Nessuna novità.. era stato detto in forme chiara nelle decisione del Vertice Nato di Varsavia
- lo speciale 'proletari comunisti' ha denunciato e analizzato quello che in questo vertice di guerra dominato dall'imperialismo USA si è deciso e come il governo Renzi e i suoi ignobili ministri Pinotti/Gentiloni si siano subito allineati e ora traducono in fatti - ai confini russi, come in tutti gli altri scenari mondiali
Giovedì
13 ottobre un gruppo di studenti e militanti dei movimenti contro
l'occupazione militare della Sardegna hanno interrotto un seminario
tenuto da graduati della Marina Militare de La Maddalena presso l'aula
Mossa della facoltà di giurisprudenza di Sassari.
Il seminario in questione faceva parte di una serie di incontri volti a presentare il nuovo corso di studi in Sicurezza e Cooperazione Internazionale, attivato quest'anno all'ateneo Turritano in collaborazione con l'Esercito Italiano.
I contestatori, a seminario appena iniziato, hanno esposto uno striscione recante la scritta "Fuori la guerra dall'università" interrompendo i militari e impadronendosi del microfono così da spiegare ai partecipanti i motivi dell'azione, denunciando la subdola funzione del corso di laurea pensato con l'obiettivo di formare figure professionali che si posizionino a metà strada tra l'ambito civile e quello militare.
Durante l'intervento altri militanti hanno distribuito il volantino sottoriportato per poi scandire cori contro la militarizzazione dell'università.
Di seguito il testo del volantino distribuito:
AL SERVIZIO DELLA GUERRA
Il seminario che stai per seguire è organizzato dal Corso di Laurea in Cooperazione e Sicurezza Internazionale. Di cosa si tratta? Dietro le belle parole dell’Ateneo che assicura che si tratta di “un progetto
culturale altamente innovativo che si discosta dai corsi incentrato unicamente sulle Scienze della Difesa e della Sicurezza a indirizzo militare” si nasconde in realtà un progetto ben più ampio.
A partire dagli ultimi anni, infatti, sono nati anche nel panorama universitario italiano diversi corsi di laurea finalizzati a creare nuove figure professionali che operino nell’ambito dei conflitti, delle calamità naturali e dei problemi di sicurezza.
Come mai? Dieci anni fa i paesi della NATO scrissero un documento: “Nato 2020 Urban operation” con l’obiettivo di individuare le linee guida di una politica internazionale per prevenire e gestire situazioni di conflittualità, tanto nei lontani scenari di guerra quanto nei vicini confini dei paesi europei. Tra le linee guida spiccava quella denominata “Impegno”, ossia “gestire una situazione di conflittualità, non solo con l’attacco diretto alle forze nemiche, ma anche con la gestione degli effetti del conflitto sulla popolazione non combattente”.
E poiché, secondo Nato 2020, il campo d’azione va “dal conflitto su larga scala all’assistenza umanitaria”, diventa necessario lavorare su un aspetto: stringere il piano militare a quello civile.
A tale scopo non basta solamente rafforzare l’immaginario del militare come “operatore di pace”, ma è necessaria la creazione di nuove figure professionali a carattere civile, capaci di affiancare il lavoro del militare sul campo. Una figura fondamentale non solo per la gestione del conflitto in sé, ma anche per rendere più “umanitario” il volto di una guerra, in grado di gestire la fase di transizione del paese in un nuovo regime.
Ecco che da lì a qualche anno, prima nei paesi anglosassoni poi in quelli vicini, iniziano a fioccare nuovi corsi di laurea in “gestione del conflitto”, “sicurezza e cooperazione” e via dicendo… e così, anche se in ritardo, arriva a Sassari il corso in “sicurezza e cooperazione internazionale”.
Questo corso (finanziato per il 50% dal ministero della difesa e del tesoro) si rivolge a due categorie di studenti: quelli standard, ovvero civili, e quelli militari (per la cronaca questi ultimi secondo il regolamento di ateneo pagheranno solamente 500 euro di tasse all'anno). Le figure professionali che ne usciranno saranno dei tecnici al servizio tanto del ministero della difesa, quanto di aziende che operano e investono in zone di guerra, del ministero dell'interno nella gestione dei flussi migratori e dei campi della protezione civile dopo le
calamità naturali. Tutti questi contesti sono accomunati dal concetto di “emergenza” che si traduce praticamente nella militarizzazione delle dinamiche civili, resa possibile dall'infiltrazione dei militari nella società.
Sta a te ora decidere se essere complice della macchina da guerra oppure farne a meno.
Se essere un granello che inceppa la macchina bellica o un suo ingranaggio.
FUORI L'ESERCITO DALL'UNIVERSITÀ!
NO ALL'UNIVERSITÀ DELLA GUERRA!
da contropiano
Il seminario in questione faceva parte di una serie di incontri volti a presentare il nuovo corso di studi in Sicurezza e Cooperazione Internazionale, attivato quest'anno all'ateneo Turritano in collaborazione con l'Esercito Italiano.
I contestatori, a seminario appena iniziato, hanno esposto uno striscione recante la scritta "Fuori la guerra dall'università" interrompendo i militari e impadronendosi del microfono così da spiegare ai partecipanti i motivi dell'azione, denunciando la subdola funzione del corso di laurea pensato con l'obiettivo di formare figure professionali che si posizionino a metà strada tra l'ambito civile e quello militare.
Durante l'intervento altri militanti hanno distribuito il volantino sottoriportato per poi scandire cori contro la militarizzazione dell'università.
Di seguito il testo del volantino distribuito:
AL SERVIZIO DELLA GUERRA
Il seminario che stai per seguire è organizzato dal Corso di Laurea in Cooperazione e Sicurezza Internazionale. Di cosa si tratta? Dietro le belle parole dell’Ateneo che assicura che si tratta di “un progetto
culturale altamente innovativo che si discosta dai corsi incentrato unicamente sulle Scienze della Difesa e della Sicurezza a indirizzo militare” si nasconde in realtà un progetto ben più ampio.
A partire dagli ultimi anni, infatti, sono nati anche nel panorama universitario italiano diversi corsi di laurea finalizzati a creare nuove figure professionali che operino nell’ambito dei conflitti, delle calamità naturali e dei problemi di sicurezza.
Come mai? Dieci anni fa i paesi della NATO scrissero un documento: “Nato 2020 Urban operation” con l’obiettivo di individuare le linee guida di una politica internazionale per prevenire e gestire situazioni di conflittualità, tanto nei lontani scenari di guerra quanto nei vicini confini dei paesi europei. Tra le linee guida spiccava quella denominata “Impegno”, ossia “gestire una situazione di conflittualità, non solo con l’attacco diretto alle forze nemiche, ma anche con la gestione degli effetti del conflitto sulla popolazione non combattente”.
E poiché, secondo Nato 2020, il campo d’azione va “dal conflitto su larga scala all’assistenza umanitaria”, diventa necessario lavorare su un aspetto: stringere il piano militare a quello civile.
A tale scopo non basta solamente rafforzare l’immaginario del militare come “operatore di pace”, ma è necessaria la creazione di nuove figure professionali a carattere civile, capaci di affiancare il lavoro del militare sul campo. Una figura fondamentale non solo per la gestione del conflitto in sé, ma anche per rendere più “umanitario” il volto di una guerra, in grado di gestire la fase di transizione del paese in un nuovo regime.
Ecco che da lì a qualche anno, prima nei paesi anglosassoni poi in quelli vicini, iniziano a fioccare nuovi corsi di laurea in “gestione del conflitto”, “sicurezza e cooperazione” e via dicendo… e così, anche se in ritardo, arriva a Sassari il corso in “sicurezza e cooperazione internazionale”.
Questo corso (finanziato per il 50% dal ministero della difesa e del tesoro) si rivolge a due categorie di studenti: quelli standard, ovvero civili, e quelli militari (per la cronaca questi ultimi secondo il regolamento di ateneo pagheranno solamente 500 euro di tasse all'anno). Le figure professionali che ne usciranno saranno dei tecnici al servizio tanto del ministero della difesa, quanto di aziende che operano e investono in zone di guerra, del ministero dell'interno nella gestione dei flussi migratori e dei campi della protezione civile dopo le
calamità naturali. Tutti questi contesti sono accomunati dal concetto di “emergenza” che si traduce praticamente nella militarizzazione delle dinamiche civili, resa possibile dall'infiltrazione dei militari nella società.
Sta a te ora decidere se essere complice della macchina da guerra oppure farne a meno.
Se essere un granello che inceppa la macchina bellica o un suo ingranaggio.
FUORI L'ESERCITO DALL'UNIVERSITÀ!
NO ALL'UNIVERSITÀ DELLA GUERRA!
da contropiano