vivimos ayer en el hotel donde estaba hospedada la Policía, pues la Policía tiene que actuar. Tiene que entrar a defender no solo los bienes públicos, sino los privados, porque ha habido vandalismo en almacenes, joyerías, sitios en los que la gente víctima de estos vandalismos llaman a su fuerza pública para que los defienda”.
Por su parte, organizaciones de DDHH sostuvieron que “estamos responsabilizando al alcalde, a la señora gobernadora, al presidente Iván Duque de todo lo que está sucediendo en la ciudad de Cali y en el país, el tratamiento de guerra frente a unas ciudadanías que han expresado su inconformismo frente a las políticas de Estado, a la miseria, al abandono estatal”[21].
No solo la policía, sino que civiles armados reaccionarios también se han encargado de ejecutar la represión. El origen social e institucional de estos civiles se ha ido esclareciendo a través de estas denuncias hechas en las páginas oficiales de varias organizaciones sociales y populares.
El 4 de mayo, en una marcha contra el paro protagonizada de los ricos de la ciudad en el barrio Ciudad Jardín, un señor iracundo amenazó a un joven que le había increpado con que en ese sector de la ciudad tenían 25.000 armas para defenderse. Este hecho quedó registrado en video y fue colgado a las redes sociales. Rápidamente, se supo la identidad del señor: era Carlos Andrés Betancourt, miembro del partido de gobierno Centro Democrático y empresario[22]. Su actitud es representativa de la forma en la que las clases dominantes de la ciudad, articuladas al poder político, han enfrentado la movilización popular, atizando conscientemente la confrontación entre clases.
Desde el primero de mayo, la minga indígena se dirigió hacia Cali a solidarizarse con la lucha popular de esta ciudad y a fortalecer la organización de la gente en términos de resistencia contra la violencia estatal. La minga se convirtió desde su llegada en uno de los blancos de la represión policial y de los ataques de las iracundas élites criollas y racistas de la ciudad. Al saber de la brutal represión que vivía el pueblo caleño desde el 28 de abril, un joven indígena declaró, mientras iba hacia la ciudad, “venimos al paro porque las fuerzas armadas están matando a los manifestantes, pero tendrán que matarnos a todos”[23]
Las acciones de la minga han sido efectivas en la neutralización de los elementos que cobardemente atacan a las manifestaciones. El 7 de mayo desde una camioneta Toyota color blanco se disparó una ráfaga sobre un grupo de protestantes que hacía un plantón en el sector La Luna. Este ataque dejó a tres manifestantes heridos. Los indígenas persiguieron a los criminales y lograron retener a uno de ellos, a quien llevaron hasta la Universidad del Valle para analizarlo[24].
El 9 de mayo hubo grupos de civiles armados atacaron a los miembros de la minga indígena. Estos grupos operaron rodeando desde camionetas blindadas las zonas de resistencia o lugares que las comunidades han bloqueado y que afectan a los sectores ricos de la ciudad. Dispararon en varias ocasiones a manifestantes y llegaron incluso a herir a miembros de la misión médica. Los indígenas denuncian que estos hombres actúan coordinadamente con la policía, y han aprehendido a varias personas a las que acusan de infiltrados y que han confesado ante ellos que son miembros de la policía[25].
La organización popular caleña ha ido fortaleciéndose por medio de las reuniones, y la solidaridad que ha construido el pueblo en medio de la resistencia a la represión estatal. Las jornadas de lucha social de noviembre del 2019 sirvieron a gestar e impulsar algunos espacios políticos, que se han desarrollado aún más en medio de la actual coyuntura.
Los jóvenes conformaron la Unión de Resistencias Cali, que articula los 8 puntos de resistencia permanentes, y los 18 intermitentes, ubicados en la ciudad, y donde están representados fundamentalmente estudiantes y jóvenes de la Primera Línea que ha estado oponiéndose a la opresión policial. Desde esta plataforma, los manifestantes han establecido su pliego de peticiones, que exigen en primera instancia unas garantías para la no-judicialización de los luchadores que han estado activos en esta gran movilización social y reparación a los caídos por la represión[26].